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Autore: Mistress Lay    05/02/2007    18 recensioni
Voldemort non ha nomi. Nè cognomi. Non ha vita, per questo porta morte. *Per il compleanno di BloodyMoon*
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Harry Potter, Tom Riddle/Voldermort
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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~O°Heartbeat°O~

~O°Heartbeat°O~

(Alla ricerca del mio tempo perduto)

 

 

~°*°~

 

 

4 Febbraio

 

Questo è per te, BloodyMoon, per il tuo compleanno. Non sarà mai abbastanza, lo so, dedicarti qualcosa.

Mi dispiace non essere riuscita a postartela ieri, il giorno effettivo del tuo compleanno, credimi, cel’ho messa tutta ma per mancanza di mezzi ho dovuto ripiegare a oggi. Non sarà mai all’altezza della shot che mi hai ‘regalato’, ma ci tenevo che fosse un ‘corollario’ di ‘Unconditional Love’. È qualcosa di strano, che ho sperimentato per la prima volta, e l’ho scritta pensando a tutte le nostre chiacchierate, a te e alla meravigliosa persona che sei e che mi hai fatto conoscere.

Spero con tutto il cuore che, nonostante tutto, ti piaccia…

È tutta per te, ti voglio un mondo infinito di bene. Veramente.

Con tutto il cuore, auguri.

Lay

 

 

~°*°~

 

 

Voldemort non ha nomi. Nè cognomi.

Non ha vita, per questo porta morte.

La sua non è decisamente quella che chiunque persona al mondo potrebbe definire *vita*.

La vita non è semplicemente respirare e lasciarsi cullare dal tempo. La vita è vivere e vivere non è solamente sopravvivere. E' un insieme di altre cose, e Voldemort sa. O almeno sapeva.

Quando era vivo aveva sogni e aspirazioni, aveva scopi e precetti, aveva tutte quelle piccole seccature quotidiane contro le quali imprecare. Aveva centinaia di cose da fare, centinaia di cose ancora *da fare*, quei piccoli bozzi di progetto, quei sogni neri.

Ora Voldemort non ha sogni. Non ha aspirazioni. Non ha scopi o precetti. Non ha piccole e noiose seccature quotidiane.

Voldemort si guarda attorno e vede tante cose vuote di significato. Vede la vita che scorre attorno a lui e non lo tocca.

I suoi sogni sono quelli di un adolescente che vuole ucciderlo, le sue aspirazioni e i suoi scopi sono ossessioni di morte, le sue piccole seccature giornaliere si eliminano con facilità con un Avada Kedavra.

Non può nemmeno dire che la sua vita sia vuota. Semplicemente non esiste.

Respira, è vero, ma qualsiasi animale al mondo respira. Sopravvive al lento scorrere dei giorni, è vero, ma qualsiasi miserabile insetto lo fa, ora dopo ora, nella sua breve vita prima di essere schiacciato inavvertitamente o intenzionalmente.

Voldemort pensa.

Pensa alla vita che intenzionalmente si è sottratto alla ricerca di qualcosa che lo potesse rendere ancora più vivo.

Quando era un adolescente c'erano tante cose che deplorava e tante altre che ora desidera.

Quello a cui Voldemort anela è la vita.

Vivere.

 

Per questo, e solo per questo, si ripete, è il motivo per il quale ha cominciato a dosare pelle di Girilacco e code di salamandre, a sminuzzare in minuscoli pezzetti gambette di ragno e a liquefare il tutto in un calderone in oro.

Per vivere di nuovo.

Voldemort vuole vivere di nuovo, per aspirare a qualcosa di alto e grande, qualcosa che tutte le persone potrebbero pensare essere irraggiungibile.

Per farlo ha bisogno di una vita.

Potrebbe prendere quella di qualcun altro, ma Voldemort sa che sarebbe complicato. E poi tutto questo rimescolare e aspettare lo sta rendendo più motivato, l'ansia lo rende più ricettivo, più... vivo.

Potrebbe rimescolare per sempre, ma sa che è un piacere momentaneo. Gli serve la pozione e sarà vivo.

Con una vita davanti.

Sente dei rumori, rumori di passi, e poi grida, muri che cadono, incantesimi che frantumano vetri. Gli manca ancora poco, ancora due giri in senso antiorario e la pozione prenderà un colore indaco.

Sente voci conosciute, quelle voci che aveva imparato ad odiare. Tra di loro c'è quella del Bambino-Che-è-Sopravissuto, quel bambino che ora è ormai cresciuto pieno di odio contro il mondo che è costretto a sopportare.

Ecco.

La pozione è pronta.

Voldemort potrebbe sorridere ora ma proprio non vuole perdere tempo. Harry Potter-che-è-sopravvissuto sta arrivando e se non beve in fretta la pozione ogni suo tentativo di tornare alla vita sarà vano. Perché sarebbe morto anche fisicamente.

Registra con la coda dell'occhio il fatto che pozione non *è* precisamente indaco, ma sta cominciando a sfumare nel bordeaux. In realtà non ci vuole nemmeno pensare, preso com'è a dire il suo personalissimo addio alla morte.

La beve.

Ha un sapore strano, dolceamaro.

Sente i muscoli contrarsi, tutti, improvvisamente. La boccetta nella quale era contenuta la pozione si frantuma a terra in mille frammenti di vetro.

Voldemort porta le mani alla gola, la stringe, sente i polmoni contrarsi e il respiro non alimentarlo più.

Vede la vita che da tanto cercava scomparire nell'ombra del fallimento.

Ormai è troppo tardi.

Il cuore gli si ferma, una porta si apre, delle voci gridano, uno scoppio avvolge tutto con la sua nebbiolina di polvere, annaspa, scalpita, e per lui è la morte. La *vera* morte.

 

 

~°*°~

 

Riapre gli occhi e vede tutto chiaro, luminoso.

Non è il Paradiso, non crede agli angeli e ad un mondo ultraterreno, non crede, a ragione, che se mai esistesse davvero, lui potesse essere un grazioso uccellino umano che inneggia al cielo.

