Videogiochi > Silent Hill
Segui la storia  |       
Autore: fiammah_grace    24/07/2012    2 recensioni
Sebbene tutto fosse finito, quell’insopportabile aria pesante circolava ancora negli appartamenti e nell’intero edificio, inglobato tuttora nel mondo creato dall’assassino Walter Sullivan.
Henry era preparato per una nuova vita lontana South Ashfield. Le valige erano pronte già da un pezzo, in verità, poggiate sul ciglio della porta da giorni. Non che avesse granché da portare con sé, in realtà.
Eppure qualcosa ancora lo legava a quell’appartamento oramai inglobato completamente in quel macabro incubo al quale non sapeva dare nemmeno un nome.
Guardandosi in giro, aveva la pessima sensazione che non fosse in grado si lasciare l’appartamento 302...
...o peggio...
....che oramai non potesse essere più capace di farlo.
Come se, a quel punto, anche lui fosse rimasto incatenato nell’incubo che continuava ad apparire ai suoi occhi, divenendo così egli stesso parte di esso...
Genere: Dark, Horror, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Henry Townshend, Un po' tutti, Walter Sullivan
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
  
  
CAPITOLO 05 
  
  
  
“Sul marciapiede della città le mie urla sono solo un sussurro? 
Le persone occupate vanno e vengono ovunque. 
Guardami qui, immersa sotto la pioggia. 
Non avere nessuna compassione, non importa. 
La mia resistenza sta vacillando. 
Come un fiore nel seminterrato, in attesa di una morte solitaria…” 
  
(Your Rain) 
  
  
  
[SOUTH ASHFIELD, nella periferia della città] 
  
Il sole, che filtrava dalle umide nuvole delle due del pomeriggio, accecava i vicoli trascurati della periferia di South Ashfield. La cittadina, sebbene sommariamente tranquilla, celava in quegli stretti passaggi quella parte di sé che era meglio non mostrare alla gente, abituata a vedere Ashfield pacifica e tranquilla. 
Quella parte invece era viva e palpitava nascosta in quel mondo dove la faceva da sovrano la povertà, la trasgressione e la criminalità. 
Il mondo dei bassifondi era così. La gente vi abitava e la solcava quotidianamente. Correva furtiva come topi di cantina, sotto quel sole cocente che non perdonava nessuno. 
La malasanità era tutta concentrata lì. Nei locali, sui marciapiedi, tra la gente senza futuro. 
In una di quelle traverse, si aggirava una donna dalla pelle ambrata e dalle lunghissime gambe atletiche. 
Lasciava ondeggiare il corpo in maniera elegante e seducente e sembrava non avesse paura di solcare quei vicoli trascurati. 
Ella camminava tranquilla, mostrando senza alcun indugio un corpo avvenente e una procace scollatura sul seno. Una ricca collana brillava sul suo collo e illuminava la sua figura, mentre continuava a passeggiare fieramente. La donna si fermò all’altezza di un locale sprangato da alcune travi di legno robusto. 
Provò a sbirciare un po’ oltre le piccole fessure tra una trave e l’altra, ma non vide altro se non il buio più tetro. Sembrava come se s’aspettasse di vedere il locale in quello stato e infatti di lì a poco si allontanò, tornando sui suoi passi. 
Uscita dalla traversa, si ritrovò nel bel mezzo di un marciapiede ricco di persone. Uomini, donne, bambini, automobili, moto… 
Tutti erano lì a correre frettolosamente come delle frenetiche formichine. Che avevano da correre tanto? Qualcuno sembrava anche notare quella giovane donna, ma ella ne riceveva fin troppi di sguardi indiscreti e non degnò nessuno di alcuna attenzione. Infondo…era proprio come un oggetto abbandonato, in quel momento. Lì, davanti a migliaia di persone. Tutte troppo indaffarate per raccoglierlo e portarlo con sé. Quello era un oggetto destinato a consumarsi tra quelle sporche strade meschine. 
La donna si avvicinò a una serie di scatoloni posti nelle vicinanze di un palazzo e vi prese posto. Si sedette e chinò il capo congiungendo le mani fra loro all’altezza delle ginocchia. 
Un temporale improvviso fu annunciato da un lampo che violentemente rimbombò nel cielo. Di lì a poco delle leggere gocce di pioggia cristallina cominciarono a cadere. Prima più lente, poi divennero sempre più forti. Sempre di più. 
La gente distratta continuava a correre, questa volta per davvero sembravano non avere occhi per null’altro se non per l’egoismo della sopravvivenza. Schizzavano frettolosamente da una via all’altra e da quel momento in poi, nessun uomo notò più quella donna abbandonata in mezzo la strada. 
Lei sembrò quasi sorridere per quella visione. 
Al contrario di tutti, lei non doveva correre da nessuna parte. Al contrario di tutti, a lei non importava di quella pioggia. Al contrario, il suo sorriso divenne sempre più largo e malinconico, così socchiuse gli occhi e cominciò a sussurrare una dolce melodia. 
  
 
 
Dancing alone again  
(Ballo da sola di nuovo) 
 
  
Again… 
(Di nuovo…) 
  
The rain falling 
(…La pioggia cade) 
  
Only the scent of you remains 
(solo il tuo profumo rimane) 
  
to dance with me 
(a ballare con me) 
  
Nobody showed me how to return the love you give to me 
(Nessuno mi ha mai mostrato come restituire l’amore che tu mi dai) 
  
Mom never holds me dad loves a stranger more than me 
(Mamma non mi stringe mai, papa ama più uno sconosciuto di me) 
  
 
  
I never wanted to ever bring you down 
(Io non ho mai voluto farti cadere) 
  
all that I need are some simple loving words 
(tutto ciò di cui avevo bisogno, erano delle semplici parole d’amore) 
  
 
  
 
 
La pioggia continuava a cadere e le palpebre oramai erano umide e fredde, così come il resto del suo corpo. Solo la sua gola vibrava ancora, mossa da quei dolci sentimenti che cullavano la malinconia. 
  
“Sono delle splendide parole.” 
  
La voce di un uomo sussurrò suadente, mentre la sua figura si portava di fronte la ragazza rannicchiata su quello scatolone sul marciapiede. 
  
“Puedo saber quién está hablando?” disse lei alzando gli occhi, sorridendo disinteressata. 
  
Egli era un uomo molto alto, con un lungo cappotto blu, ed era davanti a lei a guardarla immobile, con un lieve sorriso disegnato sul volto. Dopo un breve silenzio schiuse le labbra appena e chinò il capo verso di lei mostrandole, da sotto i capelli biondi che cadevano sulla fronte, dei luminosi occhi verde chiaro. 
  
“Nonostante il tempo, ascolto sempre la tua voce con incanto, Cynthia.” le disse. 
  
Cynthia Velasquez inarcò le sopracciglia, come stregata da quell’uomo dall’apparenza trascurata, eppure da un volto così bello e penetrante. 
Lo guardò con più attenzione, cercando di capire dove lo avesse già incontrato. 
  
