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Autore: Dreamer91    19/07/2012    6 recensioni
E se il destino avesse voluto che in una città tanto grande come New York, due ragazzi dalle vite completamente diverse, finissero con l'abitare a meno di tre metri di distanza... sullo stesso pianerottolo?
Dal Capitolo uno:
"Stai scherzando spero!" mormorai
"Perché scusa? Non ci sono topi né prostitute per strada... per quanto riguarda i vicini non so... non li ho interrogati... però..."
"Sebastian!" lo bloccai passandomi una mano sul viso "Lower East Side... sul serio?"
"Non ti seguo, B..." mi fece visibilmente confuso slacciandosi la cintura
"Bastian dovrò vendermi un rene per pagarmi l'affitto... e quando avrò terminato gli organi, mi toccherà scendere in strada e fare compagnia a quelle famose prostitute per andare avanti!" gli spiegai concitato.
(...)
"Non fare l'esagerato Blaine... questa volta penso di aver trovato il posto giusto per te! Coraggio, scendi che te lo mostro!" mi incitò scendendo dall'auto e raggiungendomi sul marciapiede
"Anche l'ultima volta lo pensavi, Seb... e siamo dovuti scappare a gambe levate da un travestito in minigonna e tacchi a spillo!" gli ricordai lanciando un'occhiata al palazzo color porpora - innocuo e all'apparenza rispettabile - che si stagliava per ben quattro piani davanti a noi.
Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Blaine Anderson, Kurt Hummel | Coppie: Blaine/Kurt
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Just a Landing'
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(4). Discorso con Dave Buongiorno a tutti e buon Giovedì miei cari... puntuale come un orologio svizzero, e reduce da un esame all'Università ieri eccomi qui a pubblicare per voi. Non vedevo l'ora, giuro... dunque, qualche parolina sul capitolo: cambia di nuovo narratore (finalmente cambia giorno, evviva!) e forse scoprirete qualcos'altro sulla sua vita sentimentale che probabilmente non vi piacerà (già non piace a me)So che è triste, so che non se lo merita, so che è ingiusto, ma abbiate fede ^^ Inoltre, inizieremo a scoprire che in questo famoso condominio c'è tanta bella gente che sicuramente conoscerete già, con annessa sorpresa^^... (come vi ho detto lo scorso capitolo, ci sono tutti, nascosti ma... ci sono ^^) Beh, che altro dire? Grazie alle magnifiche persone che inseriscono la storia tra seguite/preferite/ricordate (waw siete in 49 *___*) ma soprattutto a chi recensisce... sapere il parere di ognuno di voi mi farebbe enormemente piacere, dico sul serio ^^ se avete voglia, io sono qui in attesa. Un bacione grande e una 3X05 a tutti XD
p.s. Ci vediamo mercoledì... ;)




New York City. 12 Marzo 2012. Ore 10.02 A.M. (Lunedì)

Ero stanco, a dir poco. Completamente distrutto. Fortunatamente il mio capo mi aveva dato la mattinata libera e dunque potevo prendermela comoda, e prendersela comoda equivaleva a permettersi di essere ancora a letto alle dieci del mattino. Nessun suono insistente della sveglia ad interrompere il mio dolce sonno. Nessuna fretta incalzante. Nessun appuntamento che si accavallava inevitabilmente con altri dieci. Niente di niente. Solo io, il mio cuscino e le mie lenzuola profumate di lavanda. Lasciare quel giaciglio caldo e confortevole sarebbe stato un vero peccato, nonostante fossi già sveglio da un pò. Mi limitavo a starmene accucciato su un fianco, in una specie di posizione fetale, ad occhi socchiusi, ad analizzare ogni oggetto della mia stanza, reso quasi irriconoscibile dalla semi-oscurità. Che goduria le tapparelle abbassate a fare schermo alla luce del sole. E pensare che lì fuori c'era gente che lavorava, che correva, che portava avanti il mondo. Io, a conti fatti, lo facevo ogni giorno... se per una volta mi fossi messo da parte, sospettavo che nessuno ci avrebbe fatto poi tanto caso.