Scatta a sedere, leggermente spaventato, e si rende conto che non è nemmeno un sogno giacchè sente tutti i muscoli tendersi dolorosamente e il cuore battere per l’improvviso movimento.

Geme dal dolore e si guarda attorno, cercando di capire dov'è andato a finire: i suoi occhi bruciano mentre registra di essere seduto su un materasso sbrindellato in un'enorme stanzone occupato da una trentina di altri materassi sbrindellati ciascuno dei quali ospitanti una persona seduta a mangiare un rancio dal profumo poco raccomandabile o sdraiati a gemere sofferenti.

Ci sono molte altre persone che vagano su e giù per lo stanzone, donne, uomini con camici grigi per lo sporco, con espressioni stanche e nauseate.

Uno di loro lo nota e gli si fa vicino.

La propria mano scatta alla ricerca di un'arma difensiva ma non la trova. I suoi sensi sono ritardati e quello si china su di lui: - Ti sei svegliato, come ti senti? -

Non risponde e i suoi occhi si dilatano, presi da un improvviso terrore. La domanda dell'uomo non presuppone risposta evidentemente, dal momento che i suoi occhi attorniati da profonde occhiaie corrono per tutto il corpo del paziente, saggiando problemi e disfunzioni.

- Mi sembra che tu stia più o meno bene -

Una donna arriva, chinandosi anche lei sul paziente: - Sta bene. è meglio dimetterlo, ora, signore -

- Ti ricordi come ti chiami? -

Perchè questa domanda? Perchè la risposta non gli viene spontanea?

Il cuore è soverchiato dai battiti.

Si guarda le mani.

Mani dalle lunghe dita affusolate, pelle bianca. Mani di chi è uomo ma ancora non lo dimostra.

Passa una mano anche sul viso, per conoscersi: tocca la bocca, tocca il naso, tocca un principio di barba, tocca le palpebre, tocca i capelli, neri, aggrovigliati, lunghi.

Non si riconosce al tatto, come toccare il corpo di qualcun altro.

- E' meglio dimetterlo - insiste la donna - Non abbiamo più letti liberi, ormai -

L'uomo non è d'accordo, le bisbiglia qualcosa e la donna, seppur leggermente contrariata, si alza e si allontana.

- Ti ricordi come ti chiami? -

Il ragazzo-che-non-si-riconosce scuote la testa. Non riesce a parlare o non vuole? Non lo sa nemmeno lui, sa solo che la gola gli fa male e il cuore batte forte.

- Non preoccuparti, succede. Hai avuto una commozione celebrale. Ti ritornerà la memoria che hai perso e l'uso della parola, non temere -

Lui vuole la sua voce adesso. Non vuole aspettare. E' furioso con la sua voce e la sua memoria perduta. Sono due entità che LUI dovrebbe comandare, non deve mai succedere il contrario. Odia non avere la presa sul proprio corpo. Odia che qualcuno non obbedisca ai suoi ordini.

- Per fortuna ti hanno trovato in tempo, figliolo, altrimenti... è stato Harry Potter a salvarti. Povero ragazzo, chissà che ti è successo... Lo ringrazierai non appena arriverà, l'ho mandato a chiamare -

Un nome strano, questo.

Salvare? No, lui non ha bisogno nè di essere salvato nè di ringraziare, lui è totalmente autosufficiente anche se non riesce a parlare, anche se non ricorda un fico secco di chi sia, anche se i suoi muscoli sono anchilosati e gli dolgono in ogni minimo istante, anche se non si muove nemmeno.

Lui non ringrazia nessuno. Nemmeno uno da un nome che già non ricorda che lo ha *salvato*. E chi glielo ha chiesto?

Lui non chiede niente a nessuno. E non chiede niente nemmeno a quell'uomo che lo guarda aspettando una risposta.

Anche perchè ancora non riesce a parlare.

- è arrivato - dice l'uomo. Di colpo le sue rughe si distendono e le occhiaie scompaiono. Sembra più giovane e più felice.

Il ragazzo vede la fonte di gioia in quell'uomo nella persona di un altro ragazzo che avanza verso di lui, con una strana espressione.

Improvvisamente il cuore batte, batte, batte.

E' rabbia? E' sollievo? E' paura? Lo ha riconosciuto? Non lo ha riconosciuto? O forse lo conosceva in passato?

Non capisce.

E il ragazzo si avvicina, sorridendo a nessuno in particolare ma a tutti contemporaneamente, accoglie con cenni di capo alcuni saluti e piega le labbra sempre di più, poi arriva dal ragazzo e dall'uomo, si china.

- Come stai? -

Il ragazzo non risponde. Si impone di pensare che non ne ha voglia, ma la verità è che improvvisamente la sua gola arde ancora di più e la lingua si secca. C'è qualcosa di ossimorico in tutto questo ma il ragazzo non pronuncia verbo mentale per redarguirsi.

Lui non vuole rispondere. E non perchè non ne ha la capacità, assolutamente no, solo perchè non ha voglia.

- Lui è Harry Potter - interviene l'uomo.

L'altro ragazzo sorride. Ed è un sorriso per lui solo. Non per altre venti o trenta persone.

Ha capelli neri completamente indisciplinati, occhi verde speranza nascosta, un paio di occhiali, bocca carnosa, indossa una maglia nera a mezze maniche e un paio di jeans.

- Ciao -

Lui non risponde al saluto. Non vuole. Non vuole essere gentile e far capire a quella Faccia Allegra il contrasto ossimorico interno a lui.

Quello-Che-Si-Chiama-Harry-Potter si rivolge all'uomo: - Che cos'ha? -

- Commozione celebrale, perdita della memoria, perdita della parola - riassume con tono pratico l'uomo - Temporaneo, non si deve preoccupare -

Quello-Che-Si-Chiama-Harry-Potter annuisce: - Non è venuto nessuno per lui? -

- Solo lei -

Il ragazzo vorrebbe gridare un 'Grazie tante, sapete, ci sono anche io qui!', vorrebbe assumere un'espressione altezzosa e seccata. Perchè lui è seccato di essere ignorato ed estromesso dalla conversazione in corso. Ma non ci riesce.