“Conosci il mio nome? Non sarai uno dei miei ammiratori che, segretamente, mi spia al Night Club?” lo provocò lei. 
  
L’uomo a quelle parole sorrise appena. Scostò una ciocca di capelli dal viso che andò a battere sul collo assieme alle altre ciocche. 
  
“Ho già ascoltato le tue canzoni nei bassifondi.” 
  
La donna dai capelli castano scuro rise nell’udire quella risposta e si alzò. Guardò il ragazzo biondo scrutandolo dalla testa ai piedi con fare decisamente indiscreto. Lo esaminava ammiccante e sembrava davvero interessata di vederlo così tranquillo, a guardarla per nulla turbato dai suoi atteggiamenti. 
Poggiò una mano sul suo petto e gli rivolse i suoi occhi color nocciola, contornati da un vistoso ombretto color magenta e dalle lunghe ciglia infoltite dal mascara. 
  
“…mmmm…sei davvero carino.” gli si rivolse e allungò le mani sempre di più verso il suo viso. “Peccato che tu non vesta un bell’abito e abbia un’aria così trascurata, altrimenti sarei anche potuta uscire con te, lo sai?” 
  
Lui sorrise appena e continuò ad osservarla, non allontanando lo sguardo da lei, tant’è che la ragazza fu molto incuriosita da quell’atteggiamento. 
Lei che era una provocatrice, lei che riusciva a tentare gli uomini solo con uno sguardo. Lui invece era lì e sembrava come se conoscesse perfettamente le sue strategie. 
  
Quel che stava avvertendo Cynthia, nell’incrociare quegli occhi irriverenti, era inconcepibile, irrazionale… 
Come se…assurdamente…lui… 
  
…lui la conoscesse. 
  
  
Non una semplice conoscenza. 
  
  
Era come se conoscesse la sua anima. 
Come se potesse leggerci direttamente dentro. 
  
Si allontanò da lui leggermente turbata. Continuò comunque a scrutarlo, cercando di mascherare il suo reale disagio. Prese a camminare, inoltrandosi in quella strada trafficata e caotica. L’uomo la seguì e Cynthia gli si rivolse. 
  
“Sei quindi già venuto al Night Club dove mi esibisco? Allora che ne dici se ti faccio un regalo?” 
A quel punto Cynthia gli fece una proposta. “Stasera mi esibisco, ma con quegli stracci non potresti mai entrare, però se dico al capo che sei con me, la cosa si può fare.” 
  
L’uomo dai capelli biondi strinse gli occhi in modo dolce, con un’espressione beata. 
  
“Volentieri. E’ da te, qualcosa di simile.” aggiunse. 
  
Cynthia ebbe un terribile brivido addosso, nell’udire quelle parole. Era come se, sorridendole, lui volesse quasi dimostrare che si aspettasse perfettamente da lei una reazione simile. 
Tuttavia com’era possibile? Lei, quell’uomo dal cappotto blu, non lo aveva mai visto prima di allora. Come si spiegava una cosa del genere, dunque? 
Ancora una volta cercò di non dar peso a quella sensazione di inquietudine, e si avviò invece nel locale della periferia, dove presto avrebbe dovuto andare a lavorare. 
La pioggia continuava a scendere incessante. 
  
  
  
“Un leggero fiore delicato, in quel momento, era stato abbandonato lungo il marciapiede dal destino e attendeva solamente quella dolorosa morte solitaria. 
La pioggia, che incessante batteva, lo avrebbe annegato e trascinato verso il vuoto, verso il nulla più profondo. 
Eppure quel fiore credé per un attimo che la pioggia desiderasse soltanto salvarlo e volesse donargli un po’ di quell’ amore mancato… 
…e si lasciò dunque trascinare.” 
  
  
  
  
*** 
  
[APPARTAMENTO 302, in cucina. South Ashfield Heights] 
  
Henry Townshend non mangiava da giorni. Questo perché semplicemente era da tempo che non riusciva più ad assecondare gli stimoli della fame. 
Da quando erano iniziati gli incubi, non era stato capace di sedersi una sola volta a tavola e godersi un sano pasto completo. 
L’ultima volta che aveva tentato di metter giù un boccone, si era allungato verso i mobili bianchi della cucina e aveva cercato qualcosa di commestibile in scatola. Non era sua abitudine fare della spesa ultimamente e dunque andava benissimo qualsiasi cosa. Tuttavia, una volta aperto quel barattolo con l’apriscatole, uscì un tanfo così terribile che fece nauseare completamente il giovane abitante dell’appartamento 302. 
Disgustato, guardò il retro del barattolo mentre lo avvicinava alla spazzatura. Vi era scritto che era scaduto già da due anni. 
L’aveva comprata quando si era appena trasferito!? 
Quell’ultimo tentativo, comunque, gli bastò per evitare di cucinare qualcosa nei giorni a venire. 
  
A questo punto sembra abbastanza ovvio comprendere quanto rimase disgustato anche in quel momento, quando finalmente aveva ripreso la vana voglia di gustare qualcosa dopo giorni, di ritrovare ad attenderlo nel mobile una serie di alimenti belli ammuffiti pronti per lui. 
  
“Tsk…mi è passato di nuovo l’appetito.” 
  
Chiuse il mobile violentemente e si diresse, nauseato, in camera sua. Le cose andavano terribilmente male in quel periodo e non ne poteva più. Aveva bisogno di rilassarsi assolutamente, non poteva continuare in quel modo. 
Oltrepassò la serie di banconi bianchi e si poggiò vicino al muro del salotto. Guardò apatico le pale del lampadario girare mentre la sua mente cominciò a vagare. 
Perché era così difficile per lui tornare alla normalità? 
Oramai continuava a chiederlo quasi con ossessione. Più passavano i giorni, più entrava negli incubi, e più quella domanda diveniva per lui solo una scusa per non impazzire. 
Il suo sguardo, in quel momento, cadde sulle fotografie poste sul comodino affianco a lui. Le guardò appena e avvertì una forte nostalgia in corpo. 
Non aveva molte fotografie personali, più che altro, Henry fotografava paesaggi, ambienti che per lui avevano significato qualcosa… 
Ma per quanto riguardava foto inerenti alla sua vita, Henry non aveva mai conservato nulla. Non vi era una foto dei suoi amici, di sua madre, di suo padre, di nessuno… 
Ne aveva solo due. 
Una che lo ritraeva da bambino e una durante la cerimonia della maturità. Fissò il suo sorriso innocente, quello di quando era ancora così giovane e salì la rabbia in corpo. 
Quel sorriso…era una menzogna. 
Lui non aveva avuto un’infanzia felice, come quel bambino lì ritratto lasciava credere. L’uomo lascia tracce di sé nel mondo, ma non sempre le tracce riflettono la realtà nella sua crudezza più sincera. 
Henry afferrò istintivamente la foto di laurea e anche quella non era capace di trasmettere nulla per lui, se non una profonda rabbia. 
Guardò il se stesso di qualche anno prima mentre festeggiava la maturità con i colleghi e rimase a fissare quel vetro lasciando partire nella sua mente molteplici ricordi. 
  
