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Autore: Mary_Whitlock    19/07/2012    1 recensioni
Siamo quello che siamo per le esperienze che abbiamo vissuto, per le sofferenze che ci hanno distrutto, per gli errori che abbiamo imparato a non commettere più. Ma alla fine siamo quel che siamo anche per gli insegnamenti che da sempre ci sono stati dati, per i genitori che abbiamo avuto e per come questi ci hanno cresciuto.
[DALLA STORIA] - Carlisle ho una predica preparati –
- Sì padre – rispose meccanicamente il bambino, staccandosi poi dalla finestra e infilandosi il mantello caldo nero che teneva appoggiato alla poltrona non molto distante.
Gli occhi bassi a guardare quel pavimento di legno scuro, la sua mente ancora concentrata su quell’unico pensiero.
- Perché esisto? –
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro personaggio, Carlisle Cullen
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Precedente alla saga
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NICK:  Mary Whitlock
TITOLO STORIA:  Noi esistiamo per servire il prossimo
PERSONAGGIO PRINCIPALE: Carilsle Cullen
STRUTTURA FAMIGLIA NATALE PERSONAGGIO: Anne Cullen (Madre deceduta durante il parto), Christopher Cullen (padre, pastore Anglicano) e Carlisle Christopher Cullen
ANNO:  1652 (con una piccola parte senza tempo)
AVVERTIMENTI: contesto precedente alla saga
RADING: VerdeI
NTRODUZIONE: Siamo quello che siamo per le esperienze che abbiamo vissuto, per le sofferenze che ci hanno distrutto, per gli errori che abbiamo imparato a non commettere più. Ma alla fine siamo quel che siamo anche per gli insegnamenti che da sempre ci sono stati dati, per i genitori che abbiamo avuto e per come questi ci hanno cresciuto.
[DALLA STORIA] 
- Carlisle ho una predica preparati –
- Sì padre – rispose meccanicamente il bambino, staccandosi poi dalla finestra e infilandosi il mantello caldo nero che teneva appoggiato alla poltrona non molto distante.
Gli occhi bassi a guardare quel pavimento di legno scuro, la sua mente ancora concentrata su quell’unico pensiero.
- Perché esisto? –



N.D.A. :

Prima di trovare persone che mi attaccassero per i concetti trattati vorrei fare una premessa. Quando si scrive una storia si entra, o almeno si dovrebbe entrare, nel mondo del personaggio. Per quando quindi io non sia daccardo con tutto quello che dice il padre di Carslisle o per quanto creda che la chiesa faccia molto di più, che sia concretamente utile non posso non mettere quei concetti nella storia. Inoltre vorrei dire che Carlisle poi crescerà e comunque (anche se in liena di massima il suo modo di pensare rimmarà il medesimo) un po' inevitabilmente muterà.




Noi esistiamo per servire il PROSSIMO

[Londra 1652]



 

Il cielo era nero in quel giorno di Novembre.

Il vento soffiava veloce e maligno tra i piccoli sobborghi di Londra invitando gli uomini a indossare grandi mantelli neri e le donne eleganti e ornati copricapi. Tenendosi strette le vesti come se avessero il terrore che gli si potessero strappare dal corpo correvano per le vie, salivano su carrozze cercando di stare il meno possibile alla scoperto, cercando di raggiungere un camino accanto al quale riscaldarsi prima che grosse gocce di pioggia ricoprissero il panorama. La città in pochi tempo si svuotava, diventava deserta, senza rumori ne schiamazzi. Silenziosa, dando spazio alla natura di parlare, dando spazio alla pioggia di scendere, come cullata dal vento, e di soffermarsi su tetti e terreni con quel “Plap” delicato, dando la possibilità all’aria di riempirsi di quell’aroma di umido e camino che faceva sentire tutti a casa e più sereni.

 

E mentre il mondo incominciava ad abituarsi alla situazione, mentre la gente trascurava la pioggia definendola "Abituale", un bambino la guardava ammirato come se fosse stata la prima volta. Le mani appoggiate sulla finestra di casa, gli occhi aperti e fissi su quella strana acqua che come per maga cadeva dal cielo.

Ma se i suoi occhi sembravano presi da quella strana caduta la sua mente non lo era altrettanto, la sua fantasia vacillava tra pensieri di argomento sempre più vario per poi terminare su quell’interrogativo che da anni ormai l’assillava: “Perché esisto?”

Sembrava tanto facile rispondere, sembrava un gioco da bambini, una di quelle domande banali alle quali sai rispondere da sempre, come se facessero direttamente parte di te, come il “Come ti chiami?” o il “Sei maschio o femmina?”.

Eppure ogni volta che per un motivo o per l’altro quelle due parole passavano per testa del bambino tutto intorno a lui si bloccava e non era capace di rispondere.

