Videogiochi > Silent Hill
Segui la storia  |       
Autore: fiammah_grace    18/07/2012    2 recensioni
Sebbene tutto fosse finito, quell’insopportabile aria pesante circolava ancora negli appartamenti e nell’intero edificio, inglobato tuttora nel mondo creato dall’assassino Walter Sullivan.
Henry era preparato per una nuova vita lontana South Ashfield. Le valige erano pronte già da un pezzo, in verità, poggiate sul ciglio della porta da giorni. Non che avesse granché da portare con sé, in realtà.
Eppure qualcosa ancora lo legava a quell’appartamento oramai inglobato completamente in quel macabro incubo al quale non sapeva dare nemmeno un nome.
Guardandosi in giro, aveva la pessima sensazione che non fosse in grado si lasciare l’appartamento 302...
...o peggio...
....che oramai non potesse essere più capace di farlo.
Come se, a quel punto, anche lui fosse rimasto incatenato nell’incubo che continuava ad apparire ai suoi occhi, divenendo così egli stesso parte di esso...
Genere: Dark, Horror, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Henry Townshend, Un po' tutti, Walter Sullivan
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A


CAPITOLO 04



Il suo nome è Walter... Walter Sullivan. Lavoravo all'orfanotrofio, badavo ai bambini... Io sono Andrew DeSalvo. Cercavano di farlo sembrare un orfanotrofio... Ma secondo le sacre scritture di quella città, era in realtà il centro della loro religione. Quel bambino, Walter... ci credeva davvero. Soprattutto dell'affare riguardante "L’ascensione della Santa Madre". Spaventoso... Mio Dio... Oh... oh, mio Dio...” 
  
(Prigione acquatica, Andrew De Salvo) 
  
  
[APPARTAMENTO 303, South Ashfield Heights] 
  
Erano le nove di sera ed Eileen Galvin non la smetteva di ridere. Semplicemente non poteva. Squadrava Henry Townshend dalla testa ai piedi non riuscendo a capacitarsi di come si fosse conciato per quella cenetta fra loro. 
  
“E’ da un po’ che non vai ad un party, ammettilo!” disse, sghignazzando. 
  
Henry era sul piano della cucina, intento a finire le preparazioni. Non si voltò nemmeno, preferendo annuire sarcasticamente. 
  
“Cosa avrei che non va?” disse distrattamente, mentre sistemava i piatti sporchi nel lavandino. 
  
Lei fece spallucce. 
  
“Oh, non lo so…ti presenti in abito da sera, e ho dovuto faticare per convincerti a levare almeno giacca e cravatta!” ammiccò. 
  
Henry non le rispose, preferì piuttosto finire di rassettare tutto in silenzio. 
In effetti si era presentato a casa di Eileen vestito con un elegante abito da cerimonia nero, una camicia celeste, con tanto di cravatta ben annodata sul collo, portandole inoltre, come di buon costume, dei fiori e dello spumante. 
Eileen, elegante in stile casual, con un top rosa scuro stretto sul petto, dei pantaloncini blu e i tacchi, era rimasta incredula nel vederlo vestito quasi per un matrimonio! 
Non si era reso conto di essere inadeguato vestito così…aveva solo deciso di seguire la tipica etichetta dell’uomo galante, ma a quanto pareva, ciò che aveva detto la sua vicina, era vero. 
Da quanto tempo non passava del tempo in compagnia, in effetti? 
Ora che conosceva Eileen, serate simili accadevano spesso, ma in lui si creava comunque quel senso di inadeguatezza dovuta alla desuetudine. 
  
Si avvicinò con un dolce alla crema. Eileen era seduta dietro il bancone della cucina e lo guardava con un sorriso tenue. Il ragazzo era felice di vederla così spensierata. Stava facendo di tutto per non mostrarle alcun segno di cedimento. Questo perché non voleva farla preoccupare troppo. Aveva la mente altrove, però, questo era certo. 
  
Ancora turbato da ciò che aveva visto nella foresta, assieme alle vicissitudini che in generale lo stavano costringendo a riaprire quel terribile capitolo della sua vita, Henry Townshend si era chiuso ancora più in se stesso. 
  
Ma quella era la loro serata. Di lui ed Eileen. Non doveva lasciarsi sopraffare. 
Era la serata in onore a quel ‘party’ che tempo addietro non fu mai cominciato. Doveva fare del suo meglio per soppiantare quel forte istinto che in realtà lo voleva lontano da lì e dentro il mondo di Walter Sullivan. 
  
Una forte angoscia lo stava tormentando da giorni, portandolo sempre nel suo appartamento e nell’incubo. Era un richiamo incessante che lo torturava e lo chiamava a gran voce. 
Anche in quel momento aveva quella forte pulsione, come se oramai tra lui e quel mondo si fosse istaurato un legame che non li voleva assolutamente lontani. 
  
Cosa…gli stava accadendo? 
Henry aveva terribilmente paura dei suoi sentimenti, e aveva l’orribile presentimento che, anche se avesse chiuso col viaggiare in quella realtà malsana, non sarebbe comunque finita. 
Anzi, più lui reprimeva quel richiamo, più era come se aumentasse l’esigenza di tornare lì. 
Era colpa di Walter Sullivan? Cosa era accaduto nella sua mente per colpa di quell’uomo? 
  
Il cuore gli batteva forte. Solo la sua natura indolente e tranquilla lo aiutò a nascondere ogni turbamento. 
Si sforzò con tutte le sue forze di non cedere e di rimanere lì, nella sua realtà, dove doveva restare e vivere. 
  
Prese posto di fronte Eileen. Stappò velocemente lo spumante che aveva portato, lasciando volare via il tappo in sughero, e riempì i calici di lui ed Eileen. 
  
“…un brindisi?” disse lei, alzando il bicchiere e portando l’altra mano sotto il mento. 
  
“…uh? …C-Certo.” le rispose, balbettando appena. Era così soprappensiero che era quasi sbandato quando vide Eileen invitarlo a un brindisi di buon augurio. Così alzò meccanicamente il bicchiere e lo avvicinò a quello della ragazza. 
  
Lei sorrise, come intenerita dal modo di fare di Henry, così insicuro e impacciato ai suoi occhi. 
  
“Cin-cin a cosa, Henry?” gli chiese suadente. 
  
Egli sgranò gli occhi e fece spallucce. Lo stress lo stava consumando e non riusciva proprio a coinvolgersi sia a livello fisico che mentale. Gli fu difficile nascondersi ancora. 
  
“Henry…” disse Eileen, visibilmente preoccupata. 
  
Il moro ne era sicuro: Eileen sapeva che c’era qualcosa che non andava. Era un’attenta e arguta osservatrice, per di più anche molto sensibile. Non aveva idea su cosa la facesse desistere nel non avanzare un interrogatorio. Forse…semplicemente lo stava facendo per lui.   
Se solo Henry avesse potuto parlarle… 
  
“…tutto tornerà come prima, va bene questo brindisi per te?” disse Eileen, all’improvviso. 
  
“Cos…” rimase sorpreso di quelle parole, così inaspettatamente appropriate. 
  
“Riformulo l’auspicio: qualunque problema ci impedisca di tornare alla normalità…” si fermò un attimo, abbassando gli occhi verso quelli verde pallido di Henry. La sua voce calò e si fece più rauca. 
“Io…spero tu ce la faccia presto.” 
  
Eileen sembrava quasi con la voce strozzata ed Henry avvertì un grande vuoto dentro di sé nel vederla con quei occhi tristi. 
  
“Eileen…” le disse. 
  
Voleva rassicurarla, ma come poteva mai farlo? Lui stesso non aveva idea di cosa sarebbe successo…a cosa sarebbe andato mai incontro. 
Non sapeva quale epilogo aveva dinanzi a sé, e il presagio che le cose fossero peggiori di come credesse lo tormentava enormemente, impedendogli di trovare la serenità di quell’attimo. 
Dunque, ancora una volta, soffocò le parole in gola, trovandosi nell’infelice condizione di vedere qualcuno a lui tanto caro perdersi nei suoi stessi occhi a furia di cercare una risposta che mai avrebbe trovato. 
  
Henry non ce la faceva più. 
  
Era intossicato da quel mondo. Non ne poteva più. Nella sua mente rimbombava sempre di più il suo terribile richiamo. 

Si alzò e fece per posare via tutto, sotto gli occhi ancora confusi della giovane. Dopo aver sistemato le posate e tutto nel lavandino, afferrò la giacca e si avvicinò all’ingresso.
 
  
“Mi dispiace…”bisbigliò dandole definitivamente le spalle prima di andar via. Non era in grado di mandare ancora avanti quella serata. 
  
Eileen si alzò di scatto vedendolo pronto ad andar via. Strinse gli occhi addolorata da quel comportamento, tuttavia, al contrario, crebbe dentro di lei un istinto che superò qualsiasi barriera creata dallo sconforto e si lanciò alle sue spalle, cingendogli con forza la schiena. 
  
Corse così veloce che al suo passaggio la candela accesa sul tavolo si spense lasciando la stanza completamente al buio, illuminata dalle luci serali provenienti dalla strada. 
  
Henry, che aveva già estratto le chiavi del suo appartamento, era così spossato che sbandò sentendo la sua dolce Eileen dietro di lui. Osservò le sue mani, strette sui polsi all’altezza del suo addome, e provò una strana morsa al cuore. 
La ragazza aveva il capo chino sulla sua schiena. I morbidi capelli castani scivolavano sul suo viso coprendolo quasi interamente. Si strinse ancora più forte ed Henry ebbe la sensazione che stesse tremando. 
  