- Posso portalo via? -

- Quando vuole -

Via? Andare dove?

Cerca di parlare e le corde vocali finalmente gli ubbidiscono: esce un grugnito incomprensibile, ma è pur sempre un inequivocabile segno di impazienza.

Quello-Che-Si-Chiama-Harry-Potter e l'uomo si voltano verso di lui. Male interpretano il suo segnale e lo prendono come un sì.

- Lo porto via adesso -

No, non vuole andare con lui. Perchè poi dovrebbe?

Lo ha salvato. E allora?

- Mi chiamo Harry. Ricordi il tuo nome? -

Certo che se lo ricordava, lo prendeva per un menomato mentale? Lui si ricorda perfettamente come si chiama, solo, in quel momento gli è solamente passato di mente. Succede a volte, quando ti becchi una botta in testa.

Lui riesce sempre a volgere le situazioni a suo favore, è un campione in questo. Nonostante non sappia nulla di sè stesso riconosce nel suo Io profondo un'indole strategicamente campione in tutto.

Geme, cercando di far capire le sue rimostranze ma come al solito gli esce fuori un gemito poco comunicativo.

Doveva proprio fare un dialoghetto con le sue corde vocali. Dovevano obbedire e non fargli fare una figura grama del genere.

Riprova, si appella ad un qualche nome famigliare, al primo che gli viene in mente, a quello che gli è rimasto impresso.

- ... Tom... -

All'altro sembra fermarsi il respiro, lo scruta, non dice nulla. Perfetto. Meno parla meglio è.

Salvatore, puah.

Ridicolo.

Improvvisamente *Tom* si sente male al pensiero di aver sputato fuori proprio quel nome ridicolo e semplice. Ok, forse il suo limitato potere sulle corde vocali non gli avrebbero permesso di rispondere a quell'Harry  con un nome un po' più lungo, magari qualcosa di effetto, ma perchè *Tom*?

è famigliare forse. Ma è noioso. Comune.

- Bene, Tom, ti porto via -

No.

 

~°*°~

 

E’ solo perchè odiava quello stanzone con i materassi sbrindellati che è lì, solo perchè odia condividere il suo prezioso spazio d'aria con qualcun altro che ha seguito quell'Harry.

Ora ha un letto molleggiato con un materasso accettabile e una stanza in cui dorme da solo, un letto spazioso, un arredamento molto gramo, essenziale ma accogliente.

Ora *Tom* ha una grande stanza vuota, le gambe gli cedono e Quello-Che-Si-Chiama-Harry-Potter si china su di lui e gli passa un braccio attorno alla vita magra, aiutandolo a sedersi sul letto.

Lui non ringrazia, non ricambia il sorriso che l’altro gli rivolge. Tenta di mostrarsi più insostenibile possibile.

Vorrebbe stare solo, sdraiarsi sul letto morbido e rimuginare sulla sua condizione. Non lo può fare finchè Quello-Che-Si-Chiama-Harry-Potter resta in quella stanza, nessuno deve pensare che lui sia una tale femminuccia, potrebbe uccidere se qualcuno lo pensasse.

Quindi fa il sostenuto, spiazza il suo salvatore dall’armatura che brilla di luce riflessa, rimane saldamente seduto sull’orlo del letto, appoggia le  mani sul materasso e fa finta di non trovarsi lì, fa finta che tutto ciò che lo circonda non conti per lui, fa finta che il timore che lo aveva assalito fosse solo un illusione.

- Hai bisogno di qualcosa? -

Solo stare solo, vorrebbe rispondere *Tom*. Ancora le corde vocali non gli rispondono. Era una cosa veramente frustrante.

Questo non mitiga il suo umore già pessimo.

Chi può parlare può litigare e lamentarsi, chi è impossibilitato a dire alcunché può solo torturarsi mentalmente.

Senza contare che non si ricorda assolutamente niente.

E questo è un punto nevralgico del suo umore.

Comunque scuote la testa, torna ai suoi tortuosi pensieri, si disinteressa della presenza dell’altro, cercando di fargli capire che vuole rimanere solo.

- Senti… - ma l’altro non capisce il suo desiderio, si siede accanto a lui e il materasso si abbassa per il loro peso – Non ricordi proprio nulla di chi sei e del tuo passato, Tom? Non che voglia cacciarti di qui, ovviamente. Voglio solamente aiutarti -

Aiuto?

*Tom* è scandalizzato.

No, grazie, non ho bisogno d’aiuto, bello. Per niente.

Si gira verso l’altra in un gesto inequivocabilmente di congedo. L’altro capisce l’antifona, si alza e se ne va, non prima di aver detto un semplice: - Io sono nella stanza accanto se hai bisogno di qualcosa. Riposati –

La porta si chiuse *Tom* è solo nella sua stanza.

Perfetto, era giunto il momento di chiarire alcune faccende con sé stesso: la cosa capitale era stabile chi lui fosse, ritrovare memoria e coscienza. L’unico problema era che non sapeva da dove cominciare.

Forse il nome che gli era venuto in mente lo avrebbe aiutato. Forse no. Forse poteva semplicemente provarci senza pensare troppo a quello che sarebbe successo o meno.

Dieci minuti dopo è ancora lì, fermo, immobile come una statua di sale, a pensare. Tutto quello che conclude è che il suo nome non gli suggerisce niente. E il peggio è che è un nome totalmente ridicolo e banale, quante altre persone avevano quel nome? Decine. Decine di migliaia di altre stramaledette persone che si chiamano come lui.

Bah.

*Tom* si sdraia sul letto, cerca di quietare la sensazione di timore che lo stava prendendo: che cosa avrebbe potuto fare adesso? Che cosa? Quel ragazzo che lo aveva salvato era stato gentile, ma che cosa sapeva di lui? Valeva la pena di aspettare che la sua memoria tornasse spontaneamente?

Il cuore comincia a battere forte.

