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Autore: IamShe    20/07/2012    7 recensioni
Cosa succederà nel momento in cui Ran si ritroverà da sola, dopo la morte di Shinichi, ad affrontare la più grande paura della sua vita, e a salvare quella delle persone a lei care?
Cercherà di reagire o subirà impotente, aspettando che il destino si compi?
*
"Perché Shinichi non mi aveva detto niente quel giorno? Aveva inventato la scusa del caso semplice, di un cliente che lo aveva chiamato. Aveva detto che sarebbe tornato la sera, che avrei dovuto cucinargli il suo piatto preferito, che non avrebbe tardato.
Invece aveva deciso di andare ad uccidersi, senza preoccuparsi di nulla e di nessuno. Non vidi più il suo sorriso, e non ascoltai più la sua voce da quel giorno. Ritrovammo solo un corpo senza vita, senza più ricordi e senza più speranza."
Genere: Introspettivo, Mistero, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Heiji Hattori, Nuovo personaggio, Ran Mori
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Una vita d'emozioni'
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E se io vivessi d’odio?
5 . Nuove conoscenze


 
 
 

Dopo che il cuore ha ricominciato a battere, il viso a riprendere il suo colorito giornaliero, e la mente le sue funzioni ordinarie, io e Conan siamo stati trasportati d’urgenza in commissariato, a volere del sovrintendente e di alcuni poliziotti, contro il parere del mio caro amico Heiji. Certi di loro sono davvero schivi ed intrattabili, circondati da una perenne aria di superiorità e menefreghismo, ma secondo mio cognato, sono solo degli esaltati alla ricerca di fama e gloria, che nella maggior parte dei casi tarda ad arrivare. A quanto pare sono degli eterni rivali di Shinichi, a cui non è mai andato giù che mio marito partecipasse alle indagini, e che diffondesse tutto il suo sapere e la sua bravura durante i casi, offuscando le loro, come sono soliti chiamarle, capacità.
Tra di questi, vi è uno in particolare, Isao Sawaguri, che fa proprio di tutto per attirarsi l’antipatia di Heiji, e la mia, recentemente. E’ un novellino trasferito da qualche mese nel distretto di Tokyo, perennemente convinto di essere il migliore, ma umiliato - con classe, ha sempre aggiunto Hattori - da Shinichi durante un caso. E da allora, ogni riferimento al grande detective del Giappone è per lui un attacco all’orgoglio da schivare e controbattere, cercando sempre di mantenersi, come dire, offensivo.
“Ok, ora ditemi cosa sta succedendo... e cerco di capirci qualcosa anch’io.”
Nella sala viaggia senza timori la voce del sovrintendente, quella alla quale nessuno oserebbe ribattere. Nessuno, tranne Heiji, ovviamente.
“Sovrintendente, sto lavorando al caso della morte di Shinichi Kudo, e...”
“...e? Ritieni opportuno coinvolgere anche civili?”
“No signore. I qui presenti sono la moglie e il figlio di Shinichi, ma...” cerca di spiegare il mio amico, ma viene nuovamente, e bruscamente, interrotto.
“Ah, quindi ti sei detto facciamoci aiutare, così sterminiamo tutta la famiglia?” risponde il tipo, con un accento ironico. Storco le labbra, infastidita. Vedo anche Heiji farlo, e stringere i pugni come per imporsi un minimo di autocontrollo.
“Non mi sembra il caso di fare sarcasmo” ribatte il mio amico, amareggiato.
“Io non lo sto facendo.”
Mi alzo all’in piedi, lasciando Conan seduto sulla panchetta che si appoggia ad uno della mura della stanza. Mi avvicino ad Heiji con passo sicuro e scaltro, senza soffermarmi sui volti che ho affianco, e puntare contro quello del sovrintendente, che stasera ha tanta voglia di chiacchierare.
“Heiji non ci ha implicati in nulla. Ci trovavamo con Kemerl perché mio figlio è scappato all’improvviso verso quel palazzo ed io l’ho semplicemente seguito.”
E mentre medita su come rispondermi, lancia lo sguardo a Conan che intanto ha incominciato a fissarlo innervosito. L’aria è sempre più pesante e carica di tensione, ma so di dovermi e potermi controllare. Vedo Heiji sbuffare, e passarsi una mano tra i capelli con stanchezza.
“Ehi ragazzino, perché lo hai fatto?”
Mi volto verso mio figlio, incuriosita da quella domanda. Effettivamente vorrei sapere anch’io il motivo che lo ha spinto a fuggire dal locale, e seguire quel pazzo, essendo completamente all’oscuro di tutta la storia. Conan abbassa un po’ il capo, per poi tornare a guardarlo con insistenza.