“Eileen..?” le chiese, incapace di capire come mai lei fosse lì, a stringerlo a sé. 
  
“…non fa nulla.” rispose lei in un sussurro, come se già conoscesse i suoi dubbi. “Qualsiasi cosa tu abbia, me ne parlerai più avanti, okay?” 
Alzò leggermente il viso e divincolò appena Henry dalla sua presa, così che lui potesse girarsi verso di lei. Henry roteò il busto e si specchiò nei meravigliosi occhi languidi e determinati di lei. 
Fu un lungo istante in cui rimasero a guardarsi negli occhi, agevolati dalla discrezione del buio. Eileen poi si riabbandonò su di lui e riprese a parlare “…soldi, lavoro, insonnia, quello che vuoi…ma non fare mai più idiozie simili. Non cercare più di scappare.” 
  
Tremava appena. Henry avvertì che stava parlando sinceramente col cuore e una fortissima scarica di emozioni le scorreva in corpo. 
  
“La verità è un’altra Eileen.” le disse a stento, assumendo questa volta uno sguardo serio e determinato. 
  
A quel punto Eileen lo strinse ancora. 
  
“…dopo quello che abbiamo passato assieme…non…non farlo mai più! Non scappare più da me, Henry.” 
  
Gli occhi di Henry si addolcirono nel vederla così. Lei…si era accorta di tutto. E aveva anche accettato di attenderlo. 
Se davvero fosse andata via anche lei dalla sua vita, il suo mondo intero sarebbe sprofondato definitivamente nella follia di ciò che stava vivendo. 
Le cinse le spalle e la strinse a sé ricambiando quell’abbraccio. Henry, in quel momento, aveva bisogno più che mai di quella vicinanza. 
La sua presa fu così salda e ardente che Eileen stesso se ne sorprese. I suoi occhi si spalancarono, soprafatti dall’emozione. 
  
“Scusami. Non lasciarmi solo, Eileen...” le disse, sussurrandole debolmente all’orecchio. 
  
Eileen non comprese, ma avvertì un disperato bisogno di aiuto in quel sibilo, in quell’abbraccio che Henry aveva contraccambiato inaspettatamente. 
  
Il ragazzo avvicinò il volto a quello di lei sempre di più, sentendo sulla pelle il tenue respiro della giovane vicina di casa, che andava a fondersi con il suo ogni centimetro che avanzava. 
Gli occhi di Eileen, appena confusi, risplendevano con il loro color acquamarina. 
Eileen…lei…la trovava davvero bella. 
Le poggiò delicatamente la mano sul viso che lasciò scivolare dalla sua guancia sino alle labbra. Henry avvertì il respiro di lei farsi sempre più intenso, tenendo ancora a freno le sue emozioni. Continuò così a sfiorarle le labbra fino a schiuderle appena. 
Qualcosa dentro di lui si smosse e volle avvicinarsi ancora di più, cullato da quei piaceri e dal fortissimo desiderio di abbandonare se stesso. 
Oppresso e in balia di una pazzia che ben presto lo avrebbe sopraffatto, desiderava quel salto nel vuoto assoluto, la perdita del suo stesso io… 
Così prese a baciarla delicatamente, timoroso, ma i suoi desideri precedettero l’autocontrollo, per cui entrò nella sua bocca sempre più intensamente.  
Eileen portò le braccia sulle sue spalle, facendo sprofondare le dita sui suoi capelli, spettinandoli. Henry premette intensamente la sua bocca sulle morbide labbra di lei, dal leggero sapore dello champagne appena bevuto. Avvertì una feroce scarica di emozioni vibrare in corpo, incapace, in quel momento, di pensare ad altro. Le strinse le spalle con più forza. 
Avvertì tutto d’un tratto le tensioni e le angosce, che rendevano un incubo la sua realtà, ora voler venire fuori con forza. Quasi come volesse cacciarle via dal suo corpo per far spazio ai suoi bisogni più intimi. 
Eileen stesso poté percepire quel momento di sfogo assoluto del ragazzo, desideroso di abbandonare ogni paura. Lasciò quindi che ciò accadesse. 
La ragazza così fece scivolare le mani sul suo petto. Presero ad avanzare, l’uno di fronte l’altra nel buio della stanza. 
Eileen spinse appena Henry per invitarlo ad accomodarsi sul divano, dopodiché si mise su di lui e ripresero da dove erano rimasti. La ragazza levò via la maglia e si strinse a lui. Henry le accarezzò le spalle e la sua schiena nuda, portandola sempre più vicina a sé, finché entrambi non furono sdraiati sul divano. Sbottonò la camicia mentre teneva ancora stretta Eileen a sé, incapace di lasciarla. 
  
Era come se fosse consapevole che, se lei fosse andata via da lui, lui sarebbe tornato in balia di tormenti che lo avrebbero imprigionato per sempre. 
  
L’appartamento intanto richiamava a gran voce. 

Mentre si baciavano e facevano l’amore, poteva sentire le catene della sua prigione tintinnare, risuonando fastidiosamente nella sua mente. Cominciò a sudare, in preda alla paura di tornare, di comprendere… ma mai si sarebbe fermato. 
Non voleva sentire quell’aria pesante e quei suoni disturbanti perennemente nella sua mente. Persino ora quel crudele e spietato mondo continuava a chiamarlo. 
Prese a baciare ancora più intensamente Eileen, avvolto da quei turbolenti sentimenti che raggiunsero persino lei, ma la ragazza non poté fare altro che assecondarlo. Guardò Henry turbata dalla sua passionalità, quasi morbosa ed ossessiva, eppure eccitante anche per lei. 
Henry, noncurante quasi, continuava a stringerla, a baciarla, a farla entrare dentro di sé, spinto dal suo bisogno primario di essere trasportato lontano da tutto. Persino da se stesso. 
Un disperato bisogno di aiuto che l’aveva in quel momento fatto crollare in un baratro senza via d’uscita. 
  
…mentre appena poco distante da lui, il buco dell’appartamento 302 lo richiamava…ancora…ancora… 
  
Il buio, padrone assoluto della stanza, era il solo conoscitore della pazzia turbolenta che avvolgeva in quel momento Colui che riceve saggezza, il quale poteva sperare sulla sua discrezione per cancellare da sé almeno per una notte il puzzo di quell’incubo, in attesa del momento in cui il prigioniero sarebbe tornato nella sua cella. 
  
…incessanti…tuttavia le catene continuavano a risuonare… 
  
  
*** 
  

Notte. 
Henry, nell’oscurità, sollevò il busto. Era molto scombussolato e frastornato, una fortissima ansia batteva nel suo petto. Portò una mano fra i capelli, ma l’aria era irrespirabile. Completamente sudato, si mise seduto, facendo sprofondare il viso sulle nocche delle dita. Strinse i pugni premendo forte sulla sua faccia, fino a tremare. 
Tuttavia decise di alzarsi. Sfiorò appena Eileen mentre prese a raccogliere i suoi vestiti e lasciare l’appartamento 303. 
  
Eileen seguì in silenzio i suoi movimenti. Con addosso ancora il calore della sua pelle, strinse a se il telo a fiori che usava per coprire il divano. 
Ebbe la terribile sensazione che, solcando quella porta, Henry non stesse semplicemente chiudendo la loro notte. Era come se… 
…stesse chiudendo qualcosa di molto più profondo dentro di lui. 
  

*** 
  
L’acqua che gli accarezzava la pelle alleviava in qualche modo il bruciore dei suoi occhi. 
Ma i rumori e le forti vibrazioni provenienti dal buco chiamavano ancora. 
  
Henry aumentò il getto della doccia e alzò il capo, sentendosi quasi affogare dall’acqua che picchiettava sul viso violentemente. Quel getto gli impediva di aprire gli occhi e la bocca. Gli permetteva a stento di respirare. Anche l’udito venne meno per via del forte flusso soffocante. 
Ma i rumori e le forti vibrazioni provenienti dal buco chiamavano ancora. 
  
Egli corrucciò il viso e strinse le labbra in una morsa. Il cuore batteva incessantemente forte e la testa cominciava a non pensare ad altro se non alla realtà parallela. 
Un rimbombo risuonava dentro di lui e continuava a chiamare…chiamare… 
  
Un curioso rumore così simile ad uno stridulo prese, all’improvviso, a balenagli in testa. Un rumore inesistente all’esterno, ma sembrava ossessionarlo dentro di sé fino alla pazzia. 
E vibrava, vibrava da morire nel suo corpo. 
  
Lo stridulo aumentava a dismisura e più Henry lo ignorava, più aumentava. Eppure non aveva un che di artificiale…sembravano… 
Sembravano quasi delle urla infantili, acute, che unite fra loro lo chiamavano a gran voce, disperate. 
  
Il viso del ragazzo si corrucciò sempre di più, la testa sembrava stesse per esplodere e, oramai, l’acqua stessa non sembrava più così soffocante quanto quel rumore terribile. 
  
Aprì debolmente gli occhi arrossati e guardò di fronte a sé apatico. 
  
“Perché mi sta accadendo questo?” sussurrò. 
  
