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Autore: SilverKiria    19/07/2012    4 recensioni
Questa storia parte dallo spunto di J.K.Rowling stessa, la quale aveva affermato di aver scritto originariamente un epilogo con Dudley che accompagnava il figlio mago all'Espresso per Hogwarts.
Successivamente ha cancellato l'idea, poiché riteneva impossibile che il sangue di Vernon possedesse un qualcosa di magico. Questa è la mia storia degli eventi, se ciò fosse accaduto.
Genere: Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Dudley Dursley
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
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Da quando Thomas aveva compiuto 11 anni, non c’era stata pace in famiglia. Mi sono sposato a 28 anni con una ragazza del luogo, diligentemente approvata da mia mamma, di nome Violetta.
Violetta è una donna fantastica, cucina, lava, stira, insomma; come una vera donna dovrebbe essere!
All’età di trent’anni divenni padre per la prima volta di un “piccolo” bambino di nome Thomas.
Crescendo è diventate sempre più uguale a me, avvenente e carismatico.
Poi, l’orrore. 
Alle 11 in punto del 30 marzo, compleanno di Tommy, ci stavamo accingendo ad uscire, per andare verso il parco comunale, dove si sarebbe tenuta la sua festa. Thomas, come ogni bambino che si rispetti, stava facendo i capricci, poiché la madre gli aveva impedito di vestirsi con la maglietta di Superman, la sua preferita, insistendo affinché ne mettesse una meno costosa, così se si fosse sporcata non sarebbe stato un gran peccato.
Thomas non voleva cedere e continuò la sua battaglia, fiero e orgoglioso come lo ero io.
Alla fine, Violetta ed io riuscimmo a portarlo di peso in macchina.
Accesi l’auto, misi in moto, feci il vialetto in retromarcia e partii in direzione del Parco, che era a venti isolati di distanza. 
Ero circa a metà strada, tutto indaffarato a pensare a come presentare il progetto Winston a mio padre (ho ereditato la sua azienda, ma per finché lui non vorrà andare in pensione farò da vice-presidente ) quando notai qualcosa di azzurro sullo specchietto.
Più lo guardavo e più mi si accapponava la pelle.
La maglietta di Thomas di Superman ci seguiva… volando.
Inchiodai l’auto con tanta forza che ricevetti diversi colpi di clacson, ma non ci badai.
Violetta era relativamente tranquilla, avrà pensato di aver lasciato la finestra aperta in camera di Thomas e che la maglietta fosse semplicemente volata via.
Già… lei non sapeva.
Quando proposi a mamma di metterla al corrente su lui questa esplose, chiedendomi se volessi rimanere single per tutta la vita. 
Mi voltai e vidi con orrore che la maglietta stava facendo gesti attraverso il finestrino a Tommy, il quale la fissava felice.
Una maglietta può essere rapita dal vento? Si.
Una maglietta può lievitare a 40 cm da terra? No.
Una maglietta può chiedere di aprire il finestrino attraverso gesti compiuti con assoluta impeccabilità con le sue lunghe maniche, come se ci fosse qualcuno dentro? No.
Mi si raggelò il sangue.
Thomas, intanto, aprì il finestrino e questa si buttò su di lui. La maglietta gialla che aveva si tolse, senza che Thomas facesse niente, e altrettanto fece la maglia di Superman nell’indossarsi.
Thomas mi guardava felice, nemmeno lui capiva.
Violetta, dopo aver assistito alla scena, era bianca come un cencio e non riusciva a proferir parola.
Partii a tutta velocità e attraverso una manovra spaventosa mi infilai nell’altra corsia. Appena fui a casa feci entrare tutti, chiusi tende, persiane e porte a chiave. Violetta era ancora sotto shock, seduta sulla poltrona come un pupazzo e Thomas saltava di qua e di là sul divano, cosa non eccezionale, dato che lo faceva veramente spesso.
Presi il telefono di casa, composi il numero.
Mia madre, Petunia Dursley, mi rispose immediatamente.
- Mamma? –
- Amoruccio mio! Stiamo giusto uscendo, saremo al parco fra dieci minuti… aspetta. E’ il numero di casa, che succede? –
Taqui. Le sarebbe venuto un colpo, ne ero certo.
Ma dovevo dirglielo, dovevo.
- E’ successo -.
- Ne sei sicuro? –
Guardai Tommy che stava facendo levitare a 30 cm da terra un robot giocattolo, la fronte imperlata di sudore per lo sforzo.
- Si.-
Mia madre restò paralizzata, non disse nulla per svariati agonizzanti minuti. Poi, una parola:
- Chiamalo -.
 
Con le mani tremanti, riattaccai il telefono.
Respirai profondamente e composi il numero.
Il telefono si mise a squillare.
L’ultima volta che c’eravamo sentiti era stato per riferirgli del funerale di Zia Marge, morta in un incidente due anni prima (era inciampata su Squarta Junior ed era caduta dalle scale).
Il telefono continuava a squillare, mentre io pensavo agitato a cosa dirgli.
Poi, una vocina: - Pronto? –
Avevo la gola secca e non riuscivo a parlare chiaramente; emisi una specie di grugnito.
La vocina si allontanò dal ricevitore e sentii:- Papà! C’è qualcuno al telefono ma non mi risponde… cosa faccio? –
Rumore di piedi, qualcuno che stava arrivando.
Mi schiarii la voce, pronto a ricevere una risposta come:- Tu non mi hai mai aiutato, perché dovrei farlo io? –
Poi, eccolo.
- Pronto, sono Harry Potter. Con chi parlo? –
Presi il coraggio a due mani e tentai di riferire a parole tutto il discorso che mi ero fatto in testa.
- Pronto? – continuava lui.
- Harry… sono Dudley.-
Un silenzio di tomba. “Forse ha riattaccato” pensai. Io l’avrei fatto.
- Dudley, che sorpresa. Cosa succede? –
Aveva risposto. Dopo tutto ciò che gli avevamo fatto, aveva risposto.
- Harry. Ho bisogno del tuo aiuto. Thomas è…-
Non riuscii a pronunciare la parola.
Continuava a vorticarmi in testa, ma non riuscivo a dirla.
- Ho capito. Ti va bene se vengo fra mezzora? –
Ero esterrefatto.
Emisi un suono indistinto, che evidentemente lui colse come ciò che doveva essere, un assenso.
- Ok, ci vediamo fra mezzora –
Appoggiai la cornetta al ricevitore e tornai in salotto.
Thomas si era versato una tazza di cereali, quando mi vide disse: - Papà, non andiamo più al mio compleanno? –
Era l’ultimo dei miei pensieri al momento, quindi gli risposi di no, spiegandogli che doveva venire una persona a parlargli.
Non aveva mai visto Harry, dato che l’ultima volta rimase in città solo per il funerale, e preferii che Thomas non assistette alla funzione.
Andai da Violetta e le dissi ciò che avrei dovuto dirle tredici anni fa.
Durante il racconto sulla mia infanzia e su Harry non proferì parola.
Alla fine, guardò Thomas che, con fare impaziente, fissava l’orologio.
- Lo è anche lui? –
Mi chiese poi, sperando con tutta se stessa di ricevere una risposta negativa.
Non feci in tempo a risponderle che qualcuno bussò alla porta.
Mi alzai e andai ad aprire.
  
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