“So che lui ha ucciso mio padre, e l’ho visto farmi dei segnali incitandomi a seguirlo, e così l’ho fatto.”
“Sei stato un incosciente” è il primo commento dell’uomo, seguiti dai nostri sguardi sconvolti. Mi avvicino a Conan, mentre sento le voci dei poliziotti aggredire con le parole l’azione di un bambino di soli sette anni. Cerco di non farci caso, e mi inginocchio a lui. Vengo raggiunta repentinamente da Heiji, che poggia le mani sulle sua gambe.
“Come lo sai? Ti ha fatto dei segnali?” gli domando io, a raffica.
“E tu ci sei cascato? Sai che potevi morire, sì?” aggiunge Heiji.
“L’ho scoperto dalle vostre conversazioni...” ammette lui, con occhi leggermente lucidi.
“Sì, mi ha spronato ad andare da lui... ed ho pensato a papà, lui avrebbe fatto la stessa cosa, lo so.”
Sawaguri ridacchia ironicamente, sbattendo più volte le mani.
“Che begl’insegnamenti che Shinichi Kudo ha dato a suo figlio, complimenti.”
Io e mio cognato lo fulminiamo con gli occhi, ma Heiji non si ferma, e alzandosi, si avvicina pericolosamente a lui.
“Tu... non sei nemmeno degno di nominarlo.”
“Ma chi, Kudo? Ma fammi il piacere.”
“Ehi, voi due... zitti.”
Replica e s’intromette l’ispettore Megure, cercando di salvaguardare la situazione. Anche lui si avvicina a me e a mio figlio, per poi sedersi affianco a Conan, sopra la panchetta.
“Conan tuo padre non avrebbe voluto che ti fossi cacciato in questi...”
“Sentiamo un po’, ragazzino... quali sono queste conversazioni?” lo interrompe a sua volta il sovrintendente, spingendo Megure a spostarsi leggermente per permettergli di guardarlo. Osservo mio figlio, indecisa sul da fare. E’ davvero giusto raccontare tutto? A me sembra che hanno solo voglia di perdere un po’ di tempo, e rimpiazzarlo occupandosi delle faccende altrui. Sposto lo sguardo su Heiji, lanciando un’occhiata furtiva.
“Ho solo sentito mia madre e mio zio parlare di questo tizio, nulla di più.”
“Ovvero?” chiede l’uomo, poggiando gli occhi su di me. Io sospiro, preparandomi a rispondere, ma Heiji lo fa al posto mio, lasciando stare quel montato di Sawaguri.
“Kemerl è il figlio del capo dell’organizzazione che Shinichi ha sgominato più di una decina di anni fa. Fu lui stesso a sbatterlo in prigione sette anni fa, dopo che Kemerl aveva cercato di ucciderlo.”
Il sovrintendente arriccia le labbra, e comincia a strofinarsi il mento con una mano.
“Ci aveva già provato?”
“Sì, odia Shinichi perché - secondo lui – ha spinto il padre al suicidio, e ha causato la fine dell’organizzazione. Un malato di mente diciamo.”
“Ho capito.”
L’uomo si alza dalla sedia, ricompone la sua giacca e prende le chiavi dell’auto.
“Continua ad indagare, ma non voglio che la moglie e il figlio vengano coinvolti. Fatti aiutare da qualche agente... tipo Sawaguri, sì.”
Heiji e l’interessato strabuzzano le palpebre, rimanendo a bocca aperta. Io mi limito a sbuffare, mentre il mio piccolo abbassa lo sguardo afflitto.
“Ma signore!” replicano insieme i due uomini in divisa, ma vengono interrotti dalla mano del loro capo, che intima loro di tacere.
“Nessun ma. Non voglio scuse e non voglio altri problemi. Tornerò per sapere come procedono le indagini, buona fortuna.”
Sono le sue ultime parole, prima di svanire oltre la soglia della porta, e chiuderla con violenza alle sue spalle. Heiji si guarda intorno imperterrito, mentre il suo collega gli si avvicina, e gli poggia una mano sulla spalla.
“Senti Hattori... a me di Kudo interessa ben poco, però ovviamente il lavoro va diviso dalle faccende personali. Fai fare tutto a me, vedrai che risolveremo in poco.”
“Primo, toglimi le mani di dosso.” Si discosta dal suo tocco, spazzando via la sua mano.
“Secondo, tieniti lontano da me.” Gli afferra il polso con violenza, e lo scaraventa via, sotto gli occhi allibiti e sorpresi dei suoi colleghi.
“Terzo, rinomina di nuovo Shinichi e ti spacco la faccia, quanto è vero Dio.”
Stavolta il suo tono si fa più duro e minaccioso, quasi arrabbiato. Lo vedo prendere le sue cose, farmi un cenno per uscire, e dirigersi velocemente verso la porta della stanza. Prendo la mano di Conan, ed insieme varchiamo lo stipite, abbandonando quel luogo così denso di nervosismo ed ipocrisia, di rancore, e di odio.
 
