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Autore: Donixmadness    23/07/2012    5 recensioni
Ciao a tutti! Questa è la mia prima fic su Death Note, anime stupendo!! E dato che sono un'appassionata sostenitrice di L (Ryuzaki, appunto) ho voluto dedicare una storia riguardo al suo passato.
La storia di una ragazzina che intreccia i destini di L e Watari .... e che in un certo senso darà un'importante lezione di vita all'impassibile e freddo L. Anche se con ad un prezzo molto alto ...
Perciò recensite, e siate clementi per questa povera pazza!!!
Genere: Introspettivo, Malinconico, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: L, Nuovo personaggio, Watari
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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La luce bianca degli schermi batte sul volto di un uomo. Questo sorseggia tranquillamente una tazza di caffè, intingendo appena i baffi bianchi nel liquido scuro. Il suo compito è restare lì a controllare dai monitor ogni angolo di quel grattacelo. Watari posa delicatamente la tazza bianca sul piattino di porcellana e fa una pausa. Lascia tutto accanto alla tastiera nera del computer per poi rimanere un attimo in silenzio, tra le onde dei suoi pensieri. Se ripercorre la sua vita, gli sembra un fiume in piena. Non avrebbe mai pensato che una volta conosciuto L la sua vita sarebbe cambiata così tanto, anche se era mutata già da quel giorno.                                                                                                                   
–Oggi avrebbe compiuto 25 anni … - pensa un attimo ad alta voce, immergendosi nei ricordi più lontani e nascosti nel suo cuore.
Ryuzaki, o meglio L, non permette di portare affetti personali, ma un inventore come lui, può nascondere tutto e ovunque. Prende dalla tasca della giacca il suo orologio tascabile d’argento. Con aria quasi malinconica lo tasta piano, levigandolo con le dita. Poi fa scattare il meccanismo ed il coperchio superiore si apre di scatto. Dentro solo lancette nere che scandiscono numeri romani su fondo madreperlato. Il vecchio inglese con la rotellina sposta la lancetta delle ore su II, poi su VI, su X ed infine III. Tic! E’ il rumore che echeggia all’istante. Watari solleva il quadrate dell’orologio per estrarre un minuscolo pezzettino di carta rigida ripiegato su se stesso. Nelle sue mani solo quel foglietto tanto fragile e consunto, quanto pesante ed infrangibile.
Ciò che vi è contenuto non potrà mai essere cancellato per lui, anche dopo tutti quegli anni. Una fotografia di un giovane viso sorridente, sfigurato nella culla dell’età dal dolore. Si ricorda la sua voce squillante, la sua determinazione, ma soprattutto la sua grande inventiva e passione per la meccanica. Proprio la stessa passione di quel vecchio signore inglese che ora guarda la sua foto, amaro. Un rumore interrompe il sanguinare di una vecchia ferita, che nonostante perda è secca ed incrostata.
La porta alle spalle si apre automaticamente, e Watari si gira con la sedia mettendo furtivamente in tasca la fotografia.
Due occhi neri ossidiana lo fissano imperscrutabili: Ryuzaki rimane lì sulla soglia con le mani in tasca e la spalla come sempre ricurva. 
–Ah! Ryuzaki … devi perdonarmi ma ho perso la cognizione del tempo!! Ma stavo giusto per portarti il carrello dei dolci – si giustifica l’uomo alzandosi.
–Non importa , davvero – lo ferma il corvino sollevando la mano diafana e affusolata.
–Ma .. – tenta di dire Watari , intanto L si avvicina e i piedi nudi producono il tonfo sordo dei passi.
–Ce l’hai ancora quella fotografia? – domanda pacato il ragazzo, non stupendo affatto l’uomo dinnanzi a lui. L’inventore abbassa un attimo lo sguardo in direzione della tasca della giacca, e ne estrae la fotografia ingiallita con gli anni.
–Ecco … Mi dispiace Ryuzaki, ma non ce l’ho fatta proprio a sbarazzarmene, anche se mi avevi chiesto di eliminare tutti gli affetti personali.
Il fatto è che preferisco tenerla sempre con me che in cassaforte … sono mortificato – abbassa il capo in segno di scuse.
