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Autore: Klavdiya Erzsebet    22/07/2012    0 recensioni
Emily in qualche modo malsano è riuscita ad amare Jim Moriarty, senza essere riamata granché; è vissuta a gioielli e regali preziosi per tanto tempo ma ora che lui se n'è andato deve ritornare alla sua professione di giornalista, al suo stipendio, alla sua vita normale e noiosa. Unica cosa che le rimane: Sebastian Moran come guardia del corpo e la speranza che Jim sia esistito davvero. La speranza di non essere pazza.
E quindi ecco l'inizio: è passato più di un anno e si convince a cercare l'unica altra persona che crede in Sherlock Holmes. Il dottor John Watson, quello del blog.
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Altro personaggio, John Watson , Nuovo personaggio, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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XVIII Capitolo

 

2 settembre 2012

 

Sì o no. Colpevole o innocente. Il resto della vita in carcere o una meravigliosa libertà. Non ci sono vie di mezzo e Sebastian lo sa; solo qualche prova a dimostrare che ha ucciso venti persone sotto gli ordini di qualcun altro e il resto della sua vita in mano a un avvocato.

Emily è tanto, Emily è troppo da chiedere ora, in un’aula di tribunale, davanti a una giuria che sta per sputare il verdetto. È sceso così in basso da ritrovarsi a combattere per nient’altro se non la sua vita, perché non è sicuro che sia esattamente vita quella trascorsa in una cella fino a una morte miserabile e dimenticata.

Gli arrivano sguardi truci da tutte le parti e vede la determinazione sui volti dei familiari delle vittime, a ricordargli che lui è il fucile, lui è l’esecutore, lui è quello che si sporca le mani e non è dissimile dall’arma che regge in mano.

Ora non ha il suo fucile però. Ora due guardie non lo perdono d’occhio e lui è lì ad aspettare il verdetto, come tutti nella sala. O forse no: forse tutti stanno ancora ascoltando il giudice, le cose inutili che sta blaterando, il suo viso che diventa rosso come un pomodoro mentre parla. Sebastian non lo ascolta e aspetta solo due parole: ‘non colpevole’, il dolce suono della libertà.

Il giudice ha smesso di parlare e adesso tutti stanno finalmente aspettando il verdetto – anche se Sebastian dubita che tutte quelle facce sconosciute desiderino vederlo libero, fuori dal carcere.

Una voce, finalmente, tutti col fiato sospeso. Ci mette qualche attimo a percepire chiaramente che sta parlando, che sta dicendo qualcosa. Che cosa? si chiede quando ormai ha finito e realizza il meraviglioso significato di quelle parole; ‘non colpevole’, dolci come lo era la ninnananna di sua madre.

 

 

 

Il telefono fa un suono intermittente nell’attesa che Emily risponda; un tuu–tuu ritmato che batte come il cuore di Sebastian, ormai stretto nella sua gola.

«Pronto? Sebastian?» gli risponde lei.

Attimo di panico. Adrenalina. «Sì»

Dall’altra parte, un sospiro. Di gioia, di stanchezza, di ansia? «Dio mio! Com’è andata? Non ho visto il tg, spero tanto che…»

«Non colpevole». Tono basso e modulato. Ruvido e profondo, come quello di chi ha la situazione sotto controllo. Emily tace per qualche secondo, poi prende un ampio respiro che si spezza a metà in un singhiozzo.

«Io lo sapevo» dice. Comincia a sfogarsi e Sebastian la lascia fare. «Jim non l’avrebbe mai permesso. Le prove degli altri omicidi erano scarsissime. Sherlock Holmes non si è fatto niente e…». Altro respiro e altro singhiozzo. «Io ho sperato tutto il tempo»

Non dice che lo ha creduto innocente perché lei sa benissimo che non è così, che lui ha ucciso. Che è solamente colpevole. Ma lo capisce e per Sebastian è la seconda notizia fantastica delle ultime ore. «Grazie» le dice. È sincero. «Grazie mille»

«Di niente»

Silenzio per qualche istante; si concentra sul sottofondo di voci e risate registrate dall’altra parte e riesce a vedere Emily sul suo divano, comodamente seduta sopra l’ombra di Jim fino a farla sparire, davanti alla tv e col cellulare in mano, dicendogli che ha sempre sperato per lui e per la sua salvezza dal carcere, dopo che aveva ucciso un discreto numero di persone.

L’insolito che entrava nella quotidianità e probabilmente c’era simmetria: il desiderio di Sebastian di conoscere la seconda e il bisogno di Emily di riavere la prima dopo averla conosciuta, con Jim. Ora non può più farne a meno.

«Ho visto che mi hai chiamato» le dice lui.

«Sì. Ho visto il regalo, è bellissimo – il foulard, ma anche la foto. Davvero»

L’ex soldato sente un calore inaspettato nel petto. «Sono contento che ti piaccia»

«Lo adoro. Grazie mille». Non si chiede il perché di quel regalo inaspettato. «Ma… ecco, c’era un’altra cosa che ti volevo dire. Forse alla fine sarà una proposta, perché no?»