 
 
“Mamma?” mi chiama Conan, avvicinandosi a me e lasciando la piccola Sophie da sola in salotto. Io sono in cucina, e sto cercando di rendermi utile preparando il pranzo per noi cinque; ma nonostante cerchi qualcosa di buono, non trovo nient’altro che cibi precotti.
“Dimmi tesoro.” Gli rispondo, ma senza rivolgergli lo sguardo, interessandomi principalmente al contenuto dei mobili degli Hattori.
“Non indagherai più per papà?”
Torno ad osservarlo, fingendo un sorriso di rassicurazione.
“Tesoro indagherà zio. Hai sentito ieri, no? Non possiamo essere coinvolti.”
Fingo con maestria, e quasi mi stupisco di come riesca a farlo. Le bugie non sono mai state il mio forte; finivo sempre col farmi scoprire, perché - come mi hanno sempre definito molti, tra cui Shinichi - io sono un libro aperto, dove i miei pensieri diventano parole di un paragrafo. Però, stavolta, mentire significa salvare una vita, quella più importante per me, quella di mio figlio.
E allora ben vengano le bugie, i finti sorrisi, il menefreghismo, l’egoismo e tutte quelle caratteristiche che di certo non mi sono appartenute nel corso degli anni, e che forse mai farò mie.
“Ma mamma...”
Mi inginocchio dinanzi a lui, scompigliandogli i capelli sfiorandoli con la mano.
“Conan, noi non possiamo fare nulla adesso. Zio Heiji insieme agli altri agenti riusciranno a risolvere il caso, e ci diranno tutto quello che è successo. Ma adesso noi dobbiamo starcene buoni qui, ad aiutare zia Kazuha e Sophie.”
“Ma quello lì che lavora con lo zio non vuole bene a papà” mi dice lui, infastidendosi. “E’ cattivo.”
“Ma no, vedrai che si impegneranno tutti... sono dei poliziotti, lavorano per noi.”
Cerco di sorridergli e di convincerlo a rivalutare - anche se non vorrei - quel Sawaguri. Effettivamente spero che fili tutto liscio e che non si intrometta troppo tra me ed Heiji, perché finirebbe col causare solo un rallentamento delle indagini. Conan tiene il capo abbassato, sintomo della sua tristezza. Riprovo a distrarlo, ma è incredibilmente difficile.
“Ehi, tu devi andare a Niigata tra tre giorni, no?”
Si limita ad annuire con il capo, senza guardarmi negli occhi.
“E allora pensa a quando sarai lì, ti divertirai un mondo con i tuoi amichetti.”
Stavolta mi fanno cenno di no con la testa, spingendomi ad inarcare un sopracciglio.
“No? e perché?” gli domando, cercando di alzargli lo sguardo con le dita.
“Perché quando tornerò... non ci sarà papà ad aspettarmi.”
Una lacrima mi scende sul viso, costringendomi a socchiudere le palpebre per cercare di fermare le altre. Sospiro profondamente, riaprendo i miei occhi ai suoi, entrambi attraversati da un fastidioso luccichio.
“E’ qui che ti sbagli... lui c’è sempre, credimi, c’è sempre.”
“Anche se non riesco a vederlo?”
“Sì...” gli dico, sentendo nuovamente il mio inumidito dalla scia di una lacrima. Gli tocco il torace, in modo da indicargli il suo cuoricino. Così giovane, così veloce, così sano. “Lui è qui.”
“Devo custodirlo allora” mi esclama lui, leggermente risollevato.
“Sì e sai perché?” gli sorrido, avvicinandolo a me.
