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Autore: Seren_alias Robin_    24/07/2012    4 recensioni
“Avevo vent’anni. Non permetterò a nessuno di dire che questa è la più bella età della vita.”
Con quella frase Nizan, quel filosofo sconosciuto, aveva conquistato la sua stima. Non avrebbe avuto dubbi su quale traccia scegliere.
Vera e Matteo.
Altra storiella partorita dal mare, che non completerò mai probabilmente. O si. Che ne so.
Le mie storie restano a metà, perché io sono a metà.
Genere: Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Questo capitolo è dedicato al gruppo delle mie bellissime Disperande Innamorate,
che tanto mi appoggiano,
e tanto mi amano, 
e tanto tanto tanto amore.
Anche se con S. non è andata come avevo sperato, vi regalo una storia, e magari ci metto pure un happy ending.




Quella sera non sarebbero usciti.
Si era alzato un vento forte sul mare da quando erano tornati a casa dopo la fuga in spiaggia, e quel tempo non invitava alle passeggiate sul lungomare. Al massimo, spingeva verso un abbraccio. Ma Matteo non avrebbe mai osato toccarla di sua iniziativa. Temeva che potesse esplodere in mille pezzi alla minima carezza.
Non era solo quello il motivo per cui restavano a casa. Era una sera un po’ strana, la sera degli artisti l’aveva chiamata Vera. Si erano trovati silenziosamente d’accordo su questo. Entrambi avevano di meglio da fare che perdersi in quattro passi tra la gente.
Ogni tanto la beccava a guardarlo in un modo curioso, e lei non ritirava mai lo sguardo. Cosa c’era di meglio che sostenere uno sguardo? Anche se non si vinceva mai contro Vera.
Dopo cena, ad uno ad uno si eclissarono tutti quanti, mentre il cielo si colorava di notte. Silenziosi coinquilini persi nei loro pensieri, o forse abbastanza discreti da lasciare perdere gli altri.
Matteo si lasciò cadere sulla dondola con la chitarra e iniziò a suonare qualcosa. Era molto comodo lì.
Vera riconobbe che stava arrangiando Stairway to Heaven dalle prime tre note, ma non si avvicinò; rimase ad ascoltarlo da dentro casa affacciata alla finestra, senza che lui la vedesse, muovendo la matita sul voglio quasi a tempo.
Non voleva mettersi in mezzo tra il musicista e la sua chitarra.
Quasi non ascoltava più, la musica era solo un ronzio. Aveva lasciato perdere il suo disegno mentre la matita cadeva a terra e rotolava troppo lontano per le sue dita pigre, e osservava le dita di Matteo sulla chitarra, rapita. Mani grandi e affusolate, quasi delicate per un ragazzo; mani nate per vivere su quelle corde, di quelle corde.
Il fascino dei chitarristi.
Stava cambiando pezzo.
Imperfetto. Sporco.
Non poteva continuare ad ascoltarlo.
Sbattè con violenza i vetri della finestra per chiuderla, ma anche per manifestare la sua presenza.
Le corde della chitarra vibravano ancora, ma la musica era finita non appena l’azzurro aveva visto il verde.
-          Non volevo interromperti. –
Come si rispondeva ad una bugia?
Aveva capito che mentiva semplicemente dal fatto che non lo aveva guardato negli occhi. Non guardava da nessuna parte, mentre cercava disperatamente qualcosa da guardare che non fosse lui.
-          Figurati. – rispose con voce innaturale e un tono terribilmente cordiale.
Non cercò più i suoi occhi, e riprese a suonare la chitarra. Sentì il peso di lei sui cuscini del dondolo, mentre si sedeva affianco a lui.
-          Sei così bravo. – disse, e qualcosa nel tono di voce gli suggerì che stava sorridendo.
-          Vuoi imparare? –
-          Voglio qualcuno che mi accompagni ogni volta che ho voglia di cantare. –
Non era la risposta che si aspettava, e preferì continuare a suonare.
-          Non lo trovi noioso? -  disse dopo un po’, spezzando a metà una canzone che Vera non conosceva.
-          Non c’è niente di noioso nel suono di una chitarra. Noioso è fare la fila alla posta, o magari alla cassa del supermercato, per poi scoprire che sta per chiudere. Noiosa è una lezione di matematica che anticipa quella di filosofia. –
-          Capirai… -
-          Non ti piace la filosofia? –
-          Sono quella del terzo. – sorrise.
-          Beh, era un esempio un po’ azzardato. – sorrise anche lei scambiandosi finalmente gli occhi. Poi gli strappò la chitarra dalle mani. Lui la lasciò fare, anche se era la prima volta che una ragazza semplicemente “toccava” la sua chitarra.
-          Ho fatto qualche lezione alle medie. Qualcosa so arrangiarla – disse lei guardando lo strumento con gli occhi che brillavano; ma non osava sfiorare le corde, come se avesse paura di romperle. La tenne tra le dita per qualche frazione di secondo, poi gliela restituì. - Posso ascoltarti tutta la notte suonare questa –
-          Non hai niente di meglio da fare? –
Il tono di voce non fu sprezzante come voleva, non l’aveva scalpita neanche un po’.
-          Non ho niente di meglio da fare. –
-          Allora posso restare tutta la notte a suonare, se ti fa piacere. –
Vera tirò su i piedi e si mise a gambe incrociate, senza aggiungere altro, chiudendo gli occhi in attesa di sentire ancora Matteo suonare.
 