*Tom* porta una mano al petto, in corrispondenza del cuore, lo stringe metaforicamente attraverso la stoffa della maglia.

Sentire il cuore battere è motivo di serenità.

Perché?

Gli fa sentire che è vivo, che sta vivendo, forse la sensazione è totalmente inconsulta ma è rassicurante.

Balza a sedere e cerca uno specchio o una qualsiasi superficie riflettente che possa rimandargli il suo viso: la conoscenza di noi stessi parte da quello che vedono gli altri, riflette. Non trova nessuno specchio ma c’è il vetro della finestra che riflette e *Tom* si guarda e si studia: ha gli occhi neri, color della pece, si mimetizzano con il buio della sera, la sua pelle, come quella delle sue mani, è bianchissima, lattea, come se non avesse mai visto la luce del sole, il mento e la mascella sono ricoperti da un lieve velo di barba, i capelli sono come li aveva tastati in quello stanzone, lunghi fino alle spalle, aggrovigliati.

*Tom* fa qualche smorfia, si rende conto che è proprio lui, quello dal volto scavato e lo sguardo deciso, quello che cerca di capire la sua vera identità e non ci riesce, quello che è rimasto in quello squallido stanzone con decine e decine di altre persone per chissà quanto tempo. Chissà quanti giorni, chissà quante settimane.

Lui sente il tempo scorrergli tra le mani come un treno in corsa, cerca di abbeverarsi in quell’acqua pura elisir di vita ma quello che sente sotto la pelle è il fuoco torbido e sfuggente… come se lui non fosse.

Lui vive, sente di vivere, ha un cuore che batte nel petto, ha giovinezza, ha una vita, ha un futuro. Questo lo inquieta. Perché nonostante lui abbia tutto questo si sente vuoto, anima tremula che vaga nell’incerto, lui vive, ha un cuore che batte ma non ha uno scopo da perseguire. Quale speranza può supportarlo? Quale desiderio può cercare di raggiungere? Quale ideale di felicità può tentare di rincorrere?

E di nuovo si sente vuoto. Voldemort, che ora è vivo e dovrebbe vivere, non sa che fare.

Si è restituito la giovinezza, ha una vita. Ma è tutto fasullo, artefatto, lui non sa nemmeno le verità che ha il dovere di sapere, non sa chi è, che cosa ne farà del suo tempo inutile. Forse lo butterà via, forse lo terrà stretto tra le mani in attesa che questo scivoli via.

*Tom* scaglia una mano contro il vetro, proprio all’altezza del suo viso riflesso.

Odia i piagnistei. Odia pensare troppo a lungo su certe cose.

Chiude gli occhi per riflettere qualche secondo. Per riorganizzare le sue poche idee.

Sente un rumore in lontananza attutito, questo lo turba e gli ricorda che non è solo in quella casa. Forse è meglio lasciare da parte il nome e concentrarsi sul suo salvatore, non può credere che quello lo abbia salvato così, per partito preso, forse sapeva qualcosa di lui. Vale la pena di tentare.

Guadagna la porta, scende le scale, l’arredamento è essenziale, qualche tocco femminile in giro per la casa, qualche tocco discordante, come se abitassero in quella casa persone con idee diverse su molte cose. infine giunge alla fonte del rumore, la cucina, deserta se non fosse per una persona di spalle che sorseggia un tè caldo, gira e Quello-che-si-chiama-Harry gli sorride.

- Pensavo volessi riposare -

*Tom* scrolla le spalle, si schiarisce la gola, sente un bruciore alle corde vocali: - Chi sono? – due parole che gli escono dalla bocca stentate e con voce arrochita. Si sente orgoglioso di quelle due parole sciocche. Piccola vittoria, generale, piccola vittoria in un campo di morti.

Quello-che-si-chiama-Harry gli sorride, un po’ titubante e un po’ fiero: - Hai ripreso l’uso della par… -

- Chi sono? – ripete *Tom*. Non ha bisogno di compassione, la trova un’insensata perdita di tempo. E il tempo lo sente scorrere via.

- Non lo so – risponde Quello-che-si-chiama-Harry, la fronte si aggrotta, il sorriso sparisce del tutto, *Tom* sente qualcosa di sbagliato in tutto questo. Da quando lo aveva conosciuto lo aveva visto sempre sorridere, un po’ tristemente, qualche volta timoroso, preoccupato, ma non aveva mai visto quell’espressione pensosa. Non va bene. Non va bene per niente.

– Tu non ricordi niente? – domanda l’altro.

– Tu non sai chi sono… - dice *Tom*. Le parole ora escono più facilmente, sono meno sorde. – Mi hai salvato e non sai chi sono… -

Quello-che-si-chiama-Harry sorride di nuovo: - Aveva importanza chi fossi, chi sei? – si gira, prende un’altra tazza – Vuoi un tè? –

- Raccontami. Come mi hai trovato? – Vuole un ricordo. Forse con una cronaca degli eventi qualcosa può sovvenire nella sua mente. Un barlume di passato, un indizio sul presente, qualcosa da rincorrere nel futuro.

- Non credo che sia il momento di… -

- Dimmelo -

Quello-che-si-chiama-Harry si agita, è irrequieto, appoggia la tazza sul tavolo, si gratta dietro l’orecchio, lo guarda, abbassa lo sguardo, lo rialza. Infine si decide a parlare – Immagino che tu non sappia chi fosse Voldemort… -

*Tom* non risponde nulla, non vuole rispondere a quella domanda retorica. Harry si agita e si siede facendogli segno di fare lo stesso perché il racconta si prospetta lungo. *Tom* accoglie quel suggerimento e prende posto, aspetta impaziente una spiegazione e Harry gli racconta di questo Voldemort e della sua vita, entrambi soggetti strettamente legati fra loro.

*Tom* picchietta sul tavolo con il dito tutto il tempo, beve ogni sua parola accogliendola con sguardo indifferente mentre abbevera la sua coscienza con quelle informazioni. Si sente irrequieto come il suo interlocutore ma non batte ciglio per dimostrarlo, ascolta e non annuisce, non lo incoraggia a continuare nonostante Quello-che-si-chiama-Harry continua a guardarlo in cerca di un minimo di sostegno. *Tom* fa il sostenuto perché si sente distaccato da quel racconto.