Non abitava nessuno lì con lui. Ma l’appartamento stesso pulsava di vita propria e lui, in quel macabro contesto, non sembrava altro che un infelice marionetta, pronta a essere manovrata dal burattinaio di quella realtà parallela… 
  
La sua domanda era rivolta all’appartamento stesso, assurdamente vivo e, paradossalmente, più conscio di lui di ciò che stesse accadendo. 
  
Sebbene il getto della doccia fosse freddo, quasi ghiacciato, dalla fronte, il giovane Henry avvertì un’unica goccia calda solcare il suo viso fino a fermarsi vicino l’imboccatura del naso. 
  
“Nh?” 
  
Portò due dita vicino il naso e le strofinò appena sul viso, leggermente infastidito. Osservò la mano con distratta curiosità e sgranò gli occhi alla visione del color rame di cui si erano tinteggiate. 
  
Era terribilmente frastornato. Avvertì che altre gocce calde lo stavano attraversando, in quel momento. 
Percepì così un terribile e repentino senso di nausea che quasi lo fece di venir meno. 
  
Alzò le braccia portando le mani all’altezza degli occhi e vide il suo corpo oramai imbrattato completamente da scie rosse di gocce calde, vive, che attraversavano ogni parte di sé. 
  
Le sue mani presero a tremare, incredule di quella visione. I suoi stessi occhi cominciarono a essere solcati da quell’orrido liquido impedendogli una perfetta visuale. 
  
Tutto, tutto all’improvviso divenne rosso. 
  
Henry tremava, tremava sempre più forte e quel calore incessante gelò il corpo del ragazzo, oramai sull’orlo della pazzia. 
  
“Ma che cosa?!” urlò, oramai incapace di reagire in quel completo stato di panico. 
  
La paura annebbiò la sua mente e per lui fu completamente impossibile contare sul suo corpo, ora paralizzato. 
  
Chiuse gli occhi, come se volesse allontanare da sé quella visione. 
Non ne poteva più, non ne poteva più di essere trattato così. Il petto gli faceva male, gli occhi erano incapaci di reggere ancora quell’incubo. La testa sembrava scoppiare. 
Avvertì le gambe farsi leggere e con un violento tonfo, si ritrovò inginocchiato nella vasca-doccia. 
  
Aveva ancora gli occhi chiusi, affranti. Completamente sconfortati. 
Il corpo umido prese a tremare incessantemente e a quel punto sentì una forte energia negativa attraversarlo dentro. 
Non faceva che chiederselo, oramai… 
Semplicemente…perché proprio lui? 
Perché lui che aveva sempre vissuto una vita quasi insignificante, priva di qualsiasi calore umano, completamente circondato dalla solitudine, ora doveva subire questo? 
Cosa aveva…fatto di male? 
Solo perché aveva abitato in quel dannato…appartamento 302? Era per questo che meritava un simile maltrattamento? 
  
“Sullivan, cosa vuoi da me? Basta! Finiscila!” urlò, disperato, incapace di accettare la sua condizione. 
  
Incapace di accettare la follia alla quale stava andando incontro. 
  
Una voce poi echeggiò lontana. Era convinto provenisse dalla sua mente oramai sconvolta, ma presto si capacitò che quell’eco provenisse, invece, dalla sua stessa casa. 
  
Solo allora spalancò gli occhi e si guardò intorno spaesato. Istintivamente osservò il suo corpo e lo vide umido, freddo… 
E… 
Senza tutto quel sangue addosso. 

 “C-che diavolo…?!” disse.
 
  
Tutto quel che aveva avuto dinanzi a sé, di colpo, era svanito: l’odore organico non c’era più, l’acqua era limpida, e le vibrazioni erano sparite. 
Solo un eco, lontano, si percepiva appena. 
Henry deglutì, ebbe come la sensazione che Walter Sullivan avesse ascoltato e accolto le sue urla, la sua incapacità di comprendere e avesse...fatto cessare quella macabra visione? 
  
A patto, ovviamente, che…ritornasse lì. 

Henry deglutì nuovamente ed uscì dalla vasca. Sapeva che era così. Poteva scommetterci tutto quel che voleva. 
  
Più Henry avrebbe allontanato da sé l’incubo, più questi lo avrebbe chiamato a gran voce, fino alla pazzia. 
Più lui reprimeva quel richiamo, più era come se aumentasse anche per lui l’esigenza di tornare lì. 
  
Ancora con la pelle umida, prese a vestirsi, tamponando appena i capelli con un asciugamano. Dopodiché scavalcò il buco e si lasciò scivolare al suo interno. 
  

*** 
  

  
5 otobbre
Mi a pichiato di nuovvo.
No avvevo fato gnete di malle.
Vorei che fose morrto. 
  
(scritta rossa del “diario” di Walter Sullivan. Nella foresta di Silent Hill) 
  
  
  
[Prigione cilindrica acquatica, nella torre centrale della vigilanza. Nei pressi della foresta di Silent Hill] 
  
  
Bruciava… 
La pelle…bruciava da morire… 
Il ragazzo aprì debolmente gli occhi e, come immaginava, si ritrovò in un nuovo ambiente legato al passato dell’assassino vendicativo Walter Sullivan. Riuscì a stento ad alzarsi in piedi perché polpacci e braccia pulsavano e bruciavano terribilmente. 
Subito tirò su le maniche della camicia bianca e vide dei segni lividi sulle braccia. Qualunque parte del suo corpo bruciasse, era marchiata di quei segni brutali. 
Li guardò sorpreso, incapace di ricordare come e quando se li fosse procurati. 
  
Girandosi attorno, non gli fu difficile riconoscere quell’ambiente umido e abbandonato. 
Egli era in una stanza cilindrica, chiusa, con circa una decina di finestre a oblò. Una scalinata rugginosa posta al centro collegava la stanza ai piani inferiori e superiori di quella torre. 
Henry si trovava nella torre della vigilanza dell’edificio cilindrico collegato alla Wish House. 
Ripensando a quell’orfanotrofio, si chiese quindi se avrebbe incontrato di nuovo il bambino biondo. 
  
Comprese che non era un caso la sua presenza lì, nella zona di vigilanza, dunque istintivamente sbirciò attraverso una di quelle finestrelle sporche e opache. 
La prima stanza che intravide era buia e a stento riusciva a vedere qualcosa. 
Era in condizioni pietose: il letto era logoro, e il piccolo servizio igienico posto lì vicino non riusciva nemmeno a guardarlo senza che lo stomaco gli girasse. 
Sporgendosi meglio con la visuale, intravide, tuttavia, una figura scura rannicchiata in un angolo. 
Sbandò nel vedere quella persona, perché non si era per nulla accorto di questa, visto quel buio. 
Era coperto fino al capo da uno sporco telo nero e s’intravedeva appena un braccio pallido graffiare il muro con qualcosa di appuntito. Sembrava tremare e scriveva frettolosamente. 
  
Henry continuò ad osservare. Quella figura sembrava non averlo notato e continuava ad avere il capo chino, e a dondolarsi con fare malsano. 
Focalizzando meglio l’attenzione sui graffiti, si rese conto che era una calligrafia imprecisa come quella di un bambino. 
Era fatta con una sorta di gesso rosso. Riusciva anche da lì a leggere ciò che stava scrivendo: 
  
“Mi stanno guardando dalla camera centrale.” 
  
Sbandò nel leggere quella scritta e per poco non perse l’equilibrio e cadere a terra. 
  
“Ma che diavolo..?!” disse, con voce tremante. 
  
Si sforzò di ritrovare la sanità mentale, ma l’idea di chi fosse quel tizio nascosto sotto il telo, lo terrorizzò. 
Era ancora scioccato per quell’essere rannicchiato in cella, quando un urlo improvviso echeggiò da una delle stanze visibili dagli oblò. 
Doveva aver strillato una persona davvero disperata per essere riuscita a gridare così forte, visto che Henry aveva potuto sentirlo nitidamente dalla torre centrale. 
Si avvicinò immediatamente all’oblò e, sebbene con titubanza, cominciò a sbirciare. 
  
Si ritrovò così lo spettatore di una scena decisamente inaspettata. 
L’uomo col cappotto era lì e stava trascinando violentemente un uomo sulla cinquantina dentro una cella. Era un uomo calvo, robusto, vestito in maniera trascurata. 
  
Il biondo assassino lo scaraventò con forza nella cella e la goffaggine dell’uomo si ritorse contro di lui, poiché fu incapace di fermare il ragazzo prima che questi lo chiudesse a chiave nella stanza umida e sporca. 
  
Walter si affacciò dalla finestrella a sbarre della porta con un sorriso diabolico. Rise poi di gusto alla visione di quell’uomo terrorizzato. 
  
“Lasciami andare! Insomma…ma cosa ho fatto?” urlò lui, spaventato. 
  
Walter rise ancora, sgranando sempre di più gli occhi verde chiaro, che spiccavano in quel contesto trascurato e dalla scarsa luce. 
  
“Andrew! E’ da un pezzo che non ci si vede! Dimmi, sei contento quanto me di questa bella riunione di famiglia..?” gli rispose, con voce eccitata. 
  
Henry solo allora guardò meglio l’uomo grassoccio e gli sembrò di averlo già visto. 
  
“Andrew..?” ripeté incerto facendo mente locale. 
  
