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Autore: Andrew R Tyler    21/07/2012    2 recensioni
Il racconto tratta della vita, tutt'altro che facile, di uno scienziato, Andrew Robert Tyler, che, dopo aver perso la moglie ed il figlio, è coinvolto in prima persona in un'apocalisse zombie.
Il genere è prima di tutto fantascientifico, ma anche introspettivo, d'azione, violento, drammatico, romantico. Sinceramente credo che ognuno di voi, miei lettori, ci possa trovare un pezzo di sè, ma anche un pezzo di me.
Prima che smettiate di leggere, una breve nota: il primo capitolo è soltanto un antefatto, ma necessario a chiarire il resto della storia. Inoltre, buona parte delle cose che vi ho detto qui si scopriranno via via leggendo.
Buona lettura.
Genere: Angst, Introspettivo, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 13

"Il passato ritorna, sempre"

 

7/05/2012, LOCALITÀ IMPRECISATA, USA

Dai pensieri dello scienziato Andrew Robert Tyler

 

Scesi in cucina. La luce era accesa. Varcai la soglia. Trovai Tony che sgranocchiava una barretta energetica al cioccolato e beveva una tazza di roba scura, che preferivo non sapere cosa fosse.

Gli appoggiai una mano sulla spalla. Tremò soltanto, leggermente, quasi se lo aspettasse.

«Ciao Tony», dissi io.

«Salve prof», sussurrò lui.

«Cosa ci fai ancora sveglio a quest'ora?»

«Potrei farle la stessa domanda», rispose, non senza una vena sarcastica.

 

Tacqui. Era meglio.

 

Mi sedetti di fronte a lui. Cercai di iniziare una conversazione.

«Hai mai avuto degli amici "strani"?»

«Dipende… Cosa intende per "strani"? Faccia un esempio.»

«Beh, io all'università avevo un amico… Si chiamava Alex. Era una gran persona, brillante, simpatica, intelligente, ma terribilmente alienato, incapace di rapportarsi con gli altri. E non aveva mai avuto una ragazza.»

«Mai-mai?

«MAI. Infatti soffriva per questo, insomma, era capace di dare ad una donna tutto ciò che lei voleva, era dolce, disponibile, pronto a farsi il culo tutti i santi giorni anche solo per un amico… Ma era brutto, e lontano anni luce dai gusti delle ragazze. Bisognava, diciamo, scoprire il suo lato nascosto, che era comunque bravo a celare in pubblico. Sembrava davvero un altro. Ma questa sua solitudine peggiorava, e lo deteriorava con il passare del tempo. Ero il suo unico appiglio, avevamo socializzato giusto per caso, e si era trovato bene con me, non perché ero come lui, ma perché ero in grado di capirlo.»

«Lei com'era all'università prof?»

Ridacchiai.

«Perché ti interessa?»

«Così…», fece, vago.

«Beh, diciamocelo, ero un bel figo. Non certo come Ronaldo, ma sicuramente quel tipo di persona che fa subito colpo sulle ragazze. In più, oltre a questo, ero anche intelligente, al contrario degli altri decerebrati che conoscevo.»

«Essere intelligenti faceva colpo?»

«Tony, facevo l'MIT! Hai idea di che ragazze lo frequentino?»

«Scusi, dicevo per scherzare! Comunque, mi stava parlando del suo amico… Continui, è interessante.»

 

Presi un bicchiere, lo riempii di acqua, sporca e dolciastra.

Lo vuotai, sperando di togliermi dalla bocca il sapore del Tofranil.

 

«Lo dici come se fosse una storiella divertente... Qualche anno dopo cadde in depressione. Cercavo di aiutarlo come potevo, ma allora non avevo idea di come ci si sentiva.

Una notte, questo lo ricordo come se fosse ieri, stavo tornando a casa, dopo una festa a cui lui non era stato invitato, non volevo lasciarlo solo, ma insomma, veniva la ragazza che mi piaceva, e...»

«Non c'è bisogno di giustificarsi, prof. Tanto ormai la cazzata l'ha fatta, ora vada avanti.»

Increspai le labbra, amaramente.

«Quanto hai ragione, Tony. Vorrei che si potesse tornare indietro, a volte. Anzi, spesso, troppo spesso.

Comunque, stavo dicendo: arrivato al mio appartamentino, avevo voglia di farmi un caffè, anche perché erano le cinque del mattino, e il giorno dopo sarei dovuto andare al lavoro.

Accendo il fuoco e metto su la caffettiera, quando suona il telefono. Era un vecchio modello, di plastica rossa... Mi manca un po' la vecchia vita, a volte!»

«Prof...», disse Tony, guardandomi di traverso.

