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Autore: Urdi    24/07/2012    5 recensioni
[ Prima classificata alla sfida "I segreti del mio clan per un nome"by slice]
Osservava i tanzaku che ondeggiavano al vento, indecisa su cosa scrivere sul proprio. Si trattava di un foglietto rettangolare che si appendeva al bambù con desideri, sogni per il futuro. Da piccola le piaceva moltissimo quell’usanza e per molti anni l’aveva condivisa con Gai, Neji e Lee.
La prima volta che avevano formato la squadra aveva chiesto che Neji la smettesse di essere tanto arrogante; la seconda, che Lee tornasse presto a camminare; la terza, di essere sempre all’altezza e mai una delusione per Gai-sensei; la quarta, che i suoi compagni fossero felici; la quinta, che Konoha potesse tornare a essere il villaggio rigoglioso di un tempo; la sesta, che Neji si accorgesse di non essere solo.
Ne erano seguiti altri di Tanzaku della speranza. Lei non era sicura che funzionassero eppure, ogni volta, i suoi desideri si erano avverati.
La kunoichi si guardò attorno, intravedendo le figure degli amici ridere e scherzare poco più in là.
Cosa desiderava ora per il proprio futuro? Molte cose, troppe perché le bastasse un solo foglietto di carta…
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Gai Maito, Neji Hyuuga, Rock Lee, Tenten | Coppie: Neji/TenTen
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la serie
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Tanzaku
短冊
Di Urdi





“Ho la nausea” sospirò sconsolata Tenten, stendendosi sul futon. La stanza, a quell’ora della sera, era illuminata da un tramonto tiepido e l’aria estiva entrava dagli shoji aperti che davano sul cortile. Si stava bene perché c’era calma e lei ne aveva un disperato bisogno.
“Prima che tu lo dica, non parlo di quella nausea, ma del rigetto che ho verso questa dannata scelta del nome. Cos’hanno tutti all’improvviso?”
Neji spostò lo sguardo sulla compagna, abbozzando un lieve sorriso.
“Vogliono solo rendersi utili e parte di qualcosa di bello.
Tenten sospirò chiudendo gli occhi, si sentiva terribilmente stanca. Il jonin le accarezzò il pancione lentamente, stupendosi, come ogni volta, di quella strana energia che sentiva sotto al palmo della mano. C’era suo figlio sotto la pelle, vicino eppure ancora lontanissimo. Nove mesi erano proprio lunghi.
“Cerca di rilassarti – sussurrò, sdraiandosi accanto alla kunoichi – abbiamo ancora tempo.”
La giovane donna si voltò verso il compagno, portandosi su un fianco per osservare Neji nei suoi incredibili occhi. Quando da piccola le avevano raccontato del potere degli Hyuga, lei aveva immaginato iridi candide, sguardi assassini privi di altre espressioni. Invece non era così: erano occhi che possedevano una profondità cristallina incredibile, sembravano diamanti in grado però di non riflettere la luce, ma catturarla. Una delle cose più belle che avesse mai visto.
“Come faccio a dargli un nome se non so nemmeno come sia il suo viso? Penso che quando lo vedrò saprò esattamente come chiamarlo. Non trovi anche tu che un nome debba adattarsi anche alla persona che lo porta?”
Neji abbozzò un lieve sorriso.
“Hai ragione, ma è sempre meglio avere un’idea, no? Così, per non essere del tutto impreparati in quel momento.”
Tenten si lasciò abbracciare, nascondendo il viso contro la spalla dello shinobi. Ne inspirò il profumo, sentendosi protetta. Lei non era una donna debole e non amava l’idea di essere dipendente da qualcuno. Aveva sempre lottato per avere gli stessi diritti e le stesse mansioni dei suoi colleghi uomini, ma adesso che era in quella condizione particolare, prettamente femminile, non poteva fare a meno che sentirsi al sicuro non appena le braccia di Neji la cingevano a sé. E non voleva sottrarsi a quel calore, stava bene. Sapeva che, con il termine della gravidanza, forse quella sensazione sarebbe scomparsa. Non che non amasse certi momenti di intima tenerezza, solo… voleva dimostrare di essere sempre quella forte.
Neji la amava anche per quello. Negli anni gli avevano proposto diverse ragazze come future mogli, ma si era sempre rifiutato di sposarle. Non ne trovava l’utilità e l’interesse. Poi aveva capito di aver sempre guardato una sola donna. Se ne era reso conto all’età di diciassette anni, mentre rientrava a Konoha con la propria squadra. Tenten aveva un’espressione seria sul viso; la divisa, ancora da chunin con il giubbotto verde chiaro, sporca di terra; un grosso livido sullo zigomo sinistro, graffi e contusioni sulla fronte e alcuni tagli profondi sulle braccia. Non le importava del proprio aspetto fisico, le interessava essere efficiente. L’aveva osservata mentre Lee le porgeva dell’acqua, sorridendo per essere finalmente ritornati a casa. Lei aveva abbozzato un sorriso di rimando, senza lamentarsi del dolore, senza pensare di bagnarsi il viso o le ferite. Aveva bevuto dalla borraccia, poi si era voltata verso Neji e gli aveva offerto un sorso.
Il jonin non aveva mai capito, in quei tre anni che erano passati da allora, che cosa gli avesse veramente fatto capire che il sentimento che provava non fosse comune affetto. Eppure, se gli avessero chiesto quando si fosse innamorato di lei, lui avrebbe detto in quell’istante. Sapeva che non era proprio così, che per innamorarsi aveva impiegato anni, solo che in quel momento in cui lei, sorridente, gli porgeva la borraccia, il viso stanco e abbrutito dalle ferite, aveva preso atto che qualcosa stava cambiando. Automaticamente, avrebbe voluto non avere il Byakugan come abilità innata, ma solo il potere di guarirla da quei graffi, vederla sana, stare bene e non essere costretta a buttarsi a capofitto nelle missioni per dimostrare di essere al pari degli uomini. Che lei stesse bene e fosse libera, furono i primi pensieri concreti che gli attraversarono il cervello, mentre afferrava la borraccia. Poi, di conseguenza, ne arrivano mille altri: era bella. Gli piacevano i suoi capelli, il viso, il corpo e, inoltre, la desiderava. Voleva abbracciarla, rassicurarla, amarla. Amarla.
Qualche sera dopo si erano ritrovati al capezzale di Gai-sensei, ridotto in fin di vita dall’ultima missione da cui aveva fatto ritorno.
Lee, Tenten e Neji si erano abbracciati tutti e tre insieme per la prima volta in anni di amicizia e servizio. Avevano pregato per giorni, sostenendosi in bilico sulla disperazione.
Poi, fortunatamente, il loro maestro scampò al peggio e poterono tirare un sospiro di sollievo. Dopo essere rimasti a bere per festeggiare, avevano dovuto riaccompagnare Lee, ubriaco, a casa. Non che ci fossero andati giù molto pesante, ma lui non reggeva l’alcol.
Rimasti soli, Neji e Tenten avevano avuto solo il tempo di scambiarsi uno sguardo. Ormai erano indissolubilmente legati.

