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Autore: hummelssmythe    19/07/2012    4 recensioni
Quinn Fabray ricordava esattamente quando era successo la prima volta. Non lo avrebbe mai dimenticato, anche perché era successo nel periodo più brutto della sua vita, probabilmente.
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Quella volta in cui Quinn Fabray ha perso la testa per Brittany e non ha potuto fare a meno di ricordare tutti i momenti più significativi della loro infanzia ed adolescenza insieme.
Quitt Week Day 2 Kid!Quitt | FireWeek
Genere: Malinconico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Crack Pairing, FemSlash | Personaggi: Brittany Pierce, Quinn Fabray
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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Quitt Week
RenoCorner

Hello dear people :3 Non sto facendo giorno per giorno, quindi ciò mi fa pensare che probabilmente, alla fine della settimana, vi ritroverete un oceano di cose tutte insieme xD Vorrei andare in maniera lineare ma ho ManuKaikan, strifylover, BloodyRose, JoySlash e, la mia amata, Forwood, sul divano di casa mia che mangiano pop corn e fanno casino.  Quindi le riletture procedono molto a rilento perché, diciamoci la verità, immaginate come debba essere per Edy rileggere e betarsi con queste vocine assordanti #explosion.
Vi lascio questa shot per la Quitt Week, sperando che possa piacervi *w* Stiamo lavorando ad un miliardo di cose in realtà, quindi spero di potervele lanciare tutto appena possibile :3
Grazie mille a tutti quelli che mi seguo, chi deciderà di leggere e questa storia e, soprattutto, i dolci e cari che perdono un po' di tempo per recensirmi e chiacchierare con me <3
Grazie anche a ManuKaikan per aver betato questa storia di mattina appena svegliatasi xD
A presto,

xoxo RenoLover

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When We Were Young
Quitt Week,
 Day 2: Kid!Quitt


Quella volta in cui Quinn Fabray ha perso la testa per Brittany e non ha potuto fare a meno di ricordare tutti i momenti più significativi della loro infanzia ed adolescenza insieme.


Quinn Fabray ricordava esattamente quando era successo la prima volta. Non lo avrebbe mai dimenticato, anche perché era successo nel periodo più brutto della sua vita, probabilmente.

Ricordava esattamente come si sentiva: tutti la trattavano bene. Non sarebbe stato un male se non fosse stato falso.

E sapeva che era falso.

Non c’era nulla di vero in quelle gentilezze: derivavano semplicemente dal fatto che buona parte del genere umano provava compassione nel vedere l’ex capitano delle Cheerios su di una sedia a rotelle.  Ma in fondo sapeva che buona parte di quelle persone che si mostravano gentili, dolci, disponibili, sensibili, con lei, stavano soltanto fingendo oppure tentando di fare una bella figura davanti a Dio per aprirsi le porte al Paradiso. Ma lei non era così stupida: “the road to hell is payed with good intentions. E, soprattutto, non aveva senso rivolgerle attenzioni, trattarla bene, per poi sparlarle alle spalle nei bagni o agli angoli dei corridoi.  Come se fosse diventata anche sorda.

Il periodo in cui era accaduto, aveva una strana ossessione. Quell’ossessione aveva un nome: Rachel Berry. Non conosceva l’entità di quella fissa, a cosa fosse dovuta, se si trattasse di una semplice amicizia nuova e strana. Ma forse, l’unica cosa che sapeva davvero era che non avrebbe mai potuto essere altro che un’amicizia. Rachel era totalmente presa da Finn, per altro il suo ex ragazzo, parlavano di matrimonio, di andare insieme a New York e tutte quelle cose assurde per dei ragazzi della loro età. E alle volte Quinn tentava di convincersi del fatto che quello fosse il motivo per il quale non sopportava quell’idea di matrimonio, nonostante avesse deciso di andarci per farla felice per poi schiantarsi contro un pickup. Ma la verità, per quanto fosse difficile ammetterlo, era che non poteva sopportare quell’idea per interesse personale. Non ne conosceva l’entità precisa ma sicuramente c’era quell’interesse.

E se non era quello il momento peggiore per lei: su di una sedia a rotelle, incerta sul futuro delle proprie gambe, forse innamorata di una ragazza che aveva sempre pensato di odiare e corteggiata soltanto da un ragazzo del primo anno. Il suo umore era a pezzi, il suo cuore ancora di più, la sua vanità era ad un livello bassissimo , come non lo era stata mai.

E proprio quando pensava che le cose non potessero migliorare, che non ci fosse speranza, era improvvisamente cambiato tutto.

Era seduta – che ironia pensarlo, non poteva essere altro che seduta – sulla sua sedia a rotelle in quell’aula ormai vuota. Stava contemplando le mappe sulla parete senza un motivo in particolare, più che altro non voleva pensare. Aveva semplicemente bisogno di un momento di silenzio e solitudine per isolare la mente da qualsiasi cosa e rilassarsi.

Proprio nel momento in cui aveva chiuso gli occhi e quasi disattivato la mente, sentì dei passi alle sue spalle, rumorosi, poco discreti. Aprì all’istante gli occhi e fece ruotare la sedia lentamente. Osservò Brittany davanti a lei: teneva innocentemente le mani attorno al suo raccoglitore dei Cheerios, probabilmente pieno di fogli scarabocchiati con dei pastelli a cera, assomigliando vagamente ad una bambina. La guardava sorridendo e stava già facendo qualche passo in davanti verso di lei.

“Stai vedendo tutti i posti dove vuoi andare?” domandò, sporgendosi sulle punte, in una maniera adorabile, per guardare le cartine alle sue spalle. Per un istante pensò che stesse facendo qualche battutina sul suo stato, ma Brittany era innocente, non avrebbe mai detto una cosa così cattiva. Ma non ebbe il tempo di pensarci perché la cheerleader – quello che non era più lei – stava già continuando. “Con i razzi sotto la sedia!” disse, indicandola. Probabilmente lo aveva visto in qualche cartone animato. “Io non so leggere le cartine.”

Pensò che probabilmente sapeva leggere a stento, figurarsi sulle cartine. La vide avvicinarsi a lei e porgerle le mani.

“Non puoi alzarti?” le chiese e Quinn sentì già un groppo alla gola perché la sua mente le suggeriva di rispondere ‘no, mai più’. Ma non poteva permetterlo, era semplicemente un modo per abbattersi ancora di più. Scosse semplicemente il capo perché sapeva che, se avesse aperto la bocca, sarebbe scoppiata a piangere. E non voleva mostrarsi debole, si era trattenuta dal farlo fin dal primo momento.