Sente qualche frammento di ricordo sovvenirgli nella mente, lo accoglie, lo culla, lo imbastisce con il racconto di Quello-che-si-chiama-Harry. Sta cominciando a capire qualcosa della sua vita passata.

Quando l’altro gli rivela di averlo trovato in un avamposto di Voldemort, nudo a terra, esanime, le dita che picchiettano sul tavolo di fermano, la mano si contrae e Quello-che-si-chiama-Harry cerca di assumere un’aria comprensiva, addolcisce lo sguardo, lo rassicura.

*Tom* riprende a picchiettare sul tavolo e lo incita a continuare il suo racconto con ‘Continua’ duro, mormorato a denti stretti.

Quello-che-si-chiama-Harry si morde il labbro, sente la strana sensazione di deja vu colpirlo nuovamente, come la prima volta che aveva visto quel *Tom* esanime a terra, come la prima volta che aveva pronunciato la sua prima parola, il suo nome incerto. Gli sembra di averlo già incontrato prima ma non vuole sospettare di lui, non vuole pesnare che colui che aveva salvato non fosse l’innocente che aveva pensato essere quando l’aveva visto a terra.

Riprende il suo racconto e spiega che lo aveva portato al San Mungo ormai oberato di feriti maghi e non a causa della guerra. Gli racconta che di Voldemort non se ne sa più nulla, che è come svanito come il fumo molesto in una nube di incerti contorni, i mangiamorte sono stati catturati e giustiziati. Altri, pochi, sono riusciti a guadagnare la fuga e si sono dati alla macchia, cercati in ogni angolo del mondo, braccati. Gli dice che è rimasto incosciente per tre mesi, nel coma più profondo.

*Tom* si alza in piedi, va a riposare, lascia Quello-che-si-chiama-Harry senza una parola.

- Tom? -

- Aspetti un ringraziamento? – domanda caustico.

- Io… -

- Perché mi hai salvato se nemmeno mi conoscevi? – è ancora di spalle, vede ma non guarda il divano del salotto, né lo scompiglio che c’è.

- Perché ne avevi bisogno – Quello-che-si-chiama-Harry si alza in piedi e *Tom* si gira a guardarlo – Ed era giusto farlo -

- Tu non mi conoscevi. Non sai nemmeno chi sono ora -

Quello-che-si-chiama-Harry sorride leggermente, un altro dei suoi sorrisi che gli stanno così bene: - Che importanza ha? –

- Potrei essere un mangiamorte. Potrei essere chiunque -

- Non sei un mangiamorte. Sei un *chiunque* con un nome. Sei Tom. A me basta -

- Davvero? -

- Sì -

*Tom* lo guarda ancora interdetto.

Osserva la piega gentile del suo viso, la sua espressione, le sue labbra distese in un sorriso. I suoi occhi risplendono per quella felicità. Perché felicità, poi?

È orgoglioso di averlo salvato? Si sente un eroe di prima categoria? Si sente invincibile?

*Tom* fa fatica a comprendere. Questa mossa di bontà gratuita per lui è incomprensibile. Non ha un minimo di senso.

- Qui non abiti da solo – ribatte.

– I miei amici non torneranno – risponde. Il sorriso scompare, s’incrina, si cela dietro uno sguardo triste e un’espressione persa nel labirinto dei ricordi. Scrolla le spalle, allontana quell’universo di tristezza che lo sta risucchiando – Rimani quanto vuoi -

*Tom* non indaga, si volta, sale le scale, osserva con occhio un po’ più attento lo scompiglio nella casa, il gusto femminile e i fiori all’entrata, il groviglio di pantaloni sul divano… torna nella stanza che gli era stata assegnata.

Si sdraia sul letto, osserva il soffitto.

Da quel momento in poi Quello-che-si-chiama-Harry ha un vero nome. Soltanto Harry.

 

 

~°*°~

 

 

Sono passati giorni e *Tom* è ancora lì, in quella casa, da giorni e giorni, non parla un granchè, perso nel labirinto della realtà che lo circonda. È la sensazione più strana che avesse mai provato ma era come uscire dal tunnel e vedere la luce appena fuori.

Ricorda che il suo passato è un buco nero che si nutre di felicità altrui per alimentare un proprio orgoglio personale. Ogni giorno ricorda qualche tassello della sua vita passata prima che Harry lo avesse trovato e *salvato*: ricorda frammenti della sua vita ogni giorno di più, della sua giovinezza ricorda ogni sua azione improntata sulla sua ambizione smisurata di andare oltre ogni limite umano, della sua ascesa ricorda l’inebriante profumo del successo, della sua caduta ricorda il maledetto senso di umiliazione, di aver fallito proprio lì dove la cosa doveva farsi più semplice, e poi la sua rinnovata ascesa frenata. E la ricerca del tempo perduto, alla quale aveva dedicato gli ultimi giorni della sua *morte* ora era riuscita.

Che sapore sentiva nella sua nuova vita?

Un sapore di vuoto. Irrimediabile vuoto.

Qual è il mio obiettivo, si ripete continuamente. Cosa posso farne della mia rinnovata vita?

*Tom* non parla con Harry, ascolta.

Ascolta le sue parole entusiaste che cercano di tirargli su il morale, ascolta i suoi discorsi, ascolta i suoi silenzi… impara a conoscerlo. Impara a conoscere la vita e tutto quello che c’è dentro e intorno.

Rimane solo quando Harry lo lascia per andare chissà dove, parla con lui quanto l’altro glielo permette, mangia con lui, lo saluta al mattino. I loro rapporti rimangono così, cristallizzati. Come due amici che non si vedono da tanto tanto tempo e che si accorgono che a causa della lunga separazione per loro è difficile recuperare il loro legame.