“Al momento giusto ci verrà in mente, no?” bofonchiò Tenten con uno sbadiglio, riportando il compagno alla realtà. Lui le accarezzò la testa rassicurante, dandole un bacio sulla fronte.
“Certo, non preoccuparti. Sarò con te, con voi.”





“Io propongo Kaede se è maschio, Haruko se è femmina”
“Kaede? Ma che nome è Kaede?” borbottò Kiba all’indirizzo di Sakura. La giovane donna gli lanciò un’occhiataccia.
“Cos’ha che non va il nome Kaede?”
“Forse il fatto che sia il nome di una pianta…?”
Kiba incrociò le braccia sul tavolo nascondendovi il viso. Sakura, sgranò gli occhi incredula.
“Mi prendi in giro? Lo stai dicendo alla persona sbagliata!”
“Ops… va be’, ma Sakura è un bel nome…”
“…per una pianta.” Concluse Ino ridacchiando, mentre portava la tazza di tè alle labbra.
La cucina di Sakura non era mai stata così rumorosa. Lei, Ino e Tenten si erano riunite per fare quattro chiacchiere fra donne e Kiba, come sempre, aveva deciso di intromettersi. Non senza portarsi dietro Akamaru, Shino e Naruto. Così adesso erano tutti stipati in quella stanza, nel tentativo di aiutare Tenten, all’ottavo mese di gravidanza, a scegliere un nome per il proprio bimbo in arrivo. La kunoichi era la prima del gruppo a cui era capitato, quindi tutti erano stati coinvolti dall’entusiasmo e volevano essere resi partecipi di ogni cambiamento.
“Wow Kiba, mi sembra di ricordare il nome di questa tecnica… ‘arrampicarsi sugli specchi no jutsu’, vero?”
“Naruto, taci… avete capito cosa intendevo!” ma l’Inuzuka fu ignorato bellamente da tutti, persino da Akamaru che, scuotendo la testa sconsolato, si rimise a dormire sotto al tavolo.
Tenten arrotolò le maniche del kimono nero, tirando fuori un ventaglio per potersi fare aria in quella calda giornata estiva.
“Haruko è carino – decretò con un sorriso accennato – Però…”
“Haruko?! No, dai, ti prego. Piuttosto Harumi, non ha un suono più dolce?” propose Ino, dedicando un sorriso di sfida a Sakura.
Quella la ignorò, facendo spallucce.
“Siete dei pessimi amici.” Bofonchiò, fingendosi offesa.
“Mio figlio lo chiamerei Setsuna oppure Jiraiya, ma se fosse una bimba, sarebbe sicuramente Kushina.” Si intromise Naruto, balzando in piedi con aria trionfante.
“Grazie, ma nomi di genitori e nonni non si possono considerare! I tempi sono cambiati, Naruto. Chi è chiama il figlio con il nome di suo padre o sua madre?” puntualizzò Ino.
“Lasciamo stare i nomi derivati dal parentado, per favore – Tenten alzò le mani in segno di resa per troncare il discorso sul nascere – Arrivo da giornate tremende, e sottolineo tremende, all’interno del clan Hyuga. Non potete capire cosa non siano riusciti a propormi! Per non parlare della loro assoluta convinzione che questo bambino debba avere un nome scritto con almeno quattro Kanji improponibili. Vi assicuro che metà di quelli che mi hanno proposto, non avevo idea di come si scrivessero… Non ne posso più di parlare di discendenze e tradizioni!”
“Haha, ti trovi bene come Hyuga, allora.”
“Scherzi, Kiba? Benissimo: mi impiccherei!”
