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Autore: burnt    19/07/2012    7 recensioni
Hermione Granger ha vissuto tutta la vita con sua madre e ora che lei è malata e costretta nel suo letto, non ha i mezzi per curarla e mantenere l'affitto della casa. Un giorno, grazie al suo amico Morgan, un pittore, viene assunta come cameriera nella casa dei signori Malfoy e la sua vita sembra filare liscia, non fosse per le continue frecciatine che il giovane rampollo le tira e quel sentimento che divampa in lei, giorno dopo giorno, minacciando di ucciderla. Fino a quando, non viene a conoscenza del problema che minaccia di radere al suolo Parigi e si rende conto di non avere tempo per l'amore, conoscendo i responsabili che l'hanno causata. A quel punto, si limiterà a proteggere i suoi cari dalle grinfie del male e chissà che quel qualcuno che credeva il nemico fino a quel punto, non possa essere per lei motivo di scoperta e amore.
Genere: Drammatico, Erotico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Draco Malfoy, Hermione Granger, Nuovo personaggio, Un po' tutti | Coppie: Draco/Hermione
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Altro contesto
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Nouvelle lune
Parigi 1482 




I.
Prologo






 
La torre più alta del castello era anche un luogo di rifugio per il giovane rampollo della casata dei Malfoy di Auritz-Burguete.
Vi aveva allestito all’interno un piccolo studio, con una libreria ricolma di cento volumi posta contro la parete accanto alla finestrella e i ritratti dei più svariati pittori, dal gotico al dorico, davano bella mostra di sé sulle pietre delle pareti. Comunque, da lassù aveva una splendida vista su tutta la città e diversamente da come volevano fargli credere, c’era tanto di più da esplorare là fuori, in mezzo al fango, che tra le mura della sua casa vestita d’oro e d’argento.
Dio solo sapeva che tipo d’uomo fosse lui all’età di ormai ventidue anni; ricco di virtù, senza macchia e senza peccato, condannato a vivere tra le fiamme dell’inferno e considerato protettore della feccia che dava bella mostra di sé da sotto quella torre.
E poi… poi c’era lei, dannazione; una sguattera che vedeva alle cinque in punto di ogni santo giorno passare di là e svoltare sempre al solito stesso stancante e nauseabondo angolo. Una sguattera che probabilmente doveva vendere se stessa e il proprio onore per campare e non marcire in una Parigi nemica e affascinante come quella e c’era lui, intanto, che non riusciva a togliersela dalla testa comunque. E a volte, si faceva strani pensieri su di lei, chiedendosi al tatto come dovessero essere quei capelli così stopposi e indomabili, la scintilla che illuminava il suo sguardo fiero e possente, le labbra rosee e la corporatura esile, quasi dovesse sgretolarsi al solo tocco. Erano tutte cose cui aveva già una risposta, alla fin fine, ma non nel modo in cui avrebbe sperato di averla - possederla - e si chiedeva, dove andasse e chi altri fosse se non una semplice sguattera, la solita poco di buono dei bassifondi. Una sguattera, una serva, che aveva cominciato a corrodergli l’anima da quando l’aveva incontrata nella piazza di fronte al Notre-Dam quel mattino.
Maledetta.
La ricordava in trappola, poiché lei era così che doveva essersi sentita e distrutta, ferita, impaurita di fronte al suo padrone.
Una sporca e insopportabile pezzente.
Che fosse maledetta lei e chi l’aveva messa al mondo…
«Tu perché non guardi dove metti i piedi, lurida pezzente
Il cocchiere aveva rischiato di investirla, quando lei aveva attraversato la piazza e il cesto le era scivolato dalle mani a terra. Non avevano detto una sola parola, comunque, né lei né il cocchiere.
Draco Malfoy dal finestrino si era sporto e aveva osservato quell’intralcio disturbare il loro passaggio e, a quel punto, non aveva potuto che infierire su di lei proprio come si fa su qualcuno con cui si ha un conto in sospeso da anni.
La sguattera era rimasta a terra, fino a quando la sua voce non l’aveva punta ed era riuscita a sollevare il suo sguardo fiero e oltraggiato su di lui. C’era stato un passaggio però, dal mortificato e lo spaurito, allo sconforto e l’orgoglio ferito di una donna che non voleva ammettere ciò che effettivamente era e sarebbe rimasta: una sguattera, una serva, una nullità di strega.
