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Autore: Claire Knight    21/07/2012    4 recensioni
Buongiorno. Vi presento questa mia one-shot sperando che non sia venuta fuori troppo male. Ho inserito all'interno di questa fiction un OC bellissimo, il suo nome è Haruhi Aka e non è mio, ma appartiene ad Ever_Crazy.
Questa shot infatti è per te, tanti auguri di buon compleanno. La Fase B del tuo regalo come vedi arriva giusto un giorno in ritardo (lascio il mio marchio da lumaca ovunque èwé).
Ho segnalato OOC perché penso di aver sfasato abbastanza il carattere di Gouenji, almeno per come lo vedo io. Ma spero che possiate comunque apprezzare ciò che ho scritto. Rima, inoltre, è un mio Oc ma in questa shot viene appena nominata come amica di Haruhi. Detto questo, auguro a tutti una buona lettura!
Claire.
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Axel/Shuuya, Nuovo personaggio
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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I was only a bit afraid of love.


- Ciao, Haruhi. Come stai? È da un po' di giorni che non vieni al club di calcio, e a scuola non ne parli nemmeno più; è successo qualcosa? I tuoi non ti ci vogliono proprio mandare? Oh, ma sappi che per qualsiasi problema mi fai uno squillo e sono subito da te! Comunque... non sono l'unica in pensiero, sappilo. Un po' tutta la squadra si domanda dove sia finita la nostra bravissima centrocampista, e poi lo sai bene che senza di te ci si sente un po' persi, sei una delle persone più importanti per noi. Speriamo che tu stia bene, comunque, e di rivederti presto. Tanto sai dove, come e quando trovarci. Un abbraccio, Rima -.

 

La ragazza premette sul tasto rosso del cellulare prima che la solita e straziante voce registrata, così indifferente, sempre uguale per ogni situazione, si sovrapponesse a quella comprensiva dell'amica. Rimase in silenzio per un po', pregando di perdersi nell'oscurità del soffitto invece che di fronte alla prospettiva di dover aprire le zip sul suo cuore. No, i suoi genitori non c'entravano affatto. Stava saltando gli incontri di pallone di spontanea volontà, solo a causa di quello... Però aveva detto che un po' tutta la squadra era in pensiero, forse gli mancava veramente, forse... no, non avrebbe resistito cinque minuti. Frequentare il club di calcio le era diventato insostenibile da quando aveva capito di essere innamorata di lui. Sì, meglio chiamarlo lui piuttosto che col suo vero nome, se non gli dava un nome poteva sentire di meno la forza di quel sentimento. Se non altro, funzionava così per lei, dal momento che era un pensiero fisso. Se ne era accorta fin troppo tardi, e in un'occasione banale per giunta, ma almeno le aveva aperto gli occhi. Era stato quando si erano incontrati per la prima volta da soli per provare una nuova tecnica di attacco, si era sentita così strana, pensava di arrossire ogni volta che i loro corpi si sfioravano; e quando era venuta a capo del significato di quei segnali, la situazione non era per nulla migliorata. Anche solo guardarlo in faccia le provocava uno strano senso di vergogna e abbassava inesorabilmente la testa, oppure si voltava verso qualche altro compagno e cercava un dialogo. A parlare con lui, inoltre, tutto ciò che le usciva di bocca le sembrava banale e insignificante. E quindi, con lui sempre presente, aveva cominciato a distrarsi durante gli allenamenti, sbagliava i tiri in porta e raramente riusciva a dribblare o mantenere il possesso palla abbastanza a lungo. Così, aveva gradualmente smesso di andare agli incontri, prima una volta, poi due e tre. Alla fine tutti si stavano quasi abituando, e lei tamponava le ferite con bugie e scuse di ogni genere. Un giorno aveva cominciato a dire che i suoi genitori non volevano più mandarla perché doveva concentrarsi di più sullo studio e perché credevano che il calcio fosse roba da uomini. Sapeva bene che loro non l'avrebbero mai pensata così, ma le era sembrata una scusa più che plausibile e, per di più, seria. Non come: “scusate, avevo una visita dal dentista” oppure “a casa non c'era nessuno e non potevo lasciare mio fratello da solo”. E come bugia poteva durare anche tanto, no? Rima soprattutto l'aveva presa molto sul serio, perché lei in prima persona aveva avuto problemi di quel genere coi suoi genitori, ma poi aveva risolto. E ogni volta che la vedeva ci teneva a farle sentire che la capiva. E la incoraggiava. Ma l'unico vero effetto che sortivano le sue parole era farla sentire ancora peggio.
Per lei non era affatto facile rinunciare al pallone. Per i primi giorni aveva resistito, rinchiudendo il proprio in un angolino dell'armadio. Ma dopo nemmeno una settimana si era osservata sbigottita mentre lo riprendeva in mano e andava ad allenarsi nel garage. Non riusciva a resistere, per lei era come un bisogno primordiale, simile al mangiare, al dormire e all'andare al bagno. Ed aveva ricominciato a perfezionare le sue tecniche lì sotto, stando attenta a non farsi mai notare quando qualcuno usciva con la sua auto. Ci mancava solo una lettera di lamentela all'amministratore da parte degli altri condomini. Spesso si ritrovata a giocare con la sua cagnolina Sprait, che la inseguiva e cercava di rubarle la palla; aveva inoltre segnato col gesso due evidenti segni sul muro per indicare il limite della porta. Sebbene lo spazio fosse relativamente angusto, era buono per i suoi allenamenti solitari e tutto proseguì tranquillamente finché, per sbaglio, non scheggiò il vetro di un motorino. Probabilmente il proprietario era andato a lamentarsi col padre, perché lei non aveva detto nulla, e a maggior ragione lui si infuriò e le vietò di continuare ad esercitarsi nel garage. Lei si chiuse in camera cercando una buona soluzione prima di impazzire.