“Su, Ten, non farla così tragica. – Naruto pensò a Hinata e si sentì in dovere di difenderla – Gli Hyuga sono rigidi, ma hanno accettato la tua relazione con Neji senza troppi problemi, no?”
“Già. Forse potresti considerare uno dei nomi da loro proposti e toglierti dal problema.” Consigliò Shino, sorseggiando il proprio tè con noncuranza. Tutti si voltarono a guardarlo come se fosse un alieno appena sceso su Konoha su un’astronave luccicante.
“Cosa?” chiese con un sopracciglio alzato, ma nessuno ebbe il coraggio di dirgli che era davvero raro sentirlo esprimere concetti tanto lunghi.
“Non posso, Shino – proseguì Tenten, sconsolata – Ti assicuro che quei nomi sono impronunciabili e li trovo assolutamente inadatti per il mio bambino. E’ una cosa personale. Voglio dire, accetto i consigli, ma quelle suonano più come delle imposizioni.”
“Akira, Seya, Hotaru, Ken, Ryo… Amaterasu?!”
Shikamaru tirò un calcio a Kiba.
“Amaterasu? Dici sul serio?” bofonchiò, il mento affondato nelle braccia conserte sul tavolo.
“E’ un nome importante, il clan potrebbe apprezzarlo.”
Tenten ringraziò Shikamaru per il secondo calcio sotto al tavolo che Kiba ricevette in risposta.
“Ehi, tu, invece di poltrire, potresti dare una mano! Perché Choji è in missione quando serve?” commentò Ino.
“Ma che ne so?! Saranno un po’ affari suoi e di Neji su come chiamare il loro bambino. Finché non lo vedono come possono scegliere un nome?”
Tenten abbozzò un sorriso di circostanza. Era proprio quello che aveva cercato di spiegare a tutti, ultimamente.
“Sei inutile!” fu il solo commento di Ino, mentre depennava dalla lista ‘Nobuko’, che per quanto le piacesse come significato, in effetti non le piaceva come suono.
“Che seccatura, a me piace Shinobu.” Bofonchiò il Nara, in un secondo momento. Se proprio doveva partecipare, toccava anche a lui dare almeno un nome.
“Non per dire, ma somiglia troppo alla parola Shinobi.” Questa volta fu il turno di Sakura di aiutare Tenten a non ammettere che quel nome non le piacesse.
“Io c’ho provato.” Si difese Shikamaru, tornando a dormire.
“Scusa, Ten, ma Lee e Gai ti hanno già dato la loro opinione?”
“Gai ha proposto ‘Gai’, ovviamente. Lee, invece, è partito a raffica con nomi tipo Shun o Takumi.”
“Sinceramente, a parte Gai, pensavo peggio!”
“Lo so, sono stati persino molto gentili, ma li ho beccati in un momento in cui ero particolarmente sofferente a causa della nausea e non ho avuto modo di apprezzare le loro scelte e il loro entusiasmo.”
“Perché non Kaori o Kasumi, sono molto classici!” riprese Ino, illuminandosi come se avesse avuto un’idea geniale. Questa volta fu lei a ricevere un’occhiataccia da Kiba.
“Molto meglio Hotaru, se fosse femmina! Kaori?”
“Hotaru è terribile, Kaori ha un suono dolcissimo!”
“Eh, no, allora andava bene anche Haruko!”
E ricominciò la discussione che portò seriamente Tenten a pensare che i suoi amici fossero matti. Alla fine, qualcuno – Naruto - rischiò persino di picchiare qualcun altro – Kiba – e furono costretti a separarli, terminando la conversazione con nulla di fatto.