Proprio mentre l'ennesimo sospiro soddisfatto mi usciva dalle labbra, il campanello di casa prese a suonare. Con insistenza anche. Con molta, fastidiosissima insistenza. Chi diavolo era che osava interrompere il mio dolce far niente tipico da mezza giornata libera? Il postino, sicuro. Magari aveva un pacco per me. Ora che ci pensavo bene, aspettavo un ordine fatto su un catalogo - un paio di splendidi pantaloni neri, dei quali mi ero innamorato subito - e forse erano proprio loro a bussare. Fretta di vedere come meravigliosamente mi calzassero?
Con un verso frustrato, scalciai le coperte da un lato e, a piedi nudi, mi incamminai verso l'ingresso. Venni colto all'improvviso da un brivido, così tornai indietro a recuperare una felpa e indossarla. Intanto il campanello aveva suonato altre tre volte.
"E per la miseria... sto arrivando!" urlai spazientito, sbattendo i piedi ad ogni passo. Tolsi il chiavistello alla porta e l'aprii quasi con violenza, interrompendo a metà un altro squillo. Sorpreso da ciò che vi trovai, spalancai per un istante gli occhi e salutai allo stesso tempo il mio bellissimo acquisto per corrispondenza, dato che lì, si trattava di qualcosa di più importante da sbrigare.
"David!" lo salutai sorpreso, afferrando la porta blindata e stringendola con forza. Primo passo: cercare di reprimere la rabbia, in qualsiasi modo possibile
"Ah, ma allora ci sei!" esclamò ovvio, alzando un sopracciglio. Bene, era nervoso al punto giusto. Si prospettava come sempre, un pessimo inizio di conversazione
"Sì, ci sono. Scusa se ci ho messo tanto per venire ad aprire, ma sai... volevo approfittare della mia unica mattinata libera che mi concedono in un anno intero, per riposare un pò!" sputai acido. Secondo passo: far fuoriuscire lentamente l'acido che si sente distintamente in gola. Aiuta molto
"Non mi hai detto di avere la giornata libera!" mi accusò stringendo gli occhi in tono di sfida. Sospirai stanco
"La mattina, David... soltanto la mattina. Alle tre devo tornare in agenzia!" precisai. Avere a che fare con lui, a volte, mi faceva sentire estremamente infantile. Forse, lo facevo perché sapevo fosse l'unico modo per farmi capire.
"Non mi hai detto niente ugualmente!" mormorò a sua volta
"E quando te lo avrei dovuto dire, sentiamo! Ieri sera, mentre al telefono mi accusavi come al solito di essere un egoista?" domandai, cercando di rimanere calmo. Più mi agitavo e peggio sarebbe stato. Lui, come avevo immaginato, quella volta non rispose. Abbassò la testa, puntando gli occhi sul mio zerbino e scosse la testa. Presi un profondo respiro, dopodiché mi scansai appena, per invitarlo ad entrare. Lui, confuso, mi guardò per qualche istante, per poi decidersi e muovere le gambe fino al mio appartamento. Solo allora forse si rese conto del mio abbigliamento, della mia tuta comoda che usavo per dormire, e forse dei miei capelli disordinati, perché si passò una mano dietro la nuca e arrossì
"Mi dispiace averti disturbato!" mormorò imbarazzato, del tutto diverso dal tono usato poco prima per aggredirmi. Eccolo lì, un'altra versione di David. Più insicura e forse più vera.
"Non preoccuparti... a breve mi sarei alzato comunque!" minimizzai dirigendomi verso la cucina per mettere su un pò di caffè. Sentii i suoi passi alle mie spalle e il rumore pesante di una sedia che veniva strisciata sul pavimento. Infatti, una volta presa la moka lo ritrovai seduto al tavolo, con le mani incrociate e la faccia distrutta. Solo in quel momento mi accorsi delle profonde occhiaie che aveva sul viso, e degli occhi rossi.
