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Autore: Eralery    22/07/2012    3 recensioni
Un Torneo Tremaghi che, alla fine, nasconde molto di più; ragazzi che non sanno cosa siano le guerre – se non per i racconti dei propri genitori –, che d’altra parte sembrano sempre lontane miglia e miglia; legami labili e sottili come i fili con cui le nonne cuciono le coperte per i propri nipotini.
Perché c’è sempre di più di quel che si pensa – non è tutto un gioco, per quanto possa sembrarlo non lo è mai. E sono le nostre scelte che parlano per noi, che parlano di noi, che rivelano al mondo chi siamo in realtà.
“Niente inganna più che la vista.”
Quanto può essere difficile vedere con qualcosa che non siano gli occhi? E quanto può essere facile cadere in fallo quando vi si riesce?
Incompiuta
Genere: Azione, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Albus Severus Potter, James Sirius Potter, Louis Weasley, Nuovo personaggio, Un po' tutti | Coppie: Rose/Scorpius
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta | Contesto: Nuova generazione
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Capitolo VIII

 

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Hogwarts, aula in disuso del terzo piano

8 ottobre 2022
Mattinata
 
Quella mattina era stata svegliata esageratamente presto dal rumore di un gufo che beccava contro il vetro della finestra accanto al suo letto; quando si era alzata ed aveva aperto, poi, aveva fatto per prendere la busta su cui oltretutto era scritto il suo nome, ma l’animale le aveva morso un dito. Perciò aveva dovuto prendere una maglietta a caso per terra – probabilmente Roxanne l’avrebbe uccisa, una volta scoperto ciò, visto che apparteneva a lei – e, mentre chiudeva le dita sulla lettera, aveva cercato di colpire il gufo con l’abito. Lo aveva mancato, ma quello aveva mollato la presa sulla lettera e, dopo essersi lanciati vicendevolmente un’occhiataccia, Rose aveva richiuso la finestra.
Si era quindi riseduta sul letto disfatto ed aveva aperto la busta con le dita. All’interno c’era un foglio in cui Scorpius le chiedeva disordinatamente di vedersi al terzo piano alle dieci. Ed erano le nove, quindi Rose non si era sentita minimamente in colpa nel maledirlo mentre si chiudeva in bagno con la divisa e si preparava.
Era uscita dal dormitorio verso le dieci meno cinque, quindi avrebbe dovuto sbrigarsi; solamente che era troppo stanca – non poteva svegliarla alle nove, non di sabato – per mettersi a correre.
E mentre apriva la porta dell’aula, Rose aveva Scorpius seduto sul banco accanto alla finestra, in prima fila. Sentendo la porta aprirsi, lui si era voltato di scatto ed alzò la mano in cenno di saluto.
Rose aveva capito subito che non si trattava di un incontro come gli altri.
 