“Perché lui è ovunque. Anche in questa casa, anche in queste mura. Lui è nei tuoi occhi, è nelle mie labbra, è nel sorriso di zio, è nel rossore di Sophie... ma è anche in quel quadro, in quella pentola, in quel giardino...sì, perché lui è anche lì fuori.”
“Ran!” mi chiama Kazuha proprio dal giardino che ho appena indicato a Conan e mi invita a raggiungerla. Mi stacco da mio figlio, ma vengo seguita sia da lui che da Sophie, che nel frattempo ha smesso di colorare il suo bel disegno. Quando varco la porta con i bambini, mi ritrovo la mia amica indaffarata a parlare con due ragazzi, che mi tornano familiari. Sbatto più volte le palpebre, mettendo a fuoco i loro volti. Mi stupisco, ritrovandomi davanti Gin e quel suo amico della pizzeria, quello di ieri sera. Non ricordo il suo nome, ma mi limito a salutarli con un cenno della mano, seguita da un sospettoso ed adirato Conan.
“Ehi, ciao Ran! Piacere di rivederti.” Mi accoglie sorridente lui, stringendomi la mano.
“Ciao, come mai qui?” gli chiedo, cercando di non mostrarmi sgarbata.
“Volevamo andare a mangiare al nuovo McDonald’s vicino l’angolo, ed ho pensato di venirvi a trovare.”
“Che gesto gentile” mi prende in giro la mia amica, ricordandomi molto Sonoko.
“Ah, permettimi di presentarti un mio amico...” fa spazio al giovane alle sue spalle, che goffamente e molto timidamente, mi si avvicina e cerca di stringermi la mano, che trovo incredibilmente sudata.
Ho una sensazione strana, ma allo stesso tempo dolce, nel toccarla; scruto il suo volto, ma non ne recepisco nulla. Non so spiegarmi cosa mi stia succedendo, ma mi trovo bene in loro compagnia, ancor prima di sapere chi siano.
“Piacere di conoscerti, io sono Sir Wunderwaffe, è un onore.”
Inchinandosi a me, lascia scoppiare sul mio viso un leggere rossore, assolutamente atipica a saluti di questo genere.
“Ah, piacere, Ran Mouri.”
E mentre mi presento, comincio a domandarmi da dove provenga. Il suo nome è assolutamente insolito, ha anche l’appellativo di ‘Sir’. Sarà un inglese, penso, e torno a dargli attenzione.
“A proposito, ma perché non venite tutti?” ci invita con gioia Gin, mostrandoci un sorriso a trentadue denti.
“Ehm non so...” faccio per rispondere, ma Kazuha m’interrompe e lo fa al posto mio.
“Sì, è un’ottima idea! Mio marito non tornerà a pranzo causa lavoro... quindi abbiamo il via libera” esclama lei, ironicamente.
“Perfetto!” si compiace Gin, mentre il ragazzo, l’inglese, rimane sostanzialmente impassibile.
“Andiamo a prepararci... bambini, venite su.”
La mia amica mi spinge verso la porta, trascinando dietro sua figlia e il mio Conan. La chiude con nonchalance, dicendo ai bambini di andare a prendere i loro cappotti nelle stanze, mentre spinge me in salone, dirigendosi verso i nostri giubbini.
“La smetti di spingere?”
“Ehi, ehi... ma lo hai visto?” mi domanda lei, assumendo la tipica espressione maliziosa di Sonoko. Mi sa che l’influsso della nostra amica ereditiera non le ha fatto bene.
“Chi?”
“Gin... è davvero un bravo ragazzo, e molto carino aggiungerei.”
“Beh, sì, lo sembra. E allora?”
“Niente niente” mi risponde poi, indossando il suo soprabito.
“Sicura?”
“Sì... forza, andiamo tutti al McDonald’s!” esclama trionfante, rivolgendosi alla sua piccola.
Io e Conan assottigliamo gli occhi, seccati.
 
