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“Ma che…” cominciò a dire
Michele.
Gli lanciai un’occhiata e lui
si zittì.
“Ragazzi, vi dispiace se vado
a parlargli?” chiesi, cercando di non lasciar trapelare emozioni.
Joey e Serj mi osservarono,
annuendo comprensivi, mentre il resto della band non fece obiezioni.
Mi diressi verso l’uscita ma
mi sentii afferrare per il polso.
“Liz” disse Michele.
Mi ritrassi dalla sua presa e
mi voltai a guardarlo. “Sì?”
Non disse nulla.
Continuai a fissarlo
interrogativa, chiedendomi cosa avesse in mente di dirmi. Tuttavia non gli
chiesi ulteriori spiegazioni e ripresi a camminare, lasciandolo dov’era.
Non appena misi piede fuori
dalla saletta, sospirai. Matt non poteva essersene andato, doveva per forza
trovarsi sulla terrazza. La raggiunsi di corsa e mi bloccai sulla soglia.
Lui era là, accasciato sul
pavimento, mentre quell’espressione triste che gli avevo visto poco prima non
voleva saperne di abbandonare il suo viso, invaso dalle ombre che il sole gli
proiettava addosso. Teneva le gambe incrociate, la schiena premuta contro il
parapetto di cemento, i palmi delle mani premuti a terra e i capelli mossi dal
vento.
Mi sentii quasi male mentre
mi rendevo conto di quanto fosse bello.
E di quanto soffrisse.
E di quanto lo desiderassi.
E di quanto stessi
sbagliando.
Scossi impercettibilmente il
capo e mi avvicinai a passo lento alla sua figura.
Rimase immobile nonostante si
fosse accorto della mia presenza, poiché mi aveva lanciato una breve occhiata,
come per accertarsi che fossi sola o che fossi io e nessun altro.
Mi fermai davanti a lui e
rimasi in piedi con lo sguardo puntato a terra.
Matt mi afferrò la mano che
tenevo abbandonata lungo il fianco e quel gesto mi riscosse, procurandomi un
profondo brivido lungo la schiena.
“Scusa” mormorò.
Presi a fissare le sue dita
che stringevano le mie, mentre con il pollice mi accarezzava delicatamente la
pelle del dorso.
Mi abbandonai in ginocchio di
fronte a lui e sentii che non ero più in grado di fingere, non con lui.
Matt finalmente mi guardò
negli occhi.
E io mi sentii morire.
Non volevo sopportare tutto
il dolore che dai suoi occhi mi trapassava l’anima, eppure rimasi incantata a
fissare le sue iridi di ghiaccio, ghiaccio liquido, ghiaccio freddo, ghiaccio
spento.
Che mi raggelò il sangue
nelle vene.
“Oh, Matt, non…” Fui incapace
di aggiungere altro.
Era strano come i suoi occhi
fossero capaci di esprimere così tante emozioni, di inondarmi di tutta la
sofferenza che provava lui, di farmi sentire come se anche io dovessi subire
quello che stava subendo lui a causa mia.
“Va’ da Mick” ordinò, con
tono piatto.
“N-no” balbettai,
stringendogli forte la mano.
“E’ giusto che sia così.”
“Ma non è quello che voglio”
dichiarai, per poi afferrargli anche l’altra mano e avvicinarmela alla guancia.
Me la posai sulle labbra. “Matt.”
“Liz, noi non possiamo stare
insieme, lo hai detto anche tu.”
“Mi sbagliavo!” sbottai.
“No, non è così. Hai idea di
cosa manderesti a monte scegliendomi?” domandò, serio.
Lasciai andare le sue mani e
mi misi a sedere accanto a lui. “Non m’importa.”
“Non dire stronzate” mi
rimproverò, rimanendo immobile a fissare il punto in cui mi trovavo poco prima.
“Stammi a sentire!”
Il chitarrista si voltò di
scatto e i suoi occhi incontrarono i miei.
“Non so cosa sia successo. So
soltanto che da quando ci siamo baciati non ho fatto altro che pensare a te.
Cosa posso farci, eh?”
Scosse il capo. “Potrebbe
essere semplicemente una sbandata, Liz.”
“U-una… ma che dici, io…”
“Sai che c’è?” Matt si alzò e
mi osservò dall’alto in basso. “Sei soltanto un’egoista.”