Lo aveva visto a stento quel giorno, quando solcò per la prima volta il varco per la prigione cilindrica, per cui gli fu davvero difficile ricordare quell’uomo. 
Solo quando osservò attentamente i suoi movimenti goffi e l’atteggiamento disorientato, ebbe chiaro in mente chi fosse. 
Ricordava perfettamente la placca che trovò sulla porta del seminterrato, dove aveva visto sul corpo di quell’uomo le incisioni 18/21 all’altezza dello stomaco… 
  
“Il…sorvegliante?” 
  
Continuò a guardare la scena, facendo il meno rumore possibile e soffocando quanto più poté il suo respiro. 
  
Andrew De Salvo cominciò a terrorizzarsi alla vista di quegli occhi e si comportò esattamente come Walter voleva. Anzi, più l’uomo dava di testa, balbettando smarrito, più il ragazzo biondo sembrava soddisfatto. 
  
“Se quel che vuoi sono i soldi, posso indicarti dov’è la chiave della cassetta. Oh, mio Dio…ti prego…non farmi del male…io, posso…Oh mio Dio!” farneticò. 
  
Lo sguardo dell’assassino, a quel punto, si spense. Assunse un’espressione più penetrante e malvagia. 
Prese a fissarlo intensamente e un ghigno si disegnò sul suo viso. Henry aveva l’impressione che fosse persino impietosito dalle parole di De Salvo. Come se, una parte di lui, commiserasse il fatto che non avesse ancora capito chi egli fosse. 
  
Walter scosse la testa lentamente e con l’indice della mano gesticolò, facendogli segno che non aveva afferrato le sue intenzioni. 
  
“Andrew, Andrew…temo che tu mi abbia frainteso. Io non sono qui per il denaro.” gli rispose con voce calma e rassicurante.   
  
Il sorvegliante portò una mano sulla fronte e asciugò il sudore. Sembrava così in preda al panico da non essere capace di ascoltare una sola parola di Sullivan. Quest’ultimo sembrò accorgersene e il suo sguardo divenne sempre più glaciale e colmo d’odio. 
  
“Il perché della mia presenza…sei tu.” 
  
Il tono di Walter diveniva sempre più rauco e serioso. Sembrava essere capace di trafiggere la propria vittima solo e semplicemente guardandola. 
De Salvo non gli prestò attenzione ancora una volta e, al contrario, cominciò inaspettatamente ad adirarsi e a battere sulla porta violentemente. 
  
“Lurido straccione! Vile a prendertela con un pover uomo che non ha fatto nulla di male nella vita! Vai via, prima che m’arrabbi sul serio e chiami qualcuno!” urlò.
  
Sembrava sul punto di aizzarsi contro il giovane, ma Walter, con una velocità inaudita, afferrò il colletto sudaticcio della camicia di De Salvo e con veemenza lo trascinò vicino a sé. 
  
“Nulla di…male? Davvero?” gli sussurrò con voce sempre più bassa, calda e spettrale. “Tu, Grasso Maiale, non hai mai fatto nulla di male nella tua patetica esistenza?” 
  
Inarcò le sopracciglia e gli sorrise inquietantemente, divertito di gusto da quegli occhi tondi che cominciarono a tremare al contatto con suoi. 
  
Quando si sentì chiamato di nuovo in quel modo, ‘Grasso Maiale’, De Salvo cominciò a sudare terribilmente. Prese a tremare e la bocca si deformò in una smorfia di terrore. 
Sembrava come fosse stato appena illuminato dalla ragione. Come se…avesse finalmente compreso chi aveva di fronte a sé. 
Quel nome non era solo il modo in cui lo chiamavano quei…quei…marmocchi. 
Era il modo in cui lo chiamava specialmente ‘quel’ bambino. Quello che credeva al culto della “Santa Madre” più di ogni altro. 
  
“T-tu…tu sei..?” 
  
Walter lo trafisse cogli occhi, come se volesse dare conferma a quel che si stava materializzando nella mente di De Salvo. 
Solo allora lasciò la presa e si allontanò dalle sbarre riprendendo a sghignazzare. 
De Salvo si affacciò alle sbarre della porta e protese un braccio verso l’uomo alto che si allontanava dalla sua mano sempre di più. 
  
“Fermo! Oh, mio Dio, fermati! Fammi parlare! Fermo!” 
  
L’uomo robusto prese a chiamare a gran voce, disperato, evocando aiuto e clemenza. Come se sperasse in cuor suo che non stesse accadendo realmente. Walter lo guardò con la coda dell’occhio con indifferenza, neanche minimamente scalfito da quegli occhi pieni di terrore. 
In tutta risposta rideva, rideva finalmente felice di vedere quel lurido maiale prostrarsi così vergognosamente a lui. 
  
“Ah, ah, ah!” rise. “Non hai idea di quale meraviglioso progetto tu faccia parte! E visto quanto tu sia sudicio, sporco, indegno e spregevole, dovresti considerarlo un gran privilegio. Dico bene, Andrew?” 
  
Henry osservò quella terribile situazione completamente incapace di pensare o dire nulla. Seguì con gli occhi Walter mentre faceva per andarsene, ma di colpo lo vide sorpreso, come se, proprio prima di proseguire, l’assassino fosse rimasto attratto dall’oblò alle spalle di De Salvo. 
Scrutò con fare dubbioso e poi…sorrise. 
  
Henry ebbe la terribile sensazione che Walter sorridesse proprio a lui. Il cuore sussultò, frastornato e accecato dal panico di essere osservato proprio da quell’uomo. 
Si ritrasse e decise di andare via da quel posto. 
Non poteva rimanere lì, doveva assolutamente trovare il modo di uscire e alla svelta! 
Si avvicinò alla scalinata rugginosa e scese fino al piano terra. Percorse poi quella lunga scalinata a chiocciola umida e buia, dove un tempo vi erano tutte quei Wall-Man. 
  
Ripensò a quell’uomo…Andrew De Salvo. 
Quando lo aveva conosciuto, era riuscito a stento a scambiare con lui due parole, mentre udì per la prima volta il nome di Walter Sullivan. 
Portò alla mente quel ricordo cercando di soffermarsi su ogni dettaglio. L’uomo di mezza età era in uno stato così confusionario che non seppe far altro che delirare e invocare il nome di Dio. 
Da quel po’ che sapeva, l’uomo lavorava per la Wish House, l’orfanotrofio nella foresta di Silent Hill. 
  
La Wish House e l’edificio cilindrico erano come le due facciate opposte di una stessa medaglia. 
La sede principale era la casa di legno in mezzo al bosco. La torre acquatica, o come era meglio definirla, la prigione, veniva utilizzata per punire quei bambini che, in un modo o nell’altro, infrangevano le regole. Finivano lì e venivano trattati in modi subdoli, violenti, col solo fine di lavargli letteralmente il cervello secondo le malsane credenze del Culto.   
  
Nella prigione, i bambini venivano schedati e controllati. Manipolati e violentati mentalmente. 
Henry si chiese in quel momento se anche De Salvo, dopotutto, non si limitasse solo a sorvegliarli, ma anche… 
Scosse la testa, avendo paura di sapere cosa accadesse per davvero in quelle celle. Giunse finalmente nel primo piano, dove erano situate le prime stanze della prigione, e cominciò a camminare cautamente per i corridoi. 
C’era un silenzio agghiacciante e il gocciolio dell’acqua era l’unica presenza viva lì, oltre a Henry. 
Tuttavia doveva essere cauto. 
Walter poteva essere ancora nei paraggi. 
  
Di colpo udì un lieve brusio, che aumentava man mano che avanzava. Henry si chiese chi potesse mai essere. 
Le voci erano sempre più nitide e presto si rese conto che provenivano da una cella ben precisa. 
Si fermò e decise di non avanzare oltre. 
Chiunque fosse, poteva essere legato a Walter o ai cultori della setta. Non doveva in nessun modo farsi trovare. Tese dunque l’orecchio e sperò di riuscire a comprendere il senso delle parole che stava udendo. 
Da come parlavano, sembravano due ingegneri o alcuni che conoscessero bene il posto, visto che discutevano sull’architettura dell’edificio. 
  
“Questo posto comincia a deteriorarsi, signor De Salvo. Occorre trovare al più presto una soluzione.” 
  
“Avvisare quei pazzi? Ma nemmeno per sogno! Meno sanno, meglio è. Specie i bambini. Li vedo ogni giorno divenire sempre più emancipati, senza la possibilità di nutrirsi o lavarsi. Sembrano…dei fagottini grigi e puzzolenti. Ma parlare ora significherebbe scatenare il panico, o peggio…” la voce del sorvegliante si bloccò. “A-a proposito. Per i corpi, dunque? Cosa si fa?” aggiunse, cambiando discorso. 
  
Sebbene Henry fosse sorpreso di udire la voce di De Salvo, che aveva appena visto essere imprigionato, decise di non interferire e continuò ad ascoltare silenzioso. 
  
“E’ ancora possibile ruotare le stanze, no?” rispose l’ingegnere. “Nessuno se ne accorgerà se utilizza le fosse. Le allinei e andranno direttamente nel seminterrato, dove poi se ne sbarazzerà in piena tranquillità gettandoli nel lago.” sospirò. “Tanto il lago di Toluca ne ha già tante di storie drammatiche conservate gelosamente tra le sue limpide acque…” 
  
De Salvo sembrò annuire alle sue parole, dopodiché Henry udì una porta metallica aprirsi e sbattere violentemente. 
Henry si trovava praticamente di fronte la porta, dove diavolo erano andati, dunque? 
  
