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Autore: Giglio    07/02/2007    1 recensioni
Una ragazza scappa il giorno prima del suo matrimonio, confusa e smarrita finirà a casa del suo ex-ragazzo.
Un viaggio attraverso il suo presente passato e futuro, per capire il perché delle sue scelte.
Un viaggio che le permetterà di capire se vuole vivere normalmente con un ragazzo da sogno, o in un sogno con un ragazzo normale.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Piccola premessa:

CADUTA LIBERA

 

 

 

Sul letto una ragazza di diciannove anni con lunghi capelli mossi color del miele dormiva profondamente.

 

Si svegliò d’improvviso quando il suo cellulare cominciò a squillare incessantemente; le piccole mani lo cercarono a tastoni, accanto al cuscino; infine lo trovarono.

 

Lo guardò con aria contrariata e vide che erano le tre; ne impostò la sveglia per le tre e dieci, quindi richiuse i grandi occhi assonnati.

 

Il telefonino riprese a suonare e questa volta, dopo averlo immediatamente spento, la giovane si alzò; non ne aveva alcuna voglia, ma aveva poca scelta: alle quattro aveva lezione all’università. Si tolse la felpa e indossò un maglione che con orrore notò essersi “ristretto” ulteriormente.

 

C’era qualcosa che non andava nei suoi vestiti…

 

“Continuano a rimpicciolirsi” pensò, cercando di scacciare l’idea che forse era lei che continuava a ingrassare.

 

Aprì la porta di casa e come sempre scrutò il cielo sopra la collina, a destra del portone; non guardava mai dall’atra parte, dove si poteva intravedere la città in cui si sarebbe dovuta recare.

 

Non le importava davvero se ci fosse il sole o se piovesse; fin da piccola aveva collegato il suo umore al quel cielo: se questo era di un celeste luminoso la sua giornata sarebbe andata bene, altrimenti avrebbe dovuto aspettarsi dei guai.

 

Da circa otto anni, comunque, non era soddisfatta della sua vita.

 

“Ripetitiva”, “vuota”, “inutile”, “mediocre”, “poco divertente” erano solo alcuni degli aggettivi con la cui descriveva.

 

Eppure non aveva mai smesso di guardare il cielo e di sorridere grazie ai suoi sogni così fantastici da rendere, nel contempo, la sua esistenza meravigliosa ma banale in confronto a essi.

 

Nel suo diario annotava le proprie speranze sovrapponendole alla realtà, in modo che divenisse quasi impossibile distinguere il vero dal falso. A volte quelle pagine erano misteriose, criptiche, incomprensibili; talvolta, invece, erano dettagliate, chiare e ripetitive; in taluni casi, poi, erano allegre e piene di entusiasmo; in altri tristi, malinconiche e disincantate.

 

Mentre scendeva in strada il cellulare squillò: ciò stava a significare che Sara, la sua amica, aveva già  preso l’autobus, che entro due minuti questo sarebbe arrivato alla fermata e che lei, come sempre, l’avrebbe perso. Decise che non aveva voglia di aspettare quello successivo per mezz’ora, quindi cominciò a correre.

 

Non era decisamente portata per lo sport e la corsa non era il suo forte: si sentiva goffa nel e dotata di ben poca grazia. Non era molto veloce, inoltre: arrivò che le porte erano appena state chiuse.

 

Vide Sara.

 

Le fece cenno perché chiedesse al conducente di aspettarla, ma questa scrollò la testa e mosse la  mano a indicare che alla guida c’era un nuovo autista, giovane e molto carino.

 

Elisa diede un pugno alla porta.

 

Si accorse di quanto il suo comportamento fosse stato ridicolo quando il mezzo si fermò perché potesse salire: tutti la guardavano con aria divertita, tanto da farla pentire per aver insistito.

 

- Potevi anche chiedere che si fermasse. - disse, respirando con affanno.

 

- Non ci pensavo nemmeno, eri così buffa… - rispose Sara, continuando a ridere.

 

- Che amica, davvero unica! E quelli lì? Che hanno da guardare? - borbottò la ragazza a bassa voce, indicando dei ragazzini seduti un paio di posti più avanti. - Non hanno mai visto nessuno correre? – guardandoli con cattiveria.

 

- Lascia stare, potresti non voler sentire la risposta… e poi eri davvero ridicola. – replicò l’amica ironica.

 

- Stronza! – sentenziò Elisa.

 

- Devi imparare a sbrigarti! - ribadì l’amica con aria superiore.

 

- Dovrei andare davanti e parlare con l’autista? Che so... magari di te? – si difese la ragazza facendo la superiore.

 

- Fai pure… ma sarà troppo occupato a ridere per starti a sentire! – replicò Sara.

           

- Secondo te c’è Bizio oggi? – disse Elisa cambiando argomento, come a voler dimenticare l’accaduto.