“Se vuoi … posso spingerti fino a casa tua” le fece, innocentemente, mentre camminava, portandosi alle sue spalle e afferrando lo schienale della sedia. E Quinn non aveva pensato al vero motivo di quella chiacchierata: ricordava che Brittany sembrava avere una certa passione per lo scarrozzare in giro la gente. Lo ricordava da quando stava con Artie. Non si sarebbe stupita del fatto che avesse tentato di avvicinarsi a lei semplicemente per il gusto di poterla portare in giro. Ma le andava bene. Solitamente si sarebbe fatta montare sul bus scolastico, ma una compagnia era decisamente meglio, per non parlare di una passeggiata all’aria aperta.

“Sì” rispose semplicemente, mentre Brittany cominciava a spingere, prima di farla passare attraverso la porta. Nonostante sembrasse soltanto un giochino, sapeva che Brittany ci teneva a lei, che erano davvero amiche, fin dal primo anno di liceo.

Uscirono rapidamente dal liceo e tutto quello che ne seguì fu una discussione contorta su animaletti strani e orsetti di gelatina. Non sapeva fino a che punto potesse far parte di quel mondo che le era sempre sembrato estremamente strano, ma voleva provarci. In fondo, si era offerta di accompagnarla, quindi poteva approfittarne per riscoprire un briciolo di quella vecchia amicizia che avevano perso nell’ultimo anno.

 

Aveva realizzato che quella di Brittany era una vera passione, quindi non si sarebbe mai aspettata che la cosa potesse prendere la direzione che invece aveva preso.

Era ormai una settimana buona che la bionda si divertiva a portarsela in giro ovunque, spesso anche in compagnia di Santana o qualcun altro. Quinn cominciò a chiedersi se non fosse stata così tanto tempo con Artie soltanto per quello e la cosa non l’avrebbe stupita più di tanto: si trattava pur sempre di Brittany, non c’era nulla di sensato in quello che faceva. O meglio, c’era, ma ci voleva un bel po’ di impegno per riuscire a capirlo. Lei comunque non sembrava essere dell’umore giusto, ma sapeva che in fondo, difficilmente la si poteva biasimare: con tutto quello che le era accaduto, non aveva molto tempo da dedicare ai suoi macchinosi ragionamenti, ma poteva quanto meno stare al gioco.

E poi era arrivato quel giovedì di Aprile. Quel giovedì in cui ogni cosa era cambiata, tutto era diventato diverso, non aveva idea di come o esattamente quando le cose avessero cominciato a prendere quella piega. Ma forse non l’avevano presa ed era quello il bello.

Non aveva idea del fatto che sarebbe finito nei giorni più importanti della sua vita perché era cominciato come ogni altro giorno, e tutto era normale.

Brittany si stava divertendo a portarla per il cortile e, dopo un bel po’ di metri, si erano prese la loro solita pausa sotto l’albero più grande, semplicemente perché faceva più ombra. Stavano ancora ridendo per tutti i giri estremi che le aveva fatto fare Britt, quando improvvisamente si sedette in braccio a lei. Quinn non si lamentava certamente del peso perché, nonostante la fisioterapia, le gambe non sembrano ancora essere capaci di percepire i contatti. E la cosa la angosciava ancora di più perché le faceva perdere ogni tipo di speranza.

Ma anche quel balzo l’aveva angosciata perché non era più abituata a quel tipo di affetto tra amiche: la persona con la quale aveva legato di più nell’ultimo periodo era Rachel, e Rachel non si era mai seduta sulle sue gambe né quando erano sensibili, né dopo l’incidente.

Ma Brittany lo aveva fatto nella naturalezza più totale, quasi non contasse niente. E aveva avvolto affettuosamente le braccia attorno alle sue spalle.

Quinn le sorrise, addolcita da quella premura, e, nonostante si fosse riproposta di restare forte e non mostrarsi abbattuta, una lacrima rigò rapidamente il suo volto.

Non doveva permetterlo. Sapeva che non appena il dolore si fosse fatto spazio, sarebbe stato difficile non lasciar fuoriuscire tutto quello che aveva in corpo e che aveva trattenuto per tutto quel tempo. Non fece neanche in tempo a pensarlo però, che Brittany stava già asciugando via la sua lacrima, con il pollice della mano che stava avvolgendo il volto di Quinn con delicatezza. Gli occhi verdi dell’ex capo cheerleader – ex, perché era quasi tornata nei Cheerios, poi quell’incidente … - incontrarono l’azzurro cielo dell’altra ragazza e vi lesse una tristezza quasi iperbolica per una personcina ingenua come lei che probabilmente non conosceva i veri mali del mondo.

“Ti fa male? Devo alzarmi?” chiese, riferendosi alle gambe.

Quinn pensò che non doveva avere idea del fatto che avesse perso ogni sensibilità. Era piuttosto ovvio.

“No, io-” tentò di precisare, ma non sapeva esattamente che parole usare per non far venire fuori qualcosa che potesse sconvolgere il mondo fatato ma sano di Brittany. “E’ solo che vorrei camminare.”

Era piuttosto riduttiva come spiegazione, ma sembrò andare bene per Brittany che strinse immediatamente quell’abbraccio.

Quando stava appena cominciando a rilassarsi per quel contatto amichevole ed estremamente piacevole, Brittany si sporse a sorpresa verso di lei, stampandole un bacio dolce e appena accennato sulle labbra. Il suo primo istinto fu quello di chiudere gli occhi, poi però realizzò che doveva allontanarla. Ma era troppo tardi: Britt si era già allontanata di sua spontanea volontà, ma il sorrisetto sul suo volto faceva capire a Quinn che avevano, come sempre, un’interpretazione diversa della realtà.

“San dice che passa ogni male con un bacetto”

Non poté fare a meno di avvertire un brivido lungo la schiena a quelle parole: chiaramente lei aveva trovato piacevole – e doveva ammetterlo – quel contatto durato neanche mezzo secondo, ed era stato come approfittarsi del fatto che Brittany stesse semplicemente cercando di fare la cosa più dolce e sensibile nella sua totale ingenuità infantile: per lei quello non era un bacio, ma semplicemente una specie di medicina. Tuttavia, Quinn era sicura del fatto che non lo facesse con tutti. Quel trattamento era sicuramente dovuto alla loro triplice amicizia, ne era certa.

Tuttavia non poteva nascondere a se stessa che, dopo il caso Berry, quell’accenno di labbra non era altro che la prova del fatto che quella che aveva cercato di stabilire con la mora non era semplicemente un’amicizia da ultimo anno di liceo.