Harry non sa. Ignora chi sia veramente *Tom* e *Tom* sta cominciando a riacquistare i suoi ricordi. sta cominciando a rendersi conto che nonostante tutto quello che aveva fatto la sua vita rimane vuota.

Non sa come poterla riempire.

Di ricordi?

Ci sta riuscendo su quel punto.

Ma ha come l’impressione di sbagliato. Quello che veramente riempie la sua vita è Harry. Sono le sue parole, i suoi sorrisi, i *loro* momenti.

- Tom? Tutto ok? – domanda Harry. Lo osserva preoccupato – Sembri impensierito… - poi sorride, raccogliendo le gambe sul divano e appoggiando un gomito sullo schienale del divano per poterlo vedere meglio - Un galeone per i tuoi pensieri -

- Non credevo che valessero tanto – risponde *Tom* senza staccare gli occhi dallo schermo che ha di fronte. Era un sabato sera e Harry era rimasto a casa, gli aveva chiesto se non avesse mai visto un film e *Tom* aveva scosso la testa. Sapeva benissimo cosa fosse e non gli piaceva un granchè. Però… però rimanere con Harry, sul divano… aveva accettato.

- Ma certo che valgono tanto! – esclama Harry – Avanti… dimmi, a che stavi pensando? -

- Che questo film fa schifo -

Harry scoppia a ridere, afferra un cuscino e glielo lancia: - Non è vero! –

*Tom* sorride, divertito, togliendo il cuscino dalla faccia.

- Dovresti sorridere sempre, sai? – azzarda l’altro – Stai molto meglio con un sorriso a illuminarti il volto -

*Tom* torna a guardare il film, i due che parlano concitatamente.

Il cuore gli batte. Batte, batte, batte.

- Ehi? Tom? – Harry gli sventola la sua mano aperta di fronte agli occhi – Tutto bene? Davvero non ti piace il film? -

Il cuore continua a battere.

Che sensazione strana…

Se Voldemort si fosse mai chiesto nella sua vita cosa fosse quella strana alchimia che fa girare tutto il mondo, non avrebbe trovato risposta. Non l’avrebbe mai trovata perché non l’aveva mai conosciuta. Mai sperimentata.

Ora *Tom* la conosce.

È lì, scritta a caratteri cubitali dentro di sé.

È il cuore che batte, batte, batte.

- No, non mi piace il film. Mi piaci tu -

La mano di fronte agli occhi di *Tom* si blocca, Harry, al suo fianco, trattiene il respiro, l’altro si volta, lo guarda cambiare gradatamente colore nelle guance e vede poco alla volta il sorriso apparire sempre più incerto, più sconcertato.

- Scherzavo -

Harry tenta di parlare ma poi rinuncia, abbassa la mano, sorride ferito.

- Certo… certo – torna a sedersi e guardare il film.

*Tom* vorrebbe tanto capire perché il cuore ha smesso di battere per un secondo.

 

 

~°*°~

 

 

È finalmente giunto il giorno.

Tom ricorda tutto. Ogni cosa.

Guarda il viso del giovane uomo che riflette lo specchio del bagno. L’acqua scorre dal lavandino, Tom si è sbarbato, si è tagliato i capelli, si guarda gli occhi color pece, riflette indeciso. Fissa quello sconosciuto conosciuto da poco.

Voldemort, il suo passato, è dentro di lui, in ogni fibra del suo essere reclama vendetta, reclama una rivincita, reclama vita portando morte. Reclama l’oscura quiete delle tenebre. Reclama, blandisce, ordina.

Tom, il suo presente, lo guarda dallo specchio, tace e riflette. Pensa a quello che era stato il suo passato, sente che mancano tasselli ma cerca di illudersi che ricorda tutto. Pensa alle due strade percorribili, a quelle che si spalancano di fronte a lui.

Pensa alla biforcazione più importante.

Pensa alla sua vita. Breve o lunga, piena o vuota. Vita piena di vita, vita di morte.

Pensa, Tom, guardandosi allo specchio. Cercando di capire.

Pensa anche a Harry. Pensa che non è proprio quell’ostacolo sul suo cammino che crede Voldemort.

Harry che bussa alla porta del bagno chiedendogli se tutto va bene.

Harry con cui aveva vissuto per giorni e giorni. Da settimane ha gustato il sapore dolciastro della vita come deve essere vissuta.

Dà un’ultima occhiata al suo riflesso e poi si asciuga la faccia, in tutta tranquillità esce dal bagno e si ritrova con Harry di fronte: - Stai bene? –

- Divinamente – Tom non si pone il problema di dirgli o meno della sua vera identità. Non si pone l’interrogativo capitale di spiegare ad Harry che a causa delle continue morti che aveva provocato attorno a sé aveva sentito il bisogno di provare a vivere. Per vedere come fosse. Per curiosità.

Tornare a quando era un giovane uomo, ovvero prima di spezzare la sua anima e dannarsi per l’eternità, era la sua unica possibilità di riscatto. Rincominciare da capo con le nozioni che aveva. Bere la Pozione dell’Avvenire – che aveva provocava effetti contrari al nome che aveva – gli era parsa l’unica soluzione: era cosciente dei rischi che potevano correre la sua mente e il suo corpo, era anche cosciente della disfatta che incombeva su di lui e sui suoi mangiamorte. Sempre di meno si univano alla sua causa, sempre più morivano, sempre più numerosi i sostenitori del giovane Potter. Era votato al fallimento, Voldemort lo sapeva bene, e in quel climax discendente aveva capito che i rischi per una simile pozione poteva anche correrli.

Se fosse invece riuscita la Pozione avrebbe riportato il suo corpo a tanti anni prima quanto le gocce di sangue avrebbero colorato il suo preparato. E la ferita che si era procurato era stata molto profonda.

Il suo corpo era tornato quello di un vent’enne e poco più, la sua mente era regredita e aveva perso la memoria assieme all’uso della parola. Ma Voldemort sapeva che cel’avrebbe fatta. Lui era un vincente.

