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Autore: Lils_    24/07/2012    6 recensioni
La Settantesima Edizione degli Hunger Games è ormai conclusa ed è stato decretato un vincitore: il suo nome è Annie Cresta, Tributo dal Distretto 4.
All'apparenza Annie è riuscita a sconfiggere i suoi avversari, ma in realtà l'arena ha sconfitto lei.
Cosa è accaduto davvero durante i Giochi?
“Non ci dovrai tornare mai più, Annie.” le dice Finnick. Colto da un’improvvisa ispirazione aggiunge “Raccontami com’era. Raccontami tutto. Così saremo in due a portare questo peso, d’accordo? Proveremo a dimenticare insieme.”
Genere: Azione, Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Finnick Odair, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 1
 
L’arena
 
 
 
Sono in piedi sulla mia pedana del Tributo in attesa che i sessanta secondi finiscano e che i Giochi abbiano inizio. Il turbinio della vita a Capitol City che avevo potuto assaporare per una settimana durante l’Addestramento mi sembra così lontano ora, mentre sto ferma qui, a guardarmi intorno per cercare di capire dove sono. L’intervista, l’addestramento, i sorrisi, le telecamere, la sfilata: tutto è lontano in questo posto così strano e diverso da quello in cui sono abituata a vivere. Finnick, il mio mentore, mi aveva avvertita questa mattina, dopo un ultimo abbraccio che subito mi sarei sentita confusa da ciò che mi circondava, ma che avrei dovuto reagire in fretta per trovare una via di fuga dal bagno di sangue iniziale.
Il mio mentore… probabilmente non lo avrei più rivisto. Mi sarebbe mancato tanto Finnick, il suo sorriso ironico, la tristezza nascosta dietro un’espressione provocatoria. Ho da sempre una cotta per lui. Quando lo intravvedevo al mercato del pesce la domenica mattina, il cuore mi batteva sempre a mille. Ovviamente non avevo mai pensato di avere qualche speranza con lui. L’unica volta in cui gli avevo parlato era stata per contrattare sul prezzo di una dozzina di trote. Io le vendevo sempre al solito posto, ma lui non era mai venuto al mio banchetto fino a quel giorno. E io da stupida, invece che sembrare un minimo carina per fare colpo su di lui, mi ero messa a litigare sul prezzo.
Ammetto che una parte infinitesimale del mio cuore aveva esultato quando avevano gridato il mio nome alla Mietitura, ma l’euforia era subito sparita. Non so di preciso quando, però, tra l’Intervista e la sfilata dei carri, mi sono accorta di essermi innamorata del mio mentore, ma comunque ormai non ha più importanza, perché sicuramente non sopravvivrò per vedere ancora i suoi occhi.  
Mi guardo attorno, cercando di capire dove sono. La Cornucopia è di fronte a me e le piattaforme dei Tributi sono disposte in fila, equidistanti le une dalle altre. Ma la cosa che più mi sorprende è che tutto il vasto spiazzo erboso in cui si erge la Cornucopia e in cui ci troviamo noi è circondato da un muro verde alto almeno dieci metri, impenetrabile, creato probabilmente da una siepe. Mi volto per vedere se anche alle mie spalle c’è quel muro, e non mi sorprendo quando lo vedo. Lo spiazzo è circolare, così pare di trovarsi in una grande cupola; anche se, quando alzo gli occhi al cielo, vedo che non c’è alcun vetro a rinchiuderci tutti nello spiazzo della Cornucopia.
Strizzo gli occhi per vedere il muro oltre alla Cornucopia, che è a circa un chilometro da dove mi trovo io. La struttura invece è vicina, e con un buono scatto si può raggiungere in qualche secondo. Scruto la siepe dall’altro lato della Cornucopia e vedo un’apertura e poi un’altra un po’ distante e un’altra ancora e così tutt’attorno allo spiazzo e finalmente capisco “Siamo al centro di un labirinto.” Mormoro.
Nel distretto 4, a casa, avevo alcuni libri che descrivevano luoghi come questo e a Capitol City, durante il viaggio in treno mi era parso di scorgerne uno.
