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Autore: Kim NaNa    19/07/2012    11 recensioni
I vent'anni di una fanciulla.
Una crociera intorno al mondo
Un segreto in fondo al cuore.
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Mamoru/Marzio, Usagi/Bunny
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna serie
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La canzone delle onde.
 
Usagi rifletté a lungo su quanto Kaede aveva detto di Mamoru Chiba. Era su quella crociera solo per rilassarsi.
Eppure lei non riusciva ad immaginarselo stanco! Pareva, anzi, molto forte e resistente, dal punto di vista sia fisico che psicologico.
Forse il suo è un lavoro intellettualmente estenuante. Pensò.
Irritata da quelle riflessioni che non la portavano a niente, continuò a costruire le ipotesi più diverse su quell’uomo misterioso che aveva catturato la sua attenzione.
Stava ancora rimuginando tra sé quando, dopo cena, andò a passeggiare sul ponte.
La brezza le accarezzava i lunghi capelli, il viso e le braccia nude, che cominciavano a prendere una bella tinta dorata. Il mare era immobile come uno specchio, illuminato dai riflessi argentei della luna, alta in un cielo violaceo. Come una sommessa canzone, si udiva lieve il fruscio delle onde contro lo scafo. La serenità dell’ora era tale da farla sentire in pace.
Improvvisamente, come un ferro rovente che le si conficcava nel cuore, le tornò in mente la sua tragica situazione. Il mare non le sembrò più calmo e scintillante: era, invece, nero e impenetrabile. Non doveva più ammirarlo, ma respingerlo, perché la canzone delle sue onde la chiamava… Gli abissi volevano il suo corpo e la sua anima.
Un’ondata di panico la sommerse, talmente violenta che quasi urlò. Si girò di scatto per andare a rifugiarsi in cabina e si trovò circondata da due braccia possenti, stretta contro un corpo robusto e muscoloso.
« Oh… »
Alzò gli occhi sulla bella faccia seria di Mamoru Chiba.
« Mi… mi scusi. » Disse, lottando per ritrovare il sangue freddo.
« Io… io tornavo in cabina e… » La voce le si spense e si rese conto di avere le guance bagnate di lacrime.
Dimenticò il mare, la canzone delle onde, la sua tragica sorte e il sinistro lenzuolo funebre tanto prossimo.
Dimenticò tutto, tranne la vicinanza di quell’uomo le cui mani erano tanto dolci e il cui corpo le offriva tanto calore. Si sentiva al sicuro tra quelle braccia che nessuna forza maligna avrebbe osato minacciare: se lui l’avesse tenuta sempre così, non poteva succederle niente di male.
« Povera bambina ricca… » Mormorò lui. « Perché piange? »
Non allentò la presa, ma allontanò un po’ Usagi per guardarla in viso.
« Povera bambina ricca? » Ripeté lei, asciugandosi le lacrime col dorso della mano. « Cosa vuole dire? »
Allora lui sorrise, sardonico. Era un sorriso che faceva molto male.
« Credevo lo sapesse! »
La dolcezza era scomparsa dalla sua voce, ma le sue mani erano ancora tenere. Quelle lunghe mani fini e forti che le riproponevano il solito interrogativo: qual era la sua professione?
« No, non lo so. Mi creda. »
Lui aggrottò le sopracciglia.
« Perché piange, Usagi? »
Il vederlo ignorare le parole che lei aveva pronunciato tanto spontaneamente, la colpì come la lama di un affilato coltello. Ma, nonostante la loro vicinanza, non erano ancora giunti tanto in là nella conoscenza, la loro amicizia era troppo fragile e delicata perché lei insistesse e gli chiedesse di spiegarsi meglio.
« Non è niente… » cominciò.
« Non parli a vanvera. » La interruppe lui. « Sfogarsi l’aiuterà e io sono in vena di ascoltare. Può, inoltre, essere sicura della mia simpatia e della mia totale attenzione. »
Un’ombra di sorriso comparve sulle labbra della ragazza. In quel momento, Mamoru le ricordava il dottor Tomoe, sempre pronto ad ascoltare con sincero interesse i problemi dei suoi pazienti e, in particolare, quelli di lei.