Egli aveva studiato all’università di Pleasent River, ed era lì dove, solitario, qualcosa cambiò nella sua mente. 
Aveva alla lunga trattenuto quegli istinti, ma oramai erano già da tempo vivi, palpitanti dentro di lui. 
Pulsavano, pulsavano forte. 
E oramai…non c’era più nulla da fare. 
Non poteva essere più fermato. 
  
Henry cominciò a provare una grandissima rabbia e senso di incomprensione. Se solo… 
  
Se solo non fosse stato così solo e abbandonato... 
…tutto quello non sarebbe mai successo. 
Ricordava i verdi prati del campus, dove passava gran parte del suo tempo. 
  
E…lui… 
  
Il bruno all’improvviso sgranò gli occhi e prese a tremare. 
  
Nella sua mente cominciarono a pulsare sempre più forti delle emozioni mai provate prima. Erano emozioni di grande rabbia e devastazione. La devastazione di chi covava una profonda vendetta verso il mondo intero. 
E un ragazzo biondo, alto, con gli occhi verde chiaro, di colpo apparve nella sua mente, seduto su quel prato. 
Il suo sguardo oramai era già disincantato. A quel tempo, l’assassino Walter Sullivan era già nato e nessuno avrebbe mai potuto fermarlo. 
  
“Ah! La testa..!” 
  
Henry urlò, avvertendo una terribile fitta al cervello che lo costrinse in ginocchio. Portò una mano sul capo e si coprì il viso dolorante. 
Il dolore passò solo dopo una manciata di secondi e Henry si sentì terribilmente confuso. 
  
Lui…cosa aveva ricordato? 
Quelli..non erano i suoi ricordi! Né i suoi sentimenti…Cosa diavolo era accaduto? 
Prese a riflettere fra sé. 
  
“Io non ho frequentato il campus di Pleasent River…” disse con voce sottile, scostando la mano dal viso. 
  
Si accasciò definitivamente a terra e cominciò a respirare profondamente. 
Anche se visibilmente più giovane, non aveva alcun dubbio. Aveva visto Walter Sullivan nella sua mente. 
Ma quello era un ricordo che non poteva assolutamente appartenergli. Com’era possibile? 
  
“Cosa mi sta accadendo?” 
  
Vedeva e sentiva emozioni che mai avrebbe potuto conoscere, ne che facessero parte in qualche modo della sua vita. 
Tutto si ricollegava, invece, alla folle figura di Walter Sullivan. 
Persino i suoi ricordi, adesso… 
  
Ispirò nuovamente, facendo di tutto per non crollare. In quel momento non poteva farlo. Eppure sentiva che le forze lo stavano abbandonando sempre di più. 
Non aveva il coraggio di chiedersi realmente perché. Aveva paura di scoprire la terribile verità dietro i suoi viaggi. 
  
Dietro il suo essere ricevitore di saggezza. 
  
Quando lo avrebbe saputo, sapeva che non avrebbe avuto più scampo. Tuttavia si ritrovava ancora in quel tunnel e non poteva far altro che proseguire. 
Se non fosse stato lui, sarebbe stato Walter a raggiungerlo. Henry non poteva sottrarsi. 
  
Girò lo sguardo e solo allora la sua attenzione ritornò al buco in salotto. 
Era turbato. Si chiedeva cosa dovesse fare, ma allo stesso tempo, aveva paura di andare a controllare. Non che avesse tanta scelta, in verità. Si avvicinò appena e decise di affacciarsi. 
  
I suoi occhi scorsero nuovamente la metropolitana sotto casa sua. 
  
Vedeva l’interno del treno, come sempre. 
Da quella mattina non faceva che osservare quello scorcio e nulla era cambiato. 
Dei grossi reticolati si scorgevano appena e incatenavano saldamente dei fantocci bianchi mutilati. Erano senza il capo e nessuno rappresentava un soggetto in particolare. 
Si trattavano di busti, gambe, braccia… 
Tutti erano buttati lì, come inchiodati a quel treno immobile. 
  
Solo un dettaglio accomunava tutti quei fantocci e parti dell’anatomia umana…erano tutti appartenenti a una donna. 
  
Era inequivocabile quel dettaglio e traspariva in ogni fantoccio che poteva scorgere. Era terribile, quasi sentiva l’ansia assalirlo. 
Perché, anche se solo dei fantocci, sembravano quasi soffrire anch’essi della loro stessa ingrata condizione. 
  
  
Drii-driii… 
  
  
“C-cosa?” 
  
Il telefono squillò all’improvviso ed Henry fu costretto ad alzarsi e ad allontanarsi da quel foro. Si chiese chi poteva mai essere a quell’ora del pomeriggio. 
Il cuore prese a battere forte, ma corse ugualmente verso la camera da letto. Si avvicinò al telefono posto sul comodino accanto al letto e alzò la cornetta mentre prese posto sedendosi sul materasso. 
  
“Pronto?” chiese con voce bassa. 
  
Henry corrucciò le sopracciglia quando si accorse che dall’atra parte non stava rispondendo nessuno. Dall’altro lato del telefono, sentiva solo la linea terribilmente disturbata. Eppure, aveva come la sensazione di sentire il respiro di qualcuno. Era uno stupido scherzo di qualche ragazzino? 
  
“…pronto?” richiese. 
  
La voce che gli rispose, tuttavia, non era quella ridacchiante di qualche teppistello. Era l’affannata voce di una donna. 
Henry sgranò gli occhi quando udì quella voce, quasi terrorizzata ed esausta. 
Poteva avvertire l’ansia di quella donna solo udendone la voce. Ella disse solo una parola, chiara, prima di riattaccare il telefono. 
  
“…aiutami.” 
  
“…pronto? Chi è che parla? Signorina!” urlò lui. 
  
Guardò la cornetta del telefono, udendo il segnale che indicava che la chiamata era terminata. 
  
“Dannazione…” disse. 
  
Riattaccò il telefono anch’egli. Chi poteva mai aver chiamato? Che cosa voleva? Come aveva ottenuto il suo numero? 
Subito le sue labbra si mossero da sole, spontanee, mentre la mente ancora non riusciva a spiegarsi il perché. 
  
“Cynthia..?” disse. 
  
Non ne era certo ma… 
La voce sembrava proprio la sua. 
Cynthia Velasquez era una donna estroversa che Henry aveva conosciuto per brevissimo tempo, eppure questo gli era bastato per renderla incancellabile dalla sua mente. Il perché non lo sapeva nemmeno. Fatto sta che quella voce più ci pensava, più gli sembrava proprio la sua. 
  
“Ma non può essere lei…perché Cynthia…” 
  
Cynthia era morta. 
  
