Capitolo 4
Paure.
Si
chiese tra quanto sarebbe suonata la prossima campanella.
Era
il primo, fottutissimo giorno, e già non sopportava
più di rimanere in gabbia.
Non
sopportava quella scuola, quella vita, non sopportava più
niente. Ma quello, si
disse, sembrava un bel posto per riflettere. C’era silenzio.
Finalmente, era
solo.
Il
silenzio, la solitudine, non lo avevano mai spaventato.
Fondamentalmente perché
lui sembrava destinato a vivere nel silenzio, nell’ombra,
nella solitudine.
Tutta la musica che c’era, nella sua vita, era sparita
all’inizio dell’estate.
Ma
forse andava bene così. Forse tutto questo, non era altro
che un modo, l’unico
che il destino aveva trovato, per costringerlo ad abbandonare tutto.
A
Kurt mancava la su vita.
A
Kurt mancava la musica, gli mancava da morire. Forse, almeno quanto gli
mancava
suo padre.
Ma
non poteva avvicinarsi di nuovo. Perché aveva scoperto che
ogni cosa si
sgretolava come creta attorno a lui.
Aveva
la terribile impressione che tutto quello che toccava, che sentiva, potesse sgretolarsi da un
momento all’altro. E no, non
poteva permettersi di amare e perdere di
nuovo, vivere e perdere di nuovo,
credere e perdere di nuovo. Non
poteva perdere se stesso
così, perché
se fosse successo ancora, se si fosse lasciato andare ancora
con tutta la sua anima, e fosse crollato ancora,
non sarebbe più riuscito a rimettere insieme i pezzi.
Era
stata dura, troppo. Aveva dovuto ricoprirsi di scotch, nascondersi
dentro a
chili di carta di imballaggio, per essere sicuro di nascondersi al
mondo e non
cadere di nuovo. Perché non poteva permettersi altri
frantumi, non poteva
permettersi di abbandonare tutto.
Lui
conosceva i suoi limiti. E sapeva che il prossimo passo era
l’abbandono. E lui
stava lottando, lottando dannatamente, per frenarsi, per non mollare.
Per suo
padre, e per il briciolo di amor proprio che gli era rimasto.
Perché Kurt era
forte, ma non quanto li altri credevano.
Aveva
tirato la presa, stretto denti per un’infinità di
volte, e non aveva avvertito
il peso del macigno che gli gravitava sulle spalle, perché
aveva cose per cui
lottare, aveva sogni, aspirazioni, aveva punti di riferimento.
Ma
vederli cedere tutti, o
quasi – veder
crollare il più importante- lo aveva reso consapevole, fin
troppo.
Eppure
ancora non riusciva a crederci.
Contava
le ore, i giorni, e poi le settimane. Rifiutava di contare i mesi,
perché tutto
sembrava così lontano, in termini di mesi.
Kurt
aveva paura, soprattutto.
Di
non farcela.
Di
stare male.
Dei
cambiamenti.
Del
tempo.
Della
mancanza.
Di
dimenticare.
E
Dimenticare, in assoluto, era la paura più grande.
Dimenticare la sua voce, il
suo profumo, le sue parole, i suoi abbracci, le torte bruciacchiate, i
compleanni. Dimenticare la presenza, e dimenticare la mancanza.
E
poi aveva paura di non essere stato abbastanza.
E
di continuare a non esserlo.
Scusa,
Papà. Sono
una frana.
Con
un sospiro, Kurt appoggiò il mento alle ginocchia. Tutti
dovevano essere a
pranzo, a quell’ora. E lui, per pochi secondi, poteva
concedersi di essere Kurt
Hummel, quello vero, o quel che ne rimaneva. Senza dover dare
spiegazioni.
Senza indifferenza, senza spavalderia, senza paura.
E,
mentre il brusio del cortile lo raggiungeva, si posizionò un
po’ meglio,
attento a non scivolare giù.
Era
così alto. E farla finita sarebbe stato estremamente
semplice.
Si
passò una mano tra i capelli, mentre un aereo sorvolava il
cielo grigio di
Lima.
Le
nuvole lo avvolgevano, lo nascondevano al resto del mondo, anche a se
stesso.
A
volte avrebbe voluto saper volare. Doveva essere così bello,
planare in giro,
senza dover rendere conto a nessuno. Essere spettatori del mondo, solo
spettatori, come quando si legge un libro. Niente problemi, niente
dolore. Solo
il vento tra i capelli, come un’aquila.
Volare
via, lontano dagli affetti, dal calore.
C’erano
così tante persone a cui voler bene, lì.
Così tante persone da amare, da
proteggere, per cui rischiare di cadere a pezzi di nuovo.
E
lui, semplicemente, non poteva rischiare.
Non
lo avrebbe fatto.
Frugò
nella tasca della giacca di pelle, freneticamente, scosso da un brivido
di
freddo.
Nel
pacchetto c’era un’ultima sigaretta. Sbuffando, la
accese, e fece il primo tiro.