« Ero triste, Mamoru. Ma adesso è tutto passato. »
« Racconti. » Ordinò perentoriamente lui, prima di guardarsi intorno.
« Cerchiamo un posto più discreto però… » aggiunse Usagi, fissando quegli occhi di un blu troppo intenso che non lasciavano i suoi.
Lui le prese la mano e la condusse verso due sedie a sdraio, in una zona poco illuminata, all’estremità del ponte. Lei lo lasciò fare, godendo del tiepido contatto della sua salda mano.
« Adesso cominci! » ordinò ancora lui, brusco.
« Non sono stata bene, ultimamente. » Confessò lei, mentre faceva lavorare febbrilmente il cervello per dargli una spiegazione soddisfacente senza entrare nei particolari, che voleva evitare a qualunque costo. Malgrado l’apparente interesse, dubitava che lui desiderasse davvero conoscere i motivi del suo pianto.
Mamoru Chiba le gettò un’occhiata interrogativa.
« È stata malata? »
In quel momento la stava studiando in modo sconcertante. I suoi occhi seri, s’erano fatti due fessure di zaffiro indecifrabili e le esaminavano ogni lineamento. Usagi arrossì e sentì le sue mani sudare.
« Che tipo di malattia? » continuò Mamoru.
Lei alzò le spalle per prendere tempo.
« Non capirebbe… »
Ebbe l’impressione di vederlo sussultare, poi guardò la sua bocca irrigidita e capì di averlo contrariato.
« Mi spiace, Mamoru. » disse dopo una breve esitazione. « Preferisco non parlarne. »
« Vedo. »
Sembrò credere che avesse una malattia di cui le donne non amano parlare con gli uomini, ma parve comunque soddisfatto e lei ne provò sollievo, anche se aveva pensato, per un istante, che avrebbe potuto alleggerire un po’ il suo fardello confidandosi con Mamoru. Aveva piena fiducia nella sua discrezione.
Lui la stava ancora studiando, poi disse: « Continuo a non capire perché piangeva. »
« Si è trattato solo di un momento di tristezza. »
Lo guardava dritto negli occhi, era la verità e lui se ne convinse. Annuì lentamente, pensieroso, come se un puzzle stesse ricomponendosi nella sua mente.
Usagi aggrottò la fronte, ma, in quel momento, non era in grado di porsi altre domande sullo strano comportamento di Mamoru e dell’amico Motoki nei suoi confronti. Si era ormai abituata al loro incomprensibile modo di fare e si rifiutava di lasciarsene impressionare.
« La tristezza, a volte, è peggio di un dolore fisico. » Disse lui, abbozzando un sorriso. « Ma vi si può rimediare, più o meno, cambiando modo di vivere, per esempio. »
« Lei vorrebbe che io cambiassi il mio modo di vivere? »
Cosa avrà in mente? Si ritrovò a pensare, Usagi.
« Non la trova una buona idea? »
« Io… » Stava per dirgli che no capiva affatto, ma si interruppe poiché avvertì un leggero mal di testa. Se lo aspettava. Il dottor Tomoe l’aveva avvertita, le emicrania non l’avrebbero mai abbandonata, dapprima leggere e passeggere, tranne l’ultima che avrebbe preceduto il coma.
« Mi scusi, Mamoru. Vorrei andare in cabina, sono molto stanca. »
« È ancora presto! » Protestò lui, quasi a volerla trattenere al suo fianco.
« Va bene, resto… » si sorprese Usagi a rispondergli, con un sorriso appena accennato.
Mamoru continuava a guardarla: sembrava sospirasse dentro di sé, come se rimpiangesse qualcosa.
« Vuole ballare? Le luci e la musica le faranno subito dimenticare la tristezza e poi, guardi la luna… Non crede le stia chiedendo di rivolgerle il suo miglior sorriso? »
Era dolce la sua voce.
« Grazie. Grazie infinite, Mamoru. »
« Non c’è motivo di ringraziarmi continuamente, Usagi. Sto bene in sua compagnia. »
Non aveva quasi esitato sull’ultima frase, ma lei ebbe l’impressione che fosse combattuto tra due forze opposte: una che lo spingeva a cercare la sua presenza, l’altra ad allontanarsi da lei.