« Ci hai pensato seriamente? » le domandò prima ancora che lei potesse salutarlo o avvicinarsi, facendola fermare di botto sulla porta. Rose non capiva di cosa stesse parlando. « A noi due, intendo ».
Rose non riuscì ad aprire bocca, e cercò di prendere tempo chiudendosi la porta alle spalle e lanciando un Muffliato per non farsi scoprire. Quando si girò nuovamente verso di lui, Rose non poté non incrociare lo sguardo di Scorpius per almeno un attimo; lui aveva uno sguardo serio, e Rose pensava che se avesse sollevato lo sguardo lui le avrebbe praticamente guardato dentro. Perché Scorpius riusciva a dare l’impressione che ti stesse leggendo dentro, quando ti guardava, e Rose non ci si era ancora totalmente abituata.
« Cosa vuoi dire? » gli chiese di rimando, appoggiando la schiena alla porta e non lasciando la presa sulla maniglia. Per orgoglio, si costrinse ad alzare il viso nella sua direzione, scoprendolo così a guardare il nero della lavagna.
« Di noi due, Rose, te l’ho detto » le rispose lui, girando il viso verso di lei. Aveva i capelli biondi che gli sfioravano il viso e la fronte, notò Rose senza pensarci. « Di questa situazione » - Scorpius allargò le braccia, come ad abbracciare ciò che lo circondava, prima di posare i palmi delle mani dietro di lui, sul banco. « Dimmelo, ci hai mai pensato davvero? »
« Parla chiaro » disse lei, non riuscendo ancora a capire dove volesse andare a parare. « Cosa c’è che non va? »
Scorpius scoppiò a ridere sonoramente, e sembrava che trovasse tutta la situazione divertente sul serio, perché la sua non era una risata forzata – Rose si chiese come facesse lei ad esserne così sicura.
« Mi stai davvero chiedendo cosa c’è che non va, Rose? » domandò lui, dopo aver smesso di ridere. « Merlino, e me lo chiedi anche? Dimmi cosa c’è che va, facciamo prima! »
Rose sentì il sangue affluirle leggermente alle orecchie, e, dal lieve sorriso che increspò le labbra di Scorpius, capì che si erano arrossate.
Ma lo aveva sempre saputo, alla fine. Dentro di sé, da qualche parte, Rose aveva sempre saputo che prima o poi avrebbero dovuto affrontare quella situazione. A volte diventava insostenibile anche per lei – perché voleva chiudere tutto quanto, ma poi non ce la faceva e ricominciava ad andare da lui e a baciarlo e a non capire più il perché di tutto ciò.
Non potevano andare avanti così, non per molto. Pensandolo, Rose sentì lo stomaco stringersi e si trattenne appena dal piegarsi in avanti.
Intanto, vedendo che Rose continuava a restare in silenzio, Scorpius riprese a parlare: « Io non ce la faccio più. Non… è tutto diverso, quando siamo con altre persone. Quando siamo soli sei… una Rose, ma altrimenti sei un’altra persona. E io non riesco a capire quale sia la vera Rose » - poi ridacchiò, scuotendo la testa. « Forse neanche voglio saperlo. Voglio solo sapere… a te sta bene questa situazione? »
Rose non sapeva bene cosa dire; si sentiva la gola asciutta e la lingua attaccata al palato, mentre mille parole si accavallano nella sua mente e nessuna sembrava adatta alla situazione in cui si trovava. A lei andava bene quella situazione? Non riusciva a dare una risposta a ciò. Era come se ogni volta che stesse con Scorpius perdesse una parte di sé, quella che riusciva a rispondere alle risposte, quella razionale, quella senza la quale si sentiva persa. La maniera in cui Scorpius la faceva sentire… lei non avrebbe saputo spiegarla: non riusciva a pensare coerentemente, e sentire il suo cuore battere contro il suo era come una specie di certezza, perché lui era lì, era vivo e, Rose lo sapeva, le voleva bene. Forse più di quanto potesse immaginare, più di quanto gliene volesse lei. E si sentiva bene, perché poi, quando lui le accarezzava i capelli e le baciava le labbra, Rose non sarebbe voluta andare via.