Il tempo sta finendo, rimangono appena dieci secondi così mi preparo allo scatto e attendo lo scadere del tempo ascoltando solo i battiti del mio cuore, escludendo il resto dell’arena. Sento il gong proprio mentre il mio cuore batte un colpo e i miei piedi scattano in avanti per raggiungere la Cornucopia. Afferro uno zaino tra quelli che mi si parano davanti e prendo una lancia e un coltello senza perdere tempo a confrontarli, per poi fuggire subito dalla Cornucopia e imboccare una via a caso tra quelle più vicine. Dietro di me le grida hanno inizio, ed io mi porto le mani alle orecchie per non sentire. Continuo a correre per almeno mezzora prima che la stanchezza vinca e mi decida a voltarmi indietro. Non c’è nessuno che mi segua, né dietro né davanti a me. Cammino ancora a lungo, cercando di mettere la maggiore distanza possibile tra me e gli altri tributi. Mi trovo spesso di fronte delle deviazioni e sono costretta a cambiare direzione, ma cerco di lasciarmi dietro alcuni segnali discreti, come alcuni mucchietti di foglie, in modo da non ritornare sui miei passi.
Quando finalmente decido di fermarmi è il crepuscolo. Mi trovo in una specie di largo corridoio racchiuso tra due mura di siepe verde alte come quelle della Cornucopia. Non ci sono alberi, solo questa siepe infinita che offre ben pochi ripari con i suoi cespugli ordinati. Così mi ricavo una specie di tana, scavando il terreno e tagliando il fitto intrico di rami e striscio sull’erba tenera fino a ficcarmici dentro completamente, mimetizzando l’entrata della mia tana. Vengo praticamente inglobata dalla siepe. Contenta del risultato mi concedo qualche minuto di riposo. Sta calando la notte, così mi affretto a esaminare il contenuto del mio zaino.
In uno trovo una borraccia d’acqua fortunatamente piena, che mi affretto a bere avidamente. So che sarebbe più responsabile accertarsi che ce ne sia dell’altra nello zaino, ma con la corsa e il caldo mi sono ritrovata con la gola secca in fretta. Adesso la temperatura è precipitata, così scavo ancora nello zaino alla ricerca di qualcosa con cui coprirmi. Trovo una coperta e mi ci avvolgo grata, mentre esamino anche la torcia, il kit di pronto soccorso che mi rifornisce di disinfettante, bende e pillole varie, una scatola di fiammiferi che guardo con occhi increduli, una corda e alcune lattine di cibo. Non c’è altra acqua ma mi resta ancora più di metà della borraccia e la cosa mi rassicura abbastanza, così mi appunto mentalmente che il mio primo compito domani sarà cercare una fonte, o qualcosa del genere. E’ un bottino davvero niente male, considerato che sono riuscita a conquistarlo uscendo indenne dal bagno di sangue. Mi sistemo meglio nel mio bozzolo fatto di coperte e cespugli e attendo il sonno che non tarda a venire. Pochi minuti dopo sono però svegliata dall’inizio dell’inno di Panem che preannuncia il consueto riepilogo delle morti di quel giorno. Durante la mia fuga non avevo prestato attenzione ai colpi di cannone sparati a ogni morte, così adesso faccio capolino dalla mia tana per assistere alla proiezione delle morti.
Undici morti in tutto.
Entrambi i tributi del distretto 1, del 2, del 4 e del 5 ancora in vita. I ragazzi del 6, del 7 e del  10 anche.  Tredici ancora in vita.
Dodici da eliminare.
A quel pensiero mi viene in mente Finnick. E’ una strana associazione, in effetti, ma il pensiero di dover uccidere altri tributi per poter tornare da lui mi tormenta. Chissà cosa starà facendo? Il mentore? Per me o per Brandon, l’altro tributo del mio distretto? Starà pensando a me?