 
Si erano addormentati lì, l’uno con la testa sulla spalla dell’altra, e una chitarra abbandonata a terra. Nunzia li osservò un poco, e c’era tanta tenerezza in quello sguardo che probabilmente a Matteo sarebbe risultato quasi smielato, mellifluo. Ma non poteva vederla, preso a rincorrere chissà quale sogno.
-          Sveglia. – sussurrò piano Nunzia, sfiorandogli il braccio.
Aprì gli occhi di scatto, mentre vedeva i sogni sfuggirgli, risucchiati in fretta dall’imbuto della realtà. E già non ricordava più cosa stava sognando.
-          Ohi. – almeno era quello che credeva di aver detto.
-          Non credo che suo padre sarà felice di trovarla così quando si alzerà per andare a lavorare tra poche ore. – dichiarò sua cugina, facendo cenno verso Vera che ancora dormiva beata.
-          Lavorare? – capiva a stento quello che Nunzia stava dicendo, mentre si strofinava gli occhi muovendosi il minimo possibile per non disturbare la ragazza.
-          Si, lui ha accompagnato solo sua moglie e Vera. Domani mattina tornerà a lavoro. Non gli hanno dato le ferie per questo mese. –
Matteo guardò con la coda dell’occhio Vera, poi le accarezzò un braccio.
Sentì il suo respiro cambiare a poco a poco, mentre anche lei si svegliava. Aprì gli occhi, contenta di ritrovarlo affianco a lei. Temeva che l’alba oltre le stelle si portasse via anche lui.
-          Scusami Vera, è che ci siamo addormentati qui, e sicuramente vorrai dormire un altro poco nel tuo letto prima che si sveglino tutti gli altri. –
Non sapeva cosa stava dicendo. Nunzia era rientrata senza che lui se ne accorgesse, e non sapeva bene se maledirla o ringraziarla per tutta la vita. Vera si tirò su e in silenzio entrò in casa, senza voltarsi verso di lui.
Anche lei aveva fretta di ringraziare qualcuno.
 