La futura mamma, abbattuta da quel parapiglia, era uscita da casa di Sakura con un sacco di pensieri per la testa.
Aveva paura di commettere un errore, di scegliere il nome sbagliato, la sua era solo una supposizione, non era detto che sul momento scegliesse davvero quello corretto. Srotolò le maniche del kimono, accarezzò il pancione e si chiese se fosse normale non riuscire neppure a intuire se fosse maschio o femmina.
Aveva sentito dire che una futura madre conosceva da subito il sesso del proprio bambino, lei invece non percepiva nulla. Forse non era designata a quel ruolo se era incapace di stabilire quel legame empatico con il figlio.
“Ehi, Tenten!” Ino sbucò all’improvviso fuori dalla porta di casa di Sakura, correndole incontro.
“Non ci hai detto se vieni dopo domani alla festa di Tanabata!”
“Oh, be’…- avrebbe voluto rifiutare, rimanere a casa a riposare, ma poi pensò che fosse solo un periodo di stanchezza e che le avrebbe fatto bene – Penso di sì.” Aggiunse, con un sorriso.
Ino annuì compiaciuta.
“Bene! Se vuoi ti aiuto a scegliere il kimono.” Propose raggiante e Tenten non poté fare altro che rimanere contagiata da quell’entusiasmo, dimenticando per un attimo le proprie elucubrazioni.
“Va bene.”







Konoha, la sera della festa, era animata di colori e suoni, come se avesse subito una metamorfosi da bruco a farfalla: ovunque, per le strade illuminate da lampade di carta, alberelli di bambù facevano mostra di sé e dei tanzaku appesi, mossi lievemente dalla brezza estiva.
Tenten indossava un kimono blu, ricamato come un cielo stellato da fili d’argento e azzurro. L’obi che aveva legato alla vita, lasciato lento a causa del pancione, era indaco. Aveva raccolto i capelli con un fermaglio dello stesso colore, in un unico chignon. Doveva ammettere che Ino le era stata davvero d’aiuto per quell’accostamento. Dopotutto, a Tenten non dispiaceva mettere in mostra anche il proprio lato femminile, rimanendo sempre sicura di se stessa e delle proprie capacità.

Così adesso osservava rapita i tanzaku che ondeggiavano al vento, indecisa su cosa scrivere sul proprio. Si trattava di un piccolo foglietto rettangolare che si appendeva al bambù con desideri e sogni per il futuro. Da piccola le piaceva moltissimo quell’usanza e per molti anni l’aveva condivisa con Gai, Neji e Lee.
La prima volta che avevano formato la squadra aveva chiesto che Neji la smettesse di essere tanto arrogante; la seconda, che Lee tornasse presto a camminare; la terza, di essere sempre all’altezza e mai una delusione per Gai-sensei; la quarta, che i suoi compagni fossero felici; la quinta, che Konoha potesse tornare a essere il villaggio rigoglioso di un tempo; la sesta, che Neji si accorgesse di non essere solo.
Ne erano seguiti altri di Tanzaku della speranza. Lei non era sicura che funzionassero eppure, ogni volta, i suoi desideri si erano avverati.
La kunoichi si guardò attorno, intravedendo le figure degli amici ridere e scherzare poco più in là.
Cosa desiderava ora per il proprio futuro? Molte cose, troppe perché le bastasse un solo foglietto di carta…

“Ti ho trovata” la voce calda di Neji la raggiunse all’improvviso, facendola quasi sobbalzare.
Voltandosi trovò la figura slanciata del compagno, avvolta in un kimono verde acqua. Era un colore spento, molto scuro, ma che sul giovane uomo acquisiva forza. I lunghi capelli neri erano sciolti sulle spalle e il suo sguardo cristallino sembrava sondarle l’animo.
Tenten abbozzò un sorriso.
“Pensavo che fossi ancora in missione.” Sussurrò.
“Per fortuna sono riuscito ad arrivare in tempo. Sei bellissima, lo sai?”
La kunoichi si ritrovò quasi ad arrossire a quel complimento così diretto. Era incredibile come, ogni volta che Neji le dedicasse una parola gentile, lei si sentisse sciogliere. La conquistava letteralmente.
“Grazie. Anche tu stai bene.”
“Andiamo? Voglio prendere i posti migliori.”