E la parola era tornata, la sua voce anche, i suoi poteri solo erano scemati. La sua magia, la sua immensa magia nera che aveva così faticosamente accumulato nel corso dei decenni si era atrofizzata a tal punto da essersi arenata. Anche volendo, non sarebbe più stato in grado di spezzare la sua anima in sette parti, nemmeno in due, se era per quello.

Ci sono cose che Tom è cosciente di non conoscere ancora bene, brandelli del mosaico della sua vita che gli erano oscuri, appannati dal presente. Poco a poco, Tom si rende conto che il processo di degradamento della sua mente sta riprendendo, quella lucidità mentale è solo temporanea, ben presto la sua Conoscenza avrebbe preso a retrocedere al livello che tutti i maghi conoscono: il normale uso della magia. Avrebbe di nuovo dovuto lottare per il suo estro eccellente e per il suo mantenimento.

E il suo primo emendamento è: vivere.

E dal momento che non sempre è possibile vivere come si vuole la propria vita, Tom aveva lasciato nel riflesso dello specchio Voldemort, appendendo nell’angolo della sua mente il suo cupo fantasma.

- Sto veramente bene – ribadisce a Harry.

Harry annuisce, forse sorpreso dal trasporto di quelle parole. Forse sorpreso da Tom e dalla sua nuova versione. Dal suo nuovo io che si espandeva in ogni cellula del suo corpo e dalla quieta sensazione di sentirsi accaldato.

- Ok -

Tom gli sorride lievemente, incurante del nudo petto, si china su Harry: - E tu, tu sei sicuro di stare bene? –

- Cer… sì… - le guance gli si imporporano. Fa uno strano effetto vederlo così.

Tom approfitta di quel momento per annusarlo: - Sai di menta… -

Harry deglutisce a vuoto mentre fissa Tom negli occhi: - Io credo che… -

- Voglio uscire oggi – annuncia Tom. Quanto si è perso del mondo? Potrebbe essere una domanda spontanea, normale per la nuova persona che è diventata. Invece la sola cosa che si chiede è: quanto mi sono perso del mio mondo?

E per mondo non intende il globo che gira obbedientemente attorno ad una stella. Per mondo intende altro. Qualcun altro.

- B… bene -

Tom lo lascia lì, interdetto, per dirigersi nella sua stanza a vestirsi. Sente il sospiro di Harry fin da lì.

Che bella sensazione… il suo cuore che batte.

 

 

Cammina per le strade affollate, si guarda attorno distrattamente, pensa intensamente a tante cose, registra i comportamenti dei babbani, sfiora casualmente il braccio di Harry, facendo passare il suo gesto per un incidente.

Non fa nulla per ignorare Harry né per giustificare i suoi gesti, lo osserva, lo ascolta parlare del più e del meno. Si bea della vita che sente scorrergli nelle vene, una parte della sua mente pensa che tutto questo è ridicolo, l’altra metà pensa che è meraviglioso.

- Tom… non ti ricordi proprio nulla? -

La domanda di Harry lo coglie impreparato. Ma scuote la testa: - No, proprio niente… -

- Mi dispiace -

- Perché? – domanda stupida. Tom se ne rende conto non appena quella parola sciocca gli esce di bocca.

- Avrai una casa da qualche parte che ti aspetta, una famiglia che ti cerca… una vita da vivere… - Harry si ferma, sono in un parco, alla luce del tramonto. C’è ancora abbastanza trambusto ma non nel luogo in cui si sono fermati loro due, le ombre della sera avanzano e la notte sopraggiunge, ma loro hanno altro per la testa. Altri problemi di cui preoccuparsi.

Tom scuote la testa. Se Harry sapesse… se sapesse la verità su di lui…

Ma non la sa, non la deve sapere.

- Non credo -

Harry lo guarda, confuso: - Come fai a… -

- Se valesse la pena…  me ne ricorderei di me, no? – Tom si siede su una panchina, accavalla le gambe, stende la braccia lungo il freddo schienale metallico. Chiude gli occhi, apprezzando la brezza serale.

Pensa a sua madre, sciocca donna persa per amore. Pensa a suo padre, idiota babbano senza rimedio. Pensa a suo nonno materno, l’unico che avrebbe mai amato sempre se l’avesse conosciuto. Pensa a suo zio, psicolabile che aveva lui stesso assassinato. Pensa a tutta la sua famiglia sconosciuta che ha ucciso con le sue mani.

Pensa a Riddle Manor, ai mobili coperti da lenzuola bianche, alle sue segrete sudice. Pensa a Gaunt House, la bella villa coperta di edera e soverchiata di polvere.

Harry si siede accanto a lui: - Se vuoi io… posso darti una mano a cercare… se ti ricordi qualcosa… -

- Lascia stare. Non m’interessa -

- Come… -

- Ho detto che non m’interessa -

Il vento gli passa tra i capelli, Tom si bea della sensazione di calore ultimo dei raggi del sole, poi si gira verso Harry, lo trova inquieto a fissare per terra. Se non avesse un minimo di autocontrollo Tom era certo che Harry avrebbe cominciato a mangiucchiarsi le unghie dal nervosismo.

- Che hai? -

Harry scuote la testa, in preda a dubbi e incertezze, cerca di sembrare distaccato per quanto più possibile mentre domanda: - Non senti un vuoto dentro di te? La nostalgia del tuo passato? Della tua famiglia? –

 - No -

Tom risponde tranquillamente, negando come se fosse ovvio. Comprende bene che per Harry, a cui aveva distrutto la famiglia, era molto importante conoscere il passato e le proprie origini. Lo comprendeva bene quel sentimento perché ne era stato succube lui stesso quando era un ragazzo.