–Non ho intenzione di rimproveranti, anche se con tutte le precauzioni che ti ho ordinato. Comunque non credo che quella foto debba essere accantonata in una cassaforte. Sono contento che tu ce l’abbia ancora … - gli occhi petrolio di L si spostano sul pezzo di carta. Allunga la mano pallida per afferrare la fotografia e Watari gliela porge. Anche lo sguardo impassibile del miglior detective del mondo si vela di una leggera tristezza. Non si definirebbe malinconia, ma neanche rimorso. Solo lieve stupore lasciano trasparire quelle pozze buie. Null’altro. La sorpresa di aver rinfrescato come un pittore su una parete, dei vecchi ricordi della sua infanzia. Ancora oggi lo lascia ancora perplesso il fatto che il soggetto ritratto nella foto, un tempo era stato l’epicentro dei suoi fastidi. Quelle che lui definiva “seccature”, “futilità” erano in realtà i valori più importanti per un essere umano.
–Se non mi sbaglio – continua il ragazzo, non staccando gli occhi dalla carta – oggi sarebbe stato il suo compleanno.
Watari si limita ad un cenno del capo ed L poggia la foto sulla scrivania, in silenzio. Forse per guardarla meglio da lontano, probabilmente vuole verificare se a distanza ha un altro effetto.
Le punte di due dita sottili afferrano delicate un cioccolatino con la nocciola dal vassoio lì accanto. La mano di L si muove lenta nell'aria, come se ne subisse l’attrito violentemente, ma alla fine posa il dolcetto davanti al ritratto consunto, per poi ritirare la mano nella sua tasca. Watari rimane in silenzio, ma alquanto sorpreso: non avrebbe mai pensato che L facesse un’offerta a quella povera anima.
“E’ davvero cresciuto” pensa tra sé.
Il cespuglio corvino di Ryuzaki gli impedisce di vedere la sua espressione, ma gli pare alquanto triste e malinconico.
–Ne ha passate di tante nella sua vita, vero? – chiede il ragazzo senza scomporsi o volgere l’attenzione al suo collaboratore.
–Sì, ha visto davvero l’inferno per quello che mi ha detto. Chissà quanto dolore occultava dietro quei sorrisi così spensierati.
–Sai, ho sempre pensato che fosse sciocco da parte sua sorridere a quel modo. Ma forse ero solo invidioso perché io non riuscivo mai a farlo. Il suo per me era un atteggiamento falso, ma solo col tempo ho compreso che stava disperatamente cercando di andare avanti per la sua strada. Per non rimanere bloccata nel passato. Mmf … - accenna un mezzo sorriso.
– Quante me ne ha combinate quella ragazzina!! Ho perso del tutto il conto! E l’ultima è stata farsi sparare a morte!! – conclude con una lieve punta di amarezza. Dopotutto anche L è un essere umano, no?
Continua ancora a fissare quel volto, in cui riesce ancora a specchiarsi nelle iridi verde acqua della ragazzina. Gli occhi che sprizzavano vivacità, determinazione  ma anche dolore e sofferenza.
–Non l'ho mai sopportata … - riafferma nuovamente Ryuzaki, stavolta voltandosi.
–Capisco – si limita a dire Watari. L va via per ritornare nella sala dei computer,ma prima di sparire dietro la porta d’acciaio, si ferma sulla soglia.
–I dolci puoi portarli anche più tardi.
–D’accordo, Ryuzaki – e lascia solo il vecchio inglese a contemplare ancora quella foto.
Ricordo ancora la prima volta che ti incontrai, era in quel villaggio in Inghilterra. Una piccola cittadina dove andavi in giro a derubare la gente, ma lo facevi per sopravvivere. Io ero lì di passaggio, ma guardandoti semplicemente negli occhi capii che eri spaventata e confusa, per questo non ti fidavi di nessuno. E così Watari si immerge nei meandri del suo passato.
 


Arrivai a Willand in treno. Non era uno dei più lussuosi e confortevoli, ma diciamo che quei vecchi vagoni erano sempre meglio dei treni a vapore di un tempo. Ero lì per incontrare un mio vecchio amico ed esporli alcuni miei progetti. Con il brevetto della mia ultima invenzione avevo fatto costruire un orfanotrofio a Winchester, a cui avevo dato il mio nome. La Wammy’s House, un posto che accoglieva non solo gli orfani di tutto il mondo, ma soprattutto quelli dotati di capacità intellettive fuori dal comune. In questo modo speravo che quei piccoli geni avrebbero messo al servizio dell’umanità le loro doti, per il bene di tutti.