Mi sentii sprofondare nel
pavimento, come se qualcuno stesse scavando una voragine in cui rinchiudermi
per sempre e impedirmi di riemergere.
Matt proseguì senza togliermi
gli occhi di dosso: “Può essere che ora tu ti senta attratta da me. Ma cosa
succederà quando capirai di aver sbagliato tutto? Cosa farai quando la tua
parte razionale ti farà intendere che la tua vita dev’essere con Mick e non con
me?”
Non dissi niente e abbassai
lo sguardo sulle mie mani, vergognandomi terribilmente soltanto per il fatto di
esistere.
“Pensaci bene prima di venire
da me e illudermi ancora” lo sentii dire.
Poi udii i suoi passi. Se ne
stava andando.
Balzai in piedi, come
risvegliata da un lungo letargo, e lo raggiunsi, abbracciandolo da dietro. “Non
te ne andare, ti prego!” lo supplicai, mentre avvertivo le lacrime pungermi gli
occhi. Le ricacciai indietro e mi costrinsi ad essere forte. Non potevo
piangere proprio ora, ora che Matt mi avrebbe abbandonato per sempre al mio
destino e alla mia confusione.
Mi sentivo proprio
un’adolescente in piena crisi. E forse non ero altro che questo. Durante il
liceo ero stata troppo occupata a studiare e a sopportare di vivere con un
padre che mi odiava, per preoccuparmi di vivere gli anni in cui si scoprono
nuove emozioni, in cui si comincia ad avere le prime cotte, le prime delusioni.
Così, ora mi ritrovavo a vivere le incertezze tipiche di quell’età, con la
complicazione che avevo venticinque anni e avevo a che fare con persone adulte,
persone che provavano sentimenti intensi e puri, persone che non stavo facendo
altro che ferire a causa della mia immaturità.
Lasciai andare Matt e
abbandonai le braccia lungo i fianchi.
Lui non aggiunse altro e se
ne andò.
Affranta, mi andai a sedere
dov’era stato lui precedentemente e mi raggomitolai con le ginocchia al petto e
la testa affondata tra le mani. Ero sbagliata, per me non c’era posto in un
mondo in cui tutti erano già cresciuti, in cui tutti sapevano cosa volevano
dalla vita, sapevano chi amare.
Io non lo sapevo e non avevo
idea di cosa significasse rendere felice qualcuno. Forse perché nessuno aveva
mai reso felice me.
Un rumore proveniente dalla
porta che dava sulla terrazza mi fece sollevare il viso rigato di lacrime.
Michele stava in piedi sulla soglia
e mi sorrideva debolmente, finché non si accorse che piangevo e la sua
espressione si fece preoccupata.
A passo veloce si diresse
nella mia direzione. “Cosa ti ha fatto? Matt…” Fece per accarezzarmi i capelli
ma mi ritrassi.
“Niente, non ha fatto niente!
Smettila di prendertela con lui una buona volta!” gridai, trafiggendolo con gli
occhi.
Lui indietreggiò, ritirando
la mano. “Liz…”
“E’ tutta colpa mia ti dico!
Quando siamo usciti, sabato, l’ho baciato! E sì, ho rovinato tutto, lo so! E
sì, so anche di essere egoista e immatura, ma questa sono io Mick! Ti sei
innamorato della persona sbagliata!”
Michele impallidì.
“Non ti azzardare a torcere
un capello a Matt, lui non c’entra, ti ripeto! Se c’è qualcuno con cui
prendersela”, mi alzai e piantai i miei occhi sui suoi, “quel qualcuno sono
io!”
Il bassista continuava a
rimanere immobile a fissarmi con sguardo inespressivo.
“Ho deciso che tornerò in
Italia, lasciare i Faithless è la cosa più giusta che io possa fare. A Londra
non c’è più posto per me e forse non c’è mai stato.”
Senza preoccuparmi di
aspettare una sua reazione, lo superai e raggiunsi la soglia.
“Spero vorrai dirlo tu ai
ragazzi” dissi e me ne andai di corsa.
Dovevo raggiungere casa
Jordison prima che a qualcuno venisse in mente di seguirmi e levare le tende il
più velocemente possibile.