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Autore: darkronin    20/07/2012    6 recensioni
Sequel di "Il labirinto visto dal castello". Quindi è la mia prima -vera- fic su Labyrinth.
Sono passati esattamente dieci anni dall'avventura nell'Underground.
La vita di Sarah ha subito particolari cambiamenti ma ancora non le sono chiare molte delle cose occorse in passato, specialmente l'atteggiamento di Jareth.
Il decimo anniversario scivolerà via come una giornata tra tante o dobbiamo prepararci a una nuova avventura? Verranno chiariti i punti controversi e le incomprensioni?
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Tela di diamante'
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27. Di luci...






Un intenso bagliore l'accecò nell'istante in cui le due mani libere si sfiorarono. La pozza di sabbie mobili svanì all'istante, come evaporata all'esposizione di un'intensa fonte di calore direzionata. Il sole aveva preso a brillare in tutta la sua potenza distruttiva, aveva scacciato tutte le ombre e gli impedimenti, rivelando la voragine che quel trabocchetto camuffava.
I due corpi, rimasti sospesi a mezz'aria, scomparvero all'improvviso entro il pozzo nero, quando la luce si spense, esausta.
Sarah, esaurite tutte le sue energie, aveva reclinato il capo, addormentandosi di colpo. Al contrario, Jareth aveva riaperto gli occhi, compiaciuto. Un sorriso di sfida gli aveva increspato le labbra e, nella caduta, ruotando su se stesso, si portò alle spalle della ragazza, abbracciandola, quasi a volerla difendere. O a complimentarsi con lei, sussurrandogli qualche complimento all'orecchio.
Dietro di loro, Marking aveva sbadigliato annoiato. Si era alzato e si era tuffato nella stessa voragine in cui erano precipitati loro.
Rajeth sbatté gli occhi un paio di volte per riprendere a vedere normalmente.
Ora, tutto il bianco della sala gli dava un tremendo fastidio, ma immergersi nel buio sarebbe stato pure peggio: sarebbe stato assalito da lampi violacei per la retina ancora fortemente impressionata.
Suo malgrado, rise sguaiatamente “Che sceneggiata, Jay...Sei proprio uno spasso...Un po' quella poverina mi fa pena...” disse in un sospiro comprensivo “Ma tanto, alla fine, stai cadendo dalla padella alla brace...E stai andando direttamente dove io volevo che voi andaste...”
Si fece comparire tra le mani il frutto che aveva sottratto nel giardino di Bellfast e lo addentò. Era quasi ora. Masticò, svogliatamente la polpa semiliquida e zuccherina e ripensò alla reazione del guardiano.
Maestà..non dovete...” era sbiancato come un cencio quando aveva capito le intenzioni del sovrano
Ma è proprio quello che voglio...ottenere i poteri di questo frutto...” gli aveva risposto sorridendo “La morte...”
Ma io non intendevo...” aveva replicato Bellfast
Oh, lo so...e infatti non sarà la mia morte a cui concorrerai...io sarò la morte per qualcun'altro...” aveva spiegato, confondendolo.
Bellfast, come tutti i suoi sudditi, era una creatura ingenua e fedele. Fedele al re del momento. Non alla persona che ricopriva il ruolo. Questo era chiaro.
D'altronde, non era concepibile che restassero fedeli, ad esempio, a un sovrano che fosse stato destituito, quale era stato quell'incapace di suo fratello. I re servivano a governare. Loro vedevano la meta che il regno doveva raggiungere. Loro avevano le capacità e i mezzi per operare scelte e prendere decisioni. Non stava certo al popolino contestare. A loro bastava venissero soddisfatte le esigenze primarie. Tutto il resto non li riguardava. Se le scelte sbagliate dei sovrani avessero avuto ripercussioni anche sulla vita del popolo, allora si avrebbe avuto la prova dell'incapacità a regnare di quest'ultimo. Ma per il resto, egli poteva anche perseguire fini personali tramite il suo ruolo. Chi non lo faceva, d'altronde?
Era inconcepibile che qualcuno fosse rimasto fedele a Jareth: sarebbe stato considerato alto tradimento.
Eppure, per gli stessi motivi, lui non poteva nuocere direttamente, tramite il suo ruolo, all'ex sovrano, legittimo erede al trono. Né alla sua accompagnatrice.
Per avere il sacro diritto al trono, si sarebbe dovuto sbarazzare di entrambi.
O...beh...c'erano anche altre soluzioni alternative. Ma non sarebbero state altrettanto soddisfacenti. O forse sì. Schiuse gli occhi alla luce tenue della sala. Effettivamente, la trappola che aveva teso loro puntava più verso una delle tante soluzioni che non alla radicale eliminazione dei suoi concorrenti.
Ucciderli entrambi.
Uccidere solo Jareth e fare sua la campionessa.
Condividere con loro il trono.
Poteva lasciarli vivi e vegeti, imprigionati e drogati in modo che facessero esattamente quello che lui avesse voluto.
La prima era certamente la soluzione più semplice e meno laboriosa. Era già sufficiente l'impiccio rappresentato da Toby, condizione sine qua non... ma non sarebbe mai riuscito a portarlo a pieno compimento. Non l'avrebbe sopportato.
La quarta sarebbe stata divertente ma impegnativa, costringendolo a un continuo controllo del livello di incoscienza dei suoi prigionieri
Quanto alla terza...era totalmente fuori discussione. No...avrebbe scelto la quarta via, un ibrido.
Avrebbe anche potuto sperimentare l'ebrezza della conquista umana per poi eliminarli tutti e due una volta che si fosse assicurato il potere. Sbuffò all'idea di come, davanti a un dilemma, si aprissero una ramificazione tendenzialmente infinita di scelte.
In ogni caso, sarebbe stato interessante vedere la reazione di Jareth davanti a quello che aveva in serbo per loro: vedere quali sarebbero state le differenze tra i comportamenti di due persone così simili tra loro, due gemelli.
Sempre ammesso che Jareth non stesse recitando anche nei confronti dei sentimenti che trasparivano per la ragazza. Suo fratello, da quel punto di vista, era un vero enigma. Forse per gli anni di reggenza, forse per l'indole naturale, era diventato un così abile attore che non si capiva il confine tra la recita e la realtà. Aveva imparato a padroneggiarsi e a smussare gli angoli taglienti del suo carattere altero, anche se non al meglio.
Rajeth fece spallucce. Che gli importava della complessità di suo fratello? Ognuno, a modo suo, era contorto in egual modo.
Ora non gli restava che ritrovare Toby. Il regno in cui cercare era molto vasto e si trattava di un'impresa tutt'altro che semplice. Ma, sorrise, sapeva già quale poteva essere la sua meta finale e, quindi, non aveva poi molto da preoccuparsi: gli sarebbe piovuto spontaneamente tra le braccia.