O almeno era quello che mi auguravo, per impedire che menti come quelle subissero la dura legge della strada. Scesi dal treno con la valigetta in mano. La stazione era caotica a quell’ora ed io mi guardavo intorno per cercare il mio amico, nonché anche socio d’affari.
– Quillsh Wammy!!! Quanto tempo!! – alla mia destra un uomo mi aveva
 chiamato e stava venendomi incontro agitando la mano.
Lui era Micheal Heavy , la persona che stavo cercando. Lo salutai e gli strinsi la mano calorosamente.
– E’ un piacere rivederti!! – gli dissi rafforzando la stretta.
–A quanto pare sei diventato davvero famoso!! Ho saputo che la tua invenzione ha riscosso un grandissimo successo!! Complimenti! Alla fine sei diventato ricco sfondato, eh?
- Bé, si può dire di sì, ma non sono i soldi che mi interessano, la sai vero?
-Sì, sì signor benefattore!!! – scherzò lui.
–Di’ quello che vuoi ma è la verità! – rispondo prontamente, ma prima che lui potesse ribattere udimmo confusione da lontano. C’era gente che imprecava e altra che si scansava come se investita da qualcosa o qualcuno.
–Ma che succede? – domandai io avvicinandomi. Il mio amico si accostò a me.
–Non ne ho idea – rispose Michael, grattandosi il capo sotto il cappello.
Da lontano si udivano parole del tipo “prendetelo”, o “piccolo furfante”. Ed anche urla femminili che reclamavano le loro borse.
Scorgevo della confusione da lontano e gente che sia agitava. Ma poi lo vidi, era poco più di un bambino. Era incappucciato, correva con le braccia strette al torace e sfondava la folla alla velocità di un missile. Era inseguito da degli uomini, ed anche un poliziotto con un manganello in mano. Il ragazzino era veloce e sgusciava da una parte all'altra della folla. Si era girato un attimo per guardare i suoi inseguitori, ma non prestò attenzione davanti a sé. Io non feci in tempo a scansarmi che mi venne addosso e cademmo insieme malamente. Il mio cappello si sfilò dalla testa e anche la mia valigetta scivolò via. Si udì il rumore di oggetti che sfregano il pavimento cadendo. Fu un attimo che mi resi conto che scivolando il ragazzino aveva  perso parte del suo bottino, nascosto sotto la felpa. Sollevai la testa ancora dolorante per la caduta e vidi due occhi verdi fissarmi stupiti, e a col tempo smascherati dal mio sguardo. Ciocche castane ricaddero dal cappuccio: erano troppo lunghe per essere quelle di un ragazzino. Subito quegli occhioni verde acqua si accorsero che gli inseguitori stavano giungendo, così subito il piccolo ladro oscurò il suo volto con il cappuccio e raccattò in fretta tutto ciò che poteva prendere, tra cui notai due pagnotte. Corse via per non farsi beccare e sparì dietro l’angolo. Io ero ancora a terra scioccato per la rapidità degli eventi. Alla fine giunsero un gruppo di uomini con un poliziotto probabilmente della stazione. Micheal si avvicinò a me porgendomi la mano e mi  aiutò a rialzarmi:
- Tutto bene, Quillsh? – domandò premuroso porgendomi il capello e recuperando la valigetta.
–Sì sta tranquillo, piuttosto sai chi era quel piccoletto?- domandai spazzolando il capello con la mano. 
–E’ un po’ che ne sento parlare, ma a quanto pare esiste davvero. E’ un piccolo ladro il quale da qualche tempo si aggira a derubare la gente.
Svaligia fruttivendoli, panettieri e negozi soprattutto di alimentari. E’ una vera e propria canaglia a quanto ho sentito dire.
–Già!– affermò il poliziotto di prima – Ed è davvero bravo a nascondere le sue tracce!! Mi dica, per caso le manca qualcosa?
Io frugai un attimo nelle tasche , ma mi sembra tutto a posto: - No, ho tutto. Ma non credo che abbia avuto il tempo di rubarmi qualcosa- affermai sicuro, mentre esploravo la tasca interna alla giacca. Ma mi accorsi di una cosa davvero straordinaria: il mio orologio d’argento, quello consegnatomi alla premiazione della mia invenzione, non c’era più.
