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Autore: Aliceclipse    20/07/2012    3 recensioni
Persone familiari. Troppo. Un abbraccio diverso, impacciato. Sapeva di casa. E quel profumo, quel dopobarba. Kurt non voleva andare a casa. Ovunque, ma non a casa. Non con due persone che chiamava famiglia, ma che erano estranee. Ormai erano estranee.
Mani, troppe mani. Kurt Non era più responsabile delle sue azioni, e se ne rendeva conto solo in quel momento. Tentando di bloccare quelle mani disperatamente, si stava affannando in cerca del verde. E poi lo afferrò, il verde. Disperatamente.
***
Non sembrava cattivo. Non sembrava vuoto.
Sembrava solo fuori luogo, nonostante il suo modo di vestire e tutti quei piercing non sembrassero strani, su di lui.
Si chiese da quanto li aveva. Si chiese che musica ascoltava, quali fossero le sue materie preferite.
E, improvvisamente, l’ora di storia non sembrava così noiosa.
Quella scuola non sembrava tanto spaventosa, nonostante le sue paure. Le paure a cui non voleva dar voce, ma che lo tormentavano nel sonno, senza tregua, ogni notte. Quelle che lo segnavano profondamente, la causa delle sue occhiaie pronunciate.

***
BadBoy!Kurt, Klaine, Kurt/Puck friendship, Quinn/Puck friendship, Faberry, Blaine/Santana friendship, Blaine/Rachel friendship.
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Blaine Anderson, Kurt Hummel, Un po' tutti
Note: AU, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 4

Paure.

Si chiese tra quanto sarebbe suonata la prossima campanella.
Era il primo, fottutissimo giorno, e già non sopportava più di rimanere in gabbia.
Non sopportava quella scuola, quella vita, non sopportava più niente. Ma quello, si disse, sembrava un bel posto per riflettere. C’era silenzio. Finalmente, era solo.
Il silenzio, la solitudine, non lo avevano mai spaventato. Fondamentalmente perché lui sembrava destinato a vivere nel silenzio, nell’ombra, nella solitudine. Tutta la musica che c’era, nella sua vita, era sparita all’inizio dell’estate.
Ma forse andava bene così. Forse tutto questo, non era altro che un modo, l’unico che il destino aveva trovato, per costringerlo ad abbandonare tutto.
A Kurt mancava la su vita.
A Kurt mancava la musica, gli mancava da morire. Forse, almeno quanto gli mancava suo padre.  
Ma non poteva avvicinarsi di nuovo. Perché aveva scoperto che ogni cosa si sgretolava come creta attorno a lui.
Aveva la terribile impressione che tutto quello che toccava, che sentiva, potesse sgretolarsi da un momento all’altro. E no, non poteva permettersi di amare e perdere di nuovo, vivere e perdere di nuovo, credere e perdere di nuovo. Non poteva perdere se stesso così, perché se fosse successo ancora, se si fosse lasciato andare ancora con tutta la sua anima, e fosse crollato ancora, non sarebbe più riuscito a rimettere insieme i pezzi.
Era stata dura, troppo. Aveva dovuto ricoprirsi di scotch, nascondersi dentro a chili di carta di imballaggio, per essere sicuro di nascondersi al mondo e non cadere di nuovo. Perché non poteva permettersi altri frantumi, non poteva permettersi di abbandonare tutto.
Lui conosceva i suoi limiti. E sapeva che il prossimo passo era l’abbandono. E lui stava lottando, lottando dannatamente, per frenarsi, per non mollare. Per suo padre, e per il briciolo di amor proprio che gli era rimasto. Perché Kurt era forte, ma non quanto li altri credevano.
Aveva tirato la presa, stretto denti per un’infinità di volte, e non aveva avvertito il peso del macigno che gli gravitava sulle spalle, perché aveva cose per cui lottare, aveva sogni, aspirazioni, aveva punti di riferimento.
Ma vederli cedere tutti,  o quasi – veder crollare il più importante- lo aveva reso consapevole, fin troppo.
Eppure ancora non riusciva a crederci.
Contava le ore, i giorni, e poi le settimane. Rifiutava di contare i mesi, perché tutto sembrava così lontano, in termini di mesi.
Kurt aveva paura, soprattutto.
Di non farcela.
Di stare male.
Dei cambiamenti.
Del tempo.
Della mancanza.
Di dimenticare.
E Dimenticare, in assoluto, era la paura più grande. Dimenticare la sua voce, il suo profumo, le sue parole, i suoi abbracci, le torte bruciacchiate, i compleanni. Dimenticare la presenza, e dimenticare la mancanza.
E poi aveva paura di non essere stato abbastanza.
E di continuare a non esserlo.