"Dio Santo, Dave... ma hai dormito stanotte?" gli domandai avvicinandomi. Lui sorrise e scosse la testa
"Soltanto tu sei capace di preoccuparti per me dopo quello che ho fatto!" mormorò amaro. Sospirai poggiandogli una mano sulla spalla e stringendogliela
"Quello che fai o non fai, non potrà mai cambiare quello che provo per te, Dave... io ti voglio bene, davvero!" assicurai, e lui finalmente sollevò lo sguardo puntando gli occhi nei miei, un pò spaesato
"Davvero, Kurt... tu mi vuoi bene?" mi chiese allora con un filo di voce. Spiazzato sbattei un paio di volte le palpebre prima di rispondere
"Certo che te ne voglio... che domande!" avevo come l'impressione di essere appena entrato in un campo minato. Di lì a poco sarebbe scoppiato l'inferno
"Kurt... io..." iniziò a parlare ma la suoneria del mio telefono lo interruppe. Mormorando uno "Scusa torno subito!" corsi nella stanza a recuperare l'iPhone per rispondere
"Pronto?"
"Buongiorno bellissimo ragazzo del piano di sopra!" mi rispose una voce allegra e distesa che mi fece immediatamente ridacchiare
"Buongiorno anche a te meravigliosa e giovanissima madre del piano di sotto!" feci a mia volta divertito. Lei scoppiò a ridere, seguita a ruota da qualcuno, probabilmente al suo fianco, la cui risata pareva vagamente assomigliare ad un dolce scampanellio.
"Non ti ho visto uscire questa mattina... i casi sono due... o ti sei calato giù dal terrazzo oppure..." ma la interruppi subito
"Oppure sono ancora a casa... sì, avevo una mezza giornata libera e me la sono goduta tranquillamente tra le mie adorate lenzuola!". Fino a che qualcuno non era arrivato per distruggere l'idillio. Lei rise di nuovo
"Hai fatto bene, Kurt... non hai mai un momento libero per te... mi domando come lo facciano a considerare lavoro quello che fai... sembra più un lento e consecutivo massacramento di gruppo!" disse allora, con un verso stizzito
"Lo so Rachel... ma che vuoi farci... è uno sporco lavoro, ma qualcuno dovrà pur farlo. Altrimenti come potresti tu, giovane madre senza carriera, sognare ad occhi aperti sulle riviste di moda che segretamente ti fai consegnare a domicilio ogni mese?" la provocai allora con un sorrisetto
"Ma... Hummel! Cosa fai... spii la mia posta adesso?" domandò in un misto tra l'indignato e il divertito
"A tempo perso... sì!" ammisi e scoppiammo a ridere di nuovo, insieme.
"Asp.. ahia... Lea... non si tirano i capelli di mamma in questo modo... ne avevamo già parlato, o sbaglio?" domandò lei, mentre un'altra piccola risata mi arrivava chiara all'orecchio
"Ma io voglio dire ciao..." una vocina brontolò vicino all'apparecchio, dopodiché la mia amica tornò a rivolgersi a me
"C'è la tua fidanzata segreta che vuole salutarti... aspetta un istante!" mi informò mentre lentamente sul mio viso si formava un sorriso intenerito. Pochi istanti dopo la voce di una bambina riempì il silenzio
"Zio Kurt!" gridò lei, tanto che dovetti allontanare il telefono dall'orecchio, divertito fino all'inverosimile
"Tesoro mio... come stai?" le domandai, mentre sentivo in sottofondo Rachel brontolare e chiedersi esasperata chi avesse insegnato a sua figlia ad urlare in quel modo poco femminile
"Bene... sai, ieri ho perso un altro dentino!" mi informò fiera, probabilmente sorridendo per mostrarmi ingenuamente la sua mancanza
"E brava la mia principessina... questo significa che stai diventando grande!" le dissi con tono disteso
"Grande come te e la mia mamma?" chiese lei subito, evidentemente molto incuriosita dall'argomento
"No, Lea... molto, molto più grande!" le risposi ottenendo un gridolino eccitato da parte sua, al quale Rachel rispose con un altro lamento. Ridacchiai ancora, ringraziando mentalmente la mia adorata amica, e vicina, per il tempismo che aveva usato per chiamarmi. Se non ci fossero state lei e la piccola Lea a distrarmi, in quel momento sarei stato ancora in cucina ad iniziare un discorso poco facile con il mio fantomatico ragazzo. Ed io in quel momento avevo soltanto bisogno di rilassarmi e sorridere. E Rachel e Lea erano perfette per questo