Chiudendo gli occhi aveva ancora davanti a sé quella terribile scena, per giunta avvenuta in un momento nel quale era incapace di comprendere il perché di quel brutale destino. 
Una volta levata via la placca con su scritto ‘tentazione’ , egli entrò nella porta e le parlò per l’ultima volta. 
Il sangue che trovò dinanzi a sé aveva sporcato l’intero ufficio della metropolitana, macchiando di rosso finestre, sedie, documentazioni, pavimento… 
E il tutto convergeva nella figura di Cynthia stesa a terra. Lei aveva paura, e aveva freddo. 
  
Henry comprese subito che stava morendo. 
Eppure Cynthia cercava di non dar peso a quelle emozioni. Sentiva che non stesse davvero accadendo. Perché, semplicemente, non poteva crederci. 
  
Riportò alla mente la loro prima conversazione, avvenuta vicino le scale mobili della metropolitana. 
  
  
“Quindi…tu credi che questo sia un sogno?” le chiese Henry. 
  
“Se questo non è un sogno, allora cos’è?” gli rispose lei suadente, incapace anche in quel momento di capacitarsi della situazione. 
  
  
Anche nel momento della sua morte, quel freddo…lei… 
Era stata incapace di accettarlo. 
  
  
“Questo…è solo un sogno, vero? Devo…devo aver bevuto troppo l’altra notte…Io, ah…mi sento di morire.” 
  
“Tranquilla, è solo un sogno.” 
  
  
Cynthia allora si spense. 
Henry non aveva potuto far altro che credere con lei che quello fosse solo un terribile e macabro incubo. 
Magari fosse stato davvero un sogno…invece era accaduto davvero. 
Inspiegabilmente, Cynthia era morta in quella metropolitana e nessuno avrebbe mai potuto salvarla. 
Henry non aveva più voglia di ricordare. Semplicemente non ne poteva più. E Cynthia…era uno di quei ricordi che più lo tormentava. 
  
Alzò il capo e guardò in direzione della porta. 
Si chiese se quella chiamata non avesse voluto proprio fargli rievocare quella giovane donna con gli occhi ancora rivolti al futuro, così pieno di promesse e speranze. 
Una parte di sé capì che era esattamente così, ma avvertì un forte turbamento che gli impediva di accettare che fosse giunto il momento di ricapitolare la sua storia con Cynthia. 
Inspiegabilmente, non era affatto pronto nell’affrontare quella parte dell’incubo. 
Così Henry si sdraiò sul letto e decise di ignorare quella telefonata. Guardò apatico il soffitto e si sentì affranto, terribilmente sfiduciato. 
Non aveva il coraggio di entrare nella realtà parallela. E non era solo per via dello stress. Era perché era terribilmente inutile. 
  
Era inutile perché… 
Tanto lui… 
  
  
Non avrebbe comunque potuto far niente per salvarla. 
  
  
*** 
  
[SOUTH ASHFIELD, in un Night Club della periferia] 
  
“Te ha gustado?” 
  
Cynthia si avvicinò al tavolino di legno, dove era seduto nella penombra il giovane dai capelli lunghi e biondi. 
Fino a quel momento era sembrato assorto nei suoi pensieri, mentre beveva distrattamente un bicchiere di liquore economico. 
Lei poggiò i gomiti sul tavolino e lasciò scivolare il viso sul dorso delle mani. 
Guardava quel tipo con curiosità. Una curiosità che sembrava essere ricambiata. 
Lui allontanò la sigaretta dalla bocca e lanciò via il fumo, per poi spegnere la cicca nel portacenere. 
Cynthia sorrise, quel tipo di uomini le piacevano. Alti, con uno sguardo arrogante e sicuro, con la sigaretta. Anche se visibilmente era uno straniero dall’aria trascurata, lei non era mai stata tipo da tirarsi indietro. 
Il biondo la stava ancora osservando con discrezione, mentre lei noncurante sfilò dalla mano di lui il bicchiere di liquore e bevve un sorso. 
Poggiò le labbra carnose, inscurite dal rossetto rosso, sull’orlo del bicchiere in vetro, pressandole finché non sentì il forte sapore dell’alcolico. 
L’uomo sorrise appena mentre lei ammiccò in quella penombra. 
  
“Sei l’ultimo cliente rimasto, lo sai?” 
  
Cynthia girò il capo a destra e a sinistra facendo notare che il locale fosse già completamente vuoto, ad eccezione di loro due. 
Anche le luci del palco erano oramai spente e Cynthia aveva persino avuto modo di cambiarsi e di indossare i suoi abiti normali. L’uomo biondo comunque non le rispose, si limitò ad osservarla in silenzio. Poggiò il braccio sullo schienale della sedia in legno e si adagiò mentre, con l’altra mano, prese a sfiorare l’orlo del bicchiere di vetro con l’indice. 
Lei, vista la sua reazione, rise e sdraiò definitivamente il busto sul tavolo. 
  
“Ah…ah! Sei un tipo interessante, tu. Dov’è che ci siamo già conosciuti?” gli chiese. 
  
Il biondo le rispose con voce bassa e interessata. 
  
“Non pensavi fossi un tuo ammiratore?” 
  
“Mi ricorderei di uno come te. Andiamo, non fare il misterioso.” lo provocò lei. 
  
A quel punto, lui rise appena. Sembrava sinceramente intenerito da quella ragazza spontanea e superficiale. La guardava mentre lei prendeva a scrutarlo in maniera irriverente, quasi a vedere se egli si tradisse in qualche modo. 
Walter così poggiò il mento sul dorso della mano e inarcò le sopracciglia mostrandole il suo completo disinteresse nel risponderle. Come si aspettava, Cynthia rise di nuovo, sempre più divertita. Continuò imperterrita a porgli domande su domande. 
Domande alle quali lui rispose a sillabe. Cynthia riuscì ad ottenere da lui a stento il suo nome. 
  
Parlarono per diverso tempo, o meglio, fu Cynthia a raccontare di tutto e il biondo la ascoltò senza fiatare, come se fosse incantato dal modo di fare di lei, così estroverso e diverso da lui. 
La bruna s’interruppe solo dopo un po’.  Bevve un altro sorso e finì l’alcolico. 
  
“Quindi ti chiami Walter, giusto? Da dove vieni?” 
  
“Da nessuna parte.” 
  
Cynthia, nonostante fosse leggermente brilla, rimase perplessa di quella risposta. 
  
“Una casa l’avrai, no? Sarai arrivato qui da qualche parte..!” 
  
Walter scosse la testa. 
  
“Temo di doverti deludere ancora, Cynthia. Non ho mai avuto una casa.” 
  
“Un vagabondo, quindi? Cavolo…perché ti sto parlando allora? Ah, ah…scherzo!” disse, sentendosi completamente sfinita e leggermente turbata. 
  
Quell’uomo… 
Chi era per davvero? 
Aveva la terribile sensazione che la stesse prendendo in giro, ma non aveva elementi per dire il contrario. Rise ancora, cacciando quei cattivi pensieri, e fece per alzarsi. Traballò appena ma per fortuna riuscì a mantenere l’equilibrio. Guardò Walter e gli indicò la porta con gli occhi. 
  