Macchie grigie di diverse gradazioni danzavano davanti ai suoi occhi, leggere, senza fretta, turbinando tra loro, inseguendosi, senza mai ripetere gli schemi. Una musica, dolce e lontana, riecheggiava triste e nostalgica. Lentamente riuscì a distinguere le parole. Era una canzone che le suonava molto familiare.

There's such a fooled heart
Beating so fast in search of new dreams
A love that will last within your heart
I'll place the moon within your heart

Un dondolio impercettibile sembrava accompagnare il canto e cullarla come una zattera alla deriva sul mare piatto. Gradualmente i colori si fecero più nitidi e sfumature scure si declinarono in tonalità di bianchi sprammati.

As the pain sweeps through
Makes no sense for you
Every thrill has gone
Wasn't too much fun at all
But I'll be there for you-oo-oo
As the world falls down

Era forse in paradiso? Davanti a sé vedeva solo una distesa di petali candidi che ondeggiavano mossi da un tenue venticello.
Non ricordava cosa fosse successo. Aveva...cercato di salvare Jareth. Fino a quel punto la sua memoria arrivava tranquillamente. Ma poi? Non ricordava nient'altro che il panico stringente che l'aveva attanagliata.

Falling
As the world falls down
Falling
Falling in love

E ora? Dovevano essere morti. Perché non si sentiva più angosciata. Era in un posto stupendo, cullata da quella voce melodiosa che sapeva appartenere a lui. Chiuse gli occhi e per un istante se lo immaginò come un angelo del paradiso, gigantesche ali dorate da barbagianni, i capelli platino scomposti sulla pelle d'alabastro, vesti candide che avrebbero lasciato poco spazio all'immaginazione e ingannato sulla sua reale natura. E gli occhi chiari, mortali e imperscrutabili come il ghiaccio.