 

Nel frattempo cominciavano a disputarsi le prime partite per le selezioni del Football Frontiere. La squadra della Kirkwood Junior High si era qualificata per il torneo nonostante la sua assenza, ma Haruhi non sapeva se essere felice o rattristarsene. Avrebbe tanto voluto partecipare anche lei, scalare la vetta con i suoi compagni di sempre, ma non poteva, sebbene in verità le sarebbe bastato deciderlo e farsi forza.
Un giorno arrivò a casa una telefonata dell'allenatore. A rispondere per prima fu sua madre, che rimase sconcertata da ciò che le raccontava la voce del coach dall'altra parte del telefono. Haruhi aveva ascoltato tutta la conversazione da oltre lo stipite della cucina, poi però non aveva resistito. Era corsa dentro e con un gesto rapido aveva strappato il telefono di mano alla madre per poi tornare a chiudersi in camera.
< No, professore! >.
< Haruhi, mi vuoi spiegare cosa sta succedendo? > domandarono la voce nel telefono e quella di sua madre dalla cucina.
< Coach > esclamò lei disperata chiudendosi a chiave in camera, < La prego, non dica agli altri che questa storia dei miei genitori è tutta una bugia. Per favore! >.
< Ora calmati, su. Non ti ho mai sentita così turbata. Se c'è qualcosa che non va basta che tu me lo dica e ne discutiamo a carte scoperte. Mi sembra assurdo che tu ti ostini a marinare gli incontri in questo modo, con un pretesto per giunta del tutto inventato >.
Haruhi si asciugò le lacrime che sentiva scendere dagli occhi, < Mi spiace, coach. Ma io non posso più venire! >.
< Mi vuoi spiegare il perché, allora? >.
< I-io non... > ma le parole giuste le morirono in gola, < Il fatto è che ogni volta che venivo mi rendevo conto di non migliorare, anzi: ero distratta e sbagliavo continuamente. Quindi mi sono detta che per il bene della squadra era meglio che io me ne andassi >.
Dall'altra parte della cornetta sentì un silenzio interrotto dal leggero brusio creato dalla linea telefonica. < Ma come ti vengono in mente certe cose tutte all'improvviso, Haruhi? Sei sempre stata una persona positiva ed io ci credo poco che questo sia l'unico motivo per cui hai lasciato la squadra >.
< Io non ho lasciato la squadra! > esclamò istintivamente, e scoppiò in un pianto silenzioso. Girò il telefono in modo da tenere vicino al viso solo la parte da cui proveniva la voce del professore, non voleva che si accorgesse che stava piangendo.
< Hai avuto qualche problema con i tuoi compagni? > domandò lui dopo un'infinità. Lei tirò su il viso in una smorfia di sofferenza, perché in fondo era vero, ma non lo avrebbe mai ammesso. Rimase in silenzio, sapeva che se avesse parlato la sua voce sarebbe uscita fuori tremante. Infine sentì il coach che sospirava dall'altra parte della cornetta.
< Haruhi, sappi che qui manchi a tutti e che abbiamo bisogno di te. Non siamo in grado di affrontare il Football Frontiere senza il nostro vice-capitano e qui nessuno è arrabbiato con te perché te ne sei improvvisamente andata via. Siamo preoccupati per te, Haruhi, ti vogliamo bene e non possiamo essere indifferenti se tu stai male. Ti prego, pensaci. Qui stiamo solo aspettando il tuo ritorno, vogliamo rivedere il tuo sorriso, quello con il quale ci sproni sempre a dare del nostro meglio. Vuoi sapere la verità? La partita per la selezione l'abbiamo vinta soprattutto perché la squadra avversaria faceva schifo. Qualunque problema tu abbia con il gruppo
ce lo devi dire, perché non riguarda solo te, riguarda noi. Siamo una squadra, e questo vuoi dire che condividiamo passioni e sentimenti. Devi imparare a fidarti di noi, Haruhi, e ad essere più sicura, meno severa con te stessa. Hai capito? >.
Lei annuì, ma non riuscì a rispondere. Tirò su con il naso così forte che probabilmente lo sentì anche lui dall'altra parte del telefono e pianse ancora di più. Tutte quelle parole le avevano scavato dentro un solco, avevano aperto tutte le zip e tolto tutti i cerotti. Non si era mai sentita così male prima, così in colpa e al tempo stesso così stranamente importante. Mentre cercava la voce per rispondere al professore, per mugugnare anche solo un “grazie”, lui la precedette.