Scusa, Papà. Sono una frana.
Con un sospiro, Kurt appoggiò il mento alle ginocchia. Tutti dovevano essere a pranzo, a quell’ora. E lui, per pochi secondi, poteva concedersi di essere Kurt Hummel, quello vero, o quel che ne rimaneva. Senza dover dare spiegazioni. Senza indifferenza, senza spavalderia, senza paura.
E, mentre il brusio del cortile lo raggiungeva, si posizionò un po’ meglio, attento a non scivolare giù.
Era così alto. E farla finita sarebbe stato estremamente semplice.
Si passò una mano tra i capelli, mentre un aereo sorvolava il cielo grigio di Lima.
Le nuvole lo avvolgevano, lo nascondevano al resto del mondo, anche a se stesso.
A volte avrebbe voluto saper volare. Doveva essere così bello, planare in giro, senza dover rendere conto a nessuno. Essere spettatori del mondo, solo spettatori, come quando si legge un libro. Niente problemi, niente dolore. Solo il vento tra i capelli, come un’aquila.
Volare via, lontano dagli affetti, dal calore.
C’erano così tante persone a cui voler bene, lì. Così tante persone da amare, da proteggere, per cui rischiare di cadere a pezzi di nuovo.
E lui, semplicemente, non poteva rischiare.

Non lo avrebbe fatto.
Frugò nella tasca della giacca di pelle, freneticamente, scosso da un brivido di freddo.
Nel pacchetto c’era un’ultima sigaretta. Sbuffando, la accese, e fece il primo tiro. Il fumo  penetrò nei suoi polmoni, sporcandolo, rendendolo schiavo ancora una volta, per l’ennesima volta. Si rilassò un po’, tendendo le spalle, mentre il suo sguardo si perdeva oltre la nuvola grigia che si stava formando attorno a lui.
Si lasciò sfuggire un sorriso amaro, al pensiero di Rachel, la sua Rachel; lo avrebbe osservato, gli occhi sgranati. E poi gli avrebbe strappato la sigaretta di bocca, letteralmente, gridando all’attentato alle corde vocali. Era così tanto da lei.
Maniaca, inquietante, adorabile Rachel.
Scosse la testa stringendo gli occhi. Non poteva permettersi di farli entrare, i ricordi, i suoi amici. Non di nuovo.
Non voleva farli star male. E non voleva stare peggio.
Vederli di nuovo, quella mattina, lo aveva fatto vacillare, ma Kurt non poteva farlo. Non più.
Era forte abbastanza, almeno per questo.
Da lì, poteva avvertire il suono del mondo che andava avanti, che lo lasciava lì, da solo, indietro. E a lui stava bene così.
Tutto, pur di non crollare.
Lo stava facendo anche per Rachel. Anche per i suoi amici, non solo per se stesso.
Non era egoista. O forse si. Forse lo era troppo.
Gettò a terra la sigaretta, schiacciandola con il piede, mentre scendeva dal cornicione.
Non aveva voglia di raggiungere Quinn e Puck al parcheggio. Sempre che non fossero con gli altri.
Kurt non aveva voglia di fare niente.
Si guardò brevemente a torno. Poi strinse un po’ il lato della sua borsa, la aprì, si guardò intorno di nuovo, con fare metodico.
Nessuno lo avrebbe trovato, lì.
Prese un quaderno, e cominciò a scrivere.