“…Ora devo chiudere. È davvero tardi. Guarda che se la prenderanno con me. Non vorrai farmi sgridare dal capo, vero?” 
  
A quel punto Walter fece per alzarsi. Infilò nuovamente il cappotto blu scuro e si diresse verso l’uscita con lei. 
Cynthia attese che lui uscisse e poi chiuse la porta del Night Club della periferia. Si girò per andare via, ma vide che Walter era ancora li affianco a lei. 
  
“Te l’ho detto. Sei carino, ma non siamo fatti per stare assieme. Sarà meglio che tu vada.” 
  
Lei sospirò. Di uomini che le ronzassero intorno ne aveva fin troppi e un altro, per di più senzatetto, certamente non le serviva. Anche se era di bell’aspetto. 
  
“Presto tornerò a casa mia, Cynthia. Non è lontana da qui, lo sai?” le disse lui, all’improvviso. 
  
La bruna corrucciò lo sguardo. 
  
“Non avevi detto di non averla, una casa?” chiese. 
  
Lui annuì, confermandole ciò che aveva detto in precedenza. 
  
“E’ vero. Però casa mia esiste, e per tornarci…io ho bisogno di te.” aggiunse. 
  
“Non sono una ladra, se è questo ciò che intendi.” 
  
Walter pazientò e le sorrise. La guardò intensamente facendola quasi sussultare. Socchiuse le labbra e sussurrò delle parole. 
  
“Non sei una ladra, Cynthia. Tu sei molto meglio di una ladra.” la indicò con l’indice della mano. “Tu mi farai entrare nell’appartamento di South Ashfield Heights. Non è lontano da qui, dico bene?” 
  
Cynthia scosse la testa, completamente confusa e disorientata. Quell’uomo che diavolo stava dicendo? Probabilmente stava solo bleffando, o aveva bevuto troppo. Tuttavia guardando i suoi occhi, luminosi e intensi, aveva l’impressione che egli sapesse perfettamente cosa stesse dicendo. Continuava a guardarla fisso, ininterrottamente, con quegli occhi che brillavano quasi, in quel vicolo celato dalla notte scura. 
Lei cominciò ad avere delle forti palpitazioni, adesso avendo paura di quell’uomo che aveva di fronte a sé. 
  
“Tu sei completamente pazzo. Oggi ti ho fatto un piccolo regalo, ma non sperare in un appuntamento con me, adesso.” 
  
Frettolosamente, fece per andare via, ma immediatamente Walter le afferrò un polso con le sue robuste mani, mostrandole una forza inaspettata. Cynthia cercò di divincolarsi, ma il biondo sembrava non voler affatto lasciarla scappare. 
Scosse il braccio più volte e si sentì nel panico. 
  
“Mi fai male, lasciami!” 
  
Con la mano libera, fece per mollargli uno schiaffo, ma lui le bloccò prontamente anche l’altro polso, ridendole in faccia alla vista del suo sguardo sgomentato. 
Cynthia prese a strillare, ma nessuno, in quello stretto vicolo sarebbe mai corso in suo aiuto. 
Walter rise ancora. Più Cynthia sembrava andare in panico, più lui stringeva la presa e l’avvicinava a sé. Allungò il volto verso quello di lei e la guardò incessante negli occhi. 
  
“Mi porterai dalla Santa Madre, Cynthia. E la incontrerò proprio qui, a South Ashfield.” l’avvicinò ancora di più, fino a sentire il suo respiro affannato. 
Era estasiato da lei, dal suo sguardo che, anche se terrorizzato e arrabbiato, era incredibilmente suadente. “Oh, Cynthia…sei bellissima. Ogni volta che guardo i tuoi occhi…capisco perché io…io ti ho scelta…” 
  
La ragazza era oramai paralizzata da quello sguardo folle, vitreo e intenso. Walter le lasciò un polso per portale la mano sul suo viso. La accarezzò delicatamente e sorrise, avvicinando poi le labbra a quelle della donna che rimase immobile, con lo sguardo perso e sgomentato. 
Walter lasciò scivolare la mano dal viso alla schiena di lei e la cinse violentemente per baciarla. La sua bocca esplorò intensamente la sua Cynthia, mentre ella si rendeva sempre meno conto di ciò che stesse accadendo. 
La sua tentazione era caduta a sua volta nella ragnatela del carnefice, in quel bacio violento e agognato. 
Sospirò intensamente lasciando che anche il fiato affannato di Cynthia soffiasse sulla sua pelle, mentre avvertiva quasi il respiro venir meno. 
Cynthia chiuse gli occhi e fece di tutto per sottrarsi a quel bacio e la paura prese il sopravvento. 
L’ansia continuava a crescere incessante e così scaraventò via Walter che, con la bocca ancora schiusa, le sorrise soddisfatto. 
  
“La tentazione. Non sai quanto ti amo.” le disse. 
  
Cynthia aveva ancora il respiro affannato. Lo guardò con gli occhi sgomentati e la rabbia di una ragazza di strada in corpo. 
  
“Ti sembro il tipo di donna che accetterebbe di frequentare uno come te?! Fai schifo!” gli urlò, avvertendo la pelle scaldarsi terribilmente. 
  
A sua grande sorpresa, però, Walter non si risentì. Anzi, cominciò a ridere di gusto. Una risata angosciante per Cynthia, in quel buio per nulla rassicurante. 
  
“Eh, eh…Proprio come l’ultima volta. Non sei cambiata granché negli ultimi sedici anni.” le disse, trattenendo a stento il ghigno diabolico. 
  
“Sedici…anni..?” disse lei, sotto shock. 
  
Qualcosa nella sua mente prese a vibrare forte e delle vertigini percorsero il suo corpo, facendola quasi venir meno. 
  
Quel volto… 
Quella risposta… 
  
Lei l’aveva già incontrato. Se ne era ricordata solo adesso. 
Era come se la sua mente avesse all’improvviso ripescato un ricordo lontano e rimasto offuscato fino a quel momento. 
  
No… 
  
Non era possibile. 
Non poteva essere vero. 
  
  
*** 
  
  
  
“…Toccasti il mio corpo, un giorno, e ancora brucia dolcemente. 
Io non dimenticherò quel che non può più esserci. 
Nella mia mente piango senza trovare nulla. 
Più e più volte sento qualcosa dentro di me distruggersi…” 
  
(Your Rain) 
  
  
  


16 anni prima… 
  
  
[SOUTH ASHFIELD , Nella metropolitana.] 
  
Cynthia era appena una tredicenne, a quel tempo. 
La pelle ambrata e le lunghe gambe snelle la facevano apparire più grande delle sue coetanee e questo attraeva molti ragazzi di Ashfield. 
Inoltre… 
Cynthia era bellissima. Ella, con un carattere mondano e frizzante, già allora ostentava senza problemi il suo fascino, pienamente consapevole e disinvolta del suo apparire. 
Era finito da poco il doposcuola e la bruna si trovava nei pressi del sottopassaggio della metropolitana, non lontana dagli appartamenti di South Ashfield Heights. Allungò un braccio e richiamò i ragazzi che erano con lei, che la seguirono all’unisono. 
  