Si avvicinò subito alla porta e si affacciò dalla piccola fessura posta in alto. Sgranò gli occhi quando vide che nella cella non c’era nessuno. Non solo. Non vi era nemmeno una porta di servizio o qualcosa del genere. 
Allora quel rumore cosa diavolo era stato? 
  
La sua mente ipotizzò che quel mondo era così fittizio e malsano che, quel che aveva udito, avrebbe potuto senza problemi essere un frammento dei ricordi di Walter Sullivan, alla luce delle raccapriccianti rivelazioni riguardo quella torre, ma non osò chiedersi di più. 
Provò ad aprire la porta, cercando di forzarla, ma la ruggine e l’umidità sembravano averla bloccata. 
  
“Accidenti…chiusa.” disse a denti stretti, poi si affacciò nuovamente alla finestrella. 
  
Vide ai piedi del letto dei fagottini grigi. Sembravano quasi dei teli neri, consumati, sotto i quali era nascosto qualcosa. 
Henry deglutì quando ebbe la terribile sensazione che nascondessero proprio dei corpi. Era davvero strano… 
Erano quelli i corpi di cui De Salvo e l’ingegnere stavano parlando? Perché erano lì? 
Somigliavano decisamente a quell’altro tizio che aveva intravisto da uno degli oblò, quello che scriveva frettolosamente. 
  
“Ma come può essere accaduto..?” 
  
Era una visione terribile da vedere, Henry non ne poteva più di sopportare quel mondo tutto matto. Quei fagottini…altro non erano che i bambini del culto? 
Da sotto i teli neri fuoriuscivano gambe e braccia pallide. Erano così ammassati fra loro da non rendere facile nemmeno la distinzione dei singoli corpi. 
Henry continuava ad osservarli inorridito eppure…una nota di malinconia si disegnò sul suo volto. 
Come era potuto accadere? Cosa avevano fatto quei bambini per meritare una morte tanto orrenda? 
Solo dopo, si accorse a suo malgrado, che un fagottino sussultò. 
Egli sgranò gli occhi, come se non credesse ai propri occhi. 

Possibile che fossero…ancora vivi?!
 
Uno dei teli neri si alzò e si voltò verso Henry. Un terribile mostro, con mani al posto dei piedi e due volti di bambino, lo indicò con un viso malsano e rimase immobile sotto gli occhi impietriti di Henry. 
  
“Ah!” urlò di colpo e cadde a terra perdendo l’equilibro. 
  
Dalla finestrella riusciva a vedere ancora il mostro che lo indicava con l’indice, come un vigilante severo, i cui occhi non smettevano di fissarlo. 
  
Solo dopo una manciata di secondi, questi si mosse ed attaccò ferocemente il ragazzo colpendo la porta violentemente. 
Sotto gli occhi sgomentati di Henry, il mostro picchiò con le mani pallide e robuste fino a deformare la porta. Anche l’altro doublehead si mosse, e assieme colpirono la porta a suon di pugni fino a sfondarla completamente. 
Solo allora Henry si rese conto che doveva trovare subito un modo per sbarazzarsi di loro! 
Non aveva oggetti di difesa con sé dunque cercò sul posto, correndo per i corridoi, un’arma di fortuna che lo aiutasse nello scontro. 
Vide un tubo di scarico, probabilmente utile per far fluire l’acqua, e lo forzò violentemente sperando di prenderlo prima che i mosti lo raggiungessero. 
La sorte sembrò, una volta tanto, girare in suo favore. Il tubo si staccò e l’acqua uscì copiosamente, colpendo uno dei due mostri a fagotto. 
Il tubo era resistente e sufficientemente appuntito per far male. Henry aveva avuto già esperienza con quel tipo di mostri e di lì a poco li colpì veementemente fino a quando non lì immobilizzò a terra e per essi, fu praticamente la fine. 
Continuò a colpirli ripetutamente col tubo e dopo poco cessarono definitivamente di muoversi. 
  
Henry, affaticato dal quel combattimento inaspettato, dovette trovare sostegno sulla parete. Poggiò per qualche istante la schiena sul muro bagnato e corroso, ansimante e col cuore palpitante. 
Aveva la camicia completamente bagnata e sporca di sangue e ruggine. Quei due mostri erano stati capaci di spiazzarlo, in quel momento. 
Ansimava ancora, mentre prese ad osservare la porta metallica ora distrutta a terra. Decise che quello non fosse il momento per indugiare ulteriormente, al che entrò nella stanza. 
  
La stanza ora era vuota e, dopo averla scrutata attentamente, confermò il fatto che non ci fosse null’altro lì. 
Il suo volto andò istintivamente versi i corpi dei mostri neri. 
Erano loro i ‘fagottini grigi e puzzolenti’? Quei bambini morti in quella prigione corrosa? 
  
Si avvicinò a uno di loro ed ebbe la terribile sensazione che quei ‘bambini’ avessero avuto la stessa, terribile sorte, dei mostri giganti dalle sembianze da donna del St. Jerome. 
A loro era stato portato via l’utero per via di un disturbo mentale di Walter sulle donne… 
Loro invece… 
Rappresentavano, dunque, quel terribile momento della vita che l’assassino aveva vissuto, mentre era prigioniero lì? 
  
Riguardando i due doublehead provò una grande pietà. Era una visione…raccapricciante, qual’ora avesse avuto l’intuizione giusta circa la loro simbolicità. 
Dei corpi ammucchiati, oramai indistinguibili e che rappresentavano qualcosa che Walter aveva visto lì dentro, fino a creare quella macabra rappresentazione. Proprio come dei piccoli fagottini grigi e puzzolenti.
Morti scaricati disumanamente nelle fondamenta della torre, sotto quei teli neri che li nascondevano, agli occhi di un bambino dovevano proprio dare l’idea di essere dei mostri amorfi dalla struttura anatomica confusa.
Non solo…in essi era racchiuso anche il concetto del “vigilante”; i mostri infatti prima di attaccare indicavano severamente e colpivano brutalmente chi osava muoversi entro la gittata dei loro occhi inquisitori.
Da sotto uno dei due corpi intravide, poi, una scritta rossa. Il moro se ne sorprese. Era una scritta che non c’era prima, ne era più che sicuro. 
Inoltre… 
Stava accadendo esattamente come nell’ospedale St. Jerome… 
Col tubo appuntito allontanò il corpo del “mostro” e lesse. 
Era uno scritto lungo e stretto, per Henry fu chiaro solo il significato delle ultime righe. 
  
PS: Capo, scommetto che muori dalla voglia di vedere la camera degli interrogatori dietro la cucina. Capisco come ti senti, ma hai notato? Ci sono tre camere con letti insanguinati. Una è al primo piano, una al secondo, e una al terzo piano. Se allinei quelle tre camere “bingo”, è fatta. 
  
Riconobbe quelle parole e subito estrasse dal suo album di ritagli un vecchio scritto risalente al suo primo ingresso alla prigione cilindrica. 
  
“Questo posto continua a deteriorasi. Le porte di molte celle non si aprono più. Di conseguenza, i bambini che vi stanno dentro non possono più uscire. Ma meno loro ne sanno, e meglio è.
Ma riesco ad aprire le porte, ma da questa stanza posso vederli diventare ogni giorno più emancipati. Senza la possibilità di nutrirsi o di lavarsi, stanno diventando dei piccoli fagottini grigi e puzzolenti lì dentro.
Abbiamo seguito il suggerimento di un ingegnere e ci siamo sbarazzati dei cadaveri scavando una fossa sotto le celle. Poiché ogni piano di questo edificio può essere ruotato indipendentemente, possiamo sbarazzarci dei cadaveri. senza che gli altri se ne accorgano, allineando verticalmente ogni cella contenente un corpo.

P.S.
Capo,
scommetto che muori dalla voglia di vedere la camera degli interrogatori dietro la cucina. Capisco come ti senti, ma hai notato? Ci sono tre camere con letti insanguinati. Una è al primo piano, una al secondo, e una al terzo piano. Se allinei quelle tre camere "bingo", è fatta.”
 
 
 
(Nota sul muro della torre centrale della vigilanza, nella prigione circolare acquatica) 
  
Henry si chiese se, ruotando nuovamente quelle celle, non sarebbe accaduto qualcosa. Comunque non poteva fare altrimenti. Anzi, stare lì immobile lo avrebbe reso una preda facile per Sullivan. Doveva affrettarsi.
 
  
Mentre correva cercando di raggiungere il prima possibile la torre della vigilanza, riportò alla mente quell’assassino folle.
 
Egli…era stato picchiato brutalmente dai membri del culto. Inoltre questi avevano fatto nascere in lui delle convinzioni assurde premendo sul suo intrinseco desiderio di riavere sua madre.
 
  
Quel Walter, lui…
 
Era anch’egli vittima di quell’incubo?
 
  
Quella domanda gli sorse nella mente spontanea.
 
Fino a quel momento non ci aveva pensato granché, ma alla luce del suo terzo viaggio nella realtà parallela, gli sembrava sempre più evidente che lui era stato la terribile vittima di un crudele destino.
 
Ironicamente, poi, aveva costruito un mondo malsano in onore ad una fantomatica “Santa Madre” e organizzato una vendetta che, alla fine, gli si era rivoltata violentemente contro.
 
Henry si chiedeva se anche Walter ne fosse consapevole.
 