"Su coraggio tesoro... saluta Kurt e fila a metterti le scarpe... dobbiamo andare a prendere i nonni all'aeroporto!" esclamò Rachel mentre la piccola sbuffava sonoramente
"Ciao zio Kurt... devo andare... mi prometti di venirmi a trovare appena puoi?" mi chiese teneramente
"Ma certo, piccola... non vedo l'ora!" le confermai sincero mentre con un altro verso emozionato, probabilmente lanciava il telefono alla madre e correva a prendere le famose scarpe
"Non oso immaginare la delusione che proverà il giorno in cui verrà a sapere che non potete sposarvi perché sei gay!" mormorò Rachel qualche istante dopo divertita
"Non infrangiamo i suoi sogni per il momento. Lo sai che continuerò ad essere il suo principe finché vorrà e ne avrà bisogno!" le assicurai, più che altro per farle capire che, come sempre, sia lei che sua figlia potevano fare affidamento su di lei. Il versetto che le uscì dalla bocca, mi fece intuire che si fosse commossa. Maledetta Rachel sentimentale
"Adesso però devo andare sul serio.. ci sentiamo più tardi... un bacio Kurt... e grazie!" mi disse mentre le grida gioiose di Lea mi arrivavano forti e chiare alle orecchie
"D'accordo, Rach... saluta i tuoi genitori... un bacione!" e con un'ultima risata chiusi la comunicazione. Non feci in tempo a girarmi che un paio di braccia particolarmente muscolose mi strinsero in una presa ferrea ed il viso di David si poggiò delicatamente sulla mia spalla. Rimasi immobile, cercando di non dare troppo a vedere quanto poco riuscissi a tollerare ormai quel contatto
"Chi è che ti fa ridere così tanto?" mi domandò in un soffio, diretto al mio orecchio. Sbuffai. Rieccolo, un implicito modo per tenermi sotto controllo ed esprimere la sua innata gelosia
"Lea... la figlia di Rachel!" risposi atono, mentre le sue mani si posavano sui miei fianchi, iniziando a massaggiarli lentamente
"Quella innamorata di te?" chiese allora, sfiorandomi il collo con il naso. Ero sorpreso di come ormai neanche quello mi facesse più effetto. Eppure... la passione c'era sempre stata. Cosa diavolo mi stava succedendo?
"Mmm... David... è una bambina di quattro anni... sei geloso anche di lei adesso?" domandai esasperato, mentre sollevavo appena il collo per dargli più libero accesso. Era più che altro un movimento spontaneo, fatto senza pensarci troppo.
"Chiunque metta gli occhi su di te, è da ritenere un possibile pericolo. Tu sei mio... mio e basta!" mormorò spingendo volutamente il bacino verso il mio fondoschiena, provocandomi il primo brivido di piacere. Ecco, forse qualcosa si stava svegliando. Lentamente, ma lo stava facendo. Forse era colpa del sonno arretrato. O forse, i discorsi lasciati ancora a metà tra di noi, mi impediva di lasciarmi completamente andare.
"Dave... pensavo dovessimo parlare!" sospirai, mentre la punta del suo naso era stata sostituita dalle labbra umide. Lui sorrise, spingendo nuovamente i fianchi in avanti. Quella volta mi scappò chiaramente un gemito dalle labbra
"Ma infatti lo stiamo facendo, Kurt... soltanto... non c'è bisogno di usare le parole!" mi rispose intrufolando la mano sotto la felpa e la maglietta accarezzandomi la pelle del fianco. La pressione dei suoi fianchi spalmati dietro di me, iniziava a diventare insistente e insopportabile. Mi domandavo il perché di tutta quella attesa. Normalmente saremmo già arrivati ad intrecciarci nel mio letto, e tanti saluti ai romantici e sognati preliminari. Il fatto che stesse dedicando così tante attenzioni a me e al mio corpo, era davvero strano. Che quello fosse il suo modo per chiedere scusa? Chissà perché, non mi meravigliai molto del fatto che per scusarsi, usasse ugualmente il sesso. Quello era l'unico linguaggio che riusciva correttamente ad usare.