“Hai fatto i biglietti?” chiese uno di loro. 
  
“Che importa? Per King Street sono due fermate e basta.” rispose lei noncurante, estraendo dalla borsa un lucidalabbra colorato che stese velocemente sulle labbra carnose. 
  
Osservò la sua figura nello specchietto e strinse le labbra fra loro, lasciando che il lucidalabbra si sistemasse in maniera uniforme. Posò tutto in borsa, prendendo delle decollete rosse che infilò sotto gli occhi perplessi dei suoi compagni di classe. Corse poi velocemente per la scalinata mostrando una grandissima disinvoltura con quel look, nonostante la giovanissima età. 
Una volta giunti ai binari, Cynthia estrasse la tessera e assieme agli altri fece per oltrepassare le sbarre e raggiungere la metro. 
  
“Abbiamo ancora qualche minuto, Cynthia.” 
  
La ragazza dunque si avvicinò allo spiazzale e portò le mani sui fianchi curvilinei guardando attorno a sé. 
  
A quell’ora non c’era molta gente per cui non fu difficile, per i ragazzini, scorgere nuovamente quell’uomo. 
  
Non sembravano particolarmente sorpresi di vedere quella figura, perché l’uomo in questione era ben conosciuto da chi viveva in zona. 
Veniva infatti spesso visto aggirarsi da quelle parti, talvolta persino dormendo nella metropolitana, avvolto in un sacco a pelo. 
Aveva un’apparenza giovane. Dall’aspetto sciatto e dagli abiti trascurati, trasmetteva un’idea inquietante che allontanava la gente. 
Inoltre, ogni qual volta Cynthia si ritrovasse a guardarlo, egli sembrava sempre contraccambiarla, come se non facesse altro che fissarla timidamente da lontano. 
  
Quel giorno, invece, la bruna vide quell’uomo avvicinarsi per la prima volta, all’improvviso. Nemmeno ci fece caso e subito sbandò quando se lo ritrovò così vicino. 
  
"S...Scusa...mi" le disse lui con un filo di voce. 
  
Cynthia era ancora molto sorpresa e continuava a osservarlo incredula. Lui intanto continuò. 
  
"Ecco....quell'appartamento..lì....la stanza 302..." 
  
Alzò la mano e fece per indicare in direzione degli appartamenti di South Ashfield, quando uno degli amici di Cynthia allontanò la ragazza da vicino l’uomo. 
  
"Chi diavolo è questo pezzo di merda?" intimò. 
  
“Andiamo, fatela finita.” rispose lei, cercando di non far perdere a nessuno la calma. 
  
“Non farti scocciare da lui.” 
  
Gli amici la presero per le spalle e l’allontanarono. 
Mentre facevano per trascinarla lontana da lui, l’uomo prese nuovamente parola. 
  
“Vengo da Silent Hill…” 
  
Cynthia si ritrovò in quel momento ad incrociare gli occhi verde chiaro del giovane e, per la prima volta, si rese conto che, esclusi i capelli biondi scomposti  e gli abiti ingombranti, doveva essere abbastanza giovane. All’incirca diciotto anni, poco meno o poco più. 
Tuttavia lo ignorò e seguì i suoi compagni di classe che si tenevano a distanza da lui. Girò i tacchi e ancheggiò noncurante nei pressi del sottopassaggio che portava ai binari. 
  
“Non parlategli. Stategli lontano, okay?” aggiunse per rassicurarli. 
  
“Aspetta, Cynthia!” disse il vagabondo, cercando di trattenerla. 
  
A quel punto lei si voltò. 
Furono inutili le preoccupazioni degli amici che la invogliavano a non avvicinarsi. 
Con pochi passi spediti, infatti, lei fu di nuovo di fronte a quell’uomo. 
Lei alzò lo sguardo e allungò la mano destra verso il suo viso senza alcun remore. La sua mano era affusolata e delicata, con le lunghe unghie laccate di rosso. 
Esse creavano un forte contrasto con la pelle trascurata di lui, con un accenno di baffi e barba incolta. 
  
"Ehi, mi hai fraintesa.” gli disse. “Sei carino....ma questo non vuol dire che io ti ritenga attraente." 
  
Lo continuò ad osservare imperterrita, sorridendo leggermente ammiccante. Era ben conscia di lasciare gli uomini incantati con il suo aspetto ed era una consapevolezza che viveva con grande scioltezza nonostante i suoi tredici anni. Un tipo di scioltezza che, ancora una volta, non la faceva apparire una ragazzina, qual’era invece nella realtà. 
Riprese parola, sotto gli occhi del ragazzo che fuggivano e venivano a lei. Cynthia avvertì chiaramente che egli fosse poco abituato alla vicinanza delle persone.
  
"I tuoi vestiti, poi, sono sporchi, e puzzano...Pensi che siano cose che interessano ad una ragazza come me? Non esiste.” sospirò, poi aggiunse corrucciando appena la fronte. “Inoltre...come diavolo fai a conoscere il mio nome?" 
  
Egli rispose subito. 
  
 "Ah...b..beh...sono passati circa dieci anni da quando udii il tuo nome." 
  
Dopo aver sentito questo, Cynthia tolse repentinamente la sua mano dalla guancia del ragazzo. 
Che diavolo stava dicendo? Era per caso pazzo? 
Lo squadrò dalla testa ai piedi, mostrando chiaramente il suo disgusto. 
  
"Dieci anni? Mi hai spiato qui per dieci anni?? Ma fai schifo!" 
  
A quel punto Cynthia schizzò via da lui e scese le scale fino a raggiungere la piattaforma sottostante. 
La bruna sbuffò, leggermente turbata dalle parole di quel tipo. Preferì comunque non rendere partecipi gli amici del suo turbamento. Che cosa ne sarebbe stata della sua reputazione, poi? 
  
"Uff…non è il mio giorno. Che sfortuna incontrare un tipo del genere. Oh, beh...Devo decisamente andare a divertirmi. Credo che andrò in un night club." dichiarò ai suoi amici. 
  
"Non di nuovo, Cynthia...Passerai dei guai se scopriranno la tua età!" 
  
"Non preoccupatevi...non lo noteranno." disse lei infine e si avvicinò alla linea gialla cacciando nuovamente lo specchietto dalla borsa. 
  
Intanto, il giovane biondo era rimasto lì, esattamente dove aveva incontrato Cynthia. Osservava ancora, incantato, nella direzione in cui l’aveva vista sparire. 
Lei non lo sapeva… 
…ma lui la conosceva già da tempo. 
  
“Cynthia…” sussurrò. Guardò verso l’uscita della metropolitana e indicò nuovamente nella direzione che aveva indicato anche a lei. "Ecco....quell'appartamento..lì....la stanza 302...South Ashfield Heights." 
  