Ballarono insieme tutta la sera, gli sguardi dei presenti posati su di loro. Quello di Rei Hino era cupo e minaccioso, Kaede sorrideva annuendo, persino Motoki sembrava divertito dalla scena, senza riuscire a distogliere lo sguardo dalla coppia formata da Mamoru e Usagi. C’era anche Demando a guardarli, quella sera. Aveva la faccia seria e contrita, mentre la sua compagna beveva al suo fianco.
« È stato molto bello. » Dichiarò Mamoru quando furono tornati sul ponte per respirare un po’ d’aria di mare.
« Grazie, Usagi. Lo rifaremo? »
C’era una nuova spontaneità nella sua voce e, nel profondo dei suoi occhi cobalto, una sorta di ansia, come se la risposta di lei avesse un’importanza notevole.
« Con piacere, Mamoru! » esclamò Usagi, con il suo più bel sorriso.
« Allora, siamo d’accordo. Domani sera, dopo cena. »
Erano appoggiati sul parapetto e, questa volta, Usagi contemplava il mare senza timori ne angosce. Le stelle si riflettevano sull’acqua, danzanti, cullate dal tremolio delle onde che ora cantavano liete. La notte era colma d’incanto e la luna, piena e tonda, brillava in quel cielo limpido.
Il silenzio caduto tra loro era complice e amichevole. Usagi si sentiva in pace, tranquilla, la mente sgombra da pensieri funesti.
« Che bella notte! » Non poté fare a meno di mormorare. « Non ne avevo mai viste di tanto romantiche! »
Mamoru girò la testa bruna e la guardò.
« Davvero? » Le chiese tra lo scettico ed il sorpreso, con sorriso appena sprezzante. « Credevo che avesse visto almeno cento scene come questa… »
Fece un ampio gesto con la mano a indicare il cielo costellato di stelle, il mare scintillante e la lussuosa nave che si muoveva tra un’onda e l’altra.
« Non la capisco, Mamoru. » Disse lei, con voce dolcissima, lo sguardo velato dal dolore. « Mi parla in modo così strano… ho l’impressione che mi creda diversa da quello che sembro… superficialmente, voglio dire. »
« E non lo è, diversa? »
Pensando alla sua situazione, lei non poté fare a meno di arrossire.
« Lo siamo tutti, più o meno… » Rispose, guardando la mano di lui posata sul parapetto.
« Ciascuno di noi ha un giardino segreto dentro di sé… »
« Un giardino segreto? »
« Ma sì. Io non racconto a tutti quello che ho dentro! »
Nella sua voce c’era dolcezza, nei suoi occhi cerulei un’ombra di dolore. Mamoru fece un movimento improvviso e lei provò l’incredibile sensazione che lui stesse facendo uno sforzo immenso per non prenderla tra le braccia.
« Anche lei deve essere così. » Aggiunse, dato che lui non parlava.
Mamoru annuì e si girò pensieroso verso il mare. Lei gli era vicinissima, eppure, una forza più grande di loro sembrava allontanarli. Piano piano sentì crescere in sé la certezza che sarebbe stata meravigliosamente bene stretta a lui.
Inconsciamente, doveva averlo sempre saputo. Era un sentimento latente che si stava rivelando quella sera, sotto le stelle, nella magia di quella luna d’argento. L’unico rumore era la musica in sordina che veniva dalla sala da ballo, una piacevole melodia che rese ancor più romantico il momento.
« Sì, Usagi. » Confessò lui, alla fine. « Anche io ho un giardino segreto. »
Sembrava di colpo molto stanco e lei pensò stesse per congedarsi. Ma lui non si mosse.
Di nuovo, cadde il silenzio.
« Tra quanto arriveremo al prossimo scalo? » chiese lei.
« Attraccheremo a Salvador, vero? »
« Sì. Arriveremo lunedì… Parteciperà all’escursione? »
Lei negò con decisione.
« Io aspetterò di essere a Rio de Janeiro… Muoio dalla voglia di visitarla! »
Lui si girò con una strana espressione sul viso.