La sua mente era un subbuglio. Probabilmente ciò era dovuto al modo in cui stava viaggiando.
 
La prima volta che aveva esplorato la mente di Sullivan, era stato tutto molto confuso, e aveva veduto la sua vita in maniera troppo sconnessa e frammentata.
 
Ora invece aveva avuto modo di vedere le cose con ordine.
 
  
Il luogo dove egli era stato salvato, il St. Jerome; poi aveva attraversato la sua infanzia nella Wish House, e adesso stava osservando da più vicino la crudeltà fisica e psicologica che aveva subito dal Culto.
 
Il disegno che aveva della prima infanzia dell’assassino, adesso era molto più chiaro e…disturbante.
 
  
Per Henry, tuttavia, era davvero dura pensare a quelle parole. Per lui, quell’uomo, era e rimaneva tutt’ora una spietata macchina mortale. Tuttavia era ben chiaro persino a lui che stesse mentendo a se stesso. Qualcosa stava cambiando enormemente dentro di lui. Se ne rendeva conto ogni istante di più.
 
  
Sentiva come se…avesse lui stesso provato sulla sua pelle quell’incubo. E non solo in quel momento, ma anche durante i suoi primi viaggi.
 
I colpi che aveva incassato dai mostri del suo passato, le persone che aveva incontrato, i sentimenti provati…
 
  
Erano tutte le emozioni che anche Walter, un tempo, aveva covato in corpo. Fino a…divenire quello spietato e folle cultore, pronto per i ventuno sacramenti.
 
Continuò a camminare pensieroso e fece per solcare le doppie porte rugginose, senza accorgersi di un uomo alle sue spalle che, quando lo vide, gli si rivolse incredulo.
 
Egli tese una mano verso Henry, ma le sbarre della porta dietro cui si trovava, gli impedirono di raggiungerlo.
 
  
“Aiutami, ragazzo! Aiutami, prima che arrivi! Lui…arriverà e…e mi ucciderà!” urlò in preda dalla paura. “…Walter mi ucciderà, aiutami..!”
 
  
Henry si voltò di scatto nell’udire quella voce. Si imbatté così nel sorvegliante della prigione.
 
  
“Signor De Salvo..?” chiese dubbioso.
 
  
“Cosa? C-conosci il mio…nome?”
 
  
De Salvo sembrò cambiare drasticamente atteggiamento quando Henry pronunciò il suo nome. Henry si sentì scrutare dalla testa ai piedi da quell’uomo, quasi come se questi si stesse accertando di conoscerlo o meno.
 
Dal punto di vista di De Salvo, vedere quel giovane, all’incirca della stessa età di Sullivan, lo spaventò e presto inveì contro di lui.
 
  
“Ho capito! Sei con quel lurido pezzo di merda, tu! Liberami immediatamente o ti pentirai per quello che stai facendo! Oh, sì, che te ne pentirai, stanne certo!”  ringhiò con gli occhi da fuori.
 
  
Henry rimase sbigottito da quella reazione, ma cercò ugualmente di mantenere il sangue freddo.
 
  
“Di che sta parlando?” chiese fermamente, ignorando gli insulti di De Salvo.
 
  
“Sei cresciuto qui anche tu, vero?! Bene…allora avrai anche tu assaggiato uno dei miei ‘sistemi di educazione’. L’ho fatto con gran parte dei bambini della congrega e, se conosci il mio nome, lo avrai provato…eh, eh. Prova dunque solo a bluffare e te ne pentirai!”
 
  
Sebbene tremasse ancora per via dell’incontro imminente con Sullivan, Henry percepì qualcosa di disturbante dalle parole di De Salvo. Come poteva…sogghignare nel pensare a tutti quei bambini sfortunati?
 
Lui poi che non aveva fatto altro che maltrattarli.
 
Oppure…
 
Henry sgranò gli occhi e violentemente batté un pugno contro la porta, facendo allontanare quel povero codardo dalla fessura con le sbarre.
 
  
“Stai parlando di dei bambini! Non scordarlo! Di cosa diavolo parli, te lo ripeto!” inveì, urlando come raramente faceva. Sentiva la rabbia ribollire dentro di lui, come se potesse essere in grado di incenerirlo con il solo sguardo.
 
  
Aveva delle emozioni così vive che…
 
…Era come se fosse perfettamente cosciente di tutto ciò che quel Grasso Maiale avesse commesso, in verità.
 
  
“Oh, mio Dio…Oh, mio Dio…non perdere la calma…io…io…oh, povero me!”
 
  
Il tono di De Salvo tornò basso e tremolante. Proprio come un debole e vile vigliacco, si rintanò dentro la cella, incapace di affrontare Henry.
 
  
“Quel che hai detto…è davvero patetico.” disse e si allontanò.
 
  
Quando lo vide allontanarsi, Andrew si allarmò e protese nuovamente il braccio verso di lui.
 
  
“Aiutami…! Ti prego…sta venendo ad uccidermi! Walter mi ucciderà…!”
 
  
Henry si voltò a stento. Solcò la soglia del portone e lo guardò un’ultima volta.
 
  
“Tranquillo. Presto finirà tutto. Questo, in fondo…è già accaduto.”
 
  
…e andò via.
 
  
***
 
  
Quando giunse nel terrazzino esterno con la scalinata a chiocciola, non vide altro che la nebbia, ma dopotutto…era normale. 
Si trovava ancora nei pressi di Silent Hill e lì, la nebbia, era sempre stata la compagna fedele dei viaggiatori che solcavano le sue vie e i suoi meandri. 
  
Dal taschino estrasse la mappa del terzo e ultimo piano dell’edificio cilindrico. Aveva già acceso le luci allineando le stanze con i letti sporchi di sangue dalla torre centrale. 
Ripensando al messaggio trovato sotto il corpo del mostro dalle doppie facce, dedusse che era lì dove doveva giungere. Nel piano sotterraneo. 
  
Mentre camminava percorrendo quella passerella esterna circolare, non si sorprese di udire degli spari, anche se questi rimbombarono improvvisamente. Avanzando ancora intravide Walter Sullivan alle prese con dei hummer, che volavano fastidiosi da quelle parti. 
Henry doveva proseguire, che ci fosse lui o meno. Forse, se fosse arrivato nei sotterranei, avrebbe potuto finalmente uscire. 
L’assassino ci impiegò poco a notarlo e, nell’incrociare gli occhi di Henry, subito sorrise soddisfatto. 
  
“Ciao, Henry.” disse con fare malsano, ma stranamente colloquiale. “Ho visto che hai incontrato il Grasso Maiale.” 
  
Henry non rispose, rimase lì in silenzio, non sapendo proprio come fuggire al suo sguardo. Sentiva un’orribile turbolenza dentro di sé, non riuscendo ad escogitare un modo per divincolarsi da quell’infelice incontro. 
Tuttavia, lui era lì per il volere di Walter, dunque più volte ebbe la tentazione di porgli alcune domande. Qualcosa però lo fece desistere. 
Cosa gli doveva mai chiedere? Cosa…avrebbe conosciuto? Le reali intenzioni di Walter? 
Henry le voleva per davvero conoscere…? 
L’uomo dal lungo cappotto blu intanto continuava ad osservarlo compiaciuto. All’improvviso tese il braccio sinistro e gli puntò contro una mazza di legno appuntita. 
  
“Tra poco rivivrà anch’egli la sua condanna. Non ti va di vedere?” 
  
Improvvisamente Walter si scagliò contro di lui, roteando su se stesso e cercando di colpire con la mazza scheggiata il giovane Henry. 
Henry riuscì a schivare il colpo, ma per poco non cadde nel precipizio. Rimase a guardare da quell’altezza vertiginosa l’ambiente, completamente offuscato dalla nebbia. 
Scrutò l’assassino e comprese in pochissimi attimi che non poteva assolutamente fare nulla, al momento, se non fuggire. 
Non sapeva a cosa sarebbe valso fuggire, in realtà. Quello era il mondo di Walter Sullivan. 
Era lui l’assoluto sovrano e burattinaio. 
  
Henry, suo malgrado, era solo una marionetta nelle sue mani. 
Dunque, una volta evitato il colpo, corse via verso le scalette a piolo poste in concomitanza dei vari piani dell’edificio. 
Walter, dal suo canto, sembrava quasi divertito della fuga di Henry e subito sparò all’aria dei colpi come se volesse intimorirlo, prendendo a ridere davvero di gusto. 
  
Mentre Henry saliva frettolosamente le scale e faceva per raggiungere il terzo piano, l’uomo lo osservava, non cessando comunque di ridere. 
  
“Dov’è che avresti intenzione di andare, Henry?” urlò, spalancando le braccia e alzando il mento mentre vedeva lo sventurato ragazzo proseguire su per la torre. “Ma credi davvero che esista, qui dentro, un posto sicuro per te? Ah ah ah..!” 
  
Il cuore di Henry batteva forte e l’adrenalina saliva a dismisura. Spalancò la porta arrugginita a doppie ante sotto lo sguardo divertito di Sullivan, ed entrò di getto. 
Voleva sfuggirgli? 
Sapeva che era impossibile. Poteva però almeno sperare di seminarlo. Avrebbe così avuto almeno il tempo per riflettere sull’agire. 
Osservò frettolosamente la mappa e solcò la cella dove aveva appuntato la posizione del lettino con l’orma rossa. 
  