Eppure lo faceva, Rose se ne andava sempre. E sapeva, Rose, che non poteva continuare a prendere e non ridare mai nulla indietro; perché sarebbe arrivato il giorno in cui Scorpius avrebbe detto basta, e a lei non sarebbe rimasto nulla.
E lei non sapeva cosa fare, perché era in quei momenti che comprendeva quanto Scorpius ormai fosse radicato da qualche parte dentro di lei. Ma lei non si sentiva ancora pronta a dire tutto quanto ad alta voce, e Scorpius aveva solo bisogno di quello.
Scorpius aveva bisogno di qualcosa che lei, almeno per quel momento, non avrebbe saputo come dargli.
« A me… » iniziò, ma poi richiuse la bocca, perché capì.
Capì che Scorpius non stava parlando per lei, ma, per la prima volta, stava parlando per sé. Non gli andava più bene, ecco cosa c’era che non andava. L’unica cosa che Rose non sapeva era se fosse stanco di lei o della situazione. Forse…
« No, non mi sta bene ». Quando capì di aver pronunciato lei quelle parole, capì di aver detto la verità. E di aver detto la cosa giusta, a quanto pareva, perché Scorpius le aveva sorriso con quel sorriso gentile che dispensava in giro e che a lei rivolgeva di nascosto.
« Neanche a me ».
« Lo so ».
Scorpius le sorrise di nuovo, alzandosi dal banco ed avvicinandosi a lei. Tuttavia rimase a qualche passo di distanza, e Rose, sebbene se lo aspettasse, ci rimase male. Pensava che si fosse tutto sistemato, che fosse tutto a posto… ma, nonostante stesse sorridendo, negli occhi di Scorpius si leggeva chiaramente che si era sbagliata, perché non bastavano tre parole a riaggiustare tutto.
« Rose… » cominciò infatti Scorpius, mentre lei voltava il capo verso la lavagna. « Penso che dovremmo pensarci. Tu… non sei pronta, ma io non voglio rimanere il tuo ragazzo segreto, mentre gli altri ragazzi possono guardarti e sorriderti. Non posso, capisci? Mi dispiace, però non ce la faccio più ».
Rose lo guardò, sorpresa. Scorpius non aveva nulla – nulla – di cui scusarsi. Il problema non era lui, affatto: lui era sempre stato gentile con lei, l’aveva sempre trattata bene, l’aveva fatta sentire importante… e lei non aveva mai fatto niente per lui. Scorpius non doveva scusarsi, eppure lo stava facendo, e Rose si sentì ancora peggio.
« Senti - » provò a dire Rose, ma Scorpius la bloccò di nuovo, sorridendole.
« Non dire niente, okay? » disse lui, stringendosi poi nelle spalle. « Io non ho fretta. Solo… fammi sapere cosa vuoi fare. Perché se per te è tutto uguale, se per te è come se non fosse successo niente… allora voglio saperlo, perché così non perderò più tempo. Ti ho rincorso per quanto tempo, Rose? Almeno questo me lo devi ».
Glielo doveva, è vero. Aveva ragione. Rose ricordava ancora il messaggio che le aveva mandato a San Valentino al Secondo Anno, o anche le volte in cui era stato lui a venire da lei senza farsi vedere e chiederle scusa dopo aver litigato. Era sempre stato lui quello ottimo, quello perfetto; lei aveva solo fatto scelte sbagliate, ferendo, Rose lo capì in quel momento, una persona che le voleva bene davvero e si accontentava comunque.
« D’accordo, Rose? »
Sì, glielo doveva.