Non aveva ne voglia ne coraggio di trattare l’argomento con qualcuno al di fuori di se stesso.

In un mondo basato sugli stereotipi era certo che la sua prospettiva sarebbe stata reputata degna di un pazzo o, peggio, di uno stregone, che il suo non “Voler diventare pastore”, la sua incapacità di scegliere sarebbe stata vista come un disonore per la sua famiglia.

 

- Carlisle ho una predica preparati –

- Sì padre – rispose meccanicamente il bambino, staccandosi poi dalla finestra e infilandosi il mantello caldo nero che teneva appoggiato alla poltrona non molto distante.

Gli occhi bassi a guardare quel pavimento di legno scuro, la sua mente ancora concentrata su quell’unico pensiero.

- Perché esisto? – dopo attimi di esitazione la domanda sfuggi dalle sue labbra senza che lui potesse controllarla, o bloccarla, come se non avesse aspettato altro se non un momento di distrazione di Carlisle per poter trasformarsi da pensiero a concetto concreto. Il ragazzo se ne stava immobile, con gli occhi ancora più bassi e il mento quasi schiacciato contro il busto, pronto a sentire le urla di disapprovazione del padre riempire il pianerottolo di casa. Ma questo non avvenne. Al contrario di quello che infatti si aspettava, il Signor Cullen non aveva preso in considerazione la sua domanda, anzi la stava vedendo come una delle mille preoccupazioni del ragazzo dovuta all’assenza di una figura materna, la stava vedendo come una delle mille domande che il figlio, imperterrito, gli assillava ogni mattina, ogni pomeriggio e ogni sera. Non aveva inteso che questo volta Carlisle si stesse per la prima volta aprendo, non aveva intuito che suo figlio stesse crescendo.


- Esplicita meglio il concetto – rispose quindi serio mentre si affrettava a pagare il cocchiere che l'avrebbe accompagnato fino alla chiesa non molto distante.

- Qual è il mio scopo nel mondo? – cercò di spiegare il biondo allacciandosi il mantello e salendo con il pastore sulla carrozza.

- Per servire il prossimo – furono le parole del vecchio mentre il mezzo di trasporto incominciava a viaggiare, barcollando ogni qual volta una ruota finiva in una pozzanghera.


Il ragazzo sembrò sul momento accontentarsi della risposta del pastore ma gli bastavano pochi minuti, poche curve per rendersi conto che non era ancora sufficiente, per rendersi conto che quelle parole non avevano fatto altro che rendere il suo problema ancora più irrisolto.


“Si parla di far il bene per il proprio prossimo” affermava nella sua testa mentre i rumori della città incominciavano ad avvicinarsi, mentre entrava nel centro di Londra “ Ma cosa sia questo bene alla fine non lo spiegano mai. Si parla tanto di servire il prossimo ma chi sia questo prossimo alla fine non lo dicono mai. Se uccido una persona per aiutare un'altra sto servendo la persona in pericolo ma allo stesso tempo sto distruggendo quella che attacca. Cosa vuol dire quindi aiutare, servire il prossimo?”


- E uccidere? Non è forse privare di libertà? - chiese poi il ragazzo voltando la testa e immergendosi in quegli occhi grigi tanto simili ai suoi – Non è forse non servire? –

- Noi viviamo per servire gli umani, per servire le creature del Signore, Carlisle… quelle sono il nostro prossimo –

-E un vampiro che viene maltrattato da un uomo o un ragazzo che abusa di una strega…- continuò il biondo cercando di controllare l’ansia che sempre era protagonista nei suoi discorsi con il padre, che sempre era presente quando metteva in discussione quello che la chiesa Anglicana affermava da anni - non dovrebbero essere considerati come degli esseri in pericolo e per questo protetti? Non diventerebbero inevitabilmente il “Nostro prossimo”? –

- Non bestemmiare Carlisle! –  la voce del padre divenne tutto ad un tratto severa e irritata - Come puoi pensare anche solo a una cosa del genere? Vedi di chiedere scusa questa sera al Signore con delle preghiere…-


Il ragazzo non sentì la fine della frase che subito la sua concentrazione era tornate alle gocce che cadevano delicate fuori dalla carrozza.

Non aveva senso, tutto quel discorso non aveva alcun senso nella sua testa. Incominciava a pensare seriamente che nemmeno suo padre sapesse giustificare la sua riflessione, che nemmeno suo padre sapesse dare sempre una risposta, ma che affermasse ciò e basta, che rispondesse sempre con stracci di libri sacri e preghiere che lui riteneva ormai a prescindere “Verità”.


