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Autore: giulina    18/07/2012    2 recensioni
Leo tirò in aria l'ennesimo biscotto e lo fece finire direttamente nella bocca aperta, sorridendo alla ragazza che continuava a girare lo zucchero nel suo tè ormai freddo. Non resistette più e gli sorrise apertamente. Con quel ragazzo era tutto un mostrare sorrisi storti e denti bianchi, un ridere fino a sentire male allo stomaco.
- Mi piace. -
- Il mio riuscire a centrare la bocca con il biscotto? Lo sai che riesco a mangiarmi anche l'unghia del pollice mentre sono al telefono? -
Agata rise di nuovo e Leo le si avvicinò, toccandole delicatamente con l'indice la fossetta appena accennata sulla guancia sinistra.
- Mi sono innamorato. -
- Di me? -
- Macchè, parlavo di quella fossetta lì. Sì, proprio quella lì. Non è che la puoi regalare? -
Agata continuò a sorridere mentre Leo le percorreva con il dito la pelle del viso e la guardava con quegli occhi dalle ciglia lunghissime, che le facevano sentire la necessità di abbassare lo sguardo. Non meritava che qualcuno la guardasse con quegli occhi.
Genere: Commedia, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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                     Via del Campo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


"..non spalancare le labbra ad un ingorgo di parole
le tue labbra così frenate nelle fantasie dell'amore
dopo l'amore così sicure a rifugiarsi nei "sempre"
nell'ipocrisia dei "mai"..." 

-Verranno a chiederti del nostro amore, Fabrizio De' Andre-

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Del fumo si sta alzando lentamente dal fondo di una tazza di ceramica rossa sbeccata sul bordo vicino al manico e con ancora il prezzo attaccato sopra.
Accanto alla tazza, su quel tavolo di acero o di pino –non è mai stato bravo a distinguere i vari tipi di legno- c’è un pacchetto di sigarette Marlboro con ancora la pellicola e un accendino antivento blu vicino. Ci sono dei fogli scarabocchiati da lui e delle dita grassocce –all’anulare c’è una fede d’oro bianco- che tamburellano su un foglio di alluminio sporco di maionese e pomodoro, dove qualche minuto prima c’era un panino al prosciutto cotto.
- Posso? -
- Prego - risponde l’uomo in divisa, facendo strusciare il pacchetto di sigarette vicino alla mano del ragazzo seduto davanti a lui. Ha una lettera in corsivo tatuata sul dito medio. Non riesce a capire di che lettera si tratta.
Il ragazzo tiene in mano per qualche secondo la sigaretta fine e poi se l’accende senza ripensamenti. Fa il primo tiro, poi il secondo e al terzo incomincia a tossire senza riuscire a fermarsi.
L’agente in divisa chiama a gran voce il brigadiere Sandro Pucceddu che sta osservando la scena da dietro il vetro della porta socchiusa. Ha qualche lentiggine sul naso, troppo grosso per quel viso quasi da bambino, e la cravatta allacciata alla perfezione. Probabilmente il nodo glielo ha fatto sua madre quella mattina.
- Pucceddu -
- Comandi, signore! -
- Portami un po’ d’acqua. -
- Naturale, frizzante, gassata? Temperatura ambiente o fresca? Magari con un po’ di ghiaccio? -
- Pucceddu, siamo per caso al Ritz? -
- No, signore ma… -
- Acqua. -
Pucceddu se ne va con le guance chiazzate di rosso mentre il ragazzo seduto sulla sedia di plastica nera cerca di placare la sua gola in fiamme. Ha una lacrima al bordo dell’occhio destro.
Si mette a ridere quando vede lo sguardo preoccupato dall’uomo e le rughe sulla sua fronte sudaticcia.
- Era la prima volta che fumavo - confessa, spegnendo la sigaretta sul foglio bianco scarabocchiato da lui. Della cenere gli rimane sul pollice e lui lo inizia a strusciare con l’indice, lasciando che l’odore del fumo gli rimanga tra le dita, nella pelle.
Guarda la sigaretta spegnersi lentamente come un amore, come un pensiero, come la speranza. Parla mentre continua a fissare il filtro scuro e umido della sua saliva.
- Io non avevo mai fumato prima, ma lei, lei fumava tanto, invece. Non mi ha mai detto quando ha iniziato a fumare ma io penso che appena uscita dall’utero di sua madre avesse una sigaretta in mano. Ogni volta che la vedevo in giro per casa con una sigaretta tra le labbra mi veniva in mente questa scena buffa e irreale. Ce la vedevo con il pannolino e la sigaretta che invece di giocare con i pupazzi si faceva un Chinotto con suo padre... se mai avesse un padre. Non mi ha mai detto nemmeno questo. -
- Non la conosceva bene, questa ragazza? - Chiede Roberto, pulendosi le dita sporche di salsa su un tovagliolo che tiene nella tasca dei pantaloni neri troppo stretti per il caldo che c’è in quella stanza piccola, con il ventilatore in un angolo che non riesce a rinfrescare nessuno.
Il ragazzo sorride ed incrocia le braccia al petto.

Indossa una camicia a quadri sopra una maglietta a maniche corte bianca sporca di terra, probabilmente. Ha dei begli occhi, pensa l’uomo. Forse sono grigi o forse azzurri. Ci sono anche delle pagliuzze verdi vicino alla pupilla, se ci si fa particolarmente caso.
- Sì, la conoscevo bene, per quanto si possa conoscere bene una come lei. Era la classica persona che voleva sapere tutto di te –non facendolo notare apertamente- ma che non diceva niente di sé. Lo sa che non mi ha mai detto quando era il suo compleanno? Ho cercato i suoi documenti per anni... poi c’ho rinunciato. Decisi che il suo compleanno sarebbe stato il 6 febbraio –come quello di Axl Rose, non so se ha presente- e ogni anno le facevo una torta che sapevo non avrebbe mangiato. -
Roberto arriccia il naso e corruga un’altra volta la fronte. Il brigadiere Pucceddu intanto è entrato silenziosamente nella stanza e ha appoggiato sul tavolo un bicchiere di acqua insieme ad un tovagliolo di carta leggermente stropicciato.
Ha ascoltato in silenzio le parole di quel ragazzo, provando una punta d’invidia per non sa nemmeno lui cosa.
- Pucceddu! -
- Comandi! -
- Questa è acqua tonica! -
- Crimonisi ha finito quella naturale, dice che per la sua nuova dieta deve bere almeno tre litri di acqua al giorno. C’era solo questa nel frigorifero… -
Il comandante Roberto Simi lo caccia dalla stanza e si pulisce stizzosamente la bocca. Incrocia le braccia, scoperte dalla camicia, sul tavolo e guarda negli occhi il ragazzo, sospirando.
- Aveva un nome, questa ragazza? -
- Sì, ma io non la chiamavo mai per nome. -
- E come la chiamava? -
- La Grandissima Stronza. -
- Ed è per questa... signorina, che ieri ha fatto quel che ha fatto?-
- Forse. -
- Sarà una storia lunga da ascoltare? -
Il ragazzo sorride toccandosi lo zigomo destro ancora arrossato e dolorante.


Forse.







   
 
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