Era confusa e sapeva cosa aveva provato Santana a riguardo a quel punto. Le sembrava strano perché non le erano mai piaciute ragazze prima e si domandò se non dovesse dare la colpa dell’accaduto a quel famoso skater quarantenne del quale ormai sapevano tutti. Era probabile che quella relazione le avesse provocato una specie di disgusto per gli uomini. Ma non la trovava una spiegazione credibile perché Puck non la disgustava e neanche i corteggiamenti del ragazzino nuovo. Semplicemente cominciava ad aprire gli orizzonti verso qualcosa di inaspettato, ma le faceva male che fosse Brittany ad esserne la causa o il merito. Per quanto si sforzasse di pensare a Santana, l’unica cosa che le veniva in mente erano quelle labbra che aveva sfiorato appena. Non ricordava l’ultima volta che aveva baciato qualcuno senza scopi riproduttivi o per riavere Beth. Ed era stano perché lei era fin troppo bella per poter restare così tanto tempo con le labbra secche.

Ma non intendeva quello o forse, non se lo aspettava più che altro. Da quel giorno non l’avrebbe vista più allo stesso modo.

 

I giorni passavano. Era insopportabile. Non avrebbe mai pensato di poter sentire quelle cose per Brittany. Ogni giorno, la choir room diventava sempre più deprimente. Era seduta lì, su quella sedia, con lo sguardo basso. Non poteva alzarlo. Ogni volta che lo alzava si ritrovava le dita di Santana e Brittany intrecciate avanti agli occhi. E non avrebbe mai voluto. Non avrebbe mai voluto che facesse così male. Erano sue amiche, entrambe. Stavano insieme, si amavano. Lei non poteva mettersi tra loro.

Probabilmente un tempo, con la sua vecchia personalità, non si sarebbe fatta molti problemi. Ma era cambiata e, figurarsi se poteva spezzare in quel modo l’Unholy Trinity. Santana teneva a Brittany come a nessuno.

Ma non era neanche quello a smuoverla. La cosa che la convinceva del fatto che doveva smettere di pensarci era il fatto che quel bacio non era stato nulla: Brittany aveva semplicemente pensato che fosse un modo per guarirla magicamente. Non le aveva dato un bacio per passione o amore, lo aveva fatto per effetto. Eppure, ogni volta che la ragazza improvvisava una coreografia seria con Mike Chang o un balletto divertente con Santana, non riusciva mai a smuovere gli occhi dalle sue lunghe gambe scoperte. E non capiva come facesse Santana a non notarlo, visto che era sempre così sospettosa con tutti. Una volta aveva perfino reagito male a Blaine che si avvicinava troppo a Brittany. Insomma, Blaine. Blaine, quello gay. Forse, avrebbe preferito che Santana se ne accorgesse, così da impedirle di continuare a … desiderare la sua ragazza? Era quello che stava facendo? Non lo sapeva di preciso. L’unica cosa che sapeva era che aveva bisogno di un altro bacio, un altro dolce bacio per capire cosa le passava esattamente per la mente.

Si soffermò per un istante sulle labbra di Brittany da lontano, mentre Joe le parlava. Non aveva neanche più idea di cosa le stesse dicendo, perché la sua attenzione era tutta per quella pelle chiara. La vide sorridere e avvertì un brivido che le fece cominciare a pensare che fosse vittima di una grave cotta adolescenziale, un capriccio come i tanti che aveva avuto in quei quattro anni di liceo.

Quando lo pensò, si rese conto del fatto che non era il pensiero più utile: tutti i ragazzi che aveva voluto, bene o male, se li era presi. E non sapeva se quella regola valesse anche per le ragazze, la sua nuova passione. E non sapeva se volerlo. Da un lato sperava che quella regola valesse, così da poterla baciare ancora una volta, così da poter capire davvero cosa provasse, se le piaceva, o era solo una stupida fissa. Dall’altro sapeva che questo avrebbe significato togliere a Santana la persona a cui teneva di più al mondo. E non voleva farlo, ovviamente.

Ma era difficile. Era troppo difficile vederle sempre incollate, visto che, a differenza di Kurt e Blaine, non si facevano più problemi a baciarsi in pubblico, nei corridoi, nei bagni, in palestra. Ovunque Quinn posava lo sguardo, l’unica cosa che le si presentava avanti agli occhi erano Santana e Brittany che si baciavano, si scambiavano effusioni.

Era davvero uno spettacolo molto crudele per lei. Poi il tempo era passato. Anzi no. Il tempo non era passato, non molto, eppure sembrava una vita. Quando sentì la prima fitta profonda al cuore, quella che le fece capire che non si era trattato di un capriccio sentimentale, le arrivò dopo poco tempo. Precisamente due settimane dopo il suo rientro al liceo, in un momento nel quale si stava quasi rassegnando all’idea che, doloroso o meno, doveva accettarlo, perché le cose stavano in quel modo. Non avrebbe mai pensato di essere impreparata ad una cosa come quella, anzi, neanche sapeva che sarebbe accaduta, che le avrebbe fatto così male.

E soprattutto, non le sembrava che quel breve arco di tempo potesse sembrare più un secolo di torture, non l’avrebbe mai previsto. Eppure, proprio quel giorno capì che non era cambiato nulla nella sua coscienza dal primo momento in cui aveva cominciato a sentire. Dal primo bacio.

Era la settimana dedicata a Whitney. Schuester aveva insistito affinché dicessero addio a Whitney perché, se non riuscivano a dire addio ad una cantante, per quanto speciale e fenomenale fosse, come potevano dire addio ai proprio compagni di quattro anni?

E la cosa poteva starle bene, non aveva nulla da contestare. Il problema era che, dopo averlo evitato per tre anni, Santana e Brittany aveva improvvisamente deciso di duettare. Brittany voleva trascinarla innocentemente a ballare con lei. Aveva toccato le sue mani con le proprie mentre cantava una canzone che diceva ‘I wanna dance with somebody who loves me’. Doveva essere fin troppo crudele il mondo, come sempre. E non poteva neanche dire che era Brittany ad essere crudele, perché la ragazza non aveva la benché minima idea di quanto stesse soffrendo o di cosa pensava. Non sapeva che quel contatto appena accennato, le aveva fatto fermare il cuore per un istante.

Probabilmente la colpa era anche sua. Forse, se non si fosse allontanata e avesse continuato a vivere le cose con normalità, non sarebbe mai accaduto. Forse starle lontano, osservarla da una debita distanza non aveva fatto che aumentare il desiderio che aveva di lei.