Sometimes the one we’re taking
Changes every one before

*

 

Biblioteca
Pomeriggio
 
Fuori dalla finestra accanto al suo tavolo, il sole moriva dietro le montagne che circondavano il castello, pronto a cedere il proprio posto ad uno spicchio di luna argentata.
Molly, che aveva preso un posto lontano dalla bibliotecaria per poter incrociare le gambe sulla sedia in libertà, sospirò, la guancia premuta contro il palmo della propria mano. I suoi occhi castani si erano persi ormai da un po’ in quell’arancione rosato che colorava il cielo al tramonto, mentre intanto lei faceva un resoconto della giornata appena trascorsa.
Prima c’era stata la sua compagna di Dormitorio, Holly, che si era messa a cantare dalla gioia in camera di mattina presto, felice perché il ragazzo che le piaceva l’aveva invitata ad Hogsmeade; Molly, nonostante gli svariati tentativi, non era più riuscita a riprendere sonno e si era dovuta alzare di controvoglia.
Dopo, si era scontrata per i corridoi con sua sorella Lucy, e ci era mancato poco che rovinasse rumorosamente a terra; si era rimessa in sesto rapidamente, lanciando a sua sorella un’occhiataccia, a cui l’altra rispose con altrettanto astio.
Era poi andata a fare colazione, già eccessivamente provata per le nove di mattina; durante il pasto, veniva continuamente urtata da due ragazzi del sesto che si mangiavano la faccia a vicenda e la mandavano a sbattere contro la ragazzina del terzo accanto a lei.
Come se non bastasse, aveva appena piovuto, e quindi non poteva neanche andare a sedersi alla base del grande salice vicino al Lago Nero; la cosa non fece che peggiorare il suo umore più nero della soffitta della Tana di notte e senza luce.
Alla fine, facendole capire che quella giornata era nata per essere la peggiore della sua vita, a pranzo il suo amico Michael le si era seduto e le aveva dato la bella notizia: sarebbe andato ad Hogsmeade con Mandy Hawkins, una Tassorosso tutta miele e zucchero – quel giorno Molly tendeva a calcare molto sui difetti delle persone – del quarto. Ovviamente si era mostrata felice per Michael, ma in realtà l’unica cosa che avrebbe voluto fare era andare dalla Hawkins e staccarle la testa a morsi.  
Ma ovviamente non aveva potuto farlo, e si era dovuta sorbire mezz’ora di chiacchiere incessanti su quanto Mandy fosse dolce, carina, gentile, simpatica, disponibile – e di nuovo carina, gentile, simpatica, dolce e disponibile. Dopo mezz’ora aveva deciso di averne abbastanza e se n’era andata dalla Sala Grande in maniera molto dignitosa, con la testa bassa e i capelli che sembravano un piccolo nido di rondini.
Uscita dalla Sala Grande, era corsa nel bagno del secondo piano – Mirtilla, che lei aveva subito mandato a quel paese senza tante remore, continuava a spaventare e irritare la gente che ci entrava – si era chiusa in un cubicolo, sbattendosi la porta alle spalle con una forza che poi si era stupita di possedere. Infine aveva abbassato la il coperchio del water, l’aveva pulito con un incantesimo e ci si era seduta, iniziando a piangere come una scolaretta qualunque alla prese con la sua prima cotta – cosa che effettivamente era.
Aveva scioccamente pensato fino all’ultimo che Michael si accorgesse che anche lei, diamine, era una ragazza e si riscoprisse perdutamente innamorato di lei. E invece lui aveva in testa quella bionda da quattro soldi di Tassorosso – il fatto che fino a qualche giorno prima la trovasse molto intelligente e carina era un futile dettaglio.