Socchiuse gli occhi e rimase immobile, per qualche attimo, sotto gli occhi minacciosi e intimidatori della gente. 
Egli stava riportando alla mente dei ricordi lontani. Dei ricordi che uno come lui non avrebbe mai dimenticato. Lui che aveva vissuto nella Wish House. Lui che aveva vissuto a Silent Hill. Lui…perché era Walter Sullivan e conservava preziosamente ogni  ricordo. 
  
  
10 febraio
Sono nuovo andatto a Ashfeeld.
Dinuovo no ho trovatto mamma.
Alcune ragasse cative sul treno mi anno deto cose cative e mi anno spaventato.
Lui mi ha picchiati dinuovo. 
  
(scritta rossa nella foresta di Silent hill) 
  
  
  
Eppure lui, Cynthia… 
L’aveva sempre trovata perfida e… 
Bellissima. 
  
  
*** 
  
  
[SOUTH ASHFIELD, nella periferia della città] 
  
L’uomo biondo con il cappotto rideva. Rideva velatamente, ma questo bastava per incutere terrore negli occhi della sventurata donna di fronte a lui. 
Cynthia portò una mano sulla bocca, terrorizzata all’idea di avere di nuovo, dinanzi ai suoi occhi, lui. L’uomo della metropolitana di South Ashfield. 
Walter rideva ancora, passando la lingua fra i denti come se stesse gustando le intense emozioni di Cynthia. 
  
“Io mi sono innamorato di te.” 
  
Con passi pesanti, si avvicinò a lei, rivolgendole quello sguardo sinistro ed intenso, eppure in qualche modo estasiato da quella donna che invece era paralizzata, poggiata al muro fatiscente del locale. 
  
“Innamorato? Non scherzare e vattene!” gli intimò, con voce tremante. 
  
“Ora sono venuto a prenderti. Non avere paura.” le disse. 
  
L’uomo, incurante, continuò ad avanzare e Cynthia cominciò a sentire il cuore palpitare così forte tanto da credere che potesse scoppiare. Istintivamente caricò sulle braccia tutta l’energia che aveva in corpo e scaraventò via Walter per scappare più velocemente possibile. 
Corse per le vie trascurate della periferia, in quel buio opprimente, facendo cadere all’aria gli scatoloni che trovava dinanzi a sé. Ruppe il tacco della scarpa non appena finì in una mattonella rotta, ma questo non le impedì di scappare e cercare un riparo lontano da quel folle. 
  
L’uomo smise di ridere e guardò intensamente nella direzione in cui era sparita Cynthia. Alzò poi il capo verso il cielo e osservò le numerose stelle. 
  
“16/21… Il Terzo Segno. E Dio disse, torna alla fonte attraverso la tentazione del peccato.” 
  
Chiuse gli occhi nuovamente, mentre altri occhi verdi si spalancarono, terrorizzati, nello stesso istante. 
  
  
*** 
  
  
[APPARTAMENTO 302, in camera da letto. Appartamenti di South Ashfield Heights] 
  
Due occhi verdi si spalancarono, terrorizzati, rimanendo a fissare il soffitto. 
  
“Ah!” 
  
Henry si alzo e portò la mano sul viso, ancora incredulo dell’incubo appena fatto. Allontanò lentamente la mano, mentre si capacitava sempre di più della sua visione. 
  
“Non era un sogno, quello…” mugugnò. “Oh, mio Dio…Cynthia…” 
  
In quel momento si alzò dal letto e fece per dirigersi verso il varco nel suo ripostiglio. Qualcosa, tuttavia, lo fermò proprio mentre stava girando il pomello della porta. Rimase immobile a fissare quella porta semichiusa, non sapendo perché avesse corso spedito per andare lì. 
  
“Era solo un sogno…che diavolo sto facendo?” disse a se stesso. 
  
Tuttavia era davvero poco convinto delle sue stesse parole. Era stato, infatti, un sogno fin troppo dettagliato.
Aveva visto Walter Sullivan, era come se fosse stato…lì…in quel locale di periferia e aveva persino… 
Scosse la testa. Non voleva nemmeno pensarci. 
Perché nel suo sogno lei, Cynthia…era così vera e…viva. 
Ma come poteva essere possibile? 
  
Il telefono, allora, squillò nuovamente. Henry andò a rispondere il più velocemente possibile, alzando la cornetta frettolosamente. 
  
“Cynthia!” urlò, quasi come se si aspettasse di udire proprio la sua voce. 
  
  
“La signora importante mi ha detto che la mia mamma è addormentata a South Ashfield…” 
  
  
Henry sgranò gli occhi quando si accorse che la voce non fosse quella di Cynthia. Era una voce molto più puerile, come…come quella di un bambino. Subito si rivolse a quella voce, assumendo un tono agitato. 
  
“W-Walter..? Come hai fatto a chiamarmi qui?!” 
  
  
“Anche io ho una mamma.” 
  
  
La voce gli rispose imperterrita, come se non lo avesse per nulla ascoltato. 
  
“Walter! Rispondi! Che diavolo sta succedendo?!” 
  
  
“Sono così felice.” 
  
  
Henry presto si rese conto che, se anche quello fosse stato davvero il piccolo Walter Sullivan, quella era una voce che non lo avrebbe mai riposto. 
Tirò dunque su un profondo respiro e avvicinò meglio la cornetta del telefono, cercando di ascoltare attentamente. 
La voce bisbigliava quasi ed Henry poteva avvertire l’emozione e la paura di quel ragazzino che stava scoprendo dell’esistenza della cittadina di Ashfield. La voce tuttavia era molto disturbata, per cui Henry non fu in grado di comprendere ogni parola. Si chiese se qualcosa non andasse con la linea e mentre fece per controllare i fili, udì un’eco provenire dal corridoio. 
  
“La siniora mprotante… a deto… la mia…a Asfeeld.” 
  
Sbandò colto alla sprovvista. Non ebbe il tempo di capire il senso delle parole, ma la voce era inequivocabile. Era quella del giovane Walter Sullivan. Ed era in casa sua… 
Cautamente si sporse fuori dalla porta della camera da letto. Scrutò discretamente, ma non vide nessuno in corridoio, così avanzò. 
  
Sebbene udisse ancora un bisbiglio a stento percettibile, sentiva come se si stesse avvicinando sempre di più alla fonte da dove provenisse. 
Quando si ritrovò nel salotto, gli venne spontaneo guardare verso il buco vicino il mobiletto di legno e subito deglutì quando si rese conto che quei bisbigli provenissero proprio da lì. 

“Voglio vedere la mia mamma. Ma dov’è Ashfield?” 
  
Si inginocchiò lentamente e poggiò il viso vicino il buco. 
  