Il fumo penetrò
nei suoi polmoni,
sporcandolo, rendendolo schiavo ancora una volta, per
l’ennesima volta. Si
rilassò un po’, tendendo le spalle, mentre il suo
sguardo si perdeva oltre la
nuvola grigia che si stava formando attorno a lui.
Si
lasciò sfuggire un sorriso amaro, al pensiero di Rachel, la sua Rachel; lo avrebbe osservato, gli
occhi sgranati. E poi gli
avrebbe strappato la sigaretta di bocca, letteralmente, gridando
all’attentato
alle corde vocali. Era così tanto da
lei.
Maniaca,
inquietante, adorabile Rachel.
Scosse
la testa stringendo gli occhi. Non poteva permettersi di farli entrare,
i
ricordi, i suoi amici. Non di nuovo.
Non
voleva farli star male. E non voleva stare peggio.
Vederli di nuovo, quella mattina, lo aveva fatto vacillare, ma Kurt non
poteva
farlo. Non più.
Era
forte abbastanza, almeno per questo.
Da
lì, poteva avvertire il suono del mondo che andava avanti,
che lo lasciava lì,
da solo, indietro. E a lui stava bene così.
Tutto,
pur di non crollare.
Lo
stava facendo anche per Rachel.
Anche
per i suoi amici, non solo per se stesso.
Non
era egoista. O forse si. Forse lo era troppo.
Gettò
a terra la sigaretta, schiacciandola con il piede, mentre scendeva dal
cornicione.
Non
aveva voglia di raggiungere Quinn e Puck al parcheggio. Sempre che non
fossero
con gli altri.
Kurt
non aveva voglia di fare niente.
Si
guardò brevemente a torno. Poi strinse un po’ il
lato della sua borsa, la aprì,
si guardò intorno di nuovo, con fare metodico.
Nessuno
lo avrebbe trovato, lì.
Prese
un quaderno, e cominciò a scrivere.
***
Si
immobilizzò, il respiro pesante, per alcuni secondi, prima
di ricordarsi che
nessuno sapeva di lui. Non ancora.
Qualcuno
lo aveva già preso di mira, forse.
Deglutì,
mentre si voltava di scatto, tentando di rimanere lucido.
-Ehi..
Sei nuovo, vero? Non ti ho mai visto a scuola, e avevi uno sguardo un
po’
terrorizzato. Se vuoi puoi sederti con noi, non mordiamo.- Di fronte a
lui, una
ragazza piuttosto bassa e dallo sguardo furbo lo stava squadrando da
capo a
piedi, un sorriso stampato in volto, ed un vestito pieno di gattini
ricamati
gialli e color panna. Blaine aprì la bocca, ma prima ancora
di riuscire a
formulare qualcosa che suonasse sensato, venne interrotto.
-Berry,
parla per te. Io lo morderei volentieri, lo hai visto?!- Era stata una
delle
Cheerleaders a parlare, capelli scuri, pelle olivastra, coda di
cavallo. Blaine
aggrottò le sopracciglia, mentre un ragazzo sulla sedia a
rotelle le
interrompeva entrambe.
-Santana,
a cuccia! Avete intenzione di farlo scappare, per caso?- La Cheerleader
alzò
gli occhi al cielo, affondando la forchetta nella sua insalata.
-Tanto
scapperà comunque, quando capirà in quale livello
della scala sociale ci
troviamo.- La ragazza dalla carnagione scura, quella che aveva dato
inizio alle
risate quando Blaine era arrivato, gli rivolse un sorriso amaro, e
Blaine,
chissà perché, si sentì un
po’ più vicino a quei ragazzi.
Sembravano
diversi dal resto degli adolescenti che conosceva.
-Io..
io volevo solo chiedervi se potevo pranzare con voi. I posti sono tutti
occupati.- Sussurrò, passandosi la mano dietro al collo,
mentre con l’altra
teneva il vassoio. Non aveva molta fame, ma, adesso, era curioso di
conoscere
quei ragazzi. Lanciò un’occhiata veloce al gruppo.
Erano tutti estremamente
diversi. Non capiva come potessero stare tutti insieme, quando il
sistema del
liceo si basava, fondamentalmente, su scale gerarchiche.- Se.. se per
voi non è
un problema.-
Blaine
non era nemmeno riuscito a terminare la frase. La ragazza bassina aveva
afferrato il suo vassoio, e lo aveva poggiato sul tavolo, in uno dei
posti
vuoti.
-Sono
Rachel Berry, indiscussa stella incompresa di questa scuola, ed un
giorno, di
Broadway.- Blaine ridacchiò, ma tutti rimasero fin troppo
seri. Quindi, Blaine
si ricompose, e tentò di seguire la spiegazione della
ragazza, che aveva
cominciato a parlare a manetta.
-Rach,
non ti pare di averlo confuso abbastanza?!- Un ragazzo alto, con lo
sguardo da
tonto, ma il sorriso da bonaccione, gli tese la mano.- Io sono Finn, il
ragazzo
di Rachel, e quarterback della squadra di football.- Blaine gli strinse
la mano
con un sorriso incredulo.