 
 
 
 
Percorriamo il viale degli Hattori, fino a ritrovarci all’entrata della villa, dove i due giovani ci stanno aspettando. Il mio sguardo viene rapito da Wunderwaffe che, sempre con modi molto composti, si avvicina e si incammina insieme all’amico, affiancandosi  a noi.
Il McDonald’s dista un centinaio di metri, perciò decidiamo di prendercela con comodo, senza affrettare la camminata. Sento alle mie spalle Kazuha chiamare Heiji ed avvisargli che non saremmo state a casa, nel caso lui fosse tornato improvvisamente.
Conan mi è accanto, ma ha lo sguardo perso nella strada, e non sembra essere infastidito dalla presenza dei nostri nuovi amici.
E mentre mi abbandono a fissare quel ragazzino inglese che ho a fianco, così strano, così a modi, così timido... mi ritrovo vicino a Gin, che si avvicina sempre più al mio braccio.
“Sai Ran, ti capisco benissimo...” mi dice, puntando lo sguardo al cielo.
Mugugno, invitandolo a proseguire. Lui sospira, tornando a guardarmi.
“Anche io ho perso mia moglie qualche anno fa, a causa di un tumore.”
“Mi dispiace.”
“Tu però sei più fortunata, hai Conan... lui ti ricorda Shinichi.”
Peccato che sia ancora più difficile così. Sospiro a mia volta, grattandomi leggermente la testa.
“Sì, è molto simile al padre. Per fortuna che c’è lui, sennò non avrei alcun senso di vivere.”
Sposto lo sguardo su mio figlio, ancora incredibilmente silenzioso. Non mi sta guardando, e non sembra minimamente interessato alla mia conversazione. Forse si è accorto di essere stato troppo diffidente ieri sera, e non vuole più dare nell’occhio, eppure...
“I figli sono pezzi di noi, peccato che io non sia riuscito ad averli.”
Mi dice lui, assumendo un tono malinconico.
“Come mai? Se posso permettermi...” gli dico, cercando di essere meno invasiva possibile.
“Mia moglie era sterile... ma non ti nascondo che essere padre è ancora un mio sogno. Ma dovrei trovare la donna adatta... e sono poche quelle che mi soddisfano.”
“Incontri sempre donne sbagliate.” S’intromette nel discorso Wunderwaffe, ostentando un tono poco sicuro. Arriccio le labbra, aspettando la reazione dell’altro, che intanto è rimasto a fissare il giovane alla mia destra con aria sospettosa.
“Oh beh, è possibile. Ma sento di aver vicino quella giusta adesso.”
Lo dice mandandomi un’occhiata a me, che proprio non riesco a decifrare. Distolgo lo sguardo, sentendomi leggermente in imbarazzo.
“Scusi signore...” stavolta è la voce di Conan a propagarsi nelle mie orecchie, spingendomi a voltarmi verso di lui. Sta strattonando i pantaloni del nostro amico timido, tirandoli verso di sé.
“Dimmi piccolo.”
“Che lavoro fa?” s’incuriosisce, guardandolo con aria esigente.
“Sono un programmatore informatico, ti piacciono i computer?” risponde Wunderwaffe, abbozzando un leggero sorriso.
“Abbastanza, ma amo di più i libri gialli, sono il mio genere preferito!” esclama entusiasta. Sembra contento della scelta di essere uscito con questi due ragazzi, a dispetto di ciò che pensavo.
“Davvero? E qual è il tuo preferito?”
“Il segno dei quattro*, di Conan Doyle!”
Wunderwaffe sorride, e gli passa una mano sui capelli, scompigliandoglieli. Li osservo, felice che il mio bambino abbia trovato qualcuno con cui parlare. E poi quel gesto, mi è così familiare...
“Beh, io non me ne intendo molto di gialli... ma mi hanno sempre parlato bene di quel libro. La sai una cosa?” Gli domanda, accovacciandosi alla sua altezza, mentre Gin e Kazuha si sono diretti all’interno del locale per fare l’ordinazione. Noi abbiamo preso posto fuori, in uno dei tavoli adibiti alla consumazione delle pietanze.
Conan annuisce con il capo, guardandolo vispamente.