Sentendosi minacciato da quell’insolita presa di posizione da parte di una popolana – ah, si sarebbe fatto una bella risata più tardi! –, era sceso dalla carrozza e a piccoli passi l’aveva raggiunta; e poi, circondato da una folla di popolani irrequieti, le aveva sollevato il volto col bastone e si era chinato in ginocchio alla sua stessa altezza. Quella giovane aveva potuto costatare avesse un viso semplice, la forma regolare, costuito da una morbosa ed estenuante tranquillità che metteva addosso sola angoscia pura; era sporco e scialbo, tuttavia e  i capelli scarmigliati le arrivavano sino ai fianchi, come da perfetta cornice per quei suoi occhi castani, profondi e possenti uno sguardo indelebile che rimaneva appiccicato come l’olezzo dei suoi abiti alla pelle.
«Che cosa volete da me?» si era sentito dire dalla sguattera. Dalla sgualdrinella di passaggio. «Non è abbastanza ciò che mi avete fatto? Mi avete investito!»
Non aveva neanche fatto un buon lavoro, il cocchiere, se era ancora viva e lì che si lamentava starnazzando furiosa. Oh, ma da dove arrivavano poi, tale ardimento e freddezza d’animo? Avrebbe dovuto farle capire una volta per tutte con chi aveva a che fare e rispedirla nella merda di Parigi da cui proveniva.
«Come osi adottare un simile linguaggio con me?! Io appartengo alla famiglia aristocratica dei Malfoy di Auritz-Burguete. Sono il figlio del conte Lucius e di sua moglie, la contessa Narcissa Malfoy. Io sono il loro legittimo erede e tu nient’altro che il lerciume che ho attaccato alla suola delle scarpe.»
Per un attimo era rimasta sorpresa nel conoscere la sua identità e le labbra del conte si erano incurvate in un sorriso sottile, prima che negli occhi della giovane tornasse vivida la scintilla dell’umiliazione ed esplodesse in una furia ceca; e quello sguardo che non avrebbe più dimenticato e che lo trafisse all’istante.
Dovette allontanarsi, mentre lei tornava in piedi distrutta e ferita, il vestito strappato lasciava intravedere le sue gambe – la perfezione – da cui ora colava sangue alle ginocchia.
«Perdonate, monsieur Malfoy,» e fu il modo in cui lo pronunciò a fargli accapponare la pelle «quest’umile sguattera che non si era resa conto della crudeltà del suo padrone…» dentro di sé la giovane aveva tentato di contenere il flusso esagitato del suo rancore, ma non le era stato possibile dare un fermo alla sua prossima disfatta. E aveva proceduto. «…che volentieri l’avrebbe ammazzata pur di continuare su quella strada e non attendere il mio passaggio. Perdonate, perdonatemi, brav’uomo.»
Dio, e si prendeva anche gioco di lui!
Rimase inchiodato sul suo posto e ferito nell’orgoglio, nel suo sangue, non vide più nient’altro se non quella strega, quella sguattera che lo stava condannando alle peggiori delle umiliazioni. Afferrò la bacchetta che nascondeva sotto la redingote e gliela puntò dritta contro la tempia, vedendola chiudere gli occhi e assottigliare le proprie labbra in attesa di una morte certa cui non avrebbe chiesto perdono. Infatti, non chiese scusa e non si ritrasse a quel colpo prossimo a mandarla dritta all’inferno. Neanche tentò di difendersi, magari cercando la propria arma da qualche parte nelle gonne…
«Maledetta…» sussurrò tra le labbra e fu un suono talmente impercettibile che soltanto lei percepì, così vicina a lui da sentire l’odore del cuoio delle scarpe pungerle le narici e il suo alito carezzarla rudemente.
«Maledetta!» fu l’ultimo grido, prima di prenderla per i capelli e riporre quella bacchetta con cui non aveva avuto il coraggio di scalfirla, per un motivo o per un altro.
La sentì gemere dal dolore e tenersi sulle punte dei piedi, mentre soffriva. Lo schiaffo che percepì sulla pelle nuda, nel volto, fu qualcosa di talmente forte e sgradevole che cadde a terra in un tonfo sordo, mentre la folla si sparpagliava, togliendosi di mezzo dalla strada, che le provocò la fuoriuscita del sangue.
Non l’aveva uccisa.
Era ancora viva.
Rimase a terra, priva delle sue forze, a sfiorarsi la guancia e a chiedere aiuto a un pubblico che pur avendo assistito alla scena, non aveva voluto prestarle soccorso. E cadde addormentata, sopra le pietre di un pavimento sudicio e sporco, dal quale non seppe come risvegliarsi.