In quel momento palesai che doveva essermi caduto durante lo scontro con il ragazzino, e che lui per la fretta l’abbia raccattato per sbaglio.
Era ben nascosto nella tasca e non credetti che l’avesse rubato di proposito. Anche perché gli oggetti che gli premevano di raccogliere erano alcune solo le pagnotte e una mela.
–Tutto bene, Quilish? Hai una faccia! – proruppe il mio amico.
–No, tutto a posto tranquillo- risposi rassicurante. Non denuncia la scomparsa dell’orologio anche perché c’era qualcosa che non mi convinceva davvero.
E nella mia permanenza lì, decisi di andare in fondo alla faccenda.
–Ahhh! Accidenti a quel ragazzino!! Ce l’ha fatta anche stavolta!! Ma se lo prendo!! – minacciò un uomo stringendo i pugni.
–Sapete almeno dove si nasconde di solito? – domandò Micheal.
–Magari lo sapessimo!! – si lamentò il poliziotto – Quella piccola peste è come l’ombra, ti sfugge dappertutto! L’ultima volta pensavamo che si nascondesse nella vecchia casa sulla collina, ma non trovammo nessuno, e neanche un indizio per acciuffarlo.
–Quel mascalzone!! – imprecò un altro – E’ la terza volta in una settimana che ruba nel mio negozio!!
- Beh, meglio ritirarsi per questa volta.- propose il poliziotto, che guidò via il gruppo di uomini, i quali continuarono a brontolare durante il tragitto. Intanto le acque si erano calmate , e si era ristabilito l’ordine.
–Allora vogliamo andare? – propose Michael.
–Sì, certo- risposi io, ma per tutto la strada che portava all'hotel lì vicino, non feci altro che pensare a quel ragazzino. Quella sua espressione così spaventata e confusa era identica alla mia da ragazzino. Se rubava era sicuramente per sopravvivere, possibile che gli altri non lo capissero? Tuttavia dovevo comunque andare in fondo alla faccenda se volevo per lo meno recuperare l’orologio … Però, più ci pensavo più mi convincevo che non lo volevo fare per l’orologio, nonostante fosse un ricordo molto importante di un successo ottenuto dopo anni di fatica e ricerche. No, non era per quello. Avevo come l’impressione ... che quel ragazzino fosse davvero speciale, e che volesse soltanto un aiuto.
Il tragitto che portava all'hotel lo percorremmo in taxi, e per una deviazione dell’autista arrivammo a percorrere una stradina sterrata ai piedi della collina. Volsi lo sguardo in cima al ad essa e notai una casa abbandonata. Era molto rovinata, e si notava benissimo che era danneggiata dalle intemperie.
–E’ quella la casa abbandonata di cui il poliziotto ha parlato? – domandai al mio socio.
–Sì, è quella – rispose Micheal, avvicinandosi al finestrino opposto al suo.
–Vi riferite alla casa del Dottor Meynell? - intervenne l’autista con una vena di saggezza.
–Era di un dottore? – domandò Heavy precedendomi.
–Sì, viveva lì con la sua famiglia. Ma più che un dottore era anche appassionato di ingegneria applicata al corpo umano.
–Intende biotecnologie come organi artificiali? – approfondii io, incuriosito dalla faccenda.
–Diciamo pure di sì. Ma a quanto pareva aveva anche problemi con i federali inglesi.
–Come i "federali inglesi"? – si stranì Michael.
–Beh, non so come spiegarvi … ma un giorno degli uomini in nero si presentarono a casa sua. Non so cosa volessero ma qualsiasi cosa fosse, il dottore non la cedette e quelli li ammazzarono.
–Li … ammazzarono? – scandii io inorridito.
–Lui e tutta la sua famiglia … - rispose l’autista specificando.
–Che orrore!! – esclamò il mio amico destandosi dalla repulsione.
–E sarebbero federali inglesi? – domandai accigliato e scettico sull'identità di tali individui.
–Bé, è ovvio che non lo fossero … a mio avviso lo hanno detto solo per insabbiare la questione e non far intervenire la polizia. Ma è ovvio ...
-E’ ovvio che si trattasse di qualche organizzazione criminale!!– interruppe Heavy e l’autista confermò con il capo.
–Così potente da mettere a tacere la polizia … - constatai io, portandomi una mano al mento.