E non era neanche quella la cosa che le aveva fatto più male.

“E Quinn … tu balli nei miei sogni, e sai anche volare e sputare fuoco!”

Rimase senza parole. Non seppe come commentarle. Non era assolutamente ferita dall’insensibilità della precisazione sulle condizioni delle sue gambe perché sapeva che in realtà Brittany stava soltanto cercando di dire qualcosa di dolce – amichevole, ma dolce, era già qualcosa -, più che altro non poteva credere al fatto che Brittany avesse quella visione di lei: una specie di mostro, drago volante che sputava fuoco? Il suo primo pensiero fu che fosse una convinzione derivata da qualche paragone sbadato di Santana, visto che riportava tutto quello che diceva lei perché lei, Santana, era la sua ragazza. Sentì un nodo alla gola e un forte bruciore al petto e si limitò ad osservarle mentre tornavano ad abbracciarsi sul palco dell’auditorium.

Abbassò lo sguardo perché cominciava a sentire gli occhi di Joe su di lei e non voleva che qualcuno se ne accorgesse. Sarebbe soltanto scoppiato l’ennesimo scandalo nel Glee, ed era l’ultima cosa della quale avevano bisogno mentre si avvicinavano alle Nazionali.

Socchiuse gli occhi su quelle due figure avvinghiate l’una all’altra e sospirò: non sapeva di preciso cosa sarebbe stata disposta a dare, che prezzo sarebbe stata disposta a pagare per essere Santana, per essere al suo posto.

 

Quando Joe la fermò per il corridoio, cercò all’istante di evitarlo e sviare la discussione. Nonostante si sforzasse di sembrare calma, almeno ai suoi stessi occhi, era evidente che stava cercando di fuggire perché i suoi arti superiori – quelli che potevano – tremavano. Aveva paura. Quinn aveva davvero paura che Joe, che era un ragazzo molto, molto sensibile, avesse potuto notare il suo comportamento strano ed interpretarlo nel modo giusto. Pensò subito a Santana, a sua nonna che non l’aveva accettata per quello che era.  E tutto era accaduto per una frase proprio in quei corridoi, non voleva che le accadesse la stessa cosa, non lo voleva, per nessuna ragione al mondo.

Quindi, quando il ragazzo le chiese come andava la terapia, Quinn dovette trattenersi dal sospirare di sollievo: Joe aveva interpretato la sua espressione come un’espressione di dolore dovuta al riferimento che Brittany aveva fatto alle sue gambe. Per un istante, desiderò scoppiare a ridere per allentare la tensione causata da quel fraintendimento. Non era accaduto niente. Nessuno aveva notato che la sua espressione facciale non era dovuta a terapie o ad incidenti d’auto, ma semplicemente a sentimenti nuovi che non potevano essere soddisfatti in alcun modo. Quando le chiese se poteva accompagnarla, Quinn ci pensò un istante, poi accettò. Accettò perché sapeva che quel ragazzo era sincero, teneva davvero a lei. L’avrebbe distratta. Le avrebbe fatto pensare a qualcosa di diverso dalle labbra di Brittany, ne era sicura, quantomeno il tempo necessario per diplomarsi, poi non l’avrebbe vista se non occasionalmente. Avrebbe rimosso tutto, avrebbe una nuova vita.

Forse.

 

Le ultime settimane erano passate fin troppo in fretta. Nonostante fosse tranquilla sul diploma, non poteva che avvertire un minimo di ansia. Aveva provato a risistemare le cose con Rachel – voleva davvero rimanere in contatto con lei, nonostante l’ambiguità del loro rapporto – e con Puck, perché era sempre stato importante per lei e credeva che lo fosse abbastanza da distrarla.

Non aveva funzionato.

Non era riuscita a togliersi per un istante il sapore delle labbra – assaggiate appena - di Brittany, dalla mente. Quando vide Santana abbracciarla prima di prendere il diploma, non poté fare a meno di notare che la bionda era vestita come lei si vestiva di solito. Sorrise appena, tristemente, non potendo fare a meno di pensare che non significasse nulla e che stava cominciando ad avvertire i brividi per ogni singola cosa. Aveva aiutato Puck a diplomarsi, aveva dato il biglietto a Rachel, tutto stava per cambiare. La sua vita sarebbe stata nuova ed era certa del fatto che avrebbe trovato qualcosa di diverso, o meglio, qualcuno di nuovo per cui provare tutte quelle cose.

Si sentiva così positiva perché forse era stata negativa tutto l’anno. Era giunto il momento di essere ottimista e nessuno glielo avrebbe portato via. Forse.

Il diploma era stato doloroso, felice, ma doloroso, perché rappresentava il momento in cui la vita reale cominciava, in cui non ci si poteva più nascondere nei desideri e nei sogni adolescenziali, ma bisognava iniziare ad affrontare le complicazioni.

Quindi quel desiderio che aveva della sua compagna fra l'altro impegnata – e soprattutto, era una ragazza – doveva sparire perché rappresentava semplicemente una di quelle cotte da liceali che dovevano assolutamente finire assieme a quell'anno.

Se non riusciva a superare il vedere Santana con Brittany, come poteva affrontare la vita da adulta?

La cosa la tormentava così tanto che non riuscì neanche a gioire della cena che stavano organizzando i ragazzi del Glee per festeggiare il diploma. Si limitò a sorridere quando Artie gliene parlò, invitandola come stava facendo con tutti, ma dentro sapeva che avrebbe preferito evitare di vederle insieme, ad abbracciarsi e baciarsi al Bel Grissino. L’ultima volta che era successo, era tutto normale, lei cantava per loro, perché era sinceramente felice del fatto che avessero trovato l’amore l’una nell’altra.

Eppure, in così poco tempo, ogni cosa era cambiata, ogni cosa da quel primo bacio.

 

Quinn si stupiva del fatto che la cosa che più la tormentasse di tutto quello che stava accadendo fosse il fatto che conosceva Brittany da sempre. In un certo senso, avrebbe dovuto farla sentire a suo agio il fatto che stesse capitando con una persona così cara, ma dall’altro sapeva che era un fattore che rendeva semplicemente ogni cosa più complicata. E non era piacevole come situazione.

Si sedette sull’altalena nel giardino con un cono gelato tra le mani per celebrare probabilmente l’inizio dell’estate. Da quando sua madre aveva cacciato via suo padre per quella relazione adultera, la casa era stranamente più tranquilla e ormai piacevole, perché lei e Judy avevano allontanato ogni tipo di rimorso e avevano riacquistato quel rapporto che avevano prima della gravidanza.