Sebastian sente il cuore che gli sta per scoppiare. «Che cosa?»

«Beh – parlo di me, poi te non so. Ma ecco, io non credo che resisterò a lungo senza… osare, se capisci quello che intendo; senza niente di interessante nella mia vita, come se Jim fosse l’unico ad avere il diritto a farmela vivere davvero. Capisci?»

«Sì». Una risposta che nessuno dei due si aspettava – un’affermazione, sincera, forte, decisa. «Lo capisco benissimo. Per me è lo stesso»

«Beh, penso che ora tu debba sparire da Londra, perché dopo il processo, la gente è pronta a linciarti. Se non ci avevi già pensato prendilo come un consiglio da amica»

Sebastian soffoca una risata. «Ne terrò conto» risponde malizioso.

«…e anche io farò lo stesso. Non mi sento come se fossi… arrivata. Per niente»

È una rivelazione, un lato di Emily che non si era mai aspettato; una voglia di vivere, una sincerità assurda. Un’opportunità enorme che gli si presenta e un’ansia che lo uccide – e se non ne avrà il coraggio? L’ha già lasciata andare, tante volte. Tante volte è ritornata indietro per volere divino o per qualcosa del genere, ma poi a un certo punto è stata lei a chiamarlo, lei a cercarlo. È stata la sua forza di volontà a determinare il destino. Dipende solo da Sebastian, se chiederle o no di andarsene via con lui, di stare con lui ancora. Dipende solo da lui.

«Vieni con me»

Un’affermazione ma non del tutto – una domanda, un bisogno, una dichiarazione. Altro respiro spezzato da un singhiozzo. «Sì» risponde Emily; può sentire il suo sorriso e sembra ubriaca.

 

 

 

10 settembre 2012

 

John si sistema l’accappatoio e guarda Sherlock sdraiato sul divano, pallido e debole, fermo questa volta non per noia o per il bisogno di pensare ma perché è chiaramente stanco. «Tutto bene?» gli chiede sedendosi sulla poltrona, accanto a lui. Accavalla le gambe e passa una mano nei capelli corti e bagnati, aprendosi il giornale il grembo.

Politica, economia; tutto come al solito, tutto come prima e come dopo la morte di Sherlock: i giornali, almeno quelli, dopo aver smesso di pubblicare notizie su di loro sono rimasti gli stessi. Con sottili variazioni come l’enorme scritta che all’inizio chissà come non aveva notato.

SHERLOCK HOLMES È VIVO

È strano vederlo scritto in prima pagina, è tremendamente ovvio a pensarci, è così vero: finalmente i giornali non nemici ma alleati, finalmente nonostante il gossip la giustizia di una notizia vera.

Va alla pagina indicata da un piccolo, minuscolo, quasi invisibile numerino accanto al titolo. Dossier rilevanti sul caso Scott, segreti inediti sul detective di Reichenbach. Il tutto a nome Edward Lee.

«Sherlock» chiamò. «Sherlock»

L’altro si volta, e il dottore gli mostra il giornale. Sherlock si limita a sorridere, probabilmente di un’informazione concessa a lui e a lui soltanto, alle sue abilità di deduzione.

John continua a leggere; Sherlock Holmes tra le tante imprese ha salvato dal suicidio una ragazza; Sherlock Holmes è inequivocabilmente esistito così come la sua nemesi, il professor James Moriarty.

John chiude il giornale e sorride. Chiude gli occhi e vede il volto, la voglia di giustizia di Emily.

 

 

 

13 gennaio 2013 – Kabul, Afghanistan

 

Emily è seduta accanto a lui e sorride, col suo bloc notes in mano, il foulard verde al collo. Sebastian la guarda di sfuggita e prova una felicità immensa, inspiegabile.

«Ho scritto un articolo sull’attentato» gli dice lei ridiventando seria. Lui annuisce, prende il foglio che gli sta passando. È fittamente ricoperto dalla calligrafia graziosa di Emily che ha imparato a leggere senza sforzo.

Rimane qualche minuto a studiarlo e poi glielo ridà. «Mi piace» dice sincero. Gli piace come Emily gioca con le parole. «È tardi, farai meglio a tornare all’hotel»

Lei annuisce. Si alza, gli bacia le guance accarezzandolo involontariamente con i capelli tagliati corti. Si allontana a passo svelto e quando ormai è lontana si gira e vede che la sta ancora guardando; e allora gli sorride, con le labbra rosse, da sopra il foulard verde come la speranza.

 

 

 

14 gennaio 2013

 

Notizie di politica, uno sguardo; successivamente sport e necrologi. Legge per intero solo gli articoli sull’Afghanistan, se ce ne sono. John spulcia i giornali in un modo estremamente definito.

Quel giorno di notizie da Kabul ce ne sono, in seconda pagina. Un attentato da qualche parte.

Un appuntamento con due vecchie amiche: la guerra, e il nome che appare in cima alla colonna e che gli sorride nei suoi caratteri in stampatello maiuscolo. Emily Keen.

 

 

Fine

  
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