E ora il conte era lì, affacciato a quella torre ad aspettare il suo arrivo, con i capelli al vento e i piedi nudi che le ricordava, a invocare i santi che fermassero deplorevoli i suoi pensieri impuri verso quella pezzente che lo aveva gettato nel baratro di un pensiero fisso.
Non si sarebbe potuto trattenere troppo a lungo però, il dovere lo richiamava.
Stava quasi per cedere e abbandonare quella postazione così scomoda, quando quello sguardo gli ritornò alla mente come un fantasma del passato e la vide passare di lì col suo solito cesto di vimini tra le mani. Aveva lo sguardo fisso di fronte a sé e i capelli raccolti in uno chignon sotto la cuffia, le curve strette in quel bustino consunto da cui partivano le pieghe della gonna e le labbra distese in un gelido sorriso. Poteva anche dire che mostrasse, tutto sommato, un aspetto regale sotto quell’intonacatura di olezzo e parsimonia che la contraddistingueva dalle molte coetanee. Quella sera, non sapeva perché, ma gli parve di vederla bella come mai e cercò di offuscare quel pensiero ostentando l’odio che covava per lei da quel mattino in strada.
Un odio che si era tramutato in qualcosa di più forte e che si avvicinava al disprezzo, l’umiliazione e il disonore da parte di un elemento che rappresentava la peste e ostentava l’immaginabile forza di una popolana che disprezzava chiunque la ritenesse minore o inferiore a sé. Avrebbe voluto fargliela pagare in ogni modo possibile, approfittandosi di lei in tutti i modi che avesse a disposizione, incutendole quel terrore e l’amarezza, così come non era riuscito a fare la prima volta…
La ragazza svoltò l’angolo e qualcuno bussò alla sua porta, distogliendolo dai suoi pensieri sulla giovane plebea.
«Monsiuer… monsieur Malfoy!»
La governante dovette bussare più di cinque volte, prima di ricevere il permesso a entrare nella stanza.
«Perdonate il disturbo che vi reco, monsieur, ma c’è qui vostra madre che vi attende in giardino per il tè delle cinque.»
Oh, sua madre, santa donna quella. Era lunica capace di tenergli testa, nonostante avesse sempre mantenuto una personalità quiete e poco focosa. Solo che era proprio sotto quell’apparente strato di tranquillità che si celava un animo ribelle e intriso del peccato mortale.
«Bene. Dille che arrivo subito, Matisse.»
La governante asserì con lo sguardo e si dileguò, richiudendo la porta.
Malfoy uscì pochi istanti dopo, proseguendo giù per la scalinata fino ad arrivare al giardino in cui sua madre lo attendeva pazientemente per bere assieme il tè.
«Madre…»
Sua madre era un complesso di emozioni che non erano propriamente alla portata del marito. Avrebbe donato la vita per proteggere quel figlio che tanto amava e nei suoi occhi scuri risplendeva la chiara luce, opaca, di un amore senza eguali.
«Draco, ti stavo aspettando.» disse «Come mai te ne vai sempre lassù in cima in questi giorni? Ti sentirai mica poco bene che hai bisogno d’aria?»
Come mai? Non lo sapeva nemmeno lui, per certi versi. Il suo non era un male comune e, piuttosto, uno di quei dolori che ti marchiano la pelle col sangue.
«Per prendere aria… Si sta bene lassù. La mia salute è a posto, non preoccupatevi, madre.» 
Draco si perdeva spesso nei suoi pensieri e trasformava ogni piccolo problema in una nuvola di fumo che andava ad accatastarsi alle altre, lasciandolo annegare in quel mare di paure e sofferenze dietro di cui si nascondeva sin da bambino.
«Mio padre?» chiese, prima di portarsi alle labbra il tè.
«Tuo padre non farà ritorno prima di cena, Draco, al momento si trova al Notre-Dam a parlare con l’arcivescovo di affari.»
«L’arcivescovo?» chiese, perplesso.
«Ha bisogno di demolire uno spazio di questa città che è sotto il controllo dei funzionari della Chiesa.»
«Non può farlo! E’ sempre la casa di Dio! Che sia un convento, un caseggiato o una maledetta topaia è un luogo sacro che non dovrebbe essere toccato!» scattò in piedi, sconvolto e allibito.
Sua madre lo invitò a calmarsi e a prendere un altro sorso di quel tè caldo che sicuramente avrebbe rilassato i suoi nervi. Tuttavia non lo aiutò affatto berne altro e quando posò la tazzina sul tavolo, questa si infranse in mille pezzi, senza che la donna distogliesse comunque lo sguardo dal vuoto in cui era immerso. Non si scompose, nonostante il figlio non perdesse mai la calma a quel modo. Non lo fece.