Cominciò a dondolare, ma quasi subito il suo sguardo fu catturato dall’erba – sempre curata e tagliata con precisione – e subito si soffermò su quel prato familiare. Le ci volle qualche secondo prima di riuscire a mettere a fuoco cosa stesse succedendo nella sua mente: per quanto tentasse di imporsi di fare il contrario, il suo cervello non riusciva a fare altro che collegare rapidamente ogni singolo elemento che la circondava a Brittany e, doveva ammetterlo a se stessa, quel collegamento apparentemente bizzarro non era neanche troppo immotivato. Negli ultimi giorni aveva collegato a lei – al pensiero di perderla per sempre, visto che il liceo era finito – qualsiasi cosa la circondasse: penne che le aveva prestato, trucco che aveva usato per prepararla, vestiti che si erano scambiate, tazze che aveva usato quando aveva fatto colazione da lei. Invece, dovette ammetterlo, quello era diverso. Per la prima volta dal diploma, stava veramente ricordando qualcosa di sensato, non di forzato, qualcosa di naturale.

Un sorriso nacque spontaneamente sul suo volto mentre un lontano ricordo si faceva spazio nella sua mente, che stava già cominciando a riprodurre delle figure su quel prato, sotto un cielo poco diverso da quello di quella giornata di Giugno. Era come se avesse assistito a quella scena, anche se in realtà l’aveva vissuta in prima persona, per come le si stava sviluppando davanti agli occhi.

Per quanto le facesse male ammetterlo doveva rendersi conto del fatto che non avrebbe mai potuto dimenticarla finché sua madre non avesse cambiato casa: certo, sarebbe stata a New Haven per la maggior parte del tempo, ma non poteva negare che ogni volta che sarebbe tornata a casa avrebbe pensato inevitabilmente a lei, passando per quel prato per raggiungere di ingresso,  o per uscire di casa, o per mangiare un gelato, o per andare incontro al ragazzo delle pizze.

Chiuse gli occhi e le sembrò di riuscire a vedere ogni cosa, di riuscire a vivere quel giorno di nuovo. Le sue palpebre si spalancarono di nuovo e quel secondo di rapidissimi flashback le permise di ricordare ogni singolo dettaglio. E seppe che, come non lo aveva fatto dopo tutti quegli anni, non sarebbe mai stata capace di dimenticare il giorno in cui aveva conosciuto Brittany S. Pierce.

 

 “Lucy!” la chiamò sua madre, ma lei era troppo presa a giocare con la sua barbie sul prato per prestarle attenzione. “Lucy, vieni qui!”

Il tutto dovette ripetersi ancora per una dozzina di volte prima che la bionda potesse convincersi ad alzarsi, darsi una sistemata al vestitino estivo, afferrare la propria bambola, e scattare verso sua madre, che era ancora intenta a parlare con quelle persone strane che lei non aveva mai visto.

Si avvicinò ai fianchi di sua madre, che avvolse immediatamente le sue tempie con le mani, accarezzandole dolcemente. Notò immediatamente di non essere l’unica bambina: una bimba bionda con gli occhi chiarissimi era di fronte a lei. Con lo sguardo, seguì la sua figura fino a quello che aveva tra le mani: un unicorno rosa.

“Lucy, lei è Brittany” le fece sua madre indicandola. Lucy si nascose timidamente dietro sua madre che però la invitò con un gesto della mano ad avanzare. Lei la guardò per un istante, poi decise di fidarsi, perché era la sua mamma. Avanzò e porse la mano all’altra bimba, ma questa non la prese.

“E’ un gioco?” le chiese con un accento strano. Lei batté le palpebre e piegò la testa sul lato, confusa. “Perché devi spiegarmi le regole, altrimenti non posso giocare”

“Va bene” fece Lucy, senza capire a cosa si riferisse: era solo una stretta di mano. Ma decise che voleva essere amichevole con lei “te le insegno, se vuoi”

La vide titubare un istante, esitante, mentre giocava nervosamente con l’unicorno tra le sue mani.

“Va bene!” esclamò ad un certo punto, prima che potesse vedere Lucy scattare verso l’altalena. Brittany attese un cenno di permesso da sua madre e, non appena arrivò, scattò, rincorrendola per tutto il prato.

 

Quel ricordo, il loro primo incontro da bambine, era tanto dolce quanto doloroso. E sapeva di non poterci far nulla. Aveva sprecato l’ultimo periodo del liceo a sopravvivere con l’idea che l’avrebbe dimenticata appena tutto sarebbe finito. Invece, la cosa divertente – e deprimente, ma si sforzava di non definirla così – era che Quinn era seduta su quella panchina, in piena estate, e, invece di pensare allo svago prima del college, non faceva altro che ricordare tutti i bei momenti che aveva vissuto con Brittany. Sì, era messa davvero male e aveva fallito decisamente tutti i piani. Ma ci avrebbe riprovato. Ci avrebbe riprovato perché non esisteva soluzione alternativa al dimenticarsi di lei, era la cosa più giusta. Anche se non era semplicemente considerato tutti i ricordi che avevano insieme.

 

Lucy non avrebbe mai pensato di vedere la propria barbie a cavallo di un Unicorno, ma doveva ammettere che le sembrava piuttosto felice di quel nuovo mezzo di trasporto. E l’unicorno di Brittany non sembrava infastidito da quel gioco. Benché dovesse ammettere che era un giocattolo curioso e particolare, non poté fare a meno di trattenere la propria curiosità.

“Perché non giochi con una bambola?” chiese, mentre stavano accovacciate sul prato a giocare. Brittany alzò la testa, guardandola quasi come se fosse pazza, e Lucy si chiese cosa aveva dovuto dire di male per provocare quell’espressione.

“Perché?” chiese, battendo le palpebre confusamente. Non sapeva se Brittany aveva davvero capito la sua domanda da come stava reagendo. In fondo, era una bambina molto strana. “Perché le bambole le hanno tutti” fece, dopo qualche secondo di esitazione, prima di muovere le spalle “A me non piacciono le cose che hanno tutti. Un unicorno è magico, è speciale.”