I'll paint you mornings of gold
I'll spin you Valentine evenings
Though we're strangers till now
We're choosing the path between the stars
I'll leave my love between the stars

No. Se ci fosse stato lui, tra quelle nuvole di fiori, non sarebbe certo stata in paradiso. Lui non poteva che essere l'incarnazione di Lucifero, l'angelo più bello e amato da Dio e da questi cacciato per la sua arroganza e la sua presunzione. Sì. Perché Jareth era anche terribilmente arrogante.
Suo malgrado sorrise di quel desiderio sciocco e infantile.
La voce si interruppe e, quando lei riaprì gli occhi, allarmata, domandò divertita “E' così piacevole il mio canto, mia cara?”
Sarah girò la testa di scatto, verso la fonte di quel suono beffardo e incrociò lo sguardo di lui, a un paio di spanne da sé. Fece per tirarsi su di scatto per capire cosa fosse successo che un peso delicato sulla spalla la trattenne dov'era.
“Non farei movimenti bruschi, se fossi in te. Sei svenuta, non ricordi?” disse lui con voce piatta
“Cosa è successo?” domandò allora la mora cercando di orizzontarsi, lasciando che lo sguardo vagasse tutto attorno. Era stesa sotto alberi in fiore, presumibilmente peri o ciliegi, con la testa appoggiata sul ventre piatto di lui.
“Sei svenuta.” ripeté lui, come se stesse fornendo un'informazione ovvia e scontata. All'occhiataccia di lei, capì di dover fornire qualche spiegazione in più “Hai toccato la mia pelle con la tua...e per quanto l'anello sia un amuleto potente, non lo è a sufficienza per impedire che il corpo mio deprivato cercasse e riuscisse a riappropriarsi del proprio potere. Voi la chiamate osmosi...”
“Come abbiamo fatto con le ore...abbiamo diviso a metà ciò che era in comune...” Rimuginò lei strizzando gli occhi, cercando di ricordare “Ma...prima potevo toccarti senza problemi...” disse incerta, ripensando a come si fossero tenuti per mano nella prima parte del labirinto. Cercò di non pensare al bacio che c'era stato, ma il pensiero corse inevitabilmente anche alle sue labbra.
“Una volta affrontato lo specchio, tu sei diventata più cosciente di...tutto questo..” disse alzando gli occhi alla chioma dell'albero “...e hai cominciato a obbedirmi. Quindi a fidarti di me...”
“Non vedo la connessione...” ribatté lei, alzando lo sguardo al fogliame.
“Vincendo lo specchio hai accettato le regole di questo posto e hai cercato una soluzione per eluderle. In qualche modo, parte del tuo potere ha cominciato a prendere corpo. Obbedendo alle mie indicazioni, dandole quindi per buone, e fidandoti di me, hai aperto il processo di reintegrazione della mia persona al suo ruolo. Più ti fiderai di me più io tornerò quello che ero prima. Sei tu a dare o togliere a me il potere, ricordi? In quanto fae, come ci chiamate voi, dotato di poteri magici superiori, la mia natura mi porta ad assorbire la magia e le peculiarità altrui attraverso le mani. Certo posso controllarmi ma... al momento sarei come un bambino che impara da zero o una spugna asciutta: rischio di non sapermi più gestire. Motivo per cui ho sempre portato i guanti. Non posso e non voglio venir contaminato da ciò che mi sta intorno. Sarebbe un gesto molto egoistico, non trovi? Inoltre perderei la mia individualità, assorbendo ora qui, ora lì. Fidandoti di me, in quell'occasione mi hai ridato una minima parte dei miei poteri e ciò vuol dire che sono diventato pericoloso, per te.”
“Ma io non ho notato nulla...” replicò la ragazza, sbalordita
“Ma basta che l'abbia notato io. E ho fatto bene. E' una cosa che va fatta gradualmente e tu ne hai perso involontariamente il controllo.Quando mi hai tolto il guanto e mi hai toccato, io ti ho prosciugato le forze. E' stato un orgasmo...” disse senza aver la benché minima intenzione di farla arrossire “In così breve tempo sei maturata così tanto...” disse suadente carezzandole la guancia “Sarei curioso di sapere fin dove può arrivare la tua potenza... se solo accettassi il tuo ruolo...” Nella voce c'era una nota di tristezza così profonda che a Sarah si strinse il cuore. Poche ore in sua compagnia e tutto il muro che si era costruita negli anni stava crollando a pezzi “E' il caso di muoversi...non ci rimane più molto tempo...” aggiunse distogliendo lo sguardo.
La fece mettere seduta sul prato mentre lui si tirava in piedi di scatto. Aspettò che lei si sentisse meglio, quindi le porse le mani e la fece alzare lentamente.
C'era troppa, pericolosa vicinanza tra loro e Sarah fece per scostarsi da lui, imbarazzata. Il movimento improvviso le diede il capogiro e Jareth fu veloce a sostenerla, stringendola a sé.
“Non fare movimenti azzardati, sei ancora debole...E sei in carenza di zuccheri...” disse perentorio. Sarah si lasciò abbracciare, posando il capo sul suo petto. Era una sensazione così piacevole. Si sentiva protetta, al sicuro...amata. Le sembrava impossibile aver pensato a quel gesto come una gabbia contenitiva dove, con altri uomini, si era sempre sentita prigioniera. Percepì, oltre la cortina assertiva, una sincera preoccupazione. Era maledettamente maldestro e preoccupato: non riusciva proprio a essere gentile. E più si atteggiava a burbero dispotico, più lei notava le sottigliezze delle sue gentilezze nascoste. Avrebbe potuto amarlo? Ora era decisamente convinta della fattibilità della cosa.
Eppure, in un recesso angolino della sua mente, qualcosa le diceva di stare in guardia, di non fidarsi di quell'uomo. Almeno, non sotto quell'aspetto.
Si umettò le labbra, impacciata e imbarazzata. Quindi alzò lo sguardo su di lui. “Non posso prendere uno di questi frutti?” Nonostante tutto, il desiderio di ricambiare la sua stretta e di lasciarsi andare, ignorando l'allarme che le risuonava dentro, era pressante.
Jareth la guardò divertito, ben conscio dell'attrattiva che poteva esercitare su di lei non come essere magico ma come semplice uomo. “Sembri una cerbiattina spaventata” la canzonò facendole scivolare una mano tra la cascata di capelli. Le scivolò sul collo e avvicinò impercettibilmente il volto al suo.
Sarah era sicura. Lo sentiva anche se non c'erano prove oggettive. Lui stava per baciarla. O era lei che gli si stava lanciando addosso? Come in trance non riusciva a frenare quello che prevedeva sarebbe successo.
Ma il ringhio sommesso di Marking le venne in aiuto e riportò entrambi alla realtà. Il cane era teso, pronto al salto, aveva il pelo dritto sulla schiena come non l'aveva mai visto, le orecchie piatte sulla nuca, gli occhi spalancati e le fauci scoperte.
Tesero le orecchie e avvertirono, in lontananza, lo scalpiccio di un animale lanciato al galoppo.
“Dannazione, Bellfast!” sbottò Jareth “Ci mancava solo lui...”
Il biondo non aveva la più pallida idea se fossero sul confine o nel cuore del frutteto e non aveva, quindi, il minimo piano per fuggire di là.
Il suono prodotto dagli zoccoli sul prato sembrava la materializzazione di passi di danza delle stelle cadenti o giochi infantili di gocce di rugiada. Il nuovo arrivato rallentò il ritmo fino a che non divenne un sommesso trottare. Infine si arrestò a una decina di metri da loro.
Il ringhio di Marking si abbassò di un'ottava, facendosi profondo e gutturale.
Accanto a uno dei molti alberi, il guardiano del giardino svettava fiero e altero.
Gli zoccoli rasparono sul terreno come avrebbe fatto un toro nell'arena, nervoso, pronto a lanciarsi sulla banderilla del torero. Jareth non provò nemmeno a parlare al guardiano: in quel momento era accecato dalla profanazione del suo giardino, del giardino proibito delle fate in cui ogni invasione andava punita con la morte.
Come in una giostra medievale, Bellfast si inclinò in avanti, protendendo la sua arma verso il nemico. Quindi, come se qualcuno avesse fatto loro cenno, i due contendenti si lanciarono l'uno contro l'altro.