Sprazzi
di civiltà dalla sua generazione. Non lo avrebbe mai detto.
-Tettine
mosce, evita di rincoglionirlo, ci serve vivo.-
Ok,
come non detto.
***
Mezz’ora
più tardi, al suono della campanella, Blaine era riuscito a
dimenticare di
essere in quella scuola da solo un giorno.
Aveva
scoperto che quei ragazzi facevano parte del Glee club della scuola, e
si era
intenerito nell’osservare come i loro sguardi si erano
animati, quando lui non
si era alzato per lasciarli lì da soli.
Si
disse che era il minimo. Si definivano degli sfigati, gli avevano detto di aspettarsi una
granitata, e che
farsi vedere con loro non era una buona cosa per la
popolarità, che nemmeno
fare parte della squadra di football o delle cheerleader ti salvava, e
mille
altre cose. E magari continuavano a pensare che Blaine non si sarebbe
più
seduto con loro, e che era troppo gentile per mollarli e andarsene.
Blaine
non era andato via, però. E non lo avrebbe fatto,
perché, dopo una giornata
passata a fuggire dai ricordi, dalla paura, quei ragazzi erano stati
gentili,
lo avevano ascoltato e gli avevano permesso di inserirsi in un gruppo
già
formato da tempo, facendolo sentire uno di loro in pochi secondi,
facendogli
dimenticare quasi tutte le sue paure.
In
definitiva, si sentiva molto, molto più tranquillo di quella
mattina, ed era
solo merito loro.
Blaine
si alzò dal tavolo, e cercò, nello zaino, il suo
orario.
-Cos’hai
ora?- Blaine alzò lo sguardo su Rachel. Tutti gli altri
erano spariti, nascosti
dagli altri studenti, e
si era ritrovato
a camminare accanto a lei.
-Chimica
avanzata, tu?- Rachel sorrise, prendendolo a braccetto. Blaine
aggrottò le
sopracciglia, interdetto da tutta quella vicinanza. Per quanto ne
sapeva lei,
Blaine poteva anche essere un pazzo scatenato. Eppure, da come
parlavano gli
altri, doveva essere Rachel la persona da cui guardarsi.
Deglutì.
-Matematica,
ma ti posso indicare la classe, è poco lontana. Vieni con
me.- Blaine venne
letteralmente trascinato dalla ragazza lungo il primo corridoio che
aveva percorso
quella mattina. Mentre rallentavano, seguendo il ritmo regolare della
folla, Rachel cominciò a parlare a raffica. Blaine si
chiese, divertito, se esistesse
un modo per farla stare zitta.
-..Non
è esattamente il mio corso preferito, ma ovviamente
è avanzato. Io seguo tutti
i corsi avanzati, la mia pagella è praticamente..- Rachel si
fermò di colpo in
mezzo al corridoio, proprio mentre la seconda campanella suonava, e
Blaine
inchiodò, mentre la ragazza lasciava cadere le braccia lungo
i fianchi. Il volto
corrucciato, lo sguardo fisso.
Blaine
seguì il suo sguardo, confuso.
E
rimase incantato da quel verde, che spariva dentro un’aula.
Poi
tornò a guardare Rachel, evidente preda di un conflitto
interiore.
-Io..
l’aula è quella. Farò tardi.. Ci
vediamo.- Sussurrò, senza nemmeno guardarlo.
L’aula che gli aveva indicato era proprio quella di fronte
all’aula del ragazzo
dai capelli verdi.
Blaine
nemmeno si accorse della sparizione della sua nuova amica.
Si
trovò praticamente solo, a fissare, sbalordito, la porta di
fronte a quella in
cui doveva entrare. E si morse un labbro, la mente colma di domande.
Quella
scuola era strana.
O
forse era solo viva.
Si
chiese se gli sembrava strana perché era ancora fuori da
tutto, o perché era
appena entrato nel meccanismo.
Una
cosa, però, l’aveva capita.
Rachel
conosceva quel ragazzo. E non sembrava essere una cosa positiva.
Blaine
era curioso. Terribilmente.
Confuso,
varcò la soglia di Chimica avanzata. Avrebbe trovato delle
risposte, più
avanti. Adesso, aveva una lezione da affrontare.
Angolo di Alis.
Chiedo scusa a tutti, perchè mi sono accorta che questo capitolo non è come lo volevo. Proverò a farmi perdonare, davvero.
Chiedo scusa anche perchè oggi non sono di troppe parole. E chiedo scusa se questa storia non è il massimo.
So di essere ripetitiva, ma per dirmi qualsiasi cosa, davvero qualsiasi, potete scrivermi sulla pagina di Facebook, su Twitter, oppure lasciare una recensione.
Non è esattamente una bella giornata, e sapere cosa ne pensate magari mi distrarrebbe un po', e mi farebbe anche molto piacere. Qualunque cosa pensiate. Sono qui per questo.
Ah, sto prendendo in considerazione l'idea di aggiornare due volte a settimana. Però vorrei sapere cosa ne pensate voi. Fatemi sapere, se volete, sapete dove trovarmi.
Alis.