***

 Blaine si sentì gelare il sangue nelle vene.
Si immobilizzò, il respiro pesante, per alcuni secondi, prima di ricordarsi che nessuno sapeva di lui. Non ancora.
Qualcuno lo aveva già preso di mira, forse.
Deglutì, mentre si voltava di scatto, tentando di rimanere lucido.
-Ehi.. Sei nuovo, vero? Non ti ho mai visto a scuola, e avevi uno sguardo un po’ terrorizzato. Se vuoi puoi sederti con noi, non mordiamo.- Di fronte a lui, una ragazza piuttosto bassa e dallo sguardo furbo lo stava squadrando da capo a piedi, un sorriso stampato in volto, ed un vestito pieno di gattini ricamati gialli e color panna. Blaine aprì la bocca, ma prima ancora di riuscire a formulare qualcosa che suonasse sensato, venne interrotto.
-Berry, parla per te. Io lo morderei volentieri, lo hai visto?!- Era stata una delle Cheerleaders a parlare, capelli scuri, pelle olivastra, coda di cavallo. Blaine aggrottò le sopracciglia, mentre un ragazzo sulla sedia a rotelle le interrompeva entrambe.
-Santana, a cuccia! Avete intenzione di farlo scappare, per caso?- La Cheerleader alzò gli occhi al cielo, affondando la forchetta nella sua insalata.
-Tanto scapperà comunque, quando capirà in quale livello della scala sociale ci troviamo.- La ragazza dalla carnagione scura, quella che aveva dato inizio alle risate quando Blaine era arrivato, gli rivolse un sorriso amaro, e Blaine, chissà perché, si sentì un po’ più vicino a quei ragazzi.
Sembravano diversi dal resto degli adolescenti che conosceva.
-Io.. io volevo solo chiedervi se potevo pranzare con voi. I posti sono tutti occupati.- Sussurrò, passandosi la mano dietro al collo, mentre con l’altra teneva il vassoio. Non aveva molta fame, ma, adesso, era curioso di conoscere quei ragazzi. Lanciò un’occhiata veloce al gruppo. Erano tutti estremamente diversi. Non capiva come potessero stare tutti insieme, quando il sistema del liceo si basava, fondamentalmente, su scale gerarchiche.- Se.. se per voi non è un problema.-
Blaine non era nemmeno riuscito a terminare la frase. La ragazza bassina aveva afferrato il suo vassoio, e lo aveva poggiato sul tavolo, in uno dei posti vuoti.
-Sono Rachel Berry, indiscussa stella incompresa di questa scuola, ed un giorno, di Broadway.- Blaine ridacchiò, ma tutti rimasero fin troppo seri. Quindi, Blaine si ricompose, e tentò di seguire la spiegazione della ragazza, che aveva cominciato a parlare a manetta.
-Rach, non ti pare di averlo confuso abbastanza?!- Un ragazzo alto, con lo sguardo da tonto, ma il sorriso da bonaccione, gli tese la mano.- Io sono Finn, il ragazzo di Rachel, e quarterback della squadra di football.- Blaine gli strinse la mano con un sorriso incredulo.
Sprazzi di civiltà dalla sua generazione. Non lo avrebbe mai detto.
-Tettine mosce, evita di rincoglionirlo, ci serve vivo.-
Ok, come non detto.

 