 
Vera si svegliò con un forte dolore al collo. Forse aveva dormito male davvero, ma poco le importava. Era solo l’ennesima dimostrazione che quella chitarra aveva suonato davvero per lei. Sorrise al cuscino, girandolo dal lato fresco. Non aveva idea di che ore fossero, ma dalla luce che entrava dalla finestra e dal letto vuoto di fronte al suo di certo non era presto. Si stiracchiò per bene e si concentrò sui rumori che provenivano dalla cucina. Nessuna voce maschile che potesse riportarla a lui.
Si alzò dal letto cercando alla cieca le ciabatte, per poi osservarsi un attimo allo specchio. Aveva il trucco nero degli occhi sbavato fino alle guancie, e l’espressione stanca. Non era tardi come pensava, erano solo le 10. Andò in bagno e si preparò più in fretta che poté, ansiosa di fare colazione.
Ma quando entrò in cucina trovò solo sua nonna e l’annuncio triste che tutti erano già usciti. Anche Matteo.
Bevve il suo caffè dieci volte più amaro e salutò sua nonna prima di uscire.
-          Dove vai? –
-          Raggiungo gli altri in spiaggia. –
-          Non credo che Matteo sia andato in spiaggia. –  accennò sua nonna, mentre sciacquava la tazzina di caffè, sorridendo fra sé.
-          Ma chi ti ha chiesto niente di Matteo – rispose stizzita lei, e uscì di casa.
Prese la sua bici e si mise a pedalare a vuoto, mentre ascoltava la radio sul suo Ipod. Virgin Radio quella mattina non le era molto amica.Wonderwall.
Li odiava da quando aveva conosciuto la musica. Quei due dalle leggendarie sopracciglia non l’avevano mai conquistata, nonostante conoscesse un bel po’ delle loro canzoni.
Eppure la sera prima, quando era stato Matteo a suonarla, le era sembrata talmente bella che quasi non l’aveva riconosciuta.
Non capiva perché quel ragazzo le facesse quell’effetto. Lo conosceva solo da poche ore in fondo.
Era bello, certo, ma non era questo quello che contava. Le teneva testa, e le sfuggiva, per poi farsi ritrovare in qualche nota distratta.
Nel frattempo la canzone finiva e ne iniziava una nuova.
Green eyes.
Che simpatici quelli di Virgin Radio, a mettere i Coldplay dopo gli Oasis. Sembrava che qualcuno stesse tracciando la colonna sonora della sua giornata.
Sentiva sempre la necessità di avere musica. Una mattina senza un risveglio puramente musicale per lei era già da considerarsi negativa. Forse era anche per quello che Matteo le piaceva così tanto…
Lo cercava inconsciamente in ogni viso che incontrava, anche se era davvero difficile confondere un tipo del genere con qualcun altro.
Girò per mezz’ora sotto il sole che diventava sempre più caldo sulla sua pelle chiara. Era fastidioso. Maledicendolo si diresse verso la spiaggia, raggiungendo sua madre. Non appena fu abbastanza vicina all’ombrellone blu di suo zio, lo vide. Era lì insieme agli altri, steso all’ombra sorridente mentre chiacchierava con Nunzia.
Annullò la distanza con loro con gli ultimi tre passi e si annunciò con un timido – Buongiorno. –
-          Sei ancora addormentata? -  la prese in giro suo zio, proprio mentre Matteo si girava verso di lei, continuando a sorridere senza dire niente.
-          C’è un mare splendido stamattina. – disse poi, guardandola.
-          Potevate svegliarmi. – rispose Vera, inacidita.
Nunzia stava per dire che aveva preferito lasciarla dormire visto cos’era successa la sera prima, ma uno sguardo di Matteo fece calare il silenzio.
Vera sistemò il telo affianco a Matteo, passandogli una cuffietta.
-          Virgin? Che brava ragazza – disse lui, prendendola.
Rimasero per dieci canzoni lì, tanto che gli altri cedettero che si fossero addormentati. In realtà per gran parte del tempo si erano guardati negli occhi.
La madre di Vera la guardava ogni tanto. Conosceva troppo bene sua figlia per non capire. Quello che non capiva era come potesse piacerle quella cresta. Sorrise aprendo il suo giornale e lasciando sfuggire quei pensieri verso qualcosa di altrettanto inutile.
-          Ti va di fare due passi verso il lido? – suggerì Vera mentre un’altra canzone finiva.
-          Conosci mio cugino da ieri e me lo hai praticamente rubato. – si intromise Nunzia ridendo prima che Matteo potesse rispondere.
-          Chiedo scusa. –
-          Andiamo al lido va. – rispose Matteo, alzandosi velocemente e offrendole la mano per aiutarla ad alzarsi. – prima che mia cugina si faccia prendere da qualche assurda gelosia morbosa. –
Vera lasciò un po’ più del dovuto la sua mano in quella del ragazzo. Fu lui a ritrarsi, rimanendo comunque vicino mentre la seguiva verso il lido. Francesco li osservò con la coda dell’occhio, in preda ad una sorta di tenera gelosia verso la nipote. Guardò sua moglie, che era raggiante in volto, ed evitò di parlare.

   
 
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