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Eccomi qui. Visto? Jareth non è mica morto...figurarsi...ha la pellaccia dura, quello...
E...avete visto? c'è stato un bacio mancato..ehhh troppo semplice sennò XD
Cmq...volevo ragguagliarvi un attimo sulla scelta del mio frutto. Sulla famosa pesca mi sono già espressa (e incavolta) nell'altra fic.
Qui ho scelto la pera perchè è emblema di due cose antiteche tra loro. Da una parte è simbolo tipicamente erotio che ricorda le forme femminili, dall'altro è simbolo di lutto. Il pero era consacrato alla luna (simbolo femminile) e a Era, moglie di Zeus, associato ad Afrodite ma era sacro anche ad Atena, nella sua accezione di dea della morte. Fino a non molto tempo fa, nel cantone svizzero di Argovia, si piantava un melo quando nasceva un maschio, un pero se il neonato era femmina. In Cina è segno di lutto per i fiori bianchi ma anche nel nostro medioevo ha assunto un aspetto sinistro, forse per il fatto che il legno è fragile, marcisce e si spezza facilmente. O anche per via dei vermi che ne amano il frutto.
Altre leggende e detti popolari lo associano ad esseri maligni, all'impiccagione e alla vecchia. E' associato anche all'avidità e a chi fa previsioni proiettando nel futuro i propri desideri al posto dei dati reali.
Detto questo... ;) preparatevi per i capitoli finali (per i quali sarò, ovviamente, altrove)
a presto!


   
 
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