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Autore: Draco_Slytherin    21/07/2012    5 recensioni
Eccoci qui!! ciao a tutti!!!
Bene, questa FF si trova scritta sul mio cellulare più o meno da gennaio...ed è stata la prima che io abbia scritto. Ho anche una testimone.
Comunque, come potete ben notare è, ovviamente, una Dramione.
Non si sa. Nessuno lo sa, a parte pochissime persone scelte.
Una di esse, la più importante, sta cercando di sopravvivere.
Sopravvivere. E' l'unica cosa che può fare, dopo quello che accadde durante la Seconda Guerra Magica, nella quale, perse tutto ciò che voleva.
Tutto ciò di cui bisognava.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Draco Malfoy, Hermione Granger | Coppie: Draco/Hermione
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Bene, salve a tutti!!
So benissimo del mio riprovevole ritardo riguardo l'altra fanfiction, ma sinceramente, volevo iniziare una nuova storia.
Giusto il tempo di staccare dall'altra, in modo da avere le idee più chiare.
Comunque, il capitolo di "Comprensioni" c'è, ma non sono totalmente soddisfatta.
Spero comunque che questa, venga gradita.
Un kiss.
Draco_Slytherine
P.S fatevi sentire, voglio recensioni, di qualunque tipo esse siano!!
Un'altra cosa e vi lascio: la prima parte capirete di chi è, la seconda parte, riguarda Hermione. Nei prossimi capitoli, sarà solo Hermione a parlare.

1.                                            

 

Jane Austen. Orgoglio e Pregiudizio.
Teneva in mano quel libro, e sorrideva.
I suoi occhi scorrevano su ogni parola, e le sue mani cambiavano pagina in men che non si dica.
Possibile che un libro potesse darle tanta gioia? Sì, era possibile. Lo sapevo bene.
L’amore che ci metteva mentre sfogliava le pagine, e intanto, il suo sorriso si allargava sempre di più fino ad emettere una risata.
Così presa, e così bella.
Quell’immagine sembrava frutto di una favola, o di un sogno.
In ogni circostanza, sarebbe rimasta se stessa. Eternamente lei.
Ogni persona che passava, non l’additava, o screditava. Non la ritenevano sciocca, né una ragazza incapace di divertirsi. Chi passava, e la coglieva seduta su quella panchina, l’ammirava. Una ragazza acculturata e piena di giudizio. Un libro così impegnativo, non viene di certo tralasciato.
Quello era il mondo babbano. Il suo mondo.
Su ogni pagina del libro, o quasi, c’erano attaccati dei post-it che segnavano una frase o più, che l’aveva colpita. Per lei, ogni frase aveva un significato, che fosse nascosto o visibile.
E se io ne ero a conoscenza, c’era una ragione.
Ma come in ogni favola, c’è sempre un contro, una nota stonata. Quell’unica nota stonata.
Una testa rosso fuoco che le stava sulle gambe.
Perché lui? Era ciò che mi ripetevo da mesi ormai.  
Attraverso il fogliame dell’albero, sotto il quale mi trovavo, giungevano alcuni raggi di sole, che mano a mano, andavano spegnendosi. L’estate stava volgendo al termine. Ciononostante, il caldo si faceva sentire, lasciandomi perline di sudore sulla fronte.
Quello, era il periodo che tutti i ragazzi aspettano ardentemente. Il piccolo paradiso che permette di uscire dalle preoccupazioni: chi partiva, chi se ne stava spaparanzato dalla mattina alla sera su un divano o un letto, chi attendeva di fare un viaggio chissà dove. Ognuno sapeva cosa fare. Ma c’era anche chi non vedeva l’ora di tornare a scuola, in questo caso, Hogwarts. Io stavo aspettando quel momento,ed ero assolutamente sicuro che anche lei, fremeva all’idea.
Il fatto era che Hermione Granger, non sapeva starsene seduta a non fare niente, o a dormicchiare da qualche parte. Lei era un uragano. Un uragano di sapienza. Se non leggeva o studiava, doveva andare in giro a visitare musei che, magari aveva già visto e rivisto, o scappare in qualche biblioteca nella Londra babbana.  
E, cosa ci facevo io lì? Perché ogni giorno mi appollaiavo dietro un albero, o un muro, solo per ammirarla?
Avevo bisogno di vederla, nonostante sapessi che le mie visite nascoste ai suoi occhi, non avrebbero cambiato nulla.
Quel nulla che prima era popolato. Che fossero emozioni, o ricordi, prima c’era. Qualcosa, c’era
Ma ero lì solo per questo? Solo per vedere lei e il suo stupido ragazzo rosso stare insieme? Ero davvero così masochista?
Forse era la speranza a guidarmi. Questa era semplicemente una considerazione, frutto della mia momentanea instabilità logica.   
Non avevo idea di cosa pensare. Ma vedevo il suo viso pieno di felicità, e sentendo i miei lineamenti duri, capivo che non ero della stessa reazione.  
Delusione, tristezza, rabbia, ma non rassegnazione.
Draco Malfoy, non si arrendeva.
Perciò, non avrei smesso di lottare, per lei.  