Io, però, stanco di quell'attesa, e per niente abituato, mi girai nella sua stretta ed iniziai a sbottonargli la camicia con impazienza
"K-Kurt..." mormorò cercando le mie labbra e trovandole poco dopo. Accolsi quasi immediatamente la sua lingua impaziente, mentre facevo scivolare la camicia dalle spalle e subito dopo iniziavo a slacciare la cintura. Lui mugugnò qualcosa, ma venne colto da un gemito, quando feci scivolare casualmente la mano nei suoi jeans, ancora sopra i boxer
"Kurt... co-cosa... cosa stai facendo?" mi domandò, confuso, eppure particolarmente eccitato. Lo guardai parecchio male
"Mi sembra sia abbastanza chiaro!" risposi cercando di nuovo il contatto con le sue labbra. Più ero impegnato con qualcosa, qualsiasi cosa, e meno occasioni avevo per riflettere. Ormai far vagare la mente era diventato pericoloso. Approfittare di un momento come quello sarebbe valso come un sospiro di sollievo. E lui, per quanto non sembrasse dello stesso avviso, si lasciò trascinare da me e dalle mie labbra, riprendendo esattamente da dove avevamo interrotto.
Quello che successe dopo, fu come al solito, confuso e meccanico. Una dei tanti ricordi sovrapponibili alle migliaia di altre volte in cui ci eravamo trovati nella stessa situazione. Lui spogliava me, io spogliavo lui. Ci ritrovavamo sul mio letto, completamente nudi e particolarmente famelici fino a che, dopo una spinta leggermente violenta ed un gemito più di dolore che di piacere, spezzato dalle sue labbra che ancora un volta bloccavano le mie, non iniziavamo a prendere l'uno dall'altro ciò che veramente stavamo cercando. In quei momenti, privi di emozioni vere e di sentimenti autentici, mi ritrovavo ad odiarmi. Mi facevo quasi schifo, così diverso dal solito me, così distante dal vecchio Kurt romantico e sognatore, che aveva desiderato per tutta la sua adolescenza di essere corteggiato, ammirato, venerato e rispettato per ciò che era, non per il suo corpo. Non avevo mai capito cosa era successo. Cosa fosse cambiato esattamente in me da quando ero capitato tra le mani di David. Quale fosse l'effettiva causa scatenante di tutto. E forse, neanche me ne ero preoccupato più di tanto a cercarla, perché sotto sotto mi andava bene così. Ed era proprio questo, che di me, mi faceva più ribrezzo. L'essermi trasformato così tanto e l'aver poi capito di esserne perfettamente cosciente e complice.
Kurt Hummel... ma che fine hai fatto?
"Kurt... Kurt..." sentii ansimare David più forte nel mio orecchio, segno che stesse per raggiungere il limite, come sempre prima di me. Gli avvolsi i fianchi con le gambe, sperando che così facendo avrei accelerato il tutto e saremmo passati direttamente al momento in cui lui si rivestiva e andava via. Solo allora avrei ricominciato a respirare.
Il suo respiro era sempre più veloce, così come le sue spinte. Mi ero sempre chiesto se si fosse mai realmente preoccupato di cosa volessi io, di cosa mi facesse piacere e cosa detestassi in momenti come quello. Il fatto che diventasse così aggressivo, a tratti anche un pò animalesco, non mi era mai piaciuto. Avevo provato a farglielo presente una volta, ma lui era troppo permaloso e avevo lasciato perdere. Chi si accontenta gode, Kurt... e tu limitati ad accontentarti per il momento.