Lucy ascoltò attentamente tutto il suo discorso, tutte le sue spiegazioni fantastiche e allusive sugli unicorni e la confondevano molto. Non era certa di capire tutto alla perfezione, ma qualcosa le diceva che, semplicemente, non poteva capire tutto alle perfezione, le cose non sarebbero andare in quel modo. Ma, quando il discorso fu terminato, era quantomeno certa di una cosa: Brittany sarebbe sempre stata particolare – non sapeva se nel bene o nel male – e avrebbe osservato l’universo in un modo che loro non avrebbero potuto neanche ipotizzare invece. In quel momento si sentì piccola rispetto alla visione che la sua nuova amichetta le aveva dato del mondo e pensò che probabilmente quella teoria l’avrebbe portata ad essere considerata una specie di genio in un futuro lontano. A differenza sua, lei giocava semplicemente con le bambole.

 

Tornò alla realtà, ancora una volta e decise che doveva allontanarsi da quel prato perché non sarebbe stata capace di superare tutto ciò che stava accadendo nella sua mente. Tornò in casa e sua madre era lì ad aspettarla, pronta per una cena sobria tra donne di famiglia.

Passarono la sera a parlare dei programmi per il college, di tutto ciò che aspettava Quinn, e, soprattutto, con suo grande stupore, parlarono di ragazzi. Sua madre le fece presente che era già successo una volta che le capitasse di essere vittima dei desideri ormonali degli uomini – nonostante Quinn, da femminista, gli avesse reso presente il fatto che lei non era stata da meno – quindi doveva stare molto attenta a come si creava la sua nuova vita. Quinn evitò di parlarle di tutto quello che stava accadendo dentro di lei: sua madre era profondamente religiosa e non voleva rischiare di essere cacciata dalla casa, un po’ come Santana con sua nonna. Avrebbe voluto dirle che, per come vedeva le cose in quel periodo, non c’erano molte possibilità di gravidanza. Non aveva molto interesse negli uomini quindi non sarebbe stato un problema. Si tenne quella spiegazione per sé e tentò di sembrare semplicemente una ragazza pentita dei propri errori.

Dopo cena, tornò in camera sua, quella camera che non avrebbe più usato a lungo, e si concesse un po’ di tempo al computer perché non aveva fatto programmi per quella sera, sfortunatamente.

Effettuò l’accesso a Facebook e notò all’istante che era stata aggiunta ad un gruppo di conversazione. Sorrise non appena lesse tutte le sciocchezze che stavano scrivendo.

Kurt Hummel: non ti camminerò dietro portandoti il caffè.

Rachel Barbra Berry: chi ha detto che devi? Non abbandonarmi, ti prego!

Kurt Hummel: mi limiterò all’officina.

Mercedes Jones: potreste parlarne in privato? Non è a questo che serve il gruppo!

Mike Change: *mangia pop corn*

Artur Solid Snake Abrams: *ruba pop corn*

Rachel Barbra Berry: Mercedes, ti pregherei di capire, Kurt non vuole seguirmi.

Mercedes Jones: Chi vorrebbe seguirti, Rachel?

Quinn era sicura del fatto che le facesse ancora uno strano effetto leggere il nome di Rachel. Non era chiaramente come leggere tutti gli altri nomi, aveva qualcosa di diverso, lo sapeva. Era speciale.

Blaine Anderson: Io gli ho detto che dovrebbe, sono con te. Forse.

S. Lo: i por favor ! Potreste smettere di intasarmi la chat con tutte le vostre inutili e smielate conversazioni da amiconi del cuore?

Leggere quel  nome le fece ancora più male, anche se non era scritto per intero. Non poteva credere di essersi spostata dal prato per non pensare a Brittany e di essersi ritrovata Santana e Rachel su Facebook. Sembrava quasi che l’universo ce l’avesse con lei. L’unica sua consolazione era che la bionda non sapesse usare la chat, quindi quantomeno avrebbe evitato di parlare con lei.

S. Lo: almeno dite qualcosa di utile! Perché non organizziamo un’ultima cena tutti insieme con musica, lacrime e tutte quelle cose pallose che piacciono a voi sdolcinati!

Decise che doveva uscire all’istante da quella conversazione. Chiuse il social e spense il computer a velocità della luce. E non che non volesse andarci per qualcosa, ma se doveva chiudere quel capitolo doloroso, non poteva soffrirne ancora. O forse – pensò – sarebbe stata l’occasione giusta per dire definitivamente addio alla sua vita liceale e mettersi in pace l’anima. In effetti, non era proprio la peggiore delle idee: certo, avrebbe fatto male, ma l’avrebbe aiutata a capire che, dopo mesi e mesi, non era cambiato nulla e lei continuava a non avere speranze. Sì, decise che avrebbe controllato quei messaggi per informarsi, ma, in quel preciso istante, l’unico desiderio che aveva era quello di infilarsi sotto le coperte e riposare la mente, fin troppo stremata dai pensieri sull’infanzia.

Ma era tutto un’illusione perché, non appena si mise sotto le lenzuola e poggiò la testa sul cuscino, chiudendo gli occhi, un’altra riproduzione quasi cinematografica partì. E non appena quel ricordo si fece spazio nel suo cervello, si rese conto del fatto che sarebbe stato probabilmente molto più doloroso degli altri, che comunque non erano proprio il massimo. Tentò di scacciarlo via, battendo le palpebre, ma alla fine, quando i suoi occhi si chiusero stanchi, non poté fare a meno di perdersi in quel ricordo.

 

Quella sera, i genitori di Brittany avevano qualcosa da festeggiare – un ‘anniversario’ le aveva detto sua madre, e lei non sapeva di preciso cosa fosse – quindi sua madre si era preoccupata di tenere Brittany e sua sorella come ospiti. Suo padre era fin troppo impegnato con chissà quale lavoro impegnativo, e la sorellina di Brittany era troppo piccola per voler davvero giocare con loro, quindi sua madre si impegnava a tenerla occupata al piano inferiore con i cartoni, visto che avrebbe potuto passare ore a bocca aperta a contemplare quelle figure colorate in movimento.

Lucy e Brittany salirono al piano di sopra, già prontamente in pigiama, - pigiamoni pesanti per quella sera d’inverno – rincorrendosi per le scale, stando comunque attente a non cadere. Raggiunsero la camera di Lucy e si tuffarono sul letto: nonostante sua madre avesse insistito affinché Brittany potesse avere tutta la stanza degli ospiti a disposizione per sé, era ovvio che avrebbe dormito insieme, piuttosto.

“Che facciamo?” domandò Lucy, sedendosi a Buddha e portando le manine sulle ginocchia. Brittany si mise un indice sulle labbra, pensierosa.

“Non lo so,” le rispose, prima di far ruotare gli occhi, poi sembrò illuminarsi, “perché non mi racconti una storia?”