- Ma voi uccidete quindi solo…-

- Mostri, Carlisle. Solo mostri. – concluse il padre tornando tranquillo e stringendo le mani del figlio tra le sue – Lo faccio per difendere le persone come te da quelle…  da quelle cose – affermò sottolineando inevitabilmente il “cose” con una piccola smorfia di disprezzo –che altrimenti ucciderebbero e attaccherebbero gli innocenti in continuazione. Lo faccio perché il Signore vuole che qualcuno ripulisca il monda da coloro che lo distruggono e che le anime come le tue rimangano pure e degne di paradiso –


Il ragazzo annuì anche se ancora non del tutto soddisfatto.


- Quindi io esisto per aiutare? – chiese dopo minuti di silenzio Carlisle, mentre la carrozza si fermava e il padre si affrettava a scendere.

- Sì, tu esisti per aiutare – rispose Christopher Culle aprendo il piccolo sportello e uscendo da quello scomodo mezzo di trasporto - Esisti per non far morire le persone, per evitare che perdano la via. Per servire il tuo prossimo prima di te stesso. –

 

Prima ancora che la frase finisse l’uomo voltò le spalle al figlio allontanandosi frettolosamente nella nebbia tipica di quella città e ponendo fine a quel discorso che aveva provocato, per lui, solo problemi e difficoltà. La figura del padre scomparve tra la pioggia in breve tempo lasciando il ragazzo fermo a riflettere, lasciando il ragazzo immerso in quei pensieri che, al contrario di pochi minuti prima, ora gli erano chiari e sicuri.

 

“Le persone muoiono tra le vostre mani padre” pensò Carlisle facendo un lungo respiro “ Le vostre preghiere non sono abbastanza, tutti i vampiri che uccidete non bastano a sterminare la stirpe, le streghe si moltiplicano. Dio non vi viene sempre in soccorso, non è sempre lì ad ascoltarvi. O vi aiuterebbe. Io esisto per aiutare, io esisto per salvare vite, io esisto perché il Signore mi ha mandato a proteggere, io esisto per salvare il prossimo. Ma non lo farò come voi, non lo farò a parole, non sarò solo un aiuto spirituale, concretamente inutile. Io aiuterò veramente, le mie non saranno solo prediche ma fatti concreti. Fino a quando ne avrò le forze, fino a quando la mia salute non mi bloccherà farò di tutto per salvare il mio prossimo, qualunque esso sia, a qualunque razza esso appartenga. Questa è una promessa.”

 

*** 


Carlisle divenne vampiro ma mai andò contro la promessa che si era fatto, mai fece passo indietro.

Nel tempo a seguire ritenne che quella voglia che lo spinse a diventare medico, quella forza di volontà che lo portò a salvare prima Edward ed infine Emmett fosse una sua dote, una parte del suo carattere che come altre era nata da sola.

Si dimenticò, come tutti i grandi fanno, che non era altro che una sua rivisita degli insegnamenti che da sempre il padre gli aveva dato, che non era che la parte che sempre aveva portato dentro di se.

Da grande Carlisle non smise mai un secondo di salvare vite, non smise mai di mettere se stesso prima degli altri.


Non smise mai di aiutare il prossimo.





SPAZIO AUTORE
 

La mia mente ogni tanto lascia il mio cervello, ne sono ormai quasi più che certa.

Dopo anni e anni di testimonianze concrete non posso pensare altrimenti. E questa non è altro che una di quelle prove rilevanti che mi da ogni tanto senza che io abbia il bisogno di chiedergliele.
Dovete sapere infatti che l'ho creata per un concorso e non ci sarebbe nulla di strano se il concorso... beh se il concorso non l'avessi indetto io!
Non allarmatevi non l'ho fatta concorrere [anche perché credo l'avrei piazzata ultima ma questo è sono un piccolo elemento irrilevante].
Sta di fatto che a furia di leggere e valutare i magnifici elaborati che mi arrivavano mi veniva voglia di scrivere.
E quindi eccomi qui: non ho certo la loro fantasia, ne tantomeno è tanto elaborato, ma è stato un piacere per l'anima scriverlo, come una rivelazione, come se contenessi questa voglia da mesi. Ma alla fine come negarlo: non scrivo da un tempo che mi sembra eterno, soffrivo solo d'astinenza.
Detto questo vorrei ringraziare le partecipanti al mio concorso che hanno fatto un lavoro splendido e che hanno portato alla realizzazione di questo storia.
Quindi non mi pento di dedicargliela. La dedico a Veronica.28, ValeBellamyPattinson, Cene_rella, KristenWilliams e ultima ma non per importanza Alice_Nekkina_Pattinson.
Mi è piaciuto un sacco "Lavorare" con loro e sarei grata di ricevere ora le loro critiche... magari anche qualche vendetta.
Credo di aver detto tutto tranne un ultimo particolare. 
Grazie per aver letto la mia storia e ricordati che ogni insulto che fai a me e alla mia ff non è che un aiuto, un buon consiglio per migliorare.

 Con affetto

 Mary


 

   
 
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