–Vedete signori, voi siete come dire “forestieri” e quindi non sapete come vanno le cose qui. Willand è una piccola cittadina che ha appena sfiorato qualche barlume di innovazione e tecnologia, ma qui la mentalità è rimasta ancora quella di un tempo. Poche sono le persone che si affacciano a nuovi orizzonti, gli unici che conosco sono i proprietari dell’hotel, ma per il resto sono rimasti tutti contadini e pecorari! Credetemi!! E certi vizi non li hanno ancora abbandonati, e tra questi l’omertà non fa eccezione …
-Capisco. Nessuno ha approfondito questa faccenda per paura.- tiro le conclusioni, e l’autista si limita nuovamente ad un cenno del capo. Alla fine giungiamo davanti all'ingresso dell’albergo. Paghiamo la corsa e salutiamo l'autista.
Ero appena arrivato lì e già mi frullavano in testa un sacco di cosa. Ma ciò che mi premeva di più era risolvere il mistero del ragazzino.                                                               

Il giorno dopo lasciai un bigliettino a Micheal in cui dicevo che sarei andato a fare un giro e sarei passato per il mercato, ma in realtà quella che avevo in mente era tutt'altra destinazione. Mi ritrovai ai piedi della collina ed in cima vedevo distintamente la figura squadrata della casa abbandonata. Non seppi resistere alla curiosità di indagare su quella faccenda e dell’omicidio del dottore. Soprattutto mi chiedevo chi fossero in realtà i “federali inglesi”, che con questo nome intendessero riferirsi a qualche organizzazione segreta? Probabile, ma invece di rimanere lì a farmi domande, mi incamminai lungo la stradina sterrata. La salita era abbastanza faticosa e mi ci vollero dieci minuti per arrivare in cima. Una volta lì notai che la casa più grande di quel che sembrava. Era diroccata certo, ma non tanto come mi aspettavo. Il portone principale era serrato da assi di legno e sembrava che non ci fosse alcuna entrata. Le finestre erano appannate dalla polvere, il cui odore agre si percepiva anche dall'esterno. Da lì non riuscivo a vedere nulla così girai attorno alla casa per controllare la presenza un’entrata secondaria ed infatti non mi sbagliavo. Nel retro dell’abitazione apparentemente serrata, c’era un altro fabbricato. Pareva un monolocale abbastanza grande, il quale era collegato all'edificio stesso.  Lì c’era la seconda porta, che con non troppa difficoltà riuscii ad aprire. Il che era abbastanza insolito per una casa abbandonata: i vecchi cardini cigolavano ma erano stranamente fluidi nei movimenti. Verificai ciò muovendo avanti e indietro la porta di legno e ciò stava a significare che non era del tutto abbandonata. Lasciai la porta aperta così da poter permettere alla luce del sole di filtrare. Era mattino presto ed il sole era sorto solo da poche ore. Il buio si stava schiarendo, la luce bianca penetrò anche dalle poche finestre opache presenti, illuminando il pulviscolo che galleggiava nell'aria. In un attimo tutto fu chiaro, ciò che mi trovai dinnanzi era uno studio. Proprio così: uno studio.  Essendo appartenuta ad un dottore non mi stupii affatto, ma era incredibile la quantità di libri presenti là dentro.
Erano accatastati ovunque: alcuni erano sparsi sul pavimento, altri disposti in pila agli angoli della stanza e altri ancora  erano disposti negli scaffali di legno accanto alla scrivania che troneggiava in fondo al muro. Anch'essa era piena di fogli e scartoffie varie che sembravano schizzi di disegno.
Alcuni erano appesi con delle puntine al muro: erano dei progetti, e a giudicare dal tratto di matita erano a dir poco favolosi.
Mi addentrai nella stanza per osservare da vicino, e presi in mano uno di quei fogli per esaminarlo. Vi era disegnato un braccio umano ed accanto uno meccanico, l’uno era il simbionte dell’altro. Perfettamente identici se non fosse per il colore, ma il tratto era decisamente di un vero artista …
Anzi di un vero ingegnere  meccanico, gli schizzi sembravano quelli del maestro Da Vinci in persona. Era davvero un ‘ottimo lavoro, ma non c’era solo quello, sotto c’erano altre carte in cui erano esplicitate le varie  componenti … era una cosa sorprendente. Starei rimasto lì per ore, ma all'improvviso avvertii il crick di un grilletto e subito una voce imperiosa mi fece sobbalzare.