Si incamminarono verso la passeggiata che portava sulle alture, mano nella mano. Ogni tanto scorgevano qualche Hyuga che li guardava come se fossero strani animali, ma lo ignoravano. Il fatto che non fossero ancora sposati, con un figlio in arrivo, era per loro motivo di curiosità e, alle volte, sdegno.
Arrivarono in cima per primi e scelsero il posto che sembrava migliore per poter osservare le stelle, poi si sedettero sul prato uno accanto all’altra, volgendo lo sguardo al cielo.
“Orihime e Hikoboshi… sono davvero meravigliose.” Sussurrò la kunoichi.
Neji le dedicò un raro sorriso, stringendole la mano.
“Nonostante siano divise da un’intera galassia, durante Tanabata, finalmente, possono incontrarsi. Credo sia la più bella delle nostre tradizioni.”
“Mpf…e chi lo sapeva, quando ci siamo messi insieme, che tu fossi così romantico?”
Neji ignorò la presa in giro, distogliendo lo sguardo dal cielo per concentrarsi su di lei.
“Non hai ancora scritto il tuo tanzaku?”chiese.
“Quando mi verrà l’ispirazione lo scriverò. Tu lo hai già messo? Non me ne sono neppure accorta.”
“Certo che l’ho messo! Sei distratta ” La prese in giro lui, sdraiandosi sull’erba e passando le braccia conserte dietro alla testa.
Quando le dava certe risposte, a Tenten ricordava il Neji dei primi tempi: arrogante e saccente.
Ascoltando il vociare sommesso dei loro amici che arrivavano dal sentiero che si spiegava nel bosco, anche la kunoichi volse lo sguardo al cielo. Osservando le stelle, pensò alla leggenda legata a quella ricorrenza. Si trattava della storia d’amore fra un essere umano, il pastore Hikeboshi, e la dea Orihime, ostacolata dal padre di quest’ultima che, una volta scoperto della loro relazione, li separò, creando fra il regno umano – a Ovest – e il regno divino – a Est - un fiume celeste, la Via Lattea.
Era un racconto struggente e bellissimo, che alla giovane donna piaceva molto. A volte pensava che anche lei e Neji si erano trovati di fronte a una separazione simile, ma poi l’avevano affrontata, potendo rimanere uno accanto all’altra.
“Buonasera, ragazzi!” trillò Naruto nel suo kimono arancione. Accanto a lui Sakura, Hinata e Ino sfoggiavano altrettanti abiti colorati; Kiba e Shikamaru, invece, discutevano animatamente, poco più in là. O meglio: Kiba discuteva mentre Shikamaru, nel suo kimono verde scuro, incrociava le braccia dentro alle maniche, borbottando monosillabi.
Tenten fece per alzarsi, ma Ino la bloccò:
“Non c’è bisogno che ti alz…” ma lei non finì la frase che l’amica, con notevole fatica, era riuscita a mettersi in piedi ancor prima che Neji potesse offrirsi d’aiutarla.
“Buonasera tutti, prendete i posti, io arrivo subito.” Decretò.
Neji lanciò un’occhiata preoccupata alla compagna.
“Dove vai?”
La giovane donna si illuminò di un enorme sorriso.
“Ho trovato cosa scrivere sul mio tanzaku!” disse, così felice che Neji non riuscì a replicare. Vederla sorridere in quel modo era disarmante.
“Ti accompagno.” propose, ma lei scosse il capo.
“No, no, tu resti qui. Ci metto un secondo…”
“Sei sicura?” si intromise Sakura, perplessa.
“Sono sicurissima. Ora, sì, sono all’ottavo mese, ma sono anche una kunoichi, cosa volete che mi succeda? Dai, devo correre! Tanto devono ancora arrivare Lee e Gai-sensei.”








A passo svelto, illuminata dalla rivelazione appena ricevuta, Tenten scese giù per il sentiero sentendosi quasi emozionata. Cercando di aumentare il passo, si accorse di uno strano senso di pesantezza. Era come se d’improvviso faticasse a camminare. Forse, si disse, aveva sopravvalutato la propria forza fisica. Si fermò un istante, osservò la cima della montagna con i volti degli Hokage, poi riprese a scendere.
Arrivò davanti a uno dei tanti alberelli di bambù, prese il proprio foglietto e con il pennello scrisse in maniera ordinata, lo legò a un rametto e rimase a rimirare la propria opera.
Sì, le piaceva moltissimo. Come realizzò quel pensiero, però, avverti un forte dolore addominale che le mozzò il respiro. Portò istintivamente una mano al ventre, preoccupata. Si guardò intorno: ovunque c’erano persone vestite a festa, bambini che correvano davanti ai genitori. Il chiasso le sembrò sproporzionato e fastidioso come non mai. Decise quindi di allontanarsi dalla ressa, incamminandosi verso un posto più silenzioso, almeno finché non le fosse passato quel malessere improvviso.
Si sedette su una piccola panca di legno, in un vicolo poco illuminato e attese. Dopo alcuni minuti, notò che la situazione non migliorava affatto, anzi, avvertì delle contrazioni, forti e dolorose che la misero in allarme.
Negli ultimi giorni aveva avuto gli stessi sintomi, ma non a quei livelli e non vi aveva dato il giusto peso.
Lanciò un’occhiata alla strada e le sembrò lontanissima: i colori, il vociare dei passanti, il tintinnio dei campanelli che decoravano gli alberelli. La kunoichi provò a rimettersi in piedi, ma faticava a rimanere dritta e si sentiva incredibilmente stanca. Poi, nel cielo vide un lampo e sentì un boato. Un fiore rosso si aprì nella notte nell’esatto momento in cui lei avvertì le acque rompersi.
Abbassò lo sguardo a terra, i sandali laccati si sarebbero rovinati e il kimono…
Non poteva essere quello il momento per partorire. Non poteva! Le mancava ancora un mese, inoltre era in un vicolo semibuio, da sola.
Venne presa dal panico.
Cosa doveva fare? Provò ad alzarsi, le gambe le tremavano e il dolore alla pancia, a intermittenza, era intenso e terribile. Si appoggiò con una mano al muro di una casa e cercò di regolarizzare il respiro. Poi si guardò nuovamente attorno, pensando che doveva andare in ospedale. A piedi non avrebbe potuto farcela, realizzò in un secondo momento.
Lacrime di frustrazione si presentarono ai suoi occhi. Non voleva che succedesse così, forse avrebbe dovuto scrivere anche quel desiderio sul proprio tanzaku…
I fuochi d’artificio, nel frattempo, illuminavano il villaggio di mille colori.