Lucy arricciò le labbra, poi sbuffò rumorosamente, non perché non le piacesse l’idea ovviamente.

“Non sono brava a raccontare le storie” le rispose, quasi dispiaciuta, “tu sei più brava!” le fece presente visto che aveva una fantasia smisurata.

“Ma io non voglio raccontare una storia,” fece Brittany portando le braccia al petto, “voglio sentire una storia, prima di andare a dormire.”

Lucy abbassò lo sguardo, cercando di farsi venire in mente qualcosa: dal tono che aveva usato era certa del fatto che Brittany non si sarebbe addormentare senza sentire la sua storiella.

“Va bene,” le fece, cominciando a sedersi con la schiena contro il cuscino, Brittany si stese con la pancia sul materasso e le mani sotto il mento, in attesa della sua storiella, “c’era una volta, …”

Alla fine non poteva dire di essere soddisfatta della storiella che le aveva raccontato, ma non era quello l’importante: l’importante era che piacesse a Brittany e sembrava che le piacesse sul serio perché un istante dopo aveva gattonato verso di lei, alzando le coperte.

“Ora possiamo andare a nanna!” fece, battendo le mani e infilandosi rapidamente sotto le coperte. Lucy la guardò confusa.

“Non mi racconti la tua storia?” domandò, imitandola però all’istante. In effetti, cominciava a sentire la stanchezza.

“Non oggi,” le fece Brittany, poggiando già la testa sul cuscino, e socchiudendo gli occhi, “un giorno forse.”

E dopo quelle parole si addormentarono entrambe. E Lucy non aveva idea di cosa significasse quel ‘ non oggi’.

 

Quinn dovette riaprire gli occhi e non seppe se era per la leggera fitta che stava provando al cuore o per quella improvvisa realizzazione: alla fine, non aveva mai sentito quella storia e, accortasene, probabilmente stava già cominciando a desiderare che gliela raccontasse. Ma non poteva perché l’unica cosa che voleva evitare era proprio quella: vederla, sentire la sua voce e tutti i sentimenti che ne conseguivano. Eppure era in evidente contraddizione col fatto che aveva deciso di chiudere quella questione una volta per tutte. Si sforzò di prendere una decisione definitiva ma aveva come l’impressione che quel momento non sarebbe mai arrivato. Passò una buona mezz’ora a contemplare rischi e perché di una scelta e dell’altra, ripetendoseli, analizzandoli con cura. E comunque le sembrava di essere troppo superficiale. Era una scelta così complessa che i suoi pensieri sfociavano continuamente in fase intermedia tra veglia e sonno.

Quando si rese conto del fatto che si stava lentamente addormentando decise che doveva giungere ad una conclusione, sbagliata o corretta che fosse. Se ne sarebbe assunta successivamente la responsabilità, pagandone le eventuali conseguenze. La cosa più importante per lei era prendere una strada, una strada qualsiasi, ma prenderla con decisione. Non aveva la lucidità necessaria per pensarci quindi si doveva semplicemente buttare in una di quelle due direzioni. Cominciò a battere le palpebre, rendendosi conto del fatto che ormai il sono la stava prendendo. La buttò lì, si concesse per l’ultima volta quella domanda: ‘vado o non vado?’

E la risposta fu . 

 

Era visibilmente tesa, davanti a quello specchio. E nel momento stesso in cui si rese conto del fatto che era nervosa. Aveva passato un bel po’ di tempo a scegliere cosa mettersi, come farsi i capelli, e quello non era affatto un buon inizio. Ma si era ripromessa di prendere una decisione e di affrontarne, in ogni caso, le conseguenze. E Quinn Fabray non ritornava mai sui propri passi.

Inconsciamente aveva finito per indossare quel vestito bianco e rosa di San Valentino e si era resa conto del fatto che forse il suo inconscio lo aveva fatto per ricordarsi di Brittany e Santana. Insieme.

Probabilmente, la sua mente l’aveva costretta ad indossare quello perché voleva ricordarle quanto ci aveva tenuto a cantare per loro a San Valentino, quanto ci teneva che le sue amiche fossero davvero felici, e che non doveva mettersi tra loro. Per quanto potesse far male, doveva guardare le loro scenette dolci col sorriso sulle labbra.

Se lo impose.

 

Ma non funzionò. Nel momento in cui mise piede nel BelGrissino, si ritrovò Santana e Brittany sedute al loro tavolo. Santana stava mantenendo le ciliegie in mano e la bionda si sporgeva in avanti per mangiarle. Era una scena così dolce e la costrinse a bloccarsi all’ingresso, con Mercedes e Sam che le passavano accanto, superandola.

Ma era bloccata. Era bloccata perché stava rivivendo un altro di quei momenti, leggermente più recente.

 

 “Quinn?” domandò Brittany, sorpresa nel vederla entrare in camera sua, ma felice. Scattò dal letto verso di lei per abbracciarla, entrambe con l’uniforme dei Cheerios addosso.

“Sono venuta perché tua madre mi ha detto che avevi bisogno di una mano con la matematica,” le fece, passandole accanto e sedendosi alla scrivania. Osservò il piattino con la frutta, accanto a lei.

“Solitamente mi aiuta Santana, ma ultimamente è sempre con Puck” rispose Brittany, indicando le ciliegie, notando che le stava osservando, “volevo usarle nella puntata di Fondue For Two per una nuova ricetta comprendente la fonduta e la macedonia, ma non ho trovato altra frutta nella piantina nel salotto, quindi …”

Quinn inarcò le sopracciglia perché non era ancora abituata a tutto quello che continuava a dire. Da bambine forse, aveva senso. In fondo, avevano più o meno la stessa visione del mondo. Ma, in teoria, erano cresciute, quindi … suonava un po’ strano, ed era dir poco.

“Beh, credo che dovremmo cominciare.”

Provò a motivarla, ma Brittany era già seduta accanto a lei e stava prendendo una ciliegia. La osservò attentamente mentre la sollevava da quel piattino per portarla alle labbra e staccarla dal grappolo. Distolse lo sguardo – a quei tempi non sapeva perché di preciso – e tornò alla scrivania, prima di aprire uno di quei cassetti che conosceva bene e tirarne fuori un quaderno.

Ma con la coda dell’occhio, non poté fare a meno di notare che Brittany stava buttando giù una ciliegia dopo l’altra.

“Brittany, credo che dovremmo studiare,” le fece presente, voltandosi verso di lei, “sai che se non passi il test di matematica verrai bocciata, vero?”