FERMO DOVE SEI!! NON MUOVERTI!!!
Io mi girai lentamente con le braccia a mezz'aria. Due occhi verde acqua infuocati mi stavano fissando minacciosi. Una figura minuta si era appostata sulla soglia e stava puntandomi la canna di un fucile addosso. Ed ecco il ragazzino del giorno prima! Ed io che mi chiedevo che fine avesse fatto, e me lo ritrovo qui. Sarà una coincidenza?
Io alzai lentamente le mani cercando di mantenere la calma:
-Tranquillo!! Ti assicuro che non sto facendo assolutamente nulla di male …
-CHI SEI ?? – domanda sospettoso, puntando ancora di più il fucile, di cui insolitamente non percepisce la pesantezza. La sua non era una presa da principiante, ma sembrava quella di un tiratore scelto. Lui continuava a scrutarmi con quegli occhi ardenti di odio per tutto il tempo, mentre il suo volto era appena oscurato dal cappuccio della felpa.
–In realtà sono venuto qui per pura curiosità, sono appena arrivato in questo villaggio.
Non avrei mai immaginato che qui ci fosse ancora qualcuno … ma non era mia intenzione essere invadente, ti prego di scusarmi … - chinai leggermente il capo mortificato.
–Non ti ho chiesto questo, ti ho solo chiesto CHI SEI!!
-Sono Quillsh Wammy, e sono un inventore …
-Cosa? Un inventore …? – sibilò il ragazzino, fremendo di leggeri tremiti. Per un attimo abbassò la canna del fucile, quasi sconvolto dalla parola “inventore”.
–Sì, lo sono – riaffermai deciso. Il ragazzino rimase un secondo sulle sue, ma una furia dentro di sé lo travolse tanto da riprendere la mira con il fucile e questa volta più intensamente di prima. Il suo sguardo adesso era quello di un assassino, ma poi compresi che quelle pozze verdi bramavano vendetta … 

-ALLORA ALLA FINE SIETE RITORNATI, EH? CHE COSA VOLETE DA ME??? – urlò ancora, facendo un passo avanti.
– Calmati! – lo esortai, in un certo senso impaurito – Io da te non voglio assolutamente niente!!
-MENTI!! Ci scommetterei la testa, che tu sei uno di quelli!! Avanti che cosa sei venuto a fare qui?? Vuoi uccidermi? Portarmi via?? O vuoi di nuovo i progetti del dottor Meynell??? RISPONDI!!
-Niente di tutto questo!!! Te lo assicuro, non avrei alcun motivo di ucciderti o rapirti!! E poi se davvero fosse come dici tu ,non sarei qui da solo non ti pare?? Anche se potrebbero esserci altri, controlla tu stesso! Siamo solo noi due.
–Non metto in dubbio che siamo solo noi due, ma nessuno mi assicura che tu non si una spia!! O mi sbaglio?? – stavolta sentii nuovamente lo scricchiolare del grilletto.
–Come faccio a dimostrarti che non sono una spia?
-Non lo so, magari sparendo dalla mia vista?? – non solo aveva un fucile in mano, ma faceva anche lo spiritoso.
–Aspetta!! – lo fermai. Mi era venuta un’idea – Forse posso dimostrarti che non sono un nemico e sono davvero un inventore.
–E come? – domandò scettico.
–Nella tasca interna alla giacca ho una pagina di giornale, posso prenderla?
Rimase un attimo sulle sue ma poi aggiunse: -E va bene … ma togliti la giacca e mostrami la tasca interna, se ci sarà il giornale allora potrei anche crederti.
Lentamente eseguii gli ordini e mi tolsi la giacca, mostrando il giornale ripiegato nella tasca interna. Non abbassò ancora la guardia, ma sembra che cominciasse a fidarsi.
Sfilai il giornale e lo aprii per mostrargli, o forse sarebbe meglio dire mostrarle la prima pagina. Era pubblicata la mia foto e il mio nome, e data la dovuta somiglianza non poté far altro che credermi. Solo allora abbassò il fucile, quasi emettendo un sospiro.
–Allora adesso mi credi?? – domandai rilassando i nervi. I cinque minuti più intensi della mia vita.