«Ti prego» gli disse, attirando così la sua attenzione «Tuo padre è solito agire in questi modi, lo sai che non lo fa con la malizia… sono soltanto affari!»
«Lo fa perché non ha alcun interesse per gli altri, se non per i propri affari! Ecco tutto!» gridò agitato.
Una delle cameriere andò lì per ripulire il disastro da lui combinato, ma la padrona la destò prontamente con un gesto fulmineo della mano.
«Che ti piaccia o no, sei costretto a dover rispettare i voleri di tuo padre. Se riceverà il permesso, cosa di cui io fortemente dubito, anche a costo di un ingente fortuna, abbatterà quel convento per farvi costruire un’altra villa che si affacci sul mare, che abbia quelle stesse risorse di cui tuo padre richiede e la collina lì vicino. Senza contare che dovrà essere abbastanza grande da ospitare altri aristocratici, e né qui né da nessun’altra parte vi è questo spazio sufficiente.»
«E’ una cosa inaudita! Come potete permetterglielo?! Siete sua moglie! Siete una donna! Dovreste impedire un tale sfregio!»
«Di solito le donne non hanno mai voce in capitolo negli affari del marito, figliolo. Dovresti saperlo.»
Odiava quella maschera di assoluta freddezza che indossava quando parlava del padre in sua presenza e ancor di più odiava il modo in cui nascondeva il dolore e se ne faceva preda, fingendosi indifferente o affatto scontenta. Pertanto, si liberò di quelle catene che lo tenevano legato a quel maledetto posto e andò nella scuderia, senza badare alle grida della madre che lo richiamavano a sé violente.
Montò in sella al suo cavallo e lo afferrò per le redini, cercando di raggiungere a grosse falcate la collina.
 
***
 
Il cielo di Parigi era limpido e i raggi solari irradiavano Notre-Dam facendola splendere in mezzo al caos cittadino.
A cosa servisse tanto spazio in realtà, non lo potevano sapere che Lucius e i gentiluomini che facevano affari con lui.
Lucius Malfoy era uno di quegli uomini che mettevano al primo posto il denaro e il potere, e la fama la lasciava a quei poveri smidollati convinti che bastasse a fare di un uomo, un vero uomo.
Camminava per la navata della cattedrale e accanto a lui vi era quel grand’uomo dell’arcivescovo, Louis de Beaumont de la Forêt, mentre discutevano di affari.
L’abate gli camminava al fianco e non distoglieva i pensieri dalle parole del conte; i capelli brizzolati, il busto dritto e gli occhi chiari, un misto di grigio e azzurro, puntati davanti a sé, inflessibili e severi nel loro cipiglio di impenetrabile austerità. Era molto rigido e inflessibile, un vero osso duro, che mascherava i bei tempi andati in cui, sicuramente, doveva aver saputo gridare al mondo intero chi fosse in altre vesti. Certamente, non mancava di personalità quell’uomo, anche se il tempo lo aveva ridotto a tirare avanti la carretta e a far di tutto perché il tempo lo immortalasse come quel grand’uomo che era diventato, ricco e con l’aristocrazia ai suoi piedi. mondo intero chi fosse in altre vesti. Certamente, non mancava di personalità quell'uomo, anche se il tempo lo aveva ridotto a tirare avanti la carretta e a far di tutto perché il tempo lo immortalasse come quel grand'uomo che era diventato, ricco e con l'aristocrazia ai suoi piedi.
Tutti sapevano quanto Lucius potesse essere oltremodo convincente se voleva e in altri termini, totalmente persuasivo. Solo che anche l’arcivescovo era un osso duro e non si trovava molto d’accordo con gli affari e le parole del conte.
«Dunque, vorreste che io vi concedessi il permesso di demolire quei luoghi sacri per concedervi lo spazio adatto a svolgere il vostro lavoro di ministro, in pratica.»
«Esattamente, monsignore de la Forêt, è per una giusta causa che ve lo sto chiedendo.» ci tenne a precisare una volta ancora.
«Sapete bene che non è del tutto mia la responsabilità di demolire quel posto e che, volendo, potrei anche concedervi quello spazio, dato che è l’unico che combacia con le vostre esigenze, ma…»
«So perfettamente che non è del tutto compito vostro, ma siete parte portante di quest’istituzione e una sola parola potrebbe cambiare il destino dell’amministrazione che forniamo qui a Parigi!»