“Ehi…Tenten!” un richiamo le fece alzare la testa. Si era accasciata contro il muro della casa quasi senza accorgersene.
La donna alzò lo sguardo e incontrò due figure contro luce.
“Lee! Gai-sensei” esclamò sorpresa, riconoscendoli solamente dopo una seconda occhiata.
“Stai bene?” le chiese subito il compagno di squadra, avvicinandosi per sostenerla.
“Sto per partorire.”fu la risposta.
“Tu stai…oh…ehm… e quindi noi cosa dovremmo fare? Chiamo Sakura? Chiamo Neji? Dov’è Neji?!”
Il jonin prese a guardarsi intorno, agitato e Tenten fu costretta a scuotere la testa sconsolata. Di rimbalzo notò persino il kimono verde, come la tuta che portava di solito e quasi le venne da ridere.
“Lee, cerca di mantenere la calma – lo riprese Gai, avvicinandosi per accertarsi delle condizioni dell’allieva – Neji sa che sei qui?”
“Eravamo sulla montagna, vicino al campo di addestramento sette, poi gli ho detto che…che sarei tornata giù… mi starà già cercando.”
“Penso io a trovarlo, Tenten, non preoccuparti. Adesso mantieni il tuo respiro regolare. Lee!”
Il ragazzo alzò la testa.
“Sì, sensei?”
“Portala in ospedale, vi raggiungiamo.”
Il jonin annuì pronto, prendendo in braccio la compagna di squadra.
“Mi sa che peso…” sospirò lei, ma Lee fece spallucce.
“Come una piuma.” Sorrise, per poi correre via.
La kunoichi sorrise fra le lacrime.
“Grazie”







Arrivati in ospedale furono accolti da un paio di infermiere che fecero sistemare Tenten su una sedia a rotelle.
“Mi dispiace, ma lei non può entrare. Solo il padre o i familiar…” ma la donna non fece in tempo a finire la frase che Tenten le strattonò il camice.
“Lui entra eccome!”ordinò perentoria.
L’infermiera la guardò stupita, abbozzando un sorriso di cortesia.
“Ma è proibito, è una questione di…”
“Non me ne frega niente di quale questione sia! Lee rimane con me e non sarà certo lei ad impedirmelo, a costo di partorire qui!”
Il giovane uomo pensò che la collega non stesse ragionando. Inoltre, gli sembrava assurdo assistere al suo parto al posto del padre. Non credeva fosse giusto. Stava per chiederle se si sentisse davvero sicura, quando incontrò il suo sguardo stanco, frustrato. Capì in quel momento che non aveva importanza chi ci fosse con lei, sicuramente era spaventata e si sentiva sola. Lui non avrebbe mai potuto lasciarla proprio nel momento del bisogno. Puntò, dunque, le mani sui fianchi ed esclamò:
“Sentito la signora? Andiamo a far nascere questo bambino!”

 

Poco prima dell’inizio dei fuochi, Neji notò che Tenten tardava ad arrivare. Si guardò intorno e vide che ormai la maggior parte delle persone si era seduta, occupando tutto il prato. 
Decise che avrebbe aspettato ancora qualche minuto, dopotutto ci voleva del tempo tra andare e tornare. Ma quando il primo fuoco scoppiò nel cielo in una corolla rossa, iniziò a preoccuparsi davvero.
Lanciò un’occhiata verso il sentiero deserto, sperando di vederla comparire, ma non accadde. Si alzò quindi in piedi attirando l’attenzione di Sakura.
“Neji… Tenten non è ancora tornata?” chiese.
L’uomo annuì, senza degnarla di uno sguardo, troppo concentrato a scrutare verso il bosco. Si allontanò dagli amici, avvicinandosi al sentiero per poter usare il byakugan. Ma l’unica persona che vide arrivare fu Gai, trafelato, con le sopracciglia corrugate in un’espressione troppo seria. Anche nella penombra dovuta all’illuminazione delle lampade di carta, Neji riuscì a scorgere quella ruga sulla fronte del maestro che significava preoccupazione.
Senza esitare, gli andò incontro, scendendo a passo svelto lungo il sentiero.




