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Autore: Pervinka    17/07/2012    7 recensioni
Un paio di occhiali da sole dimenticati sul tavolo di un bar con vista sul mare.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Otto giorni

Capitolo primo.

 

Sono seduta ad un tavolo con vista sull'oceano e mentre scrivo i miei pensieri su un taccuino decorato con dei gufetti, sorseggiando il mio drink, un uomo mi osserva da un tavolo poco lontano dal mio.

Assorta nei miei pensieri non mi accorgo subito di lui, ma quando alzo gli occhi lo sorprendo a fissarmi e distolgo subito lo sguardo, arrossendo.

Sono timida, e sentendomi i suoi occhi puntati addosso, non ho il coraggio di alzare di nuovo i miei.

Finisco in fretta di bere il mio drink, succo di lime e menta, mi alzo e me ne vado dopo aver lasciato qualche moneta sul tavolo.

Mi dirigo verso la spiaggia per passeggiare un po' sulla riva e poco dopo mi siedo ad osservare le onde. Sento dei passi avvicinarsi, il rumore attutito dalla sabbia, ma non mi volto, pensando che siano altre persone che passeggiano.

“Mi scusi signorina..”

Si sta rivolgendo a me in inglese.

Alzo gli occhi sorpresa e mi ritrovo davanti i miei occhiali da sole. Mi porto la mano alla scollatura a V del top, per rendermi conto che no, non si trovano dove li tengo di solito quando non li ho sul naso.

“Oh, grazie...” sorrido e rispondo in italiano e mentre alzo lo sguardo, mi accorgo che è di nuovo il tipo che prima mi fissava. Arrossisco, come sempre.

“Come?” mi chiede lui, ancora una volta in inglese.

“Mi dispiace,” rispondo adesso nella sua lingua “volevo dire grazie...” e con un cenno gli mostro gli occhiali.

“Non è di queste parti...”

E' un'affermazione.

“No, sono italiana.”

Storce un po' la bocca, mi chiedo perché.

“Italiana eh?... In vacanza?”

“Non proprio, ma... diciamo così...”

“Non proprio?”

“Se trovo lavoro, vorrei rimanere il più a lungo possibile”

“Cos'è disposta a fare?”

Lo fisso per un momento, chiedendomi cosa gliene importa.

“Escludendo la spogliarellista o la prostituta, direi che il resto può andare.” dico alzando le spalle e piegando la testa di lato.

“Anche la domestica?”

“Non l'ho mai fatto, ma penso che potrebbe andare.”

Si infila una mano nella tasca dei jeans sdruciti e in quel momento noto il suo avambraccio sodo e muscoloso. Risalgo con lo sguardo fino alla spalla, al collo, l'altra spalla, il petto, il torace... è enorme, prima da lontano non ci avevo fatto troppo caso. Distolgo lo sguardo, rendendomi conto che siamo soli sulla spiaggia, il sole sta calando e presto farà buio.

Mi alzo in fretta, gli arrivo appena sotto il petto. “Oddio, si sta facendo tardi, devo proprio andare...”

“Eh?”

Nell'agitazione ho parlato di nuovo in italiano.

“Ehm, devo andare...”

“Non così in fretta, aspetti, prima volevo darle questo.”

Dalla tasca estrae un biglietto da visita e me lo porge.

Gary Garnier leggo, e un indirizzo che suppongo sia il suo. Fisso il nome per un momento, mi ricorda qualcuno...

Cosa dovrei farci con questo? Non pretenderà mica che lo chiami? Se crede che...

Faccio finta di niente. “Ah, ehm, grazie...”

“Si presenti domani a questo indirizzo, pensa di potercela fare per le sette?”

Alzo gli occhi e fisso i suoi ray-ban.

“Alle sette... e posso sapere perché?”

“Ho appena licenziato la mia domestica.”

“Mi dispiace, e come mai?”

“Troppo impicciona.” Taglia corto.

Mi mordo il labbro.

“E quindi?”

“E quindi la prendo in prova per otto giorni, e se sarò soddisfatto la assumerò a tempo indeterminato.”

Rimango a bocca aperta.

“Allora?”

Chiudo la bocca di scatto e penso che per essere lì alle sette dovrò svegliarmi almeno un'ora prima.

“Allora ok, ci sarò.”

La sua bocca si fa sottile per un attimo, come se ci avesse ripensato.

“Suoni forte il campanello, finché non verrò ad aprirle.”

Penso a lui in pigiama e pantofole, meglio che pensarlo in boxer... molto meglio. Non posso distrarmi ancora prima del mio primo giorno.

“Le dirò domattina cosa deve fare.”

“Mhm, bene...”

“...E così... a domani...”

“Rebecca, mi chiamo Rebecca, e lei dev'essere Gary.”

“In persona.”

Lo dice come se si aspettasse di essere riconosciuto.

Lo guardo con più attenzione, ma non mi sembra di averlo mai visto.

 

A casa, metto a bollire un po' d'acqua per una tisana e nel frattempo mi faccio una doccia veloce. Lascio che il getto caldo mi colpisca la nuca e intanto ripenso all'incontro di oggi.