Si era accarezzato più volte la peluria caprina sul mento, prima di esalare gli ultimi sospiri e costatare che, in fondo, la Chiesa non avrebbe che potuto trarne giovamento in seguito da quell’affare.
«D’accordo, mi basti sapere che è per una buona causa se vi offro uno spazio che combaci con gli aspetti positivi che mi avete elencato, monsieur conte.»
Le sue labbra si erano arricciate in un malevolo sorriso, prima di chinarsi e baciare la mano dell’arcivescovo, su cui spiccavano i numerosi gioielli e rubini rossi.
Lo aveva ringraziato e aveva proseguito ripercorrendo a grosse falcate la navata della cattedrale; quando aveva rischiato quasi di esser sbalzato in aria da una comune popolana che correva disperata, in lacrime, col volto coperto da un telo e che cercava di raggiungere le banchine più vicine all’altare.
L’aveva mandata al diavolo nonostante si trovasse nella casa del Signore ed era uscito velocemente, mentre lei si scusava con lui.
La popolana, il viso giovane e scialbo, si era inginocchiata davanti al Signore e aveva incrociato le dita, cominciando a pregare e a sussurrare una volta ancora i problemi che affliggevano la sua famiglia.
Era la solita sguattera che prima di imbattersi in Lucius, si era scontrata con il figlio e ora disperava per la povera madre morente, avendo già perso il padre dieci anni prima.
Figlia di una strega e di un nato babbano, non appena le era morto il padre, era andata a vivere con sua madre in quel posto, nel centro magico parigino.
Non aveva, pertanto, giacché il suo lavoro alla locanda le permetteva a malapena di portare il pane a casa – e già non era per niente poco quello! -, il tempo e i soldi per comperare le medicine per lei.
Era disperata. Lo era perché detestava vedere le persone a lei care soffrire, sua madre soffrire, e lei non poteva fare niente per evitare che ciò accadesse; inutile e impotente.
Per Dio… era lì a scongiurare la promessa intera di una vita che aveva fatto al padre, quando prima di morire aveva giurato di proteggere sua madre; solo che allora non era altro che una ragazzina piena di sogni e promesse da riversare sul mondo intero. Odiava lo stato in cui era precipitata e le occorreva al più presto un lavoro che le garantisse abbastanza soldi da comprare almeno una medicina a settimana, oltre che il pane. Sarebbe bastato anche un po’ di quella brodaglia che le preparava da bambina e lei si sarebbe arrangiata.
Aveva bisogno di soldi. Soldi. Sfortunatamente per lei questi non cadevano dal cielo e dove lavorava, il proprietario non le avrebbe aumentato il salario neanche se avesse provato a invocare la sua pietà. E non l’avrebbe fatto comunque. Non avrebbe cercato pietà e compassione in nessuno. Non ne voleva. Non ne aveva bisogno.
«Dio… che cosa devo fare? Maria… tu sai chi sono io, una ragazza distrutta nell’anima e nel corpo. Ho cercato di migliorare la nostra miserabile vita, piena di risorse e ricche bellezze tra sorrisi e canzoni, ma non è e non basterà questo a salvare la vita a mia madre. Madre Maria… aiutala… aiutala…»
Sua madre aveva sempre conservato una grande passione per le arti magiche, seppure non le avesse potute coltivare e sviluppare, aveva voluto impartire un’istruzione a sua figlia e l’aveva plagiata anche nell’amore che nutriva per le belle arti. Certo, perché la ragazza in questione, Hermione Granger, amava dipingere e se poteva, raggiungeva il suo amico Morgan nella bottega e lo aiutava nel suo lavoro di pittore; italo-inglese, viveva in Francia con sua madre dall’età di dieci anni e conservava la passione per la pittura, per la natura, la vita, da sempre, nella speranza di essere conosciuto perlomeno in tutta la Francia.
Hermione, si era fatta promettere da Morgan, che, se un giorno egli avesse lasciato la Francia per partire a spasso per il mondo come desiderava, lui se la sarebbe portata dietro.
Hermione si asciugò le lacrime di disperazione che, solcandole il viso, l’avevano resa sicuramente stupida e fragile come in realtà non avrebbe voluto sentirsi né vedersi. Si ricoprì col telo il volto, che la riparava dai raggi solari, e ripercorse la strada di casa attraversando il Pont Neuf, attenta a non essere investita da alcuna carrozza.
Ne aveva già abbastanza degli incontri con l’aristocrazia, per oggi. E per sempre.
 



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