Aveva capito di provare qualcosa per Michael – il suo migliore amico – alla fine dell’anno precedente, quando l’idea di tre mesi senza di lui l’aveva fatta sentire dannatamente male. Si erano tenuti in contatto per tutta l’estate, ovviamente, per telefono e per lettera – a volte addirittura usando il contuper portatile di sua madre, visto che Michael era un Nato Babbano –, ma le era mancato così tanto che aveva avuto tutto il tempo per immaginarsi sposata con lui con tre figli. Quando l’aveva rivisto a malapena era riuscita a trattenersi dal saltargli in braccio.
Molly aveva deciso di provarci, a fargli capire che provava qualcosa per lui.
E poi, come in tutte le storie d’amore del mondo, era spuntata Mandy Hawkins, la carissima cotta di Michael, che aveva prontamente distrutto tutti i suoi castelli in aria.
Si era sentita addirittura tradita, quando lui le aveva parlato della Tassorosso. Tranne una volta al terzo anno quando le aveva quasi ucciso tutti i neuroni a forza di parlare di sua sorella Lucy – Molly era rimasta allibita nel scoprire chi piaceva al suo amico –, Michael non le aveva mai parlato di altre ragazze; c’era sempre stata lei, lei e basta. Vedere una ragazzina qualunque che la spodestava in quel modo la mandava su tutte le furie.
Oltre ai dolci occhi nocciola, ai capelli biondi, alla taglia in più di reggiseno, alla sua innata gentilezza, cos’aveva Mandy Hawkins più di lei? Molly neanche voleva pensarci, alla tragica risposta che chiunque le avrebbe dato; si era limitata a sbattere la fronte contro la porta del cubicolo sino a farsi male.
L’unica cosa che Molly poteva vantare di avere in più di Mandy era un anno di età.
Pensa tu che gran cosa– aveva pensato sul momento, più depressa che mai.
In quel momento aveva deciso di odiare tutte le bionde del pianeta – non le importava minimamente che tra queste ci fossero anche Victoire e Dominique, o sua zia Fleur, o nonna Emily1.
Poi si era ricordata che la sorella maggiore di Michael aveva anche lei i capelli biondi, e questo da una parte l’aveva fatta redimere, perché si trattava della sorella di Michael, dall’altra aveva aumentato questo suo astio, sempre perché si trattava della sorella di Michael.
Sto impazzendo – era stato il suo pensiero, mentre si alzava dal water e si asciugava gli occhi con il dorso delle mani.
Si era diretta verso la Biblioteca con passo rapido, sapendo che a quell’ora era certamente poca la gente che si aggirava per i corridoi, preferendo ammassarsi nelle Sale Comuni o nei Dormitori.
E alla fine si era seduta lì, a gambe incrociate, mettendosi a fissare il tramonto anziché studiare come avrebbe dovuto fare – non che le importasse molto, in quel momento, delle rivolte belliche del folletto Zug lo Zotico.
« Sapevo di trovarti qui! » la voce di Michael la fece sobbalzare.
Quando si girò verso di lui, Molly dovette trattenere l’impulso di iniziare a prenderlo a calci e pugni con tutta la forza che poteva, solo per fargli male quanto lui ne aveva fatto a lei.
« Okay » rispose lei, mettendosi composta sulla sedia e iniziando a sfogliare il libro di Storia della Magia.
Michael aggrottò le sopracciglia, spaesato. « Che succede? »
« Niente » lo liquidò lei, acida.
Michael sorrise appena.
« Perché sei arrabbiata? »
« Delle cose ».
« Quali? »
« Non sono affari tuoi » ribatté piccata, alzando lo sguardo su di lui per gelarlo con un’occhiataccia.
Michael sbiancò ed annuì. « Oh » esalò alla fine, tornato al suo colore di pelle naturale. « Ho capito. Quelle cose ».
Santo cielo– si lamentò mentalmente Molly. Perché i maschi pensano sempre che se sei arrabbiata hai il ciclo?
« No » sospirò alla fine Molly, passandosi una mano sulla fronte, mandando tutti i buoni propositi di ignorare Michael a farsi benedire. « Dai, che hai fatto fino ad ora? »
Non che mi interessi.
Lui si illuminò all’istante, sorridendo con l’aria di chi ha appena toccato il cielo con un dito.
« Oh, sono stato un po’ con Mandy! È così gentile! »
Ma no, me l’avrai ripetuto solo quarantatre volte.