< Sappi che ti aspettiamo, e che lo faremo sempre. Ciao, Haruhi >.
Poi interruppe la chiamata e le rimase ad ascoltare il
tu-tu ipnotico della linea, scandendo i pensieri a quel ritmo. Ancora in preda alle lacrime e con un nodo alla gola, si alzò in piedi e buttò sul letto il cordless. Girò la chiave nella toppa e corse fuori in corridoio; non badò nemmeno allo sguardo severo di sua madre, prese il pallone da un cantuccio e, prima di infilare la porta, mormorò un “io esco” più simile al lamento di un animale morente che a una voce vera e propria.
Fuori pioveva appena, la classica pioggerella inglese, quella che non si sente ma che bagna tanto comunque. Corse in fretta attraverso le strade del suo quartiere con il cuore che andava più veloce dei suoi passi e in meno di cinque minuti arrivò in vista della scuola. Scavalcò il muretto che dava sul campo da tennis esterno e si buttò di peso sulla porta grigia che introduceva nei corridoi della palestra e che la avrebbero portata lì dove voleva. Vagò in cerca dei corridoi e quando li trovò si precipitò al suo armadietto con la combinazione. Compose i numeri e la serratura scattò con un suono lievemente. Dentro, intoccata e impolverata da almeno un mese, giaceva la sua divisa da calcio con gli scarpini. Si cambiò in fretta con il battito del cuore che le pulsava nelle orecchie. Non aveva quasi più fiato, non si era fermata un attimo, ma aveva improvvisamente bisogno di tutto questo. Gli abiti le entrarono facilmente, sentì un leggero torpore sulla pelle bagnata dalla pioggia, si infilò gli scarpini in tutta fretta, ma le rimase un minimo di buon senso per mettere gli altri vestiti ad asciugare sul termosifone prima di uscire. Afferrò il pallone dalla panca su cui l'aveva posato e si diresse a passo deciso verso il campo da calcio.
Una volta arrivata, percependo il morbido del terreno sotto le scarpe, si sentì improvvisamente invasa da quella pace che aveva ricercato in tutte quelle settimane, in tutti quei giorni di assenza. Solo in quel momento sentì quanto tutto ciò le era mancato. Di fronte a lei si srotolava il lungo prato in erba della Kirkwood Junior High, bellissimo nella luce chiara di quella sera, sotto la pioggia che cominciava a picchiare sempre più forte. Si portò al centro del campo, ricordando ad ogni passo le posizioni e le strategie studiate e prese il suo posto da centrocampista. Posò la palla a terra, davanti ai suoi piedi, per un istante temette di aver dimenticato tutto, ma le bastò piegare le ginocchia per riscoprire i movimenti che conosceva a memoria da una vita. Erano gli stessi che aveva eseguito ogni volta anche nel garage, ma su
quel campo assumevano significato. Ne avrebbero avuto molto di più se lì con lei ci fossero stati anche gli altri. Calcò velocemente tutto il perimetro della sua metà campo, saggiò i muscoli e si riscaldò, poi, quando si sentì pronta, eseguì un veloce scatto verso la porta e tentò con la prima tecnica micidiale di tiro che avesse mai inventato. La darkness blue, tenebra azzurra. Era un tiro illusorio, in grado di ingannare la percezione del tempo dell'avversario e al contempo abbagliarlo con una luce forte e chiara. Semplice ma efficace, come erano quasi tutte le sue tecniche speciali. Poteva funzionare in porta come in qualsiasi altra postazione sul campo.
Proseguì ad allenarsi per ore, mentre mano a mano il cielo imbruniva sempre più e la pioggia non accennava a diminuire, anzi andava intensificandosi. Ormai era bagnata fradicia, ma proseguì, rispolverando tecniche vecchie e nuove, mentre finalmente si sentiva a casa, quasi in pace con se stessa. Ma le mancava qualcosa, e sapeva bene
cosa. Si sentiva una stupida ora, guardando in faccia tutto ciò che aveva perso, cui aveva rinunciato. Ed era vero quel che le aveva detto il coach: lei aveva abbandonato la squadra, l'aveva fatto per lui. No, per la sua fragilità, perché era insicura e si sentiva a disagio. Aveva sempre avuto un carattere che tendeva a dimostrarsi freddo con le persone, le iniziative nuove. Ma in questo caso non c'entrava. Era stato per paura, semplice, pura ed irrazionale paura. Doveva chiarire.
Era giunto il momento di rimediare.

 

 