« Perché non va anche a Brasilia e a Manaos? Partiremo alla volta del Brasile giovedì e hanno organizzato delle escursioni davvero interessanti.»
Si trattava di un viaggio in aereo di quattro giorni nell’interno, fino alla capitale del Brasile. Dopo una notte a Brasilia, era prevista la partenza per Manaos, città celebre per il caucciù e poi avrebbero risalito in barca un tratto del Rio delle Amazzoni. Era un’escursione che superava i mezzi finanziari di Usagi.
« Non mi interessano molto. » Rispose, sperando che lui si accontentasse di quella spiegazione.
Fu così, ma lui le annunciò che avrebbe preso parte all’escursione e la notizia la scosse. Quattro giorni senza vederlo! Mi restano i prossimi tre giorni da passare con lui… Si disse, cercando di ritrovare un po’ di ottimismo.
« È tardi… » Le parole si spensero nella notte. Una stella cadente attraversò il cielo.
« Dobbiamo salutarci, Usagi. »
Mamoru si girò e, prima che lei se ne rendesse conto, si ritrovò stretta a lui. Le sollevò il mento e, senza mai distogliere gli occhi dai suoi, posò le labbra sulle sue.
Molto più tardi, sentiva ancora la forza dolce di quelle labbra e il profumo, appena accennato, del dopobarba. Era nel suo letto, sveglia, ma calma e guardava senza vederlo il raggio di luce che filtrava sotto la porta.
Mamoru Chiba… Forse lui non avrebbe sofferto se le fosse capitato qualcosa. Lui era troppo freddo, troppo desideroso di restare scapolo per innamorarsi. Stava con lei spesso solo perché il suo amico lo aveva abbandonato per stare accanto alla sua nuova ragazza, Reika.
La sua compagnia gli faceva piacere, ma nient’altro. Poteva quindi accettare di uscire con lui, decise, seguendo quella logica. Poteva dargli il permesso di baciarla, se voleva, senza rimorsi… Era sicura che, una volta giunta l’ora, Mamoru avrebbe soltanto sospirato su quella bella ragazza bionda, morta così giovane! Poi, se la crociera non fosse ancora terminata, avrebbe trovato qualcun’altra per tenergli compagnia.
« Sì. » Mormorò contro il cuscino. « Posso approfittare di lui senza scrupoli. Quanto a me… non dovrò più temere la solitudine. So che la mia presenza gli piace e mi sarà vicino fino alla fine. »
 
I tre giorni successivi furono un sogno. Lei non rimpiangeva più di trovarsi su quella nave: amava Mamoru. Quella certezza era emersa così, semplicemente, senza che lei se ne rendesse conto. Era l’unico uomo del quale si era realmente innamorata, anche se sapeva di essere per lui solo un’avventura, un flirt di viaggio.
Sono solo un’onda di mare. Presto mi infrangerò su una scogliera e di me e non rimarrà altro che il salato sapore dell’acqua marina.
Usagi aveva imparato a comprendere i suoi stati d’animo e il suo modo di fare non la inquietava più.
Aveva deciso di non perdere più tempo a farsi domande che non servivano a niente. Viveva minuto per minuto ogni giornata, riconoscente per la gioia che le procurava.
Il loro rapporto proseguiva serenamente. Si era innamorata e vibrava di felicità sotto i suoi baci. Lui non l’amava, ne l’avrebbe mai amata, perciò il suo futuro non la preoccupava. Quando lei non ci fosse stata più, lui non ne avrebbe avuto il cuore spezzato e non si sarebbe sentito solo. La sua morte non lo avrebbe coinvolto.
Sì, era l’ideale.
Lei era, finalmente, innamorata e amava con una passione di cui aveva sognato tante volte. Il verdetto dei medici l’aveva gettata nella disperazione, ma ora i suoi sogni stavano diventando realtà: aveva incontrato Mamoru e provava per lui un amore profondo, talmente profondo da rimpiangere amaramente il suo destino segnato. Avrebbe voluto che quella crociera non finisse mai… e che Mamoru condividesse i suoi sentimenti.