 

What can you do when your good isn’t good enough?
 
*

  

Atrio
Pomeriggio inoltrato

 
Non appena la vide scendere la scalinata principale e dirigersi verso il Portone d’Ingresso, Logan scattò rapidamente nella sua direzione, affiancandola in qualche lunga falcata. Attirò la sua attenzione con un « Buongiorno » molto deciso, e lei si bloccò e si girò verso di lui, stupita.
« In realtà è quasi sera » gli fece notare, le sopracciglia inarcate in un’espressione di sincera perplessità.
« È così importante, Yvy? » replicò lui, ghignando e calcando sul nomignolo che le aveva affibbiato e che usava per richiamare la sua attenzione.
Yvonne mutò subito espressione: le sopracciglia si aggrottarono, e lei ridusse gli occhi a due fessure. Logan la trovava immensamente divertente, con le mani strette a pugno lungo i fianchi sottili e le labbra serrate.
« Non chiamarmi così, non ho cinque anni » lo redarguì, infastidita, non accennando però a muoversi. Logan la considerò come una vittoria personale. « E se li avessi, ti morderei le dita fino a staccartele ».
« Se vuoi mordere qualcosa, possiamo iniziare dalle labbra, però fai piano » ghignò lui, esibendosi in uno dei suoi sorrisi provocatori. « Yvy » aggiunse, giusto per il gusto di farla arrabbiare.
Aveva iniziato non appena l’aveva conosciuta – o meglio, dal pomeriggio di quello stesso giorno. Quando la vedeva, l’affiancava per parlarle e infastidirla; a volte la chiamava e basta, con un sonoro « Yvy! » cui la ragazza rispondeva con un’occhiata di fuoco. La situazione lo divertiva non poco, ed adorava vederla arrossire di rabbia; diventava ancora più carina, se possibile.
Non era il solito metodo che adottava per far colpo su una ragazza, però, questo doveva ammetterlo. Solitamente la invitava ad uscire, quella accettava dopo qualche sorriso smagliante o parola carina e, bam!, era fatta. All’inizio ci aveva provato anche con Yvonne, solo che non aveva funzionato; dopo qualche bel complimento, infatti, lei gli aveva semplicemente detto « Grazie » e se n’era andata.
La cosa gli aveva dato alla testa – in maniera positiva, perché le sfide gli erano sempre piaciute, ed Yvonne era la sfida perfetta. Bella, molto, e che sembrava non farsi incantare dai suoi sorrisini – Logan pensava che valesse la pena impiegare anche mesi, per conquistarla. Anche se sinceramente pensava ci sarebbe voluto un po’ meno.
« La vuoi smettere, Hopkins? » sbottò intanto Yvonne, riportandolo con i piedi per terra. La ragazza sembrava davvero, davvero infastidita, e la cosa gli piacque molto.
Logan sorrise come suo solito, baldanzoso, e si sporse appena verso di lei. « Sennò che mi fai? » la provocò, posando volontariamente il proprio sguardo sulle labbra rosee di lei per qualche secondo.
Il viso di Yvonne si distese, e la sua espressione si fece notevolmente più calma e tranquilla. Nei suoi occhi, notò con costernazione Logan, brillava una punta di divertita malizia. Lei fece un passo avanti, trovandosi così a pochi centimetri da lui, ed alzò il volto verso quello di Logan, accostando le labbra al suo orecchio sinistro.
« Sennò » cominciò in tono lascivo, sentendosi il respiro di Logan sul collo. « potrei usare il mio talento in Trasfigurazione per farti comparire un becco al posto del naso » concluse, riposando i talloni a terra e schiacciando con forza il piede destro del ragazzo, che si piegò appena verso di esso.
Logan, dopo un attimo di stordimento, rialzò lo sguardo su di lei, allibito. La ritrovò a ghignare nella sua direzione, con uno sguardo molto soddisfatto.
« Non oseresti mai » constatò Logan, sicurissimo, sebbene l’idea di un becco a deturpare il suo aspetto lo disturbasse notevolmente.
« Non mettermi alla prova, Hopkins » gli sorrise lei, incamminandosi verso il Portone, sicura di aver avuto l’ultima parola.
Al contrario delle aspettative, però, lui non gliela diede vinta e la chiamò con uno di quegli « Ivy! » detti ad alta voce e con il solito sorriso baldanzoso.
« Che c’è? » gli chiese, dopo essersi girata nella sua direzione.
Logan pensò che fosse effettivamente molto bella – non che non lo avesse già notato: perché stava perdendo tempo dietro a lei, altrimenti? –, anche con le sopracciglia bionde talmente inarcate che sembravano sul punto di sparire sotto ad un ciuffo biondo che era sfuggito alla coda e le era finito davanti agli occhi verdi.
« Nah, niente. Volevo solo farti vedere che ti darà anche fastidio il tuo adorabile nomignolo, ma ti giri comunque » disse semplicemente, stringendosi nelle spalle ed affondando le mani nelle tasche dei pantaloni della divisa.
Yvonne scosse la testa. « Mi giro per minacciarti, Hopkins ».
« Non regge, Yvy » annunciò, scoppiando a ridere e tirando una mano fuori dalla tasca per salutare la ragazza. « Ci si vede! »