Harry tenta di dire altro ma Tom lo anticipa: - Ascoltami, non voglio sapere da dove vengo. Non credo che ne valga la pena. Non mi ricordo niente e per quanto mi riguarda potrei essere nato nel momento stesso in cui mi hai trovato. Quindi smettila di domandarmi cose impossibili. Vuoi che me ne vada? Basta dirlo, lo farò. Non sopporto la compassione, tantomeno i sensi di colpa –

Tom sa benissimo che Harry non ha la minima intenzione di mandarlo via. Certo che lo sa, vivendo con Harry ha cominciato a conoscerlo poco per volta. Sa quali sono le sue debolezze e quali i suoi punti di forza e ha cominciato a credere che i suoi difetti siano ridicoli e i suoi pregi siano innumerevoli. Forse è effetto della pozione, un qualche strano effetto collaterale mai riscontrato in tutti coloro che ne avevano fatto uso, Tom non lo sa, e nemmeno se lo chiede.

- Non voglio che tu vada via! – risponde con veemenza eccessiva Harry – Ma solo che tu possa sapere da dove vieni. La verità non è un peccato, è un diritto -

Harry sa, parla per esperienza personale. Tom sa, anche a lui è successo la stessa cosa.

- Appurato che dovresti smetterla di trattarmi come un menomato mentale, perché, ti avverto, sono perfettamente sano di mente, e appurato che non vuoi che me ne vada, potremmo direttamente passare al prossimo punto -

- E quale sarebbe? – la voce di Harry sembra seccata. Non gli piace il suo tono di voce? Non gli piace l’oggetto del discorso? Non capisce Tom?

- Il silenzio – Tom sorride nascostamente, sa bene che Harry non si arrende per una replica così fiacca. E infatti riparte alla carica, protestando.

In quel preciso istante, mentre Harry cerca di fargli presente che si sta comportando come un cretino, Tom sente il desiderio istintivo di sentire se anche il cuore di Harry pompa la metà dei battiti del suo cuore.

Agisce di istinto, si china su Harry e gli chiude le labbra con le proprie, blocca i suoi fiumi di parole, assaggia il suo sapore, si stringe a lui. Ed eccolo.

Il cuore di Harry batte. Batte così forte che Tom ha quasi l’impressione di sentirlo sotto le sue dita.

Allora è questa.

L’alchimia che Voldemort non conosceva e che Tom sta apprendendo.

Harry non si muove, è inerte tra le sua braccia, non lo respinge, sembra essere avvolto da un’apatia sconcertata. Rimane fermo, lasciando che Tom continui a baciarlo. Non fa niente, chiude gli occhi, assapora il momento.

Non si stupisce quando Tom si scosta un poco da lui, sciogliendolo dal suo abbraccio impulsivo, tanto da potergli mettere una mano sul cuore. Sta ascoltando il suo cuore?

Tom si perde, perde la nozione del tempo e dello spazio, perde la sensibilità al tatto e sente solo il corpo di Harry contro il suo, perde l’udito e le sue orecchie percepiscono solo il cuore di Harry, perde l’olfatto e solo il profumo di Harry gli penetra nelle narici.

Si ritrova. Ritrova sé stesso, ritrova una felicità che credeva preclusa, ritrova la speranza perduta.

Quando Harry apre le sue labbra spontaneamente Tom crede che il cuore abbia fatto un rumore sordo nel petto. Non è il rumore di qualcosa che si spezza, è la sensazione straordinaria di *riempimento* come se il suo cuore avesse raggiunto il suo limite estremo.

Si era alimentato di Harry poco alla volta, giorno per giorno, e poi, con il bacio, si era *riempito*.

Ed eccola, l’alchimia senza nome, prenderlo.

E il cuore di Harry, sotto la sua mano, batte, batte, batte ad un ritmo forsennato, quanto il proprio.

Tom si sente così vivo da poter risvegliare un morto. Ogni traccia del suo essere Voldemort si affievolisce progressivamente, il sangue scorre veloce, la percezione di essere vivo diventa assordante.

Infine si stacca da Harry, si allontana leggermente, gli toglie la mano dal petto, lo guarda intensamente.

Harry apre gli occhi, si rispecchia in quelle pupille color pece.

Cerca di parlare, come quella volta in cucina. Apre la bocca, la richiude, la riapre, non esce verbo, la richiude, lo guarda, abbassa lo sguardo, lo rialza. È indeciso. È agitato. È sorpreso.

- Perché? – infine chiede. Una parola sussurrata lieve come il suo respiro.

Tom alza le spalle. È divertito da tutta quella successione di movimenti di Harry, cerca di non farlo vedere e fa l’indifferente.

- Avevo voglia e l’ho fatto -

Harry si gira, guarda in avanti, dritto di fronte a sé, circonda le sue ginocchia con le braccia, guarda ma non vede tutte quelle persone di fronte a lui che ridono e scherzano. Tom non sa cosa sta pensando però è felice di quella indecisione.

Sorride qualche istante.

C’era riuscito.

Era vivo.

Voldemort non è più l’involucro di un morto, Voldemort è vivo, è giovane, ha una vita. Il suo cuore batte, batte, batte. Batte per qualcuno.

Non si tratta più di una questione di sopravvivere o vivere alla giornata, non è più ricercare la scintilla di vita nelle pozioni o nelle stragi, è viverla. Sentirla propria. Sentire nella pelle l’orgoglio dei giovani, il loro potere di avere la vita nelle proprie mani.

E di avere qualcuno con cui condividerla. Ora c’è una speranza anche da seguire, la felicità da rincorrere. Si può rincominciare la corsa da dove la si era lasciata, la meta è ancora lontana ma questo non è motivo di spavento, è una sfida maggiore.

Tom guarda fisso Harry, che cerca in tutti i modi di non incrociare il suo sguardo, sorride leggermente.

Il cuore batte, batte, batte…

- Volevo farlo, Harry. E lo voglio anche adesso -

Tom si china di nuovo su Harry, che questa volta accoglie con un mezzo sorrisino, vuole ancora ascoltare i battiti del suo cuore. Dei loro cuori. Fusi assieme in un unico, velocissimo ritmo. Il loro ritmo.

 

.end.

 

Notes: mia cara BloodyMoon, credo di avere una propensione per gli happy end. Che ci vuoi fare… XD Al di là di ogni cosa spero che questa piccola e umile shot ti sia piaciuta. Ti voglio bene, honey. Sei semplicemente insostituibile.

 

  
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