Ma quei pochi minuti di tristezza svanivano presto, sommersi da un’ondata di riconoscenza per il miracolo che rendeva felici le sue ultime settimane di vita.
 
« Ho annullato la mia prenotazione all’escursione, Usagi. »
La dichiarazione venne accolta con un misto di gioia e incredulità.
« Davvero? Ma… Mamoru, sei sicuro? »
« Sono sicuro di non voler stare lontano da te per quattro giorni, principessa. » La interruppe lui con autorità. « Potresti trovarti un altro, durante la mia assenza! »
Una fiammella divertita gli danzava negli occhi, per le proteste di Usagi.
« Ma io… »
« Sei troppo bella perché io voglia correre un rischio simile! »
Erano sul ponte, stesi sulle sedie a sdraio, al sole. La pelle di Usagi aveva una calda tinta dorata, i capelli biondi si erano schiariti, assumendo riflessi lucenti. Mamoru se n’era accorto e non si era lasciato sfuggire l’occasione per prenderla in giro. Come al solito, lei non aveva dato peso alle sue battute. Sapeva che cambiava bruscamente umore, passando dallo scherzoso al tenero in un attimo.
« Sarai mia per il resto del viaggio e guai a chi tenterà di opporsi… » continuò lui.
Lei lo guardò, ma non capì, questa volta, se parlasse seriamente o no.
« Non mi piace questa idea di proprietà. » disse, allora, seria.
« Perché? » Chiese lui, sorpreso.
« Non so… »
« Sei proprio una strana ragazzina… Ma non sei più una ragazzina, vero? Ne hai solo l’apparenza. »
Lei non comprese l’osservazione e decise di non ignorarla.
« Credi che sia molto più vecchia di quello che sembro? »
« Sembra che tu abbia appena diciannove anni. » Rispose lui, eludendo la domanda.
« Ne ho venti. » Ribatté lei, decisa.
« Più cinque? » scherzò Mamoru.
La frase infastidì Usagi che lo guardò dritto negli occhi.
« Se mi dai diciannove anni, perché poi pensi che ne abbia più di venti?»
« Ho solo detti che… l’apparenza inganna. »
Lei aggrottò le sopracciglia.
« Non ho più niente da dire in proposito, Mamoru. Tu parli spesso per enigmi, ma ho deciso di non tormentarmi più per cercare di comprendere quello che vuoi dire! »
« Un giorni ti farò una domanda che ti sorprenderà! »
Poi cambiò soggetto di conversazione, impedendole di approfondire il significato di quella affermazione.
« A proposito di Salvador… La visita sarà interessante e la faremo insieme. »
« Molto volentieri. Ma non avevi voglia di partecipare all’escursione interna? »
« Non abbastanza da non farne a meno per restare con te. »
Quella risposta cancellò tutti i colpi di spillo e le perplessità causate dallo strano modo di fare di Mamoru, qualche minuto prima.
 
Salvador Bahia, un tempo capitale del Brasile, la città delle chiese, era costruita su due livelli.
« Prendiamo un taxi. » Decise, Mamoru. « Sarà più semplice che andare in giro da soli. »
Camminando al suo fianco, Usagi era raggiante.
Visitarono il Monastero di San Francesco D’Assisi, il cui interno, tappezzato di foglia d’oro, strappò un grido ammirato a Usagi. Mamoru la guardò, divertito per il suo entusiasmo e nello stesso tempo sorpreso per la sua ingenuità e naturalezza. L’autista fece loro anche da guida, portandoli nel chiostro, dove però alle donne era vietato entrare. Usagi e Mamoru dovettero accontentarsi di guardare attraverso le sbarre di una cancellata, la cattedrale e il secondo chiostro dove vivevano i monaci, nelle loro minuscolo celle, osservando la regola del silenzio.
« Hai visto abbastanza? Allora, andiamo. » Disse Mamoru.
Tornarono verso la macchina, camminando lentamente. Ovunque, fiori dai colori vivaci spiccavano contro il fogliame delle acacie. Altri fiori ancora coprivano i muri e invadevano i giardini.
« Ti voglio fare un regalo. » Disse Mamoru, dopo aver ordinato all’autista di fermarsi in una strada centrale.