Blame it all upon
A rush of blood to the head

 
*

 

Sala Grande
Ora di cena
 
Si stava versando del Succo di Zucca nel bicchiere, quando avvertì qualcuno sedersi davanti a lei.
Dominique sollevò il proprio sguardo azzurro, incontrando quello marrone di Matthew Price, che le sorrideva con allegria. La ragazza sorrise a sua volta, mostrandosi sicura di sé, e, dopo aver bevuto qualche sorso dal proprio calice, gli domandò senza staccare gli occhi da quelli di lui:
« Non dovresti essere al tavolo dei Grifondoro, Price? »
Matthew rise, stringendosi nelle spalle. Poi si piegò verso di lei, e, guardandosi attorno come se le stesse dicendo un segreto importantissimo, le disse: « Ci controlla forse qualcuno? »
Dominique ridacchiò, tagliando il tacchino con il coltello e la forchetta. Dopo averne mangiato un pezzo, sorrise con tranquillità. « Come mai sei qui? » domandò ancora, con un ghigno appena accennato ed insinuante.
« Così » rispose semplicemente Matthew, servendosi con delle patate arrosto. « Perché, aspettavi qualcuno? »
Dominique non riuscì a trattenersi dal lanciare uno sguardo al tavolo di Grifondoro, prima di tornare a guardare Matthew, che nel frattempo si stava versando dell’acqua. « No ».
« Allora non ci sono problemi se resto qui, no? » le sorrise dopo pochi istanti, portandosi il bicchiere alle labbra. « Almeno ci teniamo compagnia a vicenda, visto che il mio amico mi ha scaricato per andare a provarci con una di Corvonero ».
« Oh, chi? » spiò Dominique, per chiacchierare.
« Ci sono cose che non si possono dire, Dominique » l’avvisò Matthew, sorridendo.
Dominique si trattenne dall’inarcare le sopracciglia, optando per un sorriso un po’ di circostanza. Pensandoci attentamente, a Dominique venne da credere che Matthew Price si fosse seduto lì solo per parlarle, e non perché un suo amico gli aveva dato buca. La cosa le parve molto tenera, e scoprì che non le importava poi granché se lui aveva un anno in meno: per quel che aveva potuto constatare, infatti, era un ragazzo simpatico e carino. Uno da tenersi stretto, avrebbe detto sua zia Hermione, eppure Dominique pensava che mancasse qualcosa. E non sapeva dire bene cosa: Matthew la faceva ridere, la faceva sentire bene, aveva un sorriso contagioso, d’aspetto era certamente molto carino.
Dominique non riusciva davvero a vedere che problema potesse esserci.
« Ad esempio? » gli chiese, dopo essere rimasta in silenzio per quasi un minuto.
Matthew, davanti a lei, sollevò gli occhi dal piatto e, puntandoli nei suoi, sorrise: « Se sono cose che non si possono dire… »
« Non si possono dire » completò per lui, con una smorfia leggermente infastidita.
« Esattamente » ammiccò, puntandole un dito contro con aria ammirata e divertita. Dopodiché, calò un breve silenzio, interrotto di tanto in tanto dalle posate che tintinnavano nel piatto.
Dominique continuava a lanciargli delle occhiate, per capire quale fosse il problema – sempre se era lui, il problema. Forse era lei, forse la sua miopia era peggiorata.
Ma alla fine non le importava più di tanto che Matthew potesse avere un difetto, tutti ne avevano uno, lei più di tutti; e poi non poteva essere un difetto così grande, se lei si sentiva allegra, lì, con lui, a sorridere e parlare come due vecchi amici che si conoscono da una vita. Matthew la metteva a suo agio – non che lei non fosse in grado di adattarsi, solo che lui sembrava essere nato con il mettere ad agio le persone –, e la sua compagnia non era di troppo.
« Tu pensavi di iscriverti? » le domandò d’un tratto Matthew, che aveva colto alcune chiacchiere delle ragazze accanto a loro – ma d’altronde in giro si parlava spesso del Torneo.
« Oh? » fece lei, spaesata e presa in contropiede.
Matthew ridacchiò, anziché arrabbiarsi. « Al Torneo, dico. Pensavi di iscriverti al Tremaghi? »
Appena lui pronunciò quelle parole, Dominique impallidì leggermente e si affrettò a scuotere la testa in segno di diniego. « Non ci penso neanche » rispose, risoluta.
« Morirebbe di paura » s’intromise una voce alle spalle di Dominique, facendola voltare di scatto mentre arrossiva leggermente sulle gote, punta nel vivo. « Non guardarmi così, Domi, sai che ho ragione » le sorrise James Potter, prima di rivolgersi all’altro ragazzo: « Ciao, Price ».
« Ehi, Potter » ricambiò il saluto Matthew, che aveva giocato con lui come Cacciatore nella squadra di Quidditch di Grifondoro. « Come mai qui? »
Il nuovo arrivato indicò Dominique e rispose: « Le avevo promesso che l’avrei accompagnata in Dormitorio », sorridendo alla cugina.
« Oh, certo » annuì Matthew, comprensivo. « Senti… » fece poi, leggermente imbarazzato. « non è che potresti aspettare un minuto? Devo, uhm, dirle una cosa ».
James parve capire, perché sorrise ed annuì, facendo qualche passo lontano da loro per parlare con degli amici di Tassorosso. Intanto, dopo aver guardato James poggiare le mani sul tavolo e salutare due ragazzi del loro anno e una più piccola, Dominique riportò la sua attenzione su Matthew, guardandolo come ad invitarlo a parlare.
Il ragazzo parve un po’ a disagio – Dominique se ne meravigliò non poco –, ma dopo pochi secondi iniziò a parlare: « Senti… non mi importa se hai paura, eh, tranquilla » - questo la fece sorridere leggermente, per nulla infastidita. « E, sì, insomma… ti va di venire ad Hogsmeade con me, sabato prossimo? »
« Oh! » esclamò Dominique, il cui volto si aprì in un sorriso a trentadue denti. « Certo che sì! »
 