“Io mi chiamo Arthur, proprio come Doyle. Se non sbaglio aveva due nomi, giusto?”
“Wow! Davvero? Ed io Conan, formiamo una bella coppia!” si esalta mio figlio, facendomi sorridere.
 “Anche i tuoi genitori erano fissati con l’investigazione?” gli chiedo ironica.
Lui mi sorride, sedendosi al tavolo insieme a mio figlio.
“No... io sono inglese, anche se di origini tedesche. La mia famiglia in Inghilterra è molto famosa, ha molte industrie ed è molto ricca. Però io ho deciso di andarmene, convinto di dovermi spianare la mia strada da solo... sono venuto qui ed ho studiato informatica, e adesso sono più che soddisfatto. Per il nome... beh, in Inghilterra, Arthur è più che usato.”
“Beh, è stato molto coraggioso da parte tua.”
“Sì... anche se non ti nascondo che la mia famiglia mi manca, ma già portare il loro nome mi consola, sai, è un onore per me.”
Mi dice, facendomi l’occhiolino. Io sobbalzo appena, continuando il discorso.
“Invece Conan si chiama così perché il padre era il fan numero uno di Conan Doyle e di Holmes.”
Ridacchio, mentre la mia testa è attraversata dall’immagine di Shinichi.
“Beh, è un bel nome.”
“Sì, infondo piace anche a me” ammetto, sprofondando lo sguardo sul mio bambino.
“Tu conosci papà?” gli domanda Conan, poggiandogli una mano sul braccio.
“Ehm...” cerca di rispondere con impaccio lui, e stenta a sorridere in modo da nascondere la timidezza, o qualcos’altro... non so.
“Ne ho sentito parlare, ma nulla di più.”
“Ah” replica rattristato Conan, che riabbassa gli occhi al tavolo, malinconico.
Anche Wunderwaffe fa lo stesso, e comincia a giocare con i fazzoletti, creandone vari quadroni.
“Eccoci qui, abbiamo fatto!” esclama, sempre col solito sorriso, Gin, portando in mano i vassoi delle varie consumazioni. Approfitto del momento di confusione per appoggiare la mia mano su quella di Wunderwaffe, trovandola, nuovamente, sudata.
“Scusalo Conan... e che vorrebbe parlare del padre con chiunque. Sai, lui...”
Il giovane si discosta, portando la mano nelle tasche dei suoi jeans.
“Oh, sì... non preoccuparti.”
Rimango perplessa per questo suo atteggiamento, sperando non gli abbia dato un’impressione sbagliata. Infondo sto bene a parlare con loro, e Shinichi non è più un dolore lancinante, ma un ricordo dolce da poter portare a galla. Sento di potercela fare, anche se quel pazzo di Kemerl gira per la città alla ricerca di me e di mio figlio. Distolgo lo sguardo da Arthur, portandolo su Conan, ancora col capo chinato alla strada.
“Tesoro, mangia o si raffredda.”
“Certo mamma.”
“Ran, che ne dici se dopo andiamo a farci un giro?” mi chiede Gin, facendo spostare gli sguardi dei presenti sopra di me. Arrossisco leggermente, stringendo le mani in polsi.
“Ehm...”
“Ti porto a vedere un posto fantastico, dai.”
“Beh, vedi...veramente...” cerco di replicare, ma sembra che le parole mi muoiano in bocca.
“Tu Kazuha puoi tenere Conan per un po’ vero?”
“Ehi, non devi...” cerco di rispondere stavolta, ma vengo frenata da un improvviso incidente. La coca cola cade addosso a me, sporcandomi tutta la maglietta e gran parte dei pantaloni. Mi guardo afflitta per ciò che mi è successo, e sposto lo sguardo alla mia destra, dove Arthur sta tentando di riparare al danno causato.
“Oddio, scusami! Scusami!” mi dice, prendendo dei fazzoletti dal tavolo.
“No, no, non preoccuparti” cerco di rassicurarlo, mentre noto Gin mandare delle occhiate cupe all’amico.
“Ma Wunderwaffe, insomma... sempre guai combini.” Lo richiama, con un tono un po’ troppo pesante.
“Oh davvero, non c’è bisogno di preoccuparsi... si lava.”
