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Autore: The queen of darkness    20/07/2012    2 recensioni
Un ragazzo con una voce straordinaria. Una ragazza che ne rimane affascinata. Un amore indissolubile. E la nascita di un mito inventata da me.
[questa è la mia prima Fanfiction e, vi prego, recensite! :)]
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Brian. Quel nome le turbinava in testa senza darle pace. Si gettó nella folla del corridoio, dove le aule rigettavano cheerleader, giocatori di football, membri del club di scacchi e tutti i liceali che l'America poteva offrire. Annaspava fra i corpi ammassati tra gli armadietti. Rumorosi, fastidiosissimi ragazzetti. Alcune bionde le sfilarono accanto ridacchiando come galline. Il vociare sovrapposto di decine di persone era assordante e la stava stordendo. Ma quel nome, cosí comune, non se ne voleva andare. Qualcuno le urtò un braccio, facendole male, ma non si fermò. Suvvia, Carol, non essere paranoica, magari non se ne sarà neanche accorto. Era la bugia che si ripeteva più spesso, soprattutto negli ultimi tempi. Ricordò lo scontro involontario di pochi attimi prima, quando un corpo alto e forte si era sovrapposto fra lei e la sua strada. Uno "scusa" sincero e poi il ragazzo era sparito. Ma lei sapeva chi era. Tutti sapevano chi era. Il ragazzo in questione, Brian, era alto e perennemente vestito di scuro, con i capelli lisci e lunghi oltre le spalle. Erano neri e compatti. Lo smalto sulle unghie ricordava molto quel colore, più intenso negli occhi, brillanti di intelligenza. Aveva un viso interessante: un ovale perfetto, con un naso allungato e importante. Era magro, fatto evidenziato dagli abiti che portava e dalle borchie. Di quelle ne aveva un sacco. Le era sempre sembrato diverso, non in senso dispregiativo, e per questo migliore degli altri. Non giocava a football, né a scacchi ed era, anche lui, un emarginato. Ma a colpirla, di tutto ció, era stata la voce. Aveva un timbro profondo, forte, sicuro e denso, che attirava qualsiasi ascoltatore. Aveva il tono tipico delle persone taciturne, le cui parole sono rare e preziose. Così, l'aveva distratta con questa improvvisa parola e la sua impercettibile scia di pulito e forza aveva avvolto la ragazza, ancora stupita di quella dimostrazione di gentilezza nei suoi confronti... -Heylà! Fu distratta dalla voce alle sue spalle. -Ciao, Kelly. La ragazza le sorrise. Ora che il corridoio si era un po' svuotato, parlare era possibile. Era molto graziosa quel giorno. -Ti sta bene quel vestito. -Me l'ha regalato Chad. Kelly soffriva di un leggero tardo mentale che secondo Carol era solo ingenuità. Ma ciò la rendeva imperfetta, una ragazza non bionda e non facile, quindi si era aggiunta alla schiera di "persone-scarto". Chad, un giocatore di football, le si era dichiarato un anno prima, diventando il suo ragazzo ufficialmente. -Sei tutta rossa. La ragazza arrossì ancora di più e sorrise lievemente. - Sai, lui è tanto caro con me, che sono solo una stupida. -Non sei stupida. La madre di Kelly era stupida. Lei e le sue credenze religiose creavano una marea di difficoltá alla figlia, facendola sentire inferiore. La cosa faceva infuriare Carol, che era fermamente convinta che una religione dovesse essere un sollievo, non una pena. Kelly sorrise tristemente, cominciando a camminarle a fianco, verso l'aula di biologia. -Oggi si consegnano le ricerche - , osservò pensierosa, quasi tra sè e sè. Carol sorrise. Parlare di queste cose le metteva tristezza. I colori vivaci, i cuccioli di animale e i fiocchi da mettere nei capelli la tiravano su di morale, così Carol provò a farla sentire meglio. -Sai, non si può essere tristi con questo magnifico arancione addosso! Il vestito datole da Chad era proprio del suo colore preferito. Il ragazzo era molto attento a queste cose. Carol lo ringraziò, quando vide che Kelly ridacchiava sommessamente. Entrarono in aula sedendosi vicine come al solito e Carol ebbe un tuffo al cuore. Seduto tra le prime file stava seduto Brian, nella posa più naturale e composta che gli vesse mai visto assumere. "Cosa diavolo ci fa qui?", si chiese. Di solito saltava le prime ore di lezione al lunedì. Uff. Si sarebbe preannunciata una giornata interessante. Le lezioni erano finite da un pezzo ma, dopo aver salutato Kelly e Chad, restò a bazzicare lá in giro per un altro po'. Non aveva voglia di tornare a casa, dove comunque nessuno la aspettava, così decise di studiacchiare qualcosa e poi avviarsi. Ma il tempo, quel giorno, passava lentissimo. I minuti sembravano ore, e il freddo pungente di fine Ottobre sembrava complottare contro di lei. Seduta sul suo angolino di marcipiede sudicio, a combattere contro i fogli agitati dal vento, si stava annoiando a morte. Ma era un tipo cocciuto: lá aveva detto che sarebbe rimasta e LÀ sarebbe rimasta. Si alzò per sgranchirsi e osservò il turbinare delle foglie rosse sulla strada. Non c'erano macchine. Nessun passante. Solo lei e e foglie, assieme all'imponente presenza degli alberi. Era uno spettacolo molto bello. Le cortecce erano forti e robuste, segnate da piccoli sfregi, ma il nocciola nodoso del tronco era arricchito dai colori sgargianti delle foglie, tutte prese da quella stranissima danza. Carol aveva sempre pensato che quello fosse un bel modo di andarsene. Le foglie erano davvero splendide, molto più di quando erano tutte verdi, e volteggiavano in aria quasi spavalde, leggere, per poi posarsi a terra. Gli umani quando muoiono diventano tutti bianchi e freddi, duri come il ferro e dopo un po' imputridiscono. Ma le foglie...loro restavano sembre belle, perchè poi si fondevano con la terra, diventando cibo per il loro albero. Anche gli uomini cercavano di restituirsi alla terra, ma con dei risultati grotteschi. E lei? Sarebbe stata accettata dalla terra? Con il suo corpo contaminato? Con l'animo inaridito? Questi pensieri la resero incredibilmente tristi. Si risedette sul marciapiede, affondando la testa nelle spalle. Non avrebbe pianto, come non piangeva quando suo padre ubriaco abusava di lei o quando ripensava a sua madre, che era chissà dove. Avrebbe tenuto duro, come suo solito, per il semplice fatto che non riusciva a sfogarsi. Non ce la faceva a livello fisico, e il suo orgoglio era troppo grande per permettere a quelle agognate lacrime di liberarsi delle loro catene e uscire. No, non l'avrebbe fatto. Cosìm serrò le mascelle e stette a godersi lo spettacolo delle foglie, cercando di affogare la sua tristezza nei recessi della sua anima. Ma con scarsi risultati.
  
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