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Autore: Muse    06/02/2007    5 recensioni
Si arriva sempre ad un certo punto in cui l'anima chiede un pagamento.
Genere: Malinconico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Peter Minus
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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(E qualcosa rimane, tra le pagine chiare e le pagine scure ... - Rimmel - De Gregori)

Il bagliore del fuoco è l'unica fonte di luce nella stanzetta buia della taverna.
Ed io me ne sto a guardarlo con gli occhietti acquosi, rintanato in un'angolo della stanza, accasciato su una sedia a sorseggiare il peggior whisky esistente a Londra.
Brucia la gola mentre scende, come i ricordi, tutto ciò che mi rimane.
Se solo ... se solo fosse stato tutto diverso, forse ora non sarebbe finita.
Ma d'altronde io non sono diverso no? Sono quello che sono, lo sono sempre stato. Ma col senno di poi si capisce il punto in cui si è sbagliato, il punto in cui la strada ha deviato.
Definire il mio? Non so di preciso quando sia stato, ma so per certo che se quella mattina mi fossi seduto in un vagone diverso ora non sarei qui.
Magari sarei diventato un calvo bibliotecario o un grasso impiegato. Beh, calvo e grasso lo sono, ma non sono un impiegato, non sono un bibliotecario, ne un guaritore, ne un addestratore di draghi, sono solo un uomo dimenticato dalla comunità.
Mi hanno graziato, strano vero? Io, il più fedele servitore del Signore Oscuro, graziato! Mi avessero sbattuto ad Azkaban in balia dei dissennatori almeno la mia agonia sarebbe finita. Sarei inerme riverso in una cella senza nemmeno ricordarmi chi sono. Invece chi sono e cosa ho fatto me lo ricordo fin troppo bene.
Forse è la cosa peggiore, non espiare le proprie colpe. Si arriva sempre ad un certo punto in cui l'anima chiede un pagamento, a meno di non averla, ma non è il mio caso. Ed io le mie colpe non l'ho pagate.
Sono sempre stato bravo a non pagarle, fin dai primi anni della mia vita. Bravo a svignarmela e a non farmi beccare. Un delinquente perfetto insomma.
Un'altro mio debole erano le amicizie "importanti". Come si fa a non voler essere amici dei ragazzi più popolari della scuola? Soprattutto quando te li trovi nello stesso scompartimento del treno il primo giorno di scuola. Ragazzi simpatici, per bene, sarebbe dovuta essere un'amicizia perfetta. Ma non ero perfetto io, solo che all'epoca non lo sapevo.
Credevo che a stare con loro mi avrebbe reso altrettanto popolare, bello, simpatico. La Luna è forse meno bella del Sole?
Beh, evidentemente a me non bastava la loro luce riflessa per rendermi accattivante.
Non sapevo nemmeno di essere diverso caratterialmente. Loro scherzavano, si prendevano in giro, li prendevo in giro e ridevano, prendevano in giro me ... ed io non ridevo. Ma non mi rendevo conto di quella cosa all'epoca, non ci davo peso, come non lo facevano loro.
Crescendo gli scherzi sono aumentati, si sono fatti più pesanti, e se loro li trovavano divertenti, io non ero di quel parere. Ogni volta che non c'era Mocciosus in giro gli scherzi ricadevano su di me e su di Remus.
Ma Remus, Remus, si son sempre chiesti tutti cosa ci facesse con dei tipi come noi, anzi no, con dei tipi come loro, perchè anche io non centravo nulla.
Ma forse era la bestia sepolta dentro a lui a tenerlo buono, lasciava che si sfogasse una volta al mese, poi tornava a legarla dentro di sè, troppo preoccupato di non causare sofferenze agli altri per dare peso alle sue. In quella singola notte al mese, il capo branco era lui.
Ma io non avevo nemmeno quella volta al mese.
Ma un giorno, arrivò il mio sfogo. Severus Piton.
Con le sue maniere subdole riuscì a farmi credere di essere mio amico e, leggendomi dentro come se fossi di fatto di cristallo, diede voce alla mia frustrazione.
Mi riconobbi in quelle parole e lui mi diede il pretesto giusto per riprendermi la mia piccola rivincita. All'inizio pensavo fosse solo quello, ma in men che non si dica mi ritrovai invischiato in qualcosa di ben più grosso di me.
Al principio forse lo trovai persino divertente, fare la spia, il doppio-gioco, insomma, eravamo ragazzi, appena dilpomati ad Hogwarts, loro si erano fatti la loro vita, io mi stavo facendo la mia.
Ma ben presto morti e feriti si accumularono sulle mie "soffiate". Naturalmente, era troppo tardi.
Come potevo tirarmi indietro da quello che avevo iniziato? Io, che tenevo fin troppo alla mia vita, mi convinsi che quel che stavo facendo ero io, ero sempre stato così, non potevo rinnegare la mia anima, giusto o sbagliato che fosse.
Riguardando a quei momenti, mi accorgo solo che la mia fu codardia. Troppo orgoglioso per ammettere di aver sbagliato e troppo fifone per rinnegare chi servivo.
Accampai scuse e scuse sulla mia anima, annegai la coscienza sotto la paura. Quale vita poteva valere più della mia? Con questa frase mi autocommiseravo tutte le mattine.
Ma ora che tutto è finito, non ho più scuse, non ho più motivo di autoccomiserazione, non devo più difendere la mia vita.
Ora che non ho più tutto questo, mi rendo conto che non mi è rimasto più nient'altro. La mia vita è stata solo una menzogna, una scusa, una fuga disperata da me stesso.
Non volevo essere una nullità, essere dimenticato, diventare l'ennesimo impiegato grasso di qualche organizzazione dimenticata da Dio.
James sarebbe stato il cercatore più giovane ad entrare nella nazionale di Quidditch, Lily una guaritrice, Sirius sarebbe diventato un auror, Remus non sapeva bene neanche lui cosa, probabilmente ciò che il ministero gli avrebbe permesso, ma lo avrebbe fatto dando del suo meglio, come sempre. Questi erano i loro sogni.
I miei erano sopravvivere un'altro giorno alla furia del Signore Oscuro.
Ma Lily, James, Sirius e Remus, non sono mai stati tutto ciò, sono morti, quasi esclusivamente a causa mia. Ma nessuno mai li dimenticherà.
Io sono vivo. Ma nessuno mi ricorderà. Sarò solo uno dei tanti che causarono enormi sofferenze all'umanità. Un nome senza volto da odiare. Una tomba senza epigrafe da imbrattare.
Mi alzo lentamente da questa seggiola cigolante e mi sdraio sul giaciglio mangiato dalle tarme di questa sudicia pensione. Non posso permettermi più di questo, anzi, non posso permettermi nemmeno questo. Ma tanto del conto non dovrò preoccuparmi. L'ennesima mascalzonata, l'ultima, si sta consumando. Domattina il locandiere si troverà solo con un'inutile cadavere in uno dei suoi letti, senza uno zellino in tasca.
Chiudo gli occhi, aspettando l'oblio. La mia anima sta esigendo il suo pagamento.

  
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