M’impongo di smetterla di pensarci. Credo che anche lui provi qualcosa per me. Me l’ha dimostrato con tanti piccoli gesti d’attenzione che riservava solo a me. Ma probabilmente era solo una infatuazione, la sua. ‘E va bene così. Gli ho detto addio. E’ improbabile che io vinca, anche se per antonomasia io dovrei essere uno dei tributi Favoriti. Ma io non ho ricevuto nessun addestramento speciale. A casa la mia famiglia è piuttosto povera e campiamo solamente perché non ci sono troppe bocche da sfamare. Solo io e mio padre. Mia madre morì di parto, quindi non l’ho mai conosciuta e non posso dire che mi manchi. A volte mi scopro a pensarci, ma mai con dolore, solo con curiosità. Chissà com’era?
Fatto sta che la mia unica abilità è con la lancia. Mio padre m’insegnò fin da quando ero una bambina a pescare con la lancia, così ho una mira praticamente infallibile. Ma le mie doti finiscono lì, se non consideriamo un disperato bisogno di vincere per poter tornare da Finnick. Ma non credo comunque di avere molte speranze. Durante l’Addestramento alcuni degli altri Tributi Favoriti mi sono sembrati delle vere macchine da guerra, Brandon compreso. Lui si offrì volontario alla Mietitura, mentre io incrociavo le dita sotto le pieghe della gonna buona per non essere scelta, mentre lo sguardo di Finnick scivolava tristemente sulla folla di ragazzi chiedendosi quale fosse il prossimo a dover affrontare i Giochi, e quello di Trish, la nostra accompagnatrice, ci fissava come io fisso il pranzo della domenica. Quando ha trillato il mio nome dopo averlo estratto dalla boccia il mio primo istinto è stato quello di tirarle il collo. Il secondo quello di scappare.
Ma il peggio è stato dopo, prima di salire sul treno. Quando frotte di amici e parenti sono corsi a congratularsi con Brandon per il suo coraggio e da me è venuto solo mio padre, che mi ha stretta in un abbraccio così soffocante che ho pensato sarei morta ancora prima di mettere piede nell’arena, e che si è asciugato le lacrime di nascosto subito dopo, mentre io non facevo nulla per arginare il flusso di copiose lacrime che mi si affollavano sulle guancie. Dopo essersi soffiato rumorosamente il naso, mi aveva messo le mani sulle spalle e mi aveva piantato addosso i suoi intensi occhi verdi, identici ai miei. Con tono duro aveva detto “Non ti azzardare a morire, Annie. Sei la sola cosa che mi resta al mondo, quindi vedi di tornare a casa in tempo per il tuo compleanno.” Io ero scoppiata a ridere, e quando i Pacificatori erano arrivati per prendermi in custodia, mi ero sentita nuda. Così indifesa che non ero riuscita a reggere lo sguardo di Finnick che mi studiava, chiedendosi come una ragazzina così disgustosamente anonima era finita su quel palco.
Finnick… che la mattina del mio compleanno aveva bussato alla mia porta con una pagnotta del nostro Distretto in mano, una nostra tradizione. Quanto mi manca..
Senza rendermene conto scivolo nel sonno, con ancora l’immagine di quella pagnotta e degli occhi del mio mentore a danzarmi nella mente.
Vengo svegliata poche ore dopo, all’alba da una serie di grida atroci che mi fanno piombare subito in uno stato di allarme. Raduno le mie cose che per fortuna avevo avuto il buon senso di riporre nello zaino e striscio fuori dal mio rifugio in fretta e furia, dandomela a gambe.
Corro finché i polpacci mi bruciano a tal punto da non reggermi più in piedi. Le urla non cessano e quando mi fermo a riprendere fiato mi rendo conto di essere esattamente nello stesso punto in cui avevo lasciato il mio piccolo rifugio. Mi accuccio a terra premendomi le mani sulle orecchie per non sentire più quelle grida atroci e cerco di calmare gli ansiti che mi scuotono. M’impongo di rimanere calma, così mi alzo e cerco di seguire il suono di quelle urla tremende in modo da potervi porre fine. Quando mi sembra che si stiano per affievolire, finalmente ne trovo la fonte. La ragazza del Distretto 2 è intrappolata in una trappola raccapricciante che affiora dalla siepe: è stata sollevata di peso da terra grazie a dei ganci che le trapassano da parte a parte le spalle e più si muove e si agita, più quegli orribili spuntoni la trapassano. Urla, chiedendo aiuto ai suoi compagni che non verranno a salvarla, perché questi sono gli Hunger Games e ci può essere un solo vincitore. Non si può mostrare pietà.