 

- Boh... quello è peggio di te! Un giorno non c’è, e l’altro pure... – rispose Sara distratta.

 

- Non è vero! Io vengo sempre a lezione…- 

 

- Sì, adesso che c’è Fabrizio. -

 

- Beh…. - Elisa cercò di rispondere ma Sara la interruppe e le fece segno che alla prossima fermata avrebbero dovuto scendere.

 

Le due ragazze arrivarono davanti alla facoltà; frequentavano il primo anno di Psicologia.

 

 Si conoscevano da tre anni, da quando Sara si era trasferita nella città di Elisa e si era iscritta nella sua stessa scuola. Non erano mai state in classe insieme, ma negli ultimi anni avevano stretto un’amicizia fondata su un rapporto d’amore-odio. All’inizio non potevano sopportarsi, ma ben presto avevano cominciato a capirsi e a diventare complici: avevano dei caratteri opposti ma, per quanto male assortite, facevano una bella coppia.

 

Sara era una ragazza molto carina, e la cosa non passava inosservata; Elisa le voleva bene ma non poteva non provare un pizzico d’invidia per una persona tanto spigliata, intelligente, sicura di sé, che riusciva sempre a conquistare tutti.

 

Nemmeno lei era da buttare, ma non aveva fiducia in se stessa né sapeva mettere in risalto le se sue qualità che sembrava piuttosto voler tenere nascoste.

 

Aveva un carattere complesso.

 

Si sentiva brutta, inadatta a ogni situazione e non perdeva mai l’occasione di fare pessime figure; nel contempo, però, era orgogliosa e vanitosa: non si accettava ma pretendeva che gli altri l’apprezzassero.

 

Mentre camminavano per raggiungere l’aula, Elisa si chiedeva cosa i ragazzi pensassero di lei.

 

Aveva indossato il maglione nero con la scritta cinese e i jeans con la tasca laterale: prima di uscire aveva notato che il pullover le stava un po’ stretto e che i pantaloni non volevano abbottonarsi ma ora, mentre camminava, si sentiva carina, pensava che i suoi difetti potessero essere addirittura attraenti.

 

Pensava che Fabrizio, il ragazzo che le faceva perdere la testa, non avrebbe potuto non notare che era speciale, che anche altri sarebbero giunti alla stessa conclusione e che lui si sarebbe dovuto sbrigare se non avesse voluto perderla.

 

Stava per voltarsi e dire a Sara quanto le donasse il vestito che indossava, quando inciampò e cadde proprio davanti all’aula 43. Non poteva credere a quanto le era successo: come poteva essere così goffa e sfortunata?

 

Durante la lezione fece fatica a non piangere.

 

Le doleva il ginocchio, ma questo non era niente in confronto all’imbarazzo: avrebbe voluto uscire dall’aula e non tornare mai più, avrebbe voluto svegliarsi una mattina ed essere qualcun’altro.

 

Tratteneva a stento le lacrime. Si alzò di scatto e disse all'amica che doveva andare in bagno.

 

- Attenta a non inciampare! - replicò quella in modo sarcastico ma con voce dolce.  Elisa la odiò, la odiò per quelle parole, la odiò per le risate che esse avevano provocato ma soprattutto la odiò perché anche Fabrizio rideva e ciò voleva dire che aveva assistito alla scena.

 

Uscì dall’aula e una lacrima le rigò il viso; aveva una voglia terribile di piangere.

 

Aveva fatto appena due passi quando uscì l’assistente della professoressa, un ragazzo giovane di circa ventisei anni, di bel aspetto e dall’aria gentile, che la guardò con aria divertita.

 

Elisa si sentì davvero in imbarazzo, stava per scoppiare a piangere, ma riuscì a trattenersi: odiava mostrarsi debole davanti ad altre persone.

 

Lui notò che aveva gli occhi lucidi.

 

- Ti senti bene? - le chiese dolcemente.

 

- Sì. - rispose lei molto piano.

 

- Ho visto che ti sei alzata e mi sono preoccupato… - le disse con tono gentile. - Non ti sei fatta male? – aggiunse preoccupato guardando il ginocchio che la ragazza stava massaggiando.

 

- No! - replicò lei mortificata, senza riuscire a guardarlo in viso: non le piaceva essere derisa, ma essere compatita le faceva ancora più rabbia; il viso le scottava e pensò che dovesse essere rossa come un pomodoro.

 

- Mi scusi, devo andare. - balbettò, sentendo che non poteva fare a meno di scappare.

 

 

********

 

 

 

Vi avviso che aggiornerò ogni due settimane!

Per finire vorrei ringraziare SERINTAGE, la mia BETA! Sperando che se riuscirò a riprendere la fic, anche lei riprenderà il suo DURISSIMO lavoro!

 

 

  
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