***

Mezz’ora più tardi, al suono della campanella, Blaine era riuscito a dimenticare di essere in quella scuola da solo un giorno.
Aveva scoperto che quei ragazzi facevano parte del Glee club della scuola, e si era intenerito nell’osservare come i loro sguardi si erano animati, quando lui non si era alzato per lasciarli lì da soli.
Si disse che era il minimo. Si definivano degli sfigati, gli avevano  detto di aspettarsi una granitata, e che farsi vedere con loro non era una buona cosa per la popolarità, che nemmeno fare parte della squadra di football o delle cheerleader ti salvava, e mille altre cose. E magari continuavano a pensare che Blaine non si sarebbe più seduto con loro, e che era troppo gentile per mollarli e andarsene.
Blaine non era andato via, però. E non lo avrebbe fatto, perché, dopo una giornata passata a fuggire dai ricordi, dalla paura, quei ragazzi erano stati gentili, lo avevano ascoltato e gli avevano permesso di inserirsi in un gruppo già formato da tempo, facendolo sentire uno di loro in pochi secondi, facendogli dimenticare quasi tutte le sue paure.
In definitiva, si sentiva molto, molto più tranquillo di quella mattina, ed era solo merito loro.
Blaine si alzò dal tavolo, e cercò, nello zaino, il suo orario.
-Cos’hai ora?- Blaine alzò lo sguardo su Rachel. Tutti gli altri erano spariti, nascosti dagli altri studenti,  e si era ritrovato a camminare accanto a lei.
-Chimica avanzata, tu?- Rachel sorrise, prendendolo a braccetto. Blaine aggrottò le sopracciglia, interdetto da tutta quella vicinanza. Per quanto ne sapeva lei, Blaine poteva anche essere un pazzo scatenato. Eppure, da come parlavano gli altri, doveva essere Rachel la persona da cui guardarsi. Deglutì.
-Matematica, ma ti posso indicare la classe, è poco lontana. Vieni con me.- Blaine venne letteralmente trascinato dalla ragazza lungo il primo corridoio che aveva percorso quella mattina. Mentre rallentavano, seguendo il ritmo regolare della folla, Rachel cominciò a parlare a raffica. Blaine si chiese, divertito, se esistesse un modo per farla stare zitta.
-..Non è esattamente il mio corso preferito, ma ovviamente è avanzato. Io seguo tutti i corsi avanzati, la mia pagella è praticamente..- Rachel si fermò di colpo in mezzo al corridoio, proprio mentre la seconda campanella suonava, e Blaine inchiodò, mentre la ragazza lasciava cadere le braccia lungo i fianchi. Il volto corrucciato, lo sguardo fisso.
Blaine seguì il suo sguardo, confuso.
E rimase incantato da quel verde, che spariva dentro un’aula.
Poi tornò a guardare Rachel, evidente preda di un conflitto interiore.
-Io.. l’aula è quella. Farò tardi.. Ci vediamo.- Sussurrò, senza nemmeno guardarlo. L’aula che gli aveva indicato era proprio quella di fronte all’aula del ragazzo dai capelli verdi.
Blaine nemmeno si accorse della sparizione della sua nuova amica.
Si trovò praticamente solo, a fissare, sbalordito, la porta di fronte a quella in cui doveva entrare. E si morse un labbro, la mente colma di domande.
Quella scuola era strana.
O forse era solo viva.
Si chiese se gli sembrava strana perché era ancora fuori da tutto, o perché era appena entrato nel meccanismo.
Una cosa, però, l’aveva capita.
Rachel conosceva quel ragazzo. E non sembrava essere una cosa positiva.
Blaine era curioso. Terribilmente.
Confuso, varcò la soglia di Chimica avanzata. Avrebbe trovato delle risposte, più avanti. Adesso, aveva una lezione da affrontare.

 

Angolo di Alis.

Chiedo scusa a tutti, perchè mi sono accorta che questo capitolo non è come lo volevo. Proverò a farmi perdonare, davvero. 

Chiedo scusa anche perchè oggi non sono di troppe parole. E chiedo scusa se questa storia non è il massimo. 

So di essere ripetitiva, ma per dirmi qualsiasi cosa, davvero qualsiasi, potete scrivermi sulla pagina di Facebook, su Twitter, oppure lasciare una recensione. 

Non è esattamente una bella giornata, e sapere cosa ne pensate magari mi distrarrebbe un po', e mi farebbe anche molto piacere. Qualunque cosa pensiate. Sono qui per questo.

Ah, sto prendendo in considerazione l'idea di aggiornare due volte a settimana. Però vorrei sapere cosa ne pensate voi.  Fatemi sapere, se volete, sapete dove trovarmi. 

Alis.

 

 

   
 
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