Tutto quel sangue e le urla disperate mi annebbiano la mente e così mi accuccio a terra ancora una volta portandomi le mani alle orecchie.
Improvvisamente le urla si interrompono e vengono sostituite da dei respiri affannosi “Ti prego” mormora rauca la ragazza, indicando il mio coltello e così facendo un fiotto di sangue mi schizza in faccia, facendomi rabbrividire. Ancora una volta cerco una via di fuga dalla realtà. Poi, ritrovando un briciolo di coraggio, estraggo il -coltello dalla cintura a cui lo avevo appeso e taglio la gola alla ragazza, ponendo fine alle sue sofferenze. Nei suoi occhi vedo finalmente la pace, e la gratitudine, prima che diventino vitrei.
L’arma mi scivola di mano proprio mentre il cannone spara un colpo, segnalando la fine della giovane vita di quella ragazza. Cado a terra anche io, accasciandomi inerte e rendendomi conto solo in quel momento che la vita gliel’avevo sottratta io. Mi chiedo come vivesse prima della Mietitura. C’era qualcuno a casa ad aspettarla? Un padre? Un padre? Dei fratelli? Un fidanzato magari? Mi domando come mi sentirei se Finnick fosse al posto di quella ragazza, e se io fossi a casa a d aspettarlo, invano. Probabilmente, andrei da lui. Mi toglierei la vita, per poter stare con lui.
Arriva l’hovercraft a riprendersi il corpo e sento il suono terribile della carne che si lacera sotto l’attrazione del braccio meccanico. Mi premo le mani sulle orecchie per non sentire e vomito quel poco cibo che avevo ancora nello stomaco. Non so quanto tempo passo lì distesa a fissare il cielo, aspettando. Aspettando la morte. Aspettando un tributo con un coltello e nessuna pietà. Aspettando un perdono, che non sarebbe mai arrivato. Aspettando un segno, che invece arriva, sottoforma di un paracadute. Slego lentamente le corde che tengono stretto il dono e libero una pagnotta del mio Distretto. Sa di casa, sa di tranquillità, sa di speranza. Insieme ad essa, libero anche un bigliettino, che mi affretto a nascondere sotto un lembo del paracadute. E’ vietato comunicare con i tributi mentre sono nell’arena. Così faccio finta di essere intenta a tagliare un pezzo di pane, mentre sbircio il bigliettino.
Una nostra tradizione. Ricordati di casa. Non mollare, Annie.
F.

Sento le lacrime salirmi agli occhi, mentre leggo quelle poche parole. Nel nostro Distretto, regalare del pane significa regalare speranza, perché il pane è fondamentale per noi: si crea con gli elementi che regolano la nostra sopravvivenza, l’acqua e il sale. Come il pesce è basilare noi. Mi asciugo gli occhi e quando rialzo lo sguardo so che ciò che leggeranno nei miei occhi gli spettatori di tutta Panem sarà una determinazione sconfinata. Perché ho deciso. Proverò a vincere per Finnick. Tornerò per quel bacio che mi ha promesso.
 
 
 
 
 
 
 
 
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Ciao a tutti :3
Allora, spero che il capitolo vi sia piaciuto! Volevo avvertirvi che non aggiornerò sempre così in fretta, anche se la fan fiction è già completa. Ho postato subito questo primo capitolo perché solo il prologo mi sembrava abbastanza inconsistente.
Ah, l’accenno del pane che Finnick regala ad Annie l’ho voluto inserire per spiegare un po’ l’ossessione che Finnick aveva durante “La ragazza in fiamme”: infatti quando nell’arena ricevevano del pane Finnick si affrettava subito a contare le pagnotte.
A presto, Lily.

 
   
 
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