“Mi dispiace davvero molto” mi dice ancora il giovane accanto a me, sistemandosi meglio gli occhiali da vista, che gli sono caduti per la fretta dei movimenti.
“Non è niente. Ma non posso più venire Gin, credo che dovrò proprio andare a casa adesso.”
Prendo a volo la scusa per declinare l’invito. Non ho proprio voglia di uscire con un uomo adesso, non dopo aver lottato per conquistare il mio Shinichi. Io appartengo solo a lui, ed anche se il nostro amico non avesse avuto un secondo fine, non credo sia la cosa giusta.
“Ti vengo a prendere stasera, ti sarai cambiata.” Insiste, abbozzando un sorriso.
“Beh, vedi...”
“Gin non dovevamo fare quella cosa stasera?” s’intromette Arthur, guardandolo di traverso.
“Cosa?”
“Quella cosa...” cerca di ricordagli lui, continuando a fissarlo.
“Ah... sì, sì.”
“Ecco, bravo...”
“Avete da fare?” chiede Kazuha, dopo aver finito il suo panino.
“Sì, abbiamo da fare... anzi, credo che si stia facendo anche tardi. Wunderwaffe, andiamo su.”
“Ma come, già andate via?” domanda ancora la mia amica, dispiaciuta.
Anche Arthur si alza dalla sedia, e si avvicina a me, salutandomi con un leggero ed impercettibile “ciao”.
“Beh, noi andiamo...ciao ragazze, a presto!” esclama Gin, allontanandosi e strattonando via Arthur, afferrandolo per il giubbotto.
Torniamo tutti ai nostri posti, con volti leggermente imperterriti. Continuo a pensare a quei due ragazzi. A Gin, molto aperto e solare, di bell’aspetto, ma forse fin troppo invadente.
E poi ad Arthur... così gentile e timido, magro, ma con un viso troppo usurato da imperfezioni e foruncoli, e occhi nascosti dietro a degli occhiali.
Così diversi, così ambigui, così strani.
Eppure, c’è qualcosa in ognuno dei due che mi ricorda Shinichi.
Saranno i modi, gli atteggiamenti, gli sguardi... dei loro particolari non mi sono sfuggiti, anzi, mi hanno preso sempre di più, incuriosendomi come non facevo da molto tempo.
Riporto l’attenzione sul mio panino, strappandone un morso.
Sprofondo lo sguardo nel vetro che ho davanti, parete dell’enorme locale che contiene all’interno.
Mi blocco, sentendo nuovamente degli occhi addosso, pronti a scrutarmi e ad assistere ad ogni mia mossa, proprio come ieri, proprio come qualche giorno fa al cimitero.
Giro lo sguardo preoccupata, serrando le palpebre.
Il mio primo pensiero va a Kemerl, e alla sua follia omicida.
Ma dietro di me non c’è nessuno, solo persone che camminano serenamente e bambini che giocano sugli scivoli, alternandosi tra di loro.
Porto lo sguardo un po’ più in là, spostando le testa in più direzioni.
Cerco di calmarmi, riportando l’attenzione sul mio vassoio, riprendendo in mano il mio panino.
Probabilmente, l’avrò solo immaginato.





*Piccola curiosità: "Il segno dei quattro" è il libro preferito di Shinichi. Lo dice nel 59° episodio "Il club di Sherlock Holmes".


Angolino autrice:
Salve gente!!!
Sono tornata con un altro capitoletto! Allora.. c'è un bel po' di tensione nell'aria, no?
Soprattutto alla centrale... povero Heiji, sta facendo di tutto,
e si deve pure subire le grida del sovrintendente e di quell'antipatico di Sawaguri!
Mentre Ran sta approfondendo la sua conoscenza con Gin, e con il suo amico,
Wunderwaffe.... chissà cosa succederà.... :P
Pensiate nascondano qualcosa questi due?
E ci sarà davvero qualcuno ad osservare Ran e il piccolo Conan?
Ditemi cosa ne pensate ;)

Un ringraziamento speciale va alle ragazze che hanno recensito il quarto capitolo:
Kaori_, aoko_90, AliHolmes, Delia23, mangakagirl e Sherry Jane Myers!
E grazie anche a Kaity per averla inserita tra le seguite! 

:)

Ci vediamo alla prossima, 
un bacione!
Tonia

   
 
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