« Oh, no! » Protestò lei. « Sarebbe sprecato… »
Si interruppe, portandosi la mano davanti alla bocca non appena si rese conto di quello che aveva detto.
« Sprecato? » Ripeté lui lentamente, sconcertato.
« Cosa… cosa vuoi dire? »
Erano davanti ad una gioielleria.
« Non porto mai gioielli… » Rispose lei. « Sarebbe quindi denaro sprecato… »
Lui la fissò come se sul suo viso potesse trovare la spiegazione di quel mistero.
« Lo indosserai perché te lo sto regalando io. » Dichiarò poi, con un tono che non ammetteva repliche. « Vieni. Qui si trovano dei quarzi rosa davvero particolari. »
« Ma… »
« Niente ma, Usagi. »
Lei obbedì controvoglia. La sua coscienza la rimproverava; moralmente non le sembrava giusto che lui spendesse del denaro per un dono che presto, come tutti gli atri limitati averi, sarebbero rimasti chiusi nel fondo di uno scrigno.
Mamoru le regalò una pietra a forma di cuore di un rosa pallido, incorniciata da una serie di piccoli diamantini bianchi. Era incastonata in un anello di oro bianco che Mamoru le infilò nel medio della mano sinistra.
Usagi si profuse in ringraziamenti.
« Su, Odango Atama, smetti di ringraziarmi. Non è il caso. Volevo farlo e l’ho fatto! »
« Odango Atama? » Fece eco lei.
Mamoru sorrise, indicando le buffe code con le quali aveva raccolto i lunghissimi capelli color grano.
La ragazza si portò le braccia al petto, mettendo il broncio. La pietra, che il ragazzo le aveva donato poco prima, emanò riflessi argentei illuminato dalla luce del sole.
« Mi piace! Ed è proprio l’anello adatto a te! » Disse lui prima di afferrare la sua mano e di proseguire la loro passeggiata.
Mamoru sembrava felice di camminare così, senza meta, e altrettanto felice fu Usagi nello scoprire questo nuovo aspetto della personalità di lui.
 
« Che giornata meravigliosa! » Esclamò Usagi, quando furono di nuovo a bordo della Silver Millenium, pronti a salutarsi per tornare alle rispettive cabine.
« Grazie infinite per avermi portato con te, Mamoru! »
« Vorrei che la smettessi di ringraziarmi in ogni momento. » Ribatté lui, aspro. « Oggi eravamo felici entrambi e il piacere di essere insieme è stato reciproco. »
« Ti sono comunque riconoscente. » Insisté lei, senza badare all’espressione corrucciata di lui. « Non puoi sapere cos’hai fatto per me, Mamoru… Ma un giorno lo scoprirai! »
Si girò e fece per andarsene, ma la mano del ragazzo le afferrò il polso. La fermò e la fece voltare verso sé, guardandolo con occhi quasi furenti.
« Non hai diritto di dire certe cose, per poi scappare via senza dare una spiegazione! Cosa significano esattamente le tue ultime due affermazioni? »
Usagi era sconvolta ed esterrefatta.
« Non posso dirtelo! E non puoi neanche obbligarmi a farlo! Se tu parli per enigmi, perché non posso farlo io? »
Con un gesto brusco che lo sorprese, lei si liberò della stretta.
Un attimo dopo Mamoru era solo sul ponte. Rimase fermo a guardarla allontanarsi con passo rapido, le sopracciglia aggrottate, le labbra imbronciate. Ma lui la vide. Era proprio una lacrima quella perla che rigò, silenziosamente, la sua arrossata guancia.


NdA: Ciao ragazze, scusate l'immenso ritardo, ma sono senza pc e chiederlo in prestito a mio fratello (quattordicenne) è stata una vera impresa. -.-''
Mi rendo conto della lunghezza del capitolo, ma non sapendo quando mi sarà possibile aggiornare, ho creduto di farvi cosa gradita scrivendo un capitolo più lungo.
Che ne pensate? Come sempre, pareri contrari o favorevoli sarebbero ben accetti! Spero di avervi regalato una buona lettura.

Alla prossima e FIGHTING!


La vostra Nanà-sshì
   
 
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