They’ve got all the right moves
And all the wrong faces

 
« Hai fatto colpo, eh, Domi? » la stuzzicò James, mentre la accompagnava alla sua Sala Comune. Non gli dava fastidio: dopotutto Matthew era un ragazzo a posto, e sua cugina sembrava felice in sua compagnia. Gli bastava quello, nonostante una piccola parte di lui fosse leggermente geloso: Dominique era la sua migliore amica da quando erano piccoli, e aveva paura che lei lo rimpiazzasse di punto in bianco con Matthew.
« Non esagerare, James » ribatté la ragazza, come infastidita dal suo commento.
Dominique era strana, davvero strana. James non riusciva a capire perché, da qualche tempo a quella parte, avesse iniziato a trattarlo in modo assurdo; con gli altri era sempre gentile, dolce, mentre lui spesso non capiva perché si mostrasse infastidita se le faceva dei complimenti o diceva qualcosa su un suo ragazzo o una ragazza che piaceva a lui.
« Non esagero » rispose James, sincero. « Price ti guardava come si guarda una bottiglia d’acqua fresca dopo un mese di siccità. In senso positivo, eh ».
Dominique si ritrovò a ridere sommessamente, mentre si avvicinavano all’entrata della Sala Comune.
« Se lo dici tu » scartò subito il discorso, lanciandogli uno sguardo. James, accanto a lei, aveva quella sua aria un po’ imbronciata, e Dominique intuì che aveva la mente occupata da qualcosa di importante quando lui non si accorse neanche di essere arrivato a destinazione.
Dunque lei lo trattenne tirandolo per la manica, facendolo così girare verso di lei. Alla sua occhiata stralunata, rispose con un « Siamo arrivati, James ».
Lui parve riscuotersi e tornò sui suoi passi, fermandosi davanti a lei. « Scusa, non me n’ero accorto… Stavo pensando un po’ ».
« A cosa? » chiese Dominique, sorvolando sulle sue scuse. James si mosse sul posto, leggermente imbarazzato, e Dominique capì. « Il Torneo ».
Lui si limitò ad annuire senza dire nulla.
« Vuoi proprio iscriverti, eh? » gli domandò lei, sospirando.
Quando parlavano di quello, per Dominique era difficile trattenersi dal prendere James per il bavero della camicia e dirgli che, se solo avesse provato a mettere il suo nome in quel Calice, lei non gli avrebbe mai più rivolto la parola. Era un pensiero egoistico, soprattutto per una Tassorosso, ma quando si trattava di James le sembrava di perdere la testa. In realtà solo quando lui si cacciava in qualche guaio. E quel maledetto Torneo era peggio, Dominique se lo sentiva, e aveva paura.
Paura che a James succedesse qualcosa, come già era accaduto nelle edizioni precedenti. Paura di perderlo, e di perdere così una parte di se stessa.
Perché, che lei lo volesse o meno, James era parte di lei – un qualcosa che non puoi mandare via, che rimane per sempre, che a volte ti fa sorridere e altre ti fa venir voglia di urlare.
Confusa.
Ecco come si sentiva, quando era con James: confusa, persa, spaesata. Come se la sua presenza fosse in grado di metterla in dubbio del tutto.
Ma era una bella sensazione, quando poi lui la abbracciava e la stringeva a sé, come in quel momento – anche se teoricamente lei non avrebbe dovuto pensarlo, visto che sarebbe uscita con Matthew, ma in quel momento non le importò molto. Si sentiva esplodere, come se dentro di lei fossero appena scoppiati mille fuochi d’artificio. Non avrebbe saputo spiegare come si sentiva in quei momenti.
Ma allora, con il mento poggiato sulla spalla di James e le mani strette attorno al suo collo, mentre quelle di James le avvolgevano la schiena, Dominique si sentì a casa.
E in quel momento capì che nessuno le avrebbe mai acceso un fuoco dentro grande quanto quello che aveva appiccato James Potter.

 
 

 *

 

1 – la canzone da cui è tratta la citazione alla fine del pezzo su Rose e Scorpius è “Holding On And Letting On, di Ross Copperman.
2 – nonna Emily è, ovviamente, la madre di Audrey, la moglie di Percy. :)
3 – la canzone da cui è tratta la citazione alla fine del pezzo su Molly è “Get It Right”, di Glee.
4 – la canzone da cui è tratta la citazione alla fine del pezzo su Logan e Yvonne è “Rush Of Blood To The Head”, dei Coldplay (<3).
5 – la canzone da cui è tratta la citazione a metà del pezzo su Dominique è “All The Right Moves”, dei One Republic.
 
GNAH. Iniziano a formarsi le coppie, e io sono tutta “ODDIO” perché ho zero esperienza nelle relazioni. Ehi, che volete, ho appena fatto quindici anni e preferisco un libro, yeh.
C’è stato il ritorno in grande stile di Molly – se siete bionde, non fateci caso, anche io mi ritengo offesa, non avendo ancora capito se sono bionda scura o mora chiara ._. –, Dominique che parla con quel tesssoroh di Matthew, Rose e Scorpius (aridanghete, lo so, ma li adoro), eeeeeee: Logan e Yvonne. Non annuncio nulla su di loro, ma… non vi ricordano qualcuno? XD Vediamo chi indovina! :D
Però… vorrei spendere qualche riga per Dominique. Io ovviamente so già cosa succederà e tutto – fino al capitolo venticinque, almeno, tutti gli avvenimenti son scritti nella mia agenda –, ma vorrei chiedervi scusa se l’interesse di Dominique per suo cugino vi ha dato fastidio. So che è un argomento molto delicato, e be’… insomma, è delicato, appunto.
Ora fuggo, che voglio giocare un po’ a Pokémon HeartGold prima di andare in piscina o al mare o non ne ho idea. Vi adoro, anche se a volte penso di parlare da sola, visto quanto sta calando ultimamente il feedback!
A presto,
Er

   
 
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