«Ok, ok, la devo smettere di divagare. Insomma, squilla il telefono. Alzo la cornetta, pur stupito di ricevere una chiamata a quell'ora. Rimango stupito di sentire la voce di Alex. In sottofondo si sentono dei rumori come auto, vento, elicotteri, ma lì per lì non ci faccio caso, sarà sul balcone, mi dico.

Rimango colpito da come mi parla, quasi sul punto di piangere, eppure deciso: “Non hai sbagliato tu, Andrew. È solo colpa mia, mi dispiace tanto. Non volevo che andasse a finire così.”

Alla mia richiesta di spiegazioni, mi risponde soltanto: “Sintonizzati sul canale locale”, poi riattacca.

Spaventato, e, lo ammetto, molto curioso, accesi la televisione sul quinto canale, credo fosse la WCVB.»

 

Tony continuava a masticare, molto lentamente, pendeva dalle mie labbra.

 

«Accendo la TV, e lo vedo. Inquadrato da un elicottero, se ne vedono altri, così come tante persone a terra. Sirene. Polizia. Pompieri. Ovviamente giornalisti. Era sul tetto di un condominio, non altissimo, ma abbastanza per sfracellarsi. Saranno stati almeno una ventina di piani. In mano aveva ancora il cellulare. Uno StarTAC. Gliel'avevo regalato io. Ero l'unico che gli faceva regali, per quanto ne sapevo.

Poi, nei secondi più lunghi della mia vita, si è buttato di sotto. Le telecamere l'hanno seguito, facendo una bella panoramica. Si è disintegrato al suolo, in una nube rossastra. Poi la diretta è finita.

Sono rimasto così per quasi un'ora, con la caffettiera che bruciava sul fuoco, in piedi, il telecomando in mano e la televisione accesa.»

 

Ora il mio assistente aveva smesso di mangiare. Teneva quel che rimaneva della barretta ancora tra le mani, mi seguiva completamente trascinato.

 

«Poi, quando mi sono riscosso, mi sentivo ancora in una sorta di sogno. Ho preso la giacca, le chiavi della macchina, e sono andato in giro per il porto.

Lì ho raccattato una puttana, molto bella, orientale, se non ricordo male, e mi sono sfogato con lei. Abbiamo girato mezzo Massachusetts, l'ho tenuta con me cinque ore, le ho raccontato tutto. Alla fine, erano quasi le undici di mattina, l'ho riportata dove l'ho trovata. È scesa, ho messo mano al portafoglio. Stavo per pagarla, cinque ore di servizi, tra l'altro nemmeno utilizzati, a duecento dollari l'ora. Un mio stipendio. Forse anche qualcosa in più. Lei mi ha bloccato il braccio. Mi ha abbracciato e baciato, in modo sincero. Ha detto soltanto, con un accento che poteva essere cinese: “Lascia stare, ti capisco.” Se n'è andata, tra le banchine affollate e i container, in una luce quasi surreale.
Due giorni dopo scoprii che era morta, massacrata di botte dal suo pappone per non aver incassato niente quella notte. Le lasciai millecento dollari sulla tomba.»

«Cazzo.», bisbigliò Tony, scioccato. «Mi dispiace, sul serio.»

«Ma il meglio deve ancora venire», continuai io, secco e amaro: «Al suo funerale, qualche giorno dopo - anche se non era rimasto molto da mettere dentro la bara - incontrai una ragazza, carina e fresca, che mi si avvicinò, in lacrime. Io le chiesi se fosse amica di Alex, e lei mi rispose in maniera piuttosto evasiva. Poi affondò il viso nel mio petto, singhiozzando che lei lo AMAVA.

L'aveva sempre amato, ma non aveva mai avuto il coraggio di dirglielo. Fu come ricevere un pugno nello stomaco.

Smisi di ascoltarla, le presi la mano, ed iniziai ad accarezzarla, quasi meccanicamente, riflettendo su quanto cazzo fosse labile il destino, e di come le cose possono mutare facilmente. Se lei, nemmeno una settimana prima, in un qualunque momento antecedente alle 5:07 di mercoledì, gli avesse detto ciò che provava per lui, ora Alex sarebbe ancora qua.

Comunque, per farsi perdonare del disturbo, mi invitò fuori a cena, con una sua amica. Non potresti mai immaginare chi fosse. Quella sua amica era...»

«... Katherine Withecombe.», disse Tony con un sorriso di trionfo sulle labbra.

«Porca vacca, sei più perspicace di quanto pensassi!», dissi, ridendo.

«Sì, probabilmente sì. Si ricordi, mio nonno mi diceva sempre che il passato, per quanto tu cerchi di sfuggirgli, ritorna, sempre.»

  
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