Gouenji si assicurò di non aver dimenticato nulla e si chiuse la porta dello spogliatoio alle spalle. Quel pomeriggio, quando alla fine dell'allenamento aveva cominciato a piovere, inizialmente era rimasto dentro in attesa che il cielo schiarisse. Ma vedendo che non c'erano speranze aveva infine deciso di farsi una doccia lì invece che a casa. Si era chiuso negli spogliatoi ed aveva rischiato di addormentarsi in piedi sotto l'acqua calda. S'era asciugato i capelli col fon e ora, dopo essersi rivestito e aver preparato la borsa, stava finalmente uscendo. Attraversò il corridoio e si affacciò sul campo da calcio con una cieca speranza. Ma lo scrosciare continuo che aveva sentito venendo non era stato un'illusione: pioveva ancora e forse anche più forte di prima. Sospirò e si poggiò al muro senza distogliere lo sguardo. La pioggia cadeva come una cortina impenetrabile su tutto il campo e rendeva indistinte le sagome facendo risplendere di bagliori luminosi la superficie delle costruzioni.
Rimase incantato per qualche istante, risolvendosi intanto di dover chiamare a casa. Abitava lontano e non era pensabile che si facesse a piedi più di otto isolati sotto una pioggia straziante come quella. Fu per caso che se ne accorse, una piccola ombra sul capo che si spostava avanti e indietro. Inizialmente pensò che fosse un corvo, o comunque qualche volatile. Ma aveva dei movimenti strani, rimaneva incollato a terra ed era lento,
troppo lento per essere un uccello in volo. Poi distinse chiaramente un bagliore azzurro e l'inconfondibile forma scura di un pallone da calcio. Il cuore fece una capriola. Esisteva solo una persona al mondo che avrebbe mai potuto giocare a palla sotto un tempaccio così ed era anche l'unica capace di padroneggiare quel tiro. Buttò a terra la borsa e si tolse la felpa, poi senza pensarci due volte si buttò nella cascata di acqua che lo fronteggiava. Il peso della pioggia parve volerlo stendere al suolo, ma resistette e si sforzò di ritrovare quell'effimero punto nero lungo il campo. Mentre entrava nell'area di gioco scorse il profilo sinuoso ed elegante del corpo della ragazza, che in quel momento segnava un'altra rete.
< Hey! > urlò con tutto il fiato che aveva, e la voce sembrò perdersi nel rombo di un tuono. Ma lei parve sentire e si voltò, mentre il sorriso di soddisfazione per il numero appena esibito lasciava il posto ad una sensazione indistinta. Quando lui la raggiunse il suo cuore perse un battito.
Gouenji la afferrò saldamente per le spalle e la scosse con forza, < Haruhi-san! Cosa ci fai qui sotto questo temporale, sei diventata matta per caso?! >.
Lei lo guardò negli occhi come se non lo vedesse, poi con intensità. Infine gli buttò le braccia al collo e lo abbracciò come non faceva con nessuno da anni. Lui si sentì preso in contropiede, ma la strinse con forza a sé, ne assaporò l'odore. Ma si affrettò a sciogliere l'abbraccio. Se rimanevano lì sotto la pioggia si sarebbero presi entrambi un malanno. La portò al coperto sotto la tettoia dove aveva lasciato la felpa. Ormai anche lui grondava di acqua, ma lei era un caso disperato. Da quanto era rimasta lì sotto a prendere freddo? Le si avvicinò, e solo allora si accorse che piangeva sommessamente. Lei sfuggì il suo sguardo e si coprì il viso con le mani. Era passato tanto tempo dall'ultima volta che si erano visti, per lei erano cambiate molte cose, lei era cambiata; e lui era bello e forte come sempre. Ma avrebbe saputo capirla?