Al momento aveva un solo indizio, ed era quello che intendeva seguire. Doveva raggiungere assolutamente il seminterrato. E per farlo doveva raggiungere quella stanza. 

“Eccola.” disse con il fiatone che gli soffocava la voce.
 
  
Entrò e guardò il letto insanguinato, con l’orma impressa di una figura umana, disegnata a malapena sulle lenzuola. Guardò il buco ai suoi piedi. 
Non si vedeva un accidenti da li. Si chiese cosa mai avrebbe trovato, una volta gettatosi nel vuoto e raggiunto quel luogo terribile… 
  
Uno sparo improvviso, poi, lo sfiorò appena, gelandogli il sangue e offuscandogli la mente. Si voltò e alle sue spalle vide di nuovo Walter Sullivan. 
  
La bocca della sua pistola fumava ancora e l’uomo dai capelli biondi assunse un’espressione derisoria nei confronti del ragazzo. Continuò a sogghignare maligno, sotto gli occhi sgomentati di Henry. 
Il moro fece del suo meglio per rimanere calmo, mantenendo il sangue freddo e i nervi saldi. 
  
“Che cosa…vuoi da me?” disse a denti stretti. 
  
Walter fece spallucce e rise ancora. Il suo tono era caldo e profondo, tuttavia enormemente inquietante. Teneva la pistola in mano con una nonchalance inaudita ed Henry si sentì inquieto nel vederlo così disinvolto con quell’aggeggio mortale. Ancora una volta, aveva avuto conferma della sua mente malsana. 
  
Il ragazzo biondo prese ad avanzare verso di lui ed Henry vide la sua figura longilinea, eppure imponente, arrivare a giusto una ventina di centimetri di distanza da lui. 
Subito sentì l’esigenza di indietreggiare, ma presto trovò alle sue spalle il foro circolare del pavimento e per poco non perse l’equilibrio. 
Non vedeva scappatoie e sentì una goccia di sudore solcare il suo viso. 
Poteva anche saltare e raggiungere il piano inferiore, pensò, ma era completamente sotto shock nel vedere quel carnefice sempre più vicino a lui, tanto che si sentì come paralizzato dalla sua presenza. 
Sentiva che le sue gambe non fossero più in grado di muoversi. Come se i suoi occhi non potessero più reggere lo sguardo di lui. 
  
Walter avanzò ancora e si fermò poco distante da lui. Henry calò gli occhi. L’assassino continuava, invece, a guardarlo con gli occhi spalancati, fissi su di lui, e…sogghignava dello sgomento del giovane. 
  
L’uomo alto col cappotto si chinò verso il viso di Henry e si avvicinò a lui con fare provocatorio, mettendo a dura prova la sanità mentale del ragazzo. 
Poteva avvertire il suo respiro. Era come se Walter fosse in grado di soffocarlo semplicemente con quel gesto. Come se potesse entrare nella sua anima e ucciderlo dall’interno. 
  
Walter continuò a rimanere chino verso il suo viso. Con la canna della pistola, poi, alzò il mento di Henry, costringendolo così a guardarlo negli occhi. 
  
Gli occhi del ragazzo si riempirono di terrore e d’inquietudine mentre si specchiavano in quelli di Sullivan. 
  
Ovviamente lui non era un uomo qualunque, lui era l’uomo 11/21, l’uomo dei ventuno sacramenti. Lui poteva qualunque cosa, in quel momento. Poteva mandare in panne la sua mente, poteva…persino ucciderlo. 
  
Henry era costretto a fissarlo, incapace di reagire. 
Deglutì, perché il corpo, in quell’istante, non rispondeva alla sua mente. 
  
Non faceva che ripetersi che doveva scappare. Che dove trovare una via di fuga o ci sarebbero stati grossi guai per lui. 
  
Distolse gli occhi verde pallido da quelli di Walter e l’assassino, in tutta risposta, premette più violentemente la canna sul collo di lui. 
Lo sguardo di Henry prese a tremare e gli occhi finirono nuovamente verso quelli dell’uomo di fronte a sé, il quale prese di nuovo a sogghignare. 
  
“Tu…” 
  
Sussurrò a malapena Henry, e solo allora vide le labbra di Sullivan finalmente schiudersi. 
  
 “buh.”disse Sullivan, e inarcò le sopracciglia. 
  
Henry sgranò gli occhi. 
  
“Che diav..?!” 
  
Walter non aspettò un secondo di più e con una velocità scioccante colpì lo stomaco di Henry Townshend con un ginocchio, facendogli perdere l’equilibrio e cadere così giù in quel varco profondo. 
  
Henry strillò in preda al panico, incapace di capire cosa stesse accadendo. Un forte senso di vertigini prevalse in lui, e la mente si annebbiò sotto lo sguardo di Walter Sullivan che, mentre rideva di gusto, velocemente spariva dalla sua vista. 
  
*** 
  
Henry Townshend riprese conoscenza solo dopo qualche minuto. 
Rise appena, mentre sentiva le ossa terribilmente doloranti. 
  
Rideva perché se quella fosse stata la realtà, non sarebbe mai sopravvissuto a un salto simile, dal terzo piano di un edificio. 
  
Tanto valeva trovare gli aspetti positivi di quell’incubo. Per qualche strana ragione, era ancora vivo. Henry alzò lo sguardo e si rese conto di essere giunto alle cucine del seminterrato. 
Il posto era leggermente diverso da come lo ricordava. Sempre orribilmente umido e mal tenuto, eppure non era come al solito. 
  
A cominciare dalla molteplice quantità di bambini presenti. 
  
Erano poco più di una decina e tutti sembravano attendere qualcuno. Forse per essere accompagnati nelle loro stanze. 
O meglio…nelle loro celle d’isolamento. 

Nessuno stava osservando Henry, né qualcuno sembrava essersi accorto di lui. Non gli fu difficile, dunque, rendersi conto di non essere visibile ai loro occhi.
 
  
Vide all’improvviso tutti i ragazzini voltarsi verso di lui, al che rimase immobile senza sapere che fare. I loro sguardi erano, tuttavia, rivoli oltre le spalle del giovane, così anch’egli tese il collo in direzione dell’uomo che, dietro di lui, aveva appena raggiunto quei bambini. 
  
Era Andrew De Salvo. Era più giovane, tuttavia non era cambiato granché. Era sempre calvo, grasso e con una camicia sudaticcia addosso. 
Si rivolse spregevole verso di loro, guardandoli come una vera carogna. 
  
“Se non volete che accada anche a voi, bastardelli figli di puttana, vedete di non comportarvi come quell’insignificante spazzatura.” 
  
L’uomo traballava ed era visibilmente ubriaco. Solo Dio poteva sapere cosa intendesse dire ai ragazzini mentre li guardava, ridendo soddisfatto in quel modo. 
Continuò a inveire contro di loro, dettando le sue regole e affermando la sua completa autorità su di loro, senza alcun ritegno o pietà per creature così giovani. 
  
“Hai il permesso di parlare? No. Hai il permesso di pensare? No. Se ti picchio con chi ti andrai a lamentare? Con nessuno. Questo perché io detto le regole qui! Vedete di ricordarvelo da soli e non costringetemi a fare un ripasso!” parlava e sputava senza ritegno, guardando compiaciuto gli occhi terrorizzati dei bambini. 
  
Henry rimase scioccato nell’assistere a quella scena. Tuttavia impotente. Non poteva far nulla per quei ragazzini. 
  
Quello…era solo un ricordo di Sullivan. 
  
Tra i bambini, poi, ne avanzò uno. Era biondino e aveva dei limpidi occhi verde chiaro. Il suo sguardo apatico poco si addiceva ad un bambino. Egli guardava De Salvo sprezzante. 
  
“…Walter?” disse Henry, riconoscendolo. 
  
Walter prese parola. 
  
“Ehi, noi abbiamo il permesso di Dio, non lo sai questo?" disse determinato. 

"Non rispondere!!! Piccolo moccioso!!" ruggì Andrew.
 
  
Lo prese improvvisamente per un braccio e lo picchiò violentemente in viso. 
  
“Sei solo immondizia, tu! Parla ancora e ti ritroverai presto assieme a tutti gli altri ‘fagottini’!” sbraitò come un animale. “Io…IO sono la legge QUI! Non osare mai più rispondermi, sono stato chiaro?!” 
  
Lo scaraventò via e Henry provò un tonfo al cuore nel vedere il braccio e il volto di quel piccolo così lividi. 
De Salvo andò via, emettendo uno sgraziato rumore proveniente dallo stomaco generato dall’enorme quantità di alcool ingerito. Lasciò la stanza e i bambini soli. 
Il tormento per loro, al momento, era finito. 
Henry osservò il piccolo Walter.
Nonostante le lacrime agli occhi e il viso dolorante, continuava a osservare la porta solcata da De Salvo con grande odio. 
  
“Tu non capisci le parole di Dio…il Grasso Maiale sarà punito da Dio.” mormorò a denti stretti, massaggiando la guancia ferita. 
  
*** 
  
Era paradossale pensare che, per non cadere nella follia e nella disperazione, Walter avesse dovuto ancorarsi per forza alla fede di quel Dio pagano. 
Non sapendo che, comunque, sarebbe caduto in un baratro senza alcuna via d’uscita. 
  
Per sfuggire alla morte e alla follia, si era aggrappato alla follia stessa, finendo così in un vortice irrefrenabile. 
  