Tenten strinse la mano di Lee, cercando di regolare il proprio respiro. Non era facile, considerato che l’amico, tutto avvolto in un camice azzurro con tanto di cuffietta e mascherina, continuava a mimarle come avrebbe dovuto fare, risultato terribilmente ridicolo.
Si era chiesta perché fosse dovuto succedere tutto così in fretta, ma alla fine aveva perso d’importanza. Non le interessava altro che vedere sua figlia, sapere che stesse bene. Tutte le preoccupazioni che l’avevano assillata in quei mesi, come se avesse avuto il byakugan oppure no, erano sparite. Si fottesse persino il clan! Li aveva avuti intorno come avvoltoi per mesi e adesso dov’erano?
Urlò a occhi serrati per il dolore.
“Tenten, il respiro!” la riprese Lee, spronandola a concentrarsi.
“Lo so… non è così semplice!” sbottò, rabbiosa, le lacrime per lo sforzo a rigarle il viso.
L’amico non si fece intimidire, continuando a incitarla in ogni modo.
“Inizio a vedere la testa!” comunicò la dottoressa con un sorriso.
“La testa!” esclamò Lee di rimando, raggiante come una ragazzina.
Tenten gli lanciò un’occhiataccia, ma poi non riuscì a fare altro che scoppiare a ridere.
“Lee, dai… non mi fare ridere… cazzo.”
“Cos’ho fatto?”
“Sei il solito.”
Ma il breve scambio di battute fu interrotto da una fitta così forte, che la kunoichi rischiò seriamente di staccare un braccio al compagno.
“Respira!” Le disse lui, accarezzandole la testa e scostandole la frangia fradicia di sudore.

Mentre spingeva, appellandosi a tutte le proprie forze, a Tenten venne in mente il suo tanzaku, appeso al rametto dell’alberello di bambù, scosso dal vento. Con quell’immagine in mente, quando riaprì gli occhi, vide entrare nella stanza due uomini avvolti nello stesso camice azzurro di Lee.
“Ehi! Non si può entrare qui!”
Neji alzò le mani in segno di resa.
“Sono il padre”
La kunoichi si illuminò in un sorriso, nonostante la fatica.
“Neji! Gai-sensei!”
L’ostetrica si avvicinò ai due uomini.
“Ok, il padre può restare, ma lei…e l’altro ragazzo, dovreste…”
“Restano anche loro! – ordinò perentoria Tenten, le sopracciglia aggrottate nello sforzo di rimanere lucida – Non osate contraddirmi o giuro che vi ammazzo tutti!” decretò, appoggiando la testa al cuscino e chiudendo nuovamente gli occhi, piegata dal dolore.
I presenti rimasero in silenzio, Neji le si avvicinò, prendendo il posto di Lee.
“Ci sono io, scusa il ritardo.” Mormorò. Tenten gli strinse la mano e rimase sorpresa constatando che stava tremando. Lo guardò negli occhi. In tutto quel tempo non si era mai chiesta veramente se anche lui potesse avere paura. Eppure quella sembrava essere solo l’emozione. In quegli occhi leggeva un forte sentimento che la faceva sentire, come sempre, rassicurata.
“Non preoccuparti, è lei ad essere in anticipo.”


Il dolore crebbe d’intensità e Tenten incoraggiata dai suoi tre uomini, Lee e Gai da una parte e Neji dall’altra, mise tutta se stessa in quell’ultimo sforzo.
Quando la bambina, finalmente, vide la luce, alla kunoichi sembrò di essersi buttata nel vuoto. Cadeva da un’altezza vertiginosa, lo stomaco schiacciato dall’aria e poi con uno scossone – il pianto di sua figlia -  si risvegliò.
“Congratulazioni, è una femminuccia!”
“Lo sapevo…” sospirò Tenten , intravedendo la bimba solo per un attimo, prima che l’ostetrica l’avvolgesse in un asciugamano e la portasse via.
Gai, cancellò una lacrima con il dorso della mano.
“Congratulazioni.” Disse, commosso, baciando una tempia dell’allieva.
“Gai-sensei, grazie, grazie davvero per tutto.”
Anche Lee sembrava sull’orlo del pianto, ma il suo maestro gli diede una pacca sulla spalla, invitandolo a contenersi.
“Vieni Lee, andiamo! Mamma e papà hanno bisogno di un po’ di intimità.”
Tenten pianse di gioia, ringraziandoli e stringendo le loro mani, prima di guardarli uscire.