< Gouenji-san, i-io... mi dispiace tantissimo >.
< Ovvio che ti dispiace, stai rischiando di prenderti una polmonite, sai... >.
< No, no... non intendevo questo... >.
Lui la guardò per un po', in attesa. Indossava la divisa della squadra, ma era talmente bagnata che aderiva perfettamente alle forme del suo corpo. Temette di arrossire e guardò altrove. Capì che le non riusciva più a dire niente e decise finalmente di portarla negli spogliatoi femminili: aveva bisogno di cambiarsi e di farsi una bella doccia. Mentre camminavano, pensò che era strano. Mancava per tutto quel tempo e poi all'improvviso la ritrovava a giocare sul campo nella più improbabile delle situazioni. Se non l'avesse fermata lui fino a quando avrebbe continuato? La felpa che aveva in mano era ancora asciutta per fortuna, gliela avrebbe prestata volentieri se fosse servita a tenerle un po' di caldo, ma con tutti quei vestiti bagnati addosso in quel momento avrebbe aiutato ben poco. Dentro lo spogliatoio faceva più caldo ed entrambi ne risentirono positivamente. Lei corse subito a controllare i vestiti sul termosifone, ma erano ancora umidicci e gocciolanti.
< Proverò ad asciugarli col fon > propose prontamente lui, < tu vai a farti una doccia >. E mentre lei apriva l'acqua calda, sparendo oltre il muro nero che separava le docce dallo spazio più aperto degli armadietti, Gouenji si concentrò sull'asciugare perlomeno i pantaloncini. Per il sopra avrebbe comunque avuto la sua felpa, nel peggiore dei casi. Quando sentì che il getto d'acqua si spegneva anche lui aveva ormai terminato l'opera ed attendeva seduto su una delle panche. Era rimasto a lungo in silenzio, quando lei uscì fuori con indosso il suo accappatoio azzurro la guardò a lungo. Lei prese in mano i pantaloni.
< Wow, sono asciutti. Grazie mille > esclamò.
< Di niente > rispose lui a bassa voce. Si era inzuppato anche lui in ogni caso, tornato avrebbe dovuto lavarsi di nuovo. Ma improvvisamente non aveva fretta di chiamare a casa.
< Ehm... senti Gouenji-san > lo richiamò Haruhi, leggermente rossa in viso. < Dovrei cambiarmi... >.
Lui afferrò al volo e si alzo in piedi. Ma poco prima di varcare la porta sentì una domanda affiorare spontanea alle sue labbra: < Allora è vero che i tuoi genitori non ti ci vogliono mandare >.
La spiò con la coda dell'occhio, lei aveva abbassato la testa e ora guardava altrove.
< N-no... veramente i miei non c'entrano. Era tutta... una bugia > fiatò, < Perché... ho avuto paura, io... >. Si passò una mano sul viso, poi tra i capelli bagnati.
< Di cosa avevi paura? > domandò lui voltandosi.
< Ne ho tuttora > disse lei, < Ma non sono più disposta a cedere per questa paura... ho capito quanto ho perso in questo mese di assenza >.
Si guardarono per un po'.