Brittany fece semplicemente spallucce, “non sono comunque abbastanza intelligente per il college, quindi non ha molto senso finire il liceo.”

Quinn si voltò totalmente verso di lei, anche con il corpo.

“Certo che lo sei, Brittany,” la corresse all’istante, guardandola negli occhi, “sei fantasiosa, non stupida.”

Brittany spostò la testa sul lato, incuriosita.

“Quindi non verrò bocciata? Ci tengo a fare il terzo anno con voi …” mormorò, un po’ dispiaciuta già al pensiero di non farcela.

“Lo farai. Faremo il terzo anno insieme. Dobbiamo soltanto deciderci ad aprire questo libro” le disse, indicandoglielo. Brittany sorrise e allungò il braccio, raggiungendolo. Lo tirò giù sulla scrivania e lo aprì.

E Quinn dedusse che stavano cominciando davvero male, perché dovette distendere il braccio per girare il libro, visto che lo aveva aperto sottosopra. Ebbe all’instante la sensazione che si sarebbe trattato di una missione, ma dovevano farcela. Ce l’avrebbero fatta. Non esisteva che osassero bocciare Brittany. Prima di tutto, era nei Cheerios, e la coach Sylvester non lo avrebbe mai permesso.

“Cominciamo?” domandò sorridendole, anche se, in fondo, sapeva che sarebbe stato un compito poco felice e rilassante. Una guerra.

 

Ma alla fine ce l’avevano fatta. Ed era decisamente triste di non poter dire la stessa cosa di quell’ultimo anno. Non aveva idea del perché Brittany non avesse chiesto nessun tipo di aiuto per il senior year, ma di certo le dispiaceva che fosse stata bocciata. Ed era lì con Santana e presto, almeno fisicamente, si sarebbero separate.

Quinn non esitò ulteriormente, perché le sembrò di star bloccando già abbastanza l’ingresso. Camminò fermamente, fingendo che tutto andasse bene, fingendo come era abituata a fare da un bel po’ in realtà. Si avvicinò a loro, col sorriso sulle labbra. E Brittany le rivolse subito un sorriso dolce che la uccise.

“Hey!” fece Santana, indicandole il posto a sedere accanto a lei. Per un istante, Quinn pensò che fosse troppo, pensò che non poteva stare seduta di fronte a loro. Poi si ricordò cosa si era ripromessa e non voleva in alcun modo essere debole o magari fargli pensare che potesse esserci qualcosa che non andava. Quindi sorrise semplicemente e si fece spazio, sedendosi accanto a Santana e di fronte a Brittany. Un istante dopo, la ragazza di Santana fu affianca da Sugar. Sì, doveva ammettere che era un tavolo piuttosto bizzarro.

“Non sei al tavolo con l’elfo dei boschi?” domandò Santana, un po’ pungente, ma Sugar non sembrò darle molto corda.

“Non pensavo fosse una serata per coppiette,” si affrettò a rispondere comunque, “pensavo dovessimo stare tutti insieme!”

Santana fece una smorfia, quasi prendendolo come un riferimento personale al fatto che lei e Brittany si stavano tenendo per mano sulla tavola. Ma non lo era, in realtà.

“Pensavo ci fossero i clown, Santana mi ha detto che c’è il migliore dei pagliacci esistenti!” si lamentò Brittany, e Sugar e Quinn guardarono confuse l’ispanica che però si voltò verso la porta che si stava aprendo.

“Eccolo, infatti,” fece, puntando l’indice in maniera neanche poco discreta in direzione di Blaine, che però filò dritto verso il tavolo di Rachel, Puck e Finn, fingendo di non notare che lo stava indicando.

Sì, perché avevano notato tutti che da quando lui e Kurt non stavano più insieme, Santana aveva smesso di essere gentile con lui e aveva tirato fuori tutti gli insulti che si era segnata nei mesi precedenti.

“Volevo un pagliaccio vero!” si lamentò Brittany, arricciando le labbra in maniera tenera. E Quinn avrebbe voluto morire a quella visione perché sapeva che non avrebbe avuto più possibilità di toccare quelle labbra. Non poteva fare a meno di soffrire alla visione di quel rosa morbido che si espandeva sul suo volto con naturalezza. Poteva soltanto contemplarlo da lontano.

“Allora, Quinn,” fece Santana, voltandosi verso di lei ed interrompendo quell’afflusso gravoso di pensieri che era un bene interrompere. Anche se, il fatto che fosse proprio la voce di Santana a farlo non era molto d’aiuto. Per un istante si chiese se non fosse la sua coscienza ad aver assunto improvvisamente il tono dell’ispanica, “come te la passi?”

Guardò le tre ragazze che aspettava una risposta curiosa e seppe che aveva scritto in volto che non era felice. Ma non poteva essere felice perché aveva seduta di fronte a lei la ragazza che desiderava che voleva sapere se andava tutto bene e lei non poteva dirle che non andava tutto bene a causa sua e di quello che aveva paura di provare per lei.

Deglutì lentamente, pensando che non esisteva nessuna buona ragione al mondo per lasciarsi andare alla vera risposta a quella domanda.

“Sto bene” ed era la più grande bugia del mondo perché ogni singola particella del suo corpo ancora più confuso dopo quella serata, stava tentando di dirle che non avrebbe sopportato ancora a lungo quella tortura, “è solo un po’ di stanchezza, sto preparando i seminari e sono un vero stress.”

Sentì che doveva giustificarsi perché il suo pessimo umore purtroppo aveva preso la meglio. Non poteva nasconderlo, ma al massimo mascherarlo e confonderlo con la stanchezza.

“I seminari sono i binari che imboccano i semi?” domandò improvvisamente Brittany, strappandole un sorriso immediato perché non riusciva a cambiare mai, perché non riusciva ad essere nulla di diverso da quello che era sempre stata.

E Quinn ricordava esattamente quella passione che aveva quando era bambina, quella passione per i semi di girasole.

Con la coda dell’occhio fu certa di aver scorto Santana guardarla in modo strano. Perché a Santana Lopez non sfuggiva nulla, soprattutto se riguardava Brittany, figurarsi quel sorrisetto ad occhi sognanti. Non che importasse molto, in fondo, perché Brittany apparteneva inevitabilmente a lei, e non esisteva alcuna possibilità che le cose cambiassero.





RenoCorner

Okay, ho fatto una cosa un po' più triste e meno ship, ma è un po' come il primo giorno della Faberry Week, non volevo farle tutte con gli stessi finali. Spero voi abbiate gradito lo stesso <3
Grazie mille <3
xoxo RenoLover <3

   
 
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