***
 
L’estate era definitivamente finita, e sebbene le scuole babbane dovevano aprire i battenti a giorni, le strade di Londra erano affollate da ogni sorta di individuo. Nonostante tutto, il sole filtrava attraverso spumose nuvole, che rendevano il paesaggio una meraviglia da contemplare. Oltre la veduta che la finestra mi permetteva di scrutare, il cielo continuava a scurirsi, restando comunque molto lontano dalla pioggia. Quella vista, sembrava rendere tutto più tranquillo: strade meno rumorose e animi più leggeri, aiutando anche a far spazio ai pensieri, che tra un giorno e l’altro, non trovavano riposo. Da lì a qualche ora, avrei varcato la soglia di quella che ormai, era diventata la nostra casa, Hogwarts. I tre mesi che avevo atteso per riabbracciare i miei amici, sembrava infiniti: Harry, Ginny… Ron. Provai un moto di tristezza, che immediatamente mi ordinai di scacciare. Era finita e a causa sua. Mi aveva lasciata senza una ragione, e questa non gliela perdonavo, mi era caratterialmente impossibile farlo.
Mi soffermai di nuovo sulla frase che ormai replicavo cinque volte al giorno: -Mi dispiace Hermione, ma dobbiamo lasciarci. Il problema non sei tu, ma io- ripetei al vento, come un robot.
Quelle parole mi echeggiavano nella mente ogni qual volta pensavo a lui. E capitava spesso. Parole patetiche, dette da una persona patetica.
Sbattei le palpebre e ripresi il controllo di me stessa. Ormai, Ron, era il passato.
Mi focalizzai su un altro punto fondamentale: stavo per abbandonare per l’ennesimo anno la dimora dei miei genitori, e, sin dal principio, avevo deciso che non vi avrei rimesso piede fino alla fine della scuola.
Mamma, papà, perché non venite a salutarmi? La mostruosità di quel pensiero mi colpì. Non mi ero ancora abituata alla loro assenza. Non mi ci sarei mai abituata, era altamente impossibile.
Ecco, infine, l’ultima cosa che la guerra era stata capace di portarmi via. 
Lì, in quella stanza, non c’era nessun appiglio pronto a salvarmi, capace di risollevare la mia mente devastata: un anno di tempo, era troppo poco, e troppo pochi, minima parte di tanta sofferenza, si erano dimostrati quei mesi.
Sono rimasta solo io, considerai.
Nel silenzio che regnava in casa, un rumore esterno spezzò quella quiete, che tanto sembrava risucchiarmi, troppo pericolosa per tentare di tornarci. Apparentemente, quella confusione, sembrava dovuta ad una battaglia tra un cespuglio, e qualcosa incappato dentro o su di esso. Mettendo le valigie fuori dalla porta, decisi che era tempo di andare. Quando i miei occhi vagarono per il giardino, l’unica cosa che notai, fu la sua immobilità.
Sul parquet di casa, l’ultimo ricordo di me, era concentrato in un cerchietto brillante. 

   
 
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