Diglielo, diglielo dannazione! La esortava una vocina dentro di lei. Era davvero intenzionata a dichiararsi, ma non era facile trovare la forza di pronunciare quelle parole. Sentiva il cuore pulsare nelle orecchie.
< Ci sei mancata molto, Haruhi-chan > disse lui fissandola negli occhi, < Sei mancata a me >. Lei avvampò immediatamente, sentiva di essere rossa fino alla radice dei capelli, ma si accorse subito che quello stesso rossore dilagava anche sulle guance di lui.
Poi Gouenji distolse lo sguardo, imbarazzato, < Ti aspetto fuori >.
Haruhi non fece in tempo a rincorrerlo che lui era già uscito. Rimase qualche istante a contemplare la porta, poi andò ad asciugarsi i capelli. Si sentiva scoppiare: prima aveva rischiato un congelamento, ora invece temeva di sciogliersi sotto il getto d'aria calda del fon. Sentiva inoltre ogni singolo muscolo pesarle fastidiosamente, era fiacchissima, come sempre dopo una doccia, ma in quel caso anche il freddo e la pioggia avevano contribuito.Si rivestì in fretta, ma dovette rinunciare alla maglietta ancora fradicia. Per fortuna
lui le aveva offerto di indossare la sua felpa. La tenne in mano, poi la portò al viso e ne respirò il profumo a lungo, con gli occhi persi nel vuoto come se fosse in trance. Infine la infilò direttamente sopra al reggiseno. Le scarpe erano ancora umide e grondavano acqua ad ogni passo, ma l'avrebbe sopportato tranquillamente fino a casa. Buttò i panni bagnati dentro una busta di plastica e si assicurò di non aver dimenticato nulla.
Poi si avvicinò alla porta e la aprì con cautela. Lui era lì, con le spalle poggiate al muro e le braccia incrociate al petto. Era così dannatamente bello, assorto nei suoi pensieri, che quasi le dispiaceva interromperlo. Se avesse potuto sarebbe rimasta tutta la notte a guardarlo. Haruhi spense la luce nello spogliatoio e chiuse la porta, accennando un sorriso. Lui contraccambiò e ridacchiò, < Ti sta...
leggermente larga >.
Rise anche lei, dopotutto aveva ragione. < Meglio che andare in giro nuda, no? >.
Si incamminarono per i corridoi, ormai non doveva esserci più nessuno in giro ma speravano di trovare un modo asciutto per uscire.
< Ho chiamato a casa e tra un quarto d'ora saranno qui > disse lui.
< Oh. Io temo che dovrò farmela di corsa però, non accenna a spiovere >.
Lui la guardò accigliato, < Guarda che non ti permetto di fare altre pazzie per oggi, ti riaccompagno io >.
< Davvero lo faresti? > fece lei.
< Certo. Ciò che non farei mai è lasciarti di nuovo da sola sotto la pioggia... a proposito > disse, < Perché all'improvviso sei tornata ad allenarti qui? >.
< Oggi pomeriggio il coach ha chiamato a casa... > rispose lei, < Abbiamo parlato... e mi sono sentita troppo in colpa verso tutti voi... sono uscita ed i miei piedi mi hanno portata qui >.
< Non ti va proprio di dirmi perché hai cominciato a sparire, eh? >.