Poco dopo, mentre si occupavano di sistemarla, entrò l’ostetrica con la bambina, lavata e avvolta in un panno morbido.
“Eccola qui, tre chili e venti grammi. Rimarrà in ospedale qualche giorno, ma è perfettamente sana, crescerà bene.”
Neji e la compagna si scambiarono uno sguardo, prima di tornare con l’attenzione sulla figlia. L’ostetrica la adagiò sul ventre materno e Tenten le accarezzò la testolina con estrema delicatezza. Si stupì della sua consistenza e di quell’odore di buono che emanava, ma soprattutto del calore e della pelle rosea. Perfetta.
“Mi potreste dire il nome?”
“Orihime” dissero all’unisono i neo genitori, senza alzare lo sguardo dalla piccola creatura che si muoveva fra loro. Era quella la forma che aveva l’amore.


Quando rimasero soli, Tenten lasciò che Neji la prendesse in braccio.
Lo osservò a lungo con lo sguardo concentrato e il sorriso nascosto dalla mascherina, felice come non era mai stata nella propria vita.
“Come facevi a sapere che avevo scelto Orihime?” chiese.
Lui, cullando la figlia, si tolse la mascherina e baciò la compagna a fior di labbra.
“Sei prevedibile.”
“Tsk, il solito arrogante!”
“Mentre io e Gai venivamo qui, ho trovato il tuo tanzaku. Deve essersi staccato ed è volato via.”
La donna sgranò gli occhi sorpresa, poi lui le riconsegnò la bambina e tirò fuori proprio il foglietto che Tenten aveva scritto qualche ora prima.
“Ho idea che dovrai scriverne un altro.”
Ma la kunoichi scosse la testa sorridendo, prima di attirare a sé il compagno e baciarlo appassionatamente.
Non le serviva nessun altro tanzaku, poiché aveva già molto più di ciò che avrebbe potuto desiderare.


Owari

La porta della stanza dove Tenten riposava, si spalancò all’improvviso. L’infermiera del reparto di maternità, affannata, aveva lo sguardo fisso e teneva chiuso l’uscio con entrambe le mani.
Neji aggrottò le sopracciglia e la compagna si portò seduta, stringendo la figlia fra le braccia.
“Cos…”
“Ho detto che non sono concesse visite!” sbottò l’infermiera, puntando i piedi. I cardini cigolarono pericolosamente e il panico si dipinse sul suo viso. Non riuscì a tenere chiuso a lungo che la porta si spalancò e lei dovette fare un salto all’indietro per non essere travolta.
Naruto, Kiba, Lee, Sakura, Ino, Shikamaru, Choji, Shino e persino Akamaru, Hinata e Sai, sbucarono nella stanza, facendo un gran baccano.
“Allora?! Dov’è Hotaru?!” chiese Kiba, mentre tutti si avvicinavano al letto per ammirare la nuova nata.
Tenten sospirò e Neji scosse la testa. Perché dovevano avere amici tanto invadenti? Erano ancora vestiti con il kimono ed emettevano gridolini compiaciuti d’ogni tipo.
“Qui non c’è nessuna Hotaru! – fu la risposta di Tenten - Però se volete, vi presento Orihime!”


Owari davvero : )

22 Luglio 2012



E’ il secondo parto che descrivo in questo periodo. Non vogliatemene per eventuali errori tra tempistiche e robe mediche. Non ho ancora avuto modo di fare un figlio, per cui mi baso solo su esperienze di altre persone, racconti e internet.
Come al solito non è approfondita come avrei voluto, mannaggia! Però mi andava che fosse una storia dolce e gioiosa. Ok, forse trasuda melassa, ma va be’! Dettagli. Non avevo mai scritto una NejiTen… speriamo sia di vostro gradimento : ) E’ nata per "colpa" di slice che ha indetto una sfida su questa coppia: tutto doveva incentrarsi su una gravidanza e la scelta del nome per il bambino. Non ho potuto fare altro che infilarci anche quegli altri.
E questa è la seconda fluff che posto nel giro di un mese! Non solo: è pure il terzo lieto fine o_O devo uccidere qualcuno in Suture, presto!u_u

Grazie per la lettura! ^__^


Nomi comparsi in questa fic (non a caso!), prendeteli con le pinze, perché proprio a causa dei Kanji, potrebbero variare, io vi scrivo le traduzioni principali:
Kaede: acero
Haruko:
fanciulla solare oppure bimba primavera?XD Haru io sapevo che è primavera, ma anche soleggiato :)
Harumi: bellezza di primavera (?) qui metto un punto interrogativo
Setsuna: istante
Akira: brillante
Seya: sincero
Hotaru: lucciola
Ken: sano, forte
Ryo: realtà (ma non sono sicura XD)
Amaterasu: significa “splendere sul cielo”, in verità è il nome della dea del sole giapponese : )
Shinobu: pazienza
Shun: velocità
Takumi: mare che spacca la terra

  
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