Seguo con gli occhi dell'immaginazione il profilo del suo corpo, i suoi piedi nudi, sprofondati nella sabbia, il suo polpaccio, avvolto dai jeans arrotolati, le sue gambe possenti. Il suo torace, piatto, coperto (che disdetta) da una t-shirt nera...

Con un sospiro esco dalla doccia.

Pulisco lo specchio del bagno dal vapore che si è formato. Fisso i miei occhi verdi.

“Non essere stupida” dico al mio riflesso “da domani sarai solo in prova e fra otto giorni non lo rivedrai più.”

A proposito, non sono riuscita a vedere i suoi occhi.

Mi asciugo velocemente e indosso la mia camicia preferita per andare a dormire, una camicia da uomo, di tre misure più larga. Finisco di preparare la tisana e dopo averla sorseggiata con calma me ne vado a letto.

Alle sei e trenta sono già in metropolitana. Ci vogliono dieci minuti per raggiungere la periferia e un altro quarto d'ora a piedi, cartina alla mano, per raggiungere l'indirizzo.

Mi trovo davanti ad una grossa porta di legno con il classico battente dorato.

Mancano cinque minuti all'orario prestabilito, decido di suonare comunque, forse il fatto di essere un po' in anticipo farà una buona impressione.

Inspiro.

E la porta si apre da sola.

Rimango così, col braccio a mezz'aria a fissare una ragazza bellissima. In mano ha il sacco della spazzatura.

Fidanzato. E ti pareva!

“Sempre il solito!”

“C-come?” balbetto.

Lei si passa una mano fra i capelli, un po' spettinati, ma comunque perfetti.

“Gary, è sempre il solito. Sei la nuova ragazza in prova? Come al solito non mi ha avvisato e io sto andando al lavoro.”

La squadro dall'alto al basso, pigiama a fiorellini, coulottes e pantofole di Pukka alla fine di gambe chilometriche e perfette.

Io in calzoncini di jeans, t-shirt e ballerine, vicino a lei sembro una papera poco cresciuta.

Scoppia a ridere, “No! Non così, prima mi vesto! Mi sono appena svegliata, devo ancora fare colazione e... sto parlando troppo, vieni entra, porto un attimo questo al bidone.”

Quando torna indietro mi stringe la mano. “Io sono Evelyn”

“Rebecca, tanto piacere”

“Italiana?”

“Ehm, già...”

Lei non storce la bocca come ha fatto lui.

“E' da molto che vivi qui?”

“No, in realtà sarei in vacanza, ma come ho già detto al suo fidanzato se trovo lavoro, per un po' vorrei rimanere.”

Spalanca gli occhi e fa un sorriso sornione.

“Bene, Gary sta ancora dormendo, ma penso che tu possa già incominciare. Vieni, ti mostro la cucina e poi dovrò scappare.”

In cucina regna il caos della sera prima. Avanzi di pizza, bicchieri pieni a metà di un liquido scuro, immagino sia coca-cola e infatti noto la bottiglia vuota senza tappo stesa sul tavolo.

“Puoi mettere tutto in lavastoviglie, qui” apre uno sportello.

“Ops, è già piena, dovrai lavarli a mano, sono pochi piatti, farai presto.”

Wow! A quanto pare non si bada a convenevoli da queste parti.

“Dove trovo il detersivo?”

“Sotto il lavandino, insieme alla spugna e ai guanti di gomma.”

Giusto.

Faccio scorrere l'acqua, aggiungo il detersivo e nel frattempo mi infilo i guanti, che guarda caso sono della mia misura.

Inizio a sparecchiare.

“Senti Rebecca, io devo proprio andare, se Gary non si sveglia per le otto, dovrai andare di sopra a svegliarlo tu. Con dolcezza, altrimenti sarà una iena per tutto il giorno.”

Il bicchiere che stavo portando al lavandino mi cade di mano, per fortuna non si rompe perché va a finire sul tappeto davanti al lavandino.

“Ma, ma, io non posso svegliare il suo fidanzato...”

“Dammi del tu, e sì, puoi, anzi devi. Considerala la prova più importante, se riesci a svegliarlo senza farlo innervosire, sarà un buon passo avanti verso la tua assunzione.”

“Ma, ma...” continuo a balbettare.

“Niente ma, adesso devo andare.”

Sento i suoi passi frettolosi al piano di sopra e poco dopo la porta dell'ingresso che si chiude con un tonfo. Una macchina si allontana.

Sono le sette e quaranta secondo l'orologio alla parete. Decido di procedere con calma, forse si sveglierà sentendo il rumore delle stoviglie.

Dieci minuti dopo però ho già finito, per quanto possa prendermela comoda, due piatti e due bicchieri non aiutano la causa.

Di Mr non-ho-detto-niente-alla-mia-fidanzata Garnier nessuna traccia. Drizzo le orecchie per sentire eventuali rumori provenire da sopra, ma sento solo il ronzio del frigorifero accanto a me.

Bene, se devo svegliarlo dolcemente, (questa poi...), entro le otto, tanto vale che vada di sopra a fare il mio dovere.

  
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