Henry si trovava sul tetto della torre cilindrica, con gli occhi ancora rivolti verso ciò cui aveva appena assistito. 
Il ‘Grasso Maiale’ avrebbe pagato per ciò che aveva commesso. Questo tuttavia non avrebbe risanato quel che De Salvo aveva causato, assieme al resto del culto, alla mente di quegli sfortunati orfani. 
E Walter poi… 
Specie lui, non sarebbe comunque mai più potuto tornare “normale”. 
  
Gli abusi, la violenza psicologica e fisica che aveva subito… 
Nulla gli avrebbe potuto riportare indietro la sua vita. Nemmeno la vendetta più spietata. 
  
Henry socchiuse debolmente gli occhi e sospirò. Nella sua mente affioravano i tanti ricordi riguardanti Walter. 
Quando era stato prigioniero nelle celle e aveva trovato il sistema per uscire dalla torre, quando aveva messo gli abiti sul letto facendo finta che dormisse, quando aveva avuto paura di essere sorvegliato… 
Quando, tornando alla Wish house, aveva continuato a essere picchiato da De Salvo e circuito dai membri del culto… 
Tutti quei ricordi…erano nella mente di Sullivan e ora…anche in quella di Henry. 
  
…Era questa la sua condanna? 
La condanna di essere “Colui che riceve la Saggezza”? 
  
Dei passi lentamente si avvicinarono a lui ed Henry riaprì gli occhi. Girò il capo e diresse lo sguardo oltre la spalla. Non si sorprese affatto che Walter Sullivan fosse arrivato proprio in quel momento. 
Si voltò verso di lui con tutto il corpo e lo guardò serio. 
Walter non sogghignava, né rideva, questa volta. 
Henry aveva come la netta sensazione che anche lui fosse sovrappensiero. Come se avesse anch’egli riportato alla mente i terribili abusi che aveva subito. 
  
“Ora mi ucciderai?” gli chiese Henry, improvvisamente, senza mezzi termini. 
  
Semplicemente non ne poteva più. Era ora di farla finita. 
  
Walter, che fino a quel momento aveva avuto il capo chino, alzò il viso verso Henry e lo guardò intensamente coi suoi occhi verde chiaro. 
Poi, come se divertito dalla sua domanda, rise appena. 
  
“Henry Townshend. A questo punto avresti dovuto già capirlo…” gli rispose con voce rauca, mentre puntava l’arma contro di lui e abbassava la sicura della pistola. “…che io…” 
  
…e sparò, colpendo in pieno il petto di Henry. 
  
*** 
  
[APPARTAMENTO 302, nel salotto. South Ashfield Heights] 
  
Henry era poggiato sul divano di casa. Guardava apatico il soffitto, incapace di dire o fare qualcosa. 
Le pale del lampadario si muovevano velocemente e Henry le seguiva distrattamente con lo sguardo, rimanendo in un silenzio solenne. 
  
“…sono ancora vivo…” disse, poi. 
  
Era sorpreso di essere sopravvissuto ancora una volta. Se ne stava appena ricordando. Non era la prima volta che veniva crivellato di colpi da Walter Sullivan. 
Allora perché era vivo e non aveva nemmeno un segno o una qualche ferita? 
Una delle poche cose che aveva appreso era proprio che se morivi lì…morivi anche nella realtà. 
  
Non aveva trovato un perché che giustificasse ciò, fino a quando stesso il ragazzo biondo aveva deciso di rispondere quel quesito per lui. 
Henry chiuse gli occhi e nella sua mente visse nuovamente quella scena, sul terrazzo della prigione cilindrica. 
  
Henry gli aveva appena chiesto se sarebbe morto. Walter lo aveva guardato quasi divertito, eppure con un che di malinconico negli occhi. 
  
“Henry Townshend.” gli aveva risposto. “A questo punto avresti dovuto già capirlo che io…” 
  
  
  
“…non posso più ucciderti. 
Il rituale è finito e i morti non possono uccidere i vivi.” 
  
  
Sconfitto il vero Walter Sullivan, Henry aveva impedito che i 21 sacramenti si compissero. E così…persino quel Walter era solo un “fantasma”, adesso. Vittima dei suoi stessi ricordi, della stessa realtà che aveva costruito. 
  
Così Henry era sopravvissuto. 
La sensazione di morire era stata ugualmente verosimile e trafiggente. 
Ma non era morto. 
Tornando al suo appartamento, tutto era cessato, e lui non aveva alcun segno addosso che confermasse ciò che aveva appena vissuto. 
Portò una mano sulla fronte. 
  
“Povera la mia testa…” 
  
Aveva un terribile mal di testa. Molte cose gli stavano balenando in testa, in quel momento. Ma quel che trovava più terribile e che lo faceva impazzire, era che oramai questa fosse completamente concentrata solo sull’incubo e su Walter Sullivan. Non riusciva ad accettarlo, ma a quanto pareva, la sua mente era stata già inghiottita da lui fino a raggiungere la pazzia. 
Perché sì. Henry si sentiva oramai completamente pazzo. 
  
Continuò a tenere gli occhi chiusi, e a porsi mille domande. 
La prima fra tutte: Cosa gli sarebbe accaduto? 
Ancora una volta, tuttavia, non voleva assolutamente saperlo. Saperlo avrebbe significato solo farlo impazzire del tutto prima del tempo. 
Una parte di sé voleva ancora proteggerlo da quella follia. 
  
Solo dopo qualche minuto guardò apaticamente la stanza attorno a sé, ancora accecato da quel terribile mal di testa. 
Si alzò mettendosi seduto sul divano e solo allora notò qualcosa di strano nel suo salotto. 
Solo un ragazzo solitario e pignolo come lui avrebbe potuto accorgersene. 
  
Il comodino, che un tempo copriva il buco che affacciava sulla camera di Eileen Galvin, era stato spostato leggermente. 
  
“Ma chi diavolo ha..?” 
  
Chi poteva averlo spostato? 
Lui no di certo, se lo sarebbe ricordato. 
Oppure… 
  
Non volle chiedersi oltre e spostò nuovamente il comodino. Rimase per un attimo perplesso nel rivedere quel buco. Una parte di sé si chiese se affacciasse ancora nella stanza di Eileen. 
Era possibile? 
Era come se qualcosa lo richiamasse, o forse era semplice curiosità. Comunque decise di dare un’occhiata veloce. 
  
Ma quel buco aveva in servo per lui più di quanto si aspettasse. 
Perché non affacciava affatto nell’appartamento di Eileen Galvin, nella sua stanza o in qualche altra ala del palazzo. 
  
Il buco affacciava all’esterno della piccola cittadina. 
  
Nella…metropolitana di South Ashfield Heights. 
  
“Ma cosa..?!” disse incredulo. Incapace di spiegarsi come potesse mai essere possibile. Eppure era proprio lì, nitida, davanti ai suoi occhi. 
  
Una sola cosa, poi, balenò nella sua testa, in quella piccola parte di sé che ancora rimaneva razionale. 
Il suo viaggio non era di certo finito. Walter presto avrebbe ripreso ad agire tramite il varco. Rimaneva quindi da chiedersi solo una cosa… 
  
…Quanto avrebbe resistito? 
  
E poi… 
  
Ne sarebbe valsa la pena opporsi? Poteva ancora sperare di fuggire via dal suo appartamento prima di venirne inglobato per sempre? 
  
[…] 
  



NDA:
 
Il capitolo è uscito davvero molto lungo. Spero troviate il tempo per leggerlo con calma. La tematica che volevo affrontare in questo capitolo era complessa e molto delicata. 
Spero di essere riuscita a comunicarvi le emozioni sia di Walter Sullivan che di Henry Townshend, anch’egli in una situazione per nulla facile.
 
Come avrete già notato, questa fan fiction per me è anche la scusa per proporvi alcune interpretazioni su Silent Hill 4. Volevo spendere giusto qualche chiarimento sul mostro doublehead. 
Abbiamo più fonti dove viene ipotizzato che questi sia un rimando ai fratelli Billy e Miriam Locane, rispettivamente le vittime 7 e 8 di Sullivan. 
Tuttavia io ho sempre avuto quest’altro tipo di interpretazione e cioè che fossero la rappresentazione dei corpi morti nella prigione circolare. 
Questi mostri, difatti, hanno degli atteggiamenti che rimandano a questo perché: 
- appaiono la prima volta proprio nella torre cilindrica. 
- sono sempre in una posizione di allerta e indicano con l’indice chiunque si avvicini o si muova (quale miglior simbolo della “vigilanza”?) 
- Il loro aspetto rimanda al testo trovato nella torre centrale, citato anche in questo capitolo, che definisce i bambini rimasti bloccati nelle celle come “fagottini grigi e puzzolenti”. Inoltre l’anatomia di questi mostri fa proprio pensare a dei corpi nascosti sotto un telo, sotto i quali non è più possibile distinguere più dove ci sia un corpo e dove un altro, tanto da sembrare che abbiamo mani al posto dei piedi e viceversa,più teste ecc… 
  
Ho voluto, dunque, proporvi questa mia interpretazione personale^^
 
Questo è tutto, ringrazio
 waltersullivan24 e Liquid King per i commenti lasciati!  
A presto, ci sentiamo con il quinto capitolo!
 
Fiammah_Grace
 
  
 
  
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Videogiochi > Silent Hill / Vai alla pagina dell'autore: fiammah_grace