Haruhi si sentì persa di nuovo, quasi senza volerlo cercò la sua mano e intrecciò le proprie dita alle sue. Lui la strinse con forza, mentre lei si aggrappava al suo braccio come un naufrago al suo scoglio. Si sentiva attraversata da un'emozione che non le era mai capitata, la sua mano era lì, tra le sue dita, la sua presa salda e sicura. Lui non resistette e fece scivolare lo sguardo su di lei, i loro occhi si incontrarono subito. Entrambi capirono che qualcosa stava accadendo, si sentiva nell'aria, nell'impercettibile tremito delle gambe. Haruhi fermò il passo costringendo lui a fare lo stesso, ma non distolse lo sguardo dai suoi occhi. Non fece in tempo a pensarlo che il cuore le salì alle labbra. Alzandosi appena sulle punte, posò una mano dietro il suo collo e premette le proprie labbra su quelle di lui. Lui non era affatto sorpreso, sentiva che prima o poi sarebbe successo quella sera e lo accettava. Con la mano libera le cinse i fianchi, stringendola a sé, e quando lui dischiuse le labbra Haruhi pensò che sarebbe morta di lì a poco.
Di cosa aveva sempre avuto paura? Di quell'emozione così forte da farla tremare che provava in quel momento? Aveva avuto paura di essere rifiutata, aveva avuto paura di amare?
Quando le loro labbra interruppero il bacio lei si permise di riprendere fiato, mentre lui la stringeva nel suo solito abbraccio. Poi decide di dirlo. Dopo ciò che aveva appena fatto quel che doveva dire sembrava un'impresa da quattro soldi.
< Ero solo... un po' spaventata dall'amore >.
Le parve che Gouenji la stringesse ancora di più, < Promettimi che non te ne andrai via mai più >.
< Resterò per sempre, Gouenji-san. Soprattutto se ci sei tu al mio fianco >.
Ormai ne era certa. Aveva abbandonato tutto per lui, perché se ne era innamorata e per altri stupidi motivi correlati. E anche ora che ritornava lo faceva per lui, perché sentiva di non poterne più fare a meno. Né di lui, né del calcio, né dei suoi amici. Presto sarebbe tornata e avrebbe chiesto scusa a tutti quanti – soprattutto a Rima, che aveva tendenzialmente ignorato ogni volta che provava a chiamarla a casa -, avrebbe ringraziato il coach e spiegato tutto a sua madre. Sarebbe tornato tutto come prima, come doveva essere ma migliore.
Si incamminarono insieme e attesero sotto la tettoia che la macchina nera del padre di Gouenji arrivasse. Una volta a casa, si buttò sul letto e si addormentò, dopo tanto tempo, con il sorriso sulle labbra.




 

Angolo autrice.
Salve a tutti. Questa fiction è dedicata ad Ever_Crazy. Spero che per te sia un bel regalo (anche se secondo me non è un regalo degno del tuo compleanno >.<). Ancora tantissimi auguri :3
Gouenji è dannatamente OOC, mi spiace. Spero inoltre di non averti rovinato troppo il tuo bellissimo personaggio. Haruhi mi piace tantissimo, secondo me l'ho fatta troppo depressa, non credi? ^^
Comunque ringrazio tutti coloro che hanno letto e che vorranno recensire.
Un bacio a tutti,


Claire.

  
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