"Dimmi che mi ami, Kurt... dimmelo..." sussurrò lui, mordendomi un lobo, forse nel tentativo di sembrare sensuale. Strinsi gli occhi proprio perché temevo arrivassimo a quello. Le uniche volte in cui David se ne preoccupava, era quando si sentiva prossimo all'orgasmo. Forse, gli serviva come incentivo per raggiungere l'apice, una sorta di gratificazione personale. E d'altronde, chi ero io per infrangere i suoi sogni di gloria?
"Sì... Ti amo..." mormorai con il tono più coinvolto che riuscissi a trovare, dopodiché sospirai sollevato, sentendolo affrettarsi ad uscire da me per dare forma al suo piacere.
Qualche istante dopo, si accasciò al mio fianco, con gli occhi chiusi e il respiro affannato, coperto da un leggero strato di sudore, mentre io, per pudore, recuperavo il lenzuolo e me lo avvolgevo attorno al corpo. Non volevo mi vedesse, per qualche strano motivo la mia mente lo registrava come qualcosa di troppo personale, al quale lui non poteva accedere. Evitai di guardarlo negli occhi, mentre con molta discrezione mi allontanavo da lui, con il basso ventre in fiamme, dato che come al solito lui non si era preoccupato di soddisfarmi.
Forse passarono cinque o sei minuti - un nuovo record in realtà - prima che aprisse gli occhi e sorridesse
"Che ti avevo detto... le parole sono inutili!" esclamò soddisfatto. Io alzai un sopracciglio scettico
"A noi servirebbero però, David. Eccome se ci servirebbero..." mormorai stringendomi le ginocchia al petto, mentre avvertivo la voragine iniziare ad allargarsi lentamente, come ogni volta.
"Porca puttana quanto è tardi... ho un servizio fotografico alle undici dall'altra parte della città! Devo scappare!" esclamò saltando giù dal letto e iniziando velocemente a rivestirsi. Io mi premurai di chiudere bene gli occhi. Come volevasi dimostrare.
Alzai lo sguardo soltanto quando me lo ritrovai di nuovo al mio fianco, tutto vestito e nuovamente di buon umore. Beato lui
"Ci sentiamo dopo, dolcezza... e questa volta vedi di non dimenticarti di me, chiaro?" mi fece divertito, accennando un mezzo occhiolino. Sorrisi amaramente
"E come potrei... suona tanto come una minaccia la tua!" borbottai mentre con una risata si alzava e andava via. Il rumore della porta d'ingresso che si chiudeva fu come una colpo di pistola diretto al cuore.
Niente bacio, niente carezze, niente grazie, niente... di niente.
Fu in quel momento che richiusi gli occhi e mi lasciai andare alle lacrime. Calde e dolorose lacrime che scivolavano libere sulle mie guance, ormai senza più freni, senza più dover fingere. Mi facevo schifo. Facevo schifo io, quello che avevo fatto, quello che avevo detto. Ero dilaniato e non me ne rendevo conto. Più andavo avanti e più la voragine che avevo nel petto si ingrandiva, mi consumava e mi divorava. Prima o poi ne sarei stato risucchiato, me lo sentivo.
Ancora scosso dai singhiozzi scesi dal letto e camminai verso il bagno aprendo l'acqua della doccia e infilandomi dentro, senza neanche aspettare che si riscaldasse. Avevo fretta di levarmi di dosso tutto lo schifo accumulato quella mattina. Le impronte delle mani, i respiri accelerati, le bocche fameliche. Volevo cancellare tutto quanto e tornare ad indossare la maschera del solito Kurt, il ragazzo infallibile e caparbio, quello sorridente e con la battuta sempre pronta, sperando che nessuno come al solito facesse caso al buco che mi si apriva nel centro del petto. Ero bravo a fingere o era la gente troppo impegnata per notarlo.
Poggiai una mano al muro della doccia, scosso da altri singhiozzi, e abbassai la testa, circondato da un getto d'acqua che andava lentamente riscaldandosi.
Forse quel giorno sarebbe stato più difficile riuscirci. Forse dovevo seriamente iniziare ad amarmi un pò di più. Forse... dovevo semplicemente smetterla di fingere.
  
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