–Posso sapere perché un inventore così famoso, è venuto in questo villaggio così lontano dai centri abitati?? – domandò ancora con una punta di scetticismo.
–Sono vento a far visita ad un vecchio amico. – risposi semplicemente. Oramai non c’era più pericolo: il ragazzino poggiò il fucile accanto alla soglia, e aveva il capo chino. Stava fissando un punto non definito del pavimento.
–E chi le dà il diritto di venire sin qui?- replicò ancora , ma stavolta con un filo di voce.
–Nessuno. Hai ragione, ma io ero venuto a fare una passeggiata sulla collina e anche se avevo intenzione di venire a curiosare qui, non potevo di certo sapere che ci vivesse qualcuno - abbassò ancora di più lo sguardo, quasi preso da un senso di colpa e mortificazione.
–Sì , ha ragione. Ma immagino che adesso dovrò andarmene da un’altra parte perché gli abitanti del villaggio verranno di certo a sapere che il ladruncolo fa uso di armi.
–Sta tranquillo – lo rassicurai io rimettendomi la giacca – non dirò nulla. Ti ho già detto che non era mia intenzione arrecarti disturbo, ma quando ho visto i disegni e gli schizzi non ho saputo fare a meno di entrare.
–Capisco, immagino che abbia saputo a chi apparteneva un tempo questa abitazione – rispose atono, quasi senza sentimento.
–Sì mi hanno raccontato della strage del dottor Meynell e della sua famiglia, ma a giudicare da questi progetti – e lì presi il foglio dei due bracci – era davvero in gamba. 
–No, era più che in gamba … era il migliore – la sua voce in quel momento tremò, questi stesse per mettersi a piangere, ma il ragazzino si trattenne stringendo i pugni.
–A come ne parli, lo conoscevi o mi sbaglio? – domandai io capendo come stavano in realtà le cose. L’ho capito sin da quando ho visto puntarmi il fucile addosso. Lui era …
-Ora che la guardo meglio … - interruppe ignorando la domanda, e stavolta alzò il volto - lei è il signore con cui mi sono scontrata alla stazione.
–“Scontrata”? Allora come pensavo sei una ragazza – le risposi sorridendo, mentre lei sviò lo sguardo imbarazza e si levò il cappuccio.
Ciocche castano scuro incorniciavano il piccolo viso conferendole un aspetto angelico.
–Perché, aveva dubbi? Sono gli abitanti del villaggio che mi hanno scambiata per un ragazzo. Io non ho mai detto di essere un maschio!! – si difese prontamente, alzando il mento orgogliosa.
–Sì, lo immaginavo … - stavo quasi per ridere, per la faccia buffa che aveva fatto.
–Quindi credo che questo sia suo ... – disse frugando sotto la felpa, da cui estrasse l’orologio d’argento – per questo era venuto qui … per riprenderselo – si fece improvvisamente cupa e mi protese l’oggetto ovale sul palmo della mano. Io mi avvicinai e lo ripresi.
–Ti ringrazio.
–Tanto per essere precisi io .. non l'ho preso dalla sua tasca …
-Lo so – la interruppi io – mi è caduto quando ci siamo scontrati e tu l’hai preso erroneamente. Ti ho vista, non l’hai fatto di proposito, ma non mi aspettavo davvero di trovarti qui.
–La ringrazio per la comprensione … - a un tratto si fece stranamente educata.
– Comunque, prima volevo sapere se conoscevi il dottore, non mi hai risposto e …
-Adesso … - mi interruppe ancora – la pregherei di andarsene. Le ho restituito l’orologio, e la ringrazio per il suo silenzio riguardo a questa storia … Tuttavia – e abbassò il capo stringendo i pugni con fervore – la prego di andarsene.
Si scostò, mostrandomi la porta ed io varcai la soglia senza replicare, ma mi scusai ulteriormente per la mia presenza.  
Ma da quel giorno, capii che dovevo andare ancora più a fondo alla questione e scoprire l’identità di quella ragazzina. E a giudicare dalla sua reazione, era probabile che fosse un parente del dottore.
Soddisfai la sua richiesta e me ne andai, per quella volta ma ritornai le volte successive e le portavo da mangiare per evitare che rubasse ancora.
Feci anche delle ricerche e scoprii, suo malgrado una terribile verità.
 
  
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