Quel che vide fu la stessa scena che vedeva da tutto il giorno. L’interno di un vagone della metropolitana in movimento, dall’aria trascurata. 
Questa volta, tuttavia, non vi erano più quegli strani fantocci femminili, ma delle ragazze giovanissime che uscivano dal vagone, e si intravedeva un bambino biondo dal maglioncino a righe. 
Henry riconobbe subito, in quel bambino, il piccolo Walter. 
Si sorprese di vederlo con un volto così affranto. Sembrava quasi che singhiozzasse, ma che facesse di tutto per trattenersi. 
Per un bambino di quell’età era uno sforzo davvero grande quello di non piangere, ma egli riuscì a controllarsi. 
Nel vederlo in quello stato, Henry provò una strana morsa al cuore. Solo allora ricordò dei fogli di carta rossa scritti dal giornalista Joseph Schreiber relativi la sua indagine sul passato dell’assassino Walter Sullivan. 
  
Voglio riassumere tutto quello che ho appreso su Walter Sullivan finora.
E' nato proprio qui nell'appartamento di "South Ashfield Heights".
I suoi genitori lo hanno abbandonato poco dopo, e sono scomparsi lasciando il neonato tutto solo. Una volta scoperto fu mandato all'ospedale San Jerome.
Fu poi adottato dalla "Wish House", un orfanotrofio situato nel bosco di Silent Hill e gestito da un culto religioso segreto di Silent Hill. Aveva 6 anni quando un appartenente al culto gli mostrò dove era nato. Da allora iniziò a convincersi che l'appartamento 302 stesso, questo appartamento, l'avesse partorito. Ogni settimana andava dall'orfanotrofio a South Ashfield Heights, un bel tragitto per un bambino della sua età. A volte prendeva l'autobus, a volte la metropolitana.
Sono stanco...
Il mio mal di testa mi sta uccidendo. Riprenderò a scrivere domani.
28 Luglio
 
  
(diario rosso di Joseph Schreiber) 
  
Si chiese se stesse rivivendo quel momento della vita del giovane Walter. 
Continuò a osservarlo incessantemente, sperando di udire la voce di quelle ragazze che ancora si percepivano, sebbene a stento. Sembravano avercela proprio con il bambino. 
Henry non riusciva a comprenderne il motivo, ma del resto non sempre c’era una ragione a simili ingiustizie. 
Anche lui ne aveva subiti di torti, quando aveva all’incirca la stessa età. 
Sapeva dunque bene come anche i bambini…potessero essere crudeli. 
Vide negli occhi di quel bambino la forte amarezza dell’incomprensione e della solitudine, e l’odio che ribolliva dentro…ma allo stesso tempo la forza che gli dava la speranza di raggiungere South Ashfiel…ovvero sua Madre. L’unica cosa che forse gli rimaneva. 
  
Ricordò le sue parole al telefono: “Anche io ho una mamma! Sono così felice.” 
Chiuse gli occhi sentendosi angosciato. 
Quegli orrori che quel bambino avrebbe creato in età adulta... era in quel momento che avrebbero trovato la loro motivazione più grande. 
  
Di lì a poco, o forse era già accaduto, egli avrebbe confuso sua madre con l’appartamento 302. Questa consapevolezza lo trafisse, facendogli provare il duplice sentimento di pena e frustrazione. Questo perché di base quel bambino ricercava solo l’amore, la sua felicità, la sua…vita. Non gli avrebbe importato null’altro. 
Né le prese in giro, né le percosse, né il viaggio. 
Questo perché avrebbe rivisto sua madre. 
Lui…l’avrebbe salvata. 
Seppur con una logica del tutto folle ed inumana, nella sua mente era così. Forse... persino nella mente di Walter Sullivan adulto…era così.

D’altra parte, Henry avvertiva dentro di sé anche la frustrazione verso se stesso; verso quel momento che non fu che l’inizio del suo di incubo, il quale lo aveva ingabbiato in quell’universo controverso.
  

Toc toc 
  
  
“Henry, sei in casa?” 
  
Una voce improvvisa lo fece sussultare. Si voltò di scatto verso la porta. 
Eileen Galvin lo richiamava a gran voce e il ragazzo, lì per lì, rimase immobile, incapace di reagire. 
  
“Eileen…” sussurrò. 
  
Egli chinò il capo e socchiuse gli occhi. Stava sbagliando tutto con lei. Ma cosa poteva mai fare, altrimenti? 
Si alzò e lentamente si avvicinò alla porta d’ingresso. 
  
Avrebbe tanto voluto parlarle sinceramente. Nessuno meglio di lei avrebbe potuto comprendere cosa egli stesse vivendo. 
Questo non solo per l’incubo affrontato assieme, ma perché lui le voleva bene e avrebbe tanto desiderato averla vicina per non impazzire. 
Tuttavia non poteva dirle nulla fino a quando non avrebbe risolto il caso e…diavolo…non ne aveva idea di come sarebbe andata a finire. 
  
Si poggiò sulla porta con la schiena e abbandonò il capo, assorto nei suoi stessi pensieri. 
Socchiuse gli occhi e regnò il silenzio. Un silenzio tormentato che divideva i due giovani vicini di casa con quella porta che per sei giorni lo aveva imprigionato dentro. E tutt’ora lo teneva sigillato, impedendogli di raggiungere la ragazza. 
  
Henry sentì Eileen smettere di battere e sospirare affranta. 
  
“Lo so che ci sei…Henry…e so anche perché non mi stai aprendo…io…” 
  
Gli occhi verde pallido di Henry si rivolsero alla porta. Quasi gli sembrava di vedere Eileen dietro di sé, poggiata anch’ella dietro la porta dell’appartamento 302. La voce di lei, poi, si fece più profonda. 
  
“Io…prego ogni giorno, sperando che questo strazio finisca, Henry. Ricordalo. Ovunque tu sia. Ovunque tu sia…Io…” si fermò. “Tieni, ti passo un biglietto sotto la porta.” 
  
Il bruno abbassò lo sguardo e vide un foglietto ripiegato strisciare da sotto la porta. Lo afferrò e lo tenne stretto fra le mani, finché non sentì di nuovo Eileen da dietro la porta. 
  
“Ci vediamo presto, vero?” gli disse lei infine. Poi batté appena sulla porta e andò via. 
  
Henry aprì il foglietto di carta solo dopo che sentì l’appartamento 303 chiudersi. Lesse attentamente quelle parole e sorrise malinconicamente. Poi allontanò il foglietto da sé. 
  
“Mi dispiace…” sussurrò. 
  
Lui avrebbe fatto del suo meglio per non rimpiangere mai più nulla. Ne aveva lasciate correre fin troppe di occasioni per essere felice. 
Ancora una volta il destino gli era contro, ma non doveva tirarsi indietro. Se rimaneva fermo, non sarebbe cambiato nulla. 
  
Da dietro il bigliettino scrisse velocemente qualcosa, si affacciò dalla porta d’ingresso e si avvicinò all’appartamento 303. 
Tentennò un attimo, ma poi infilò il bigliettino sotto la porta di Eileen. Rimase un attimo a guardare immobile, prima di andar via. 
  
“Te lo prometto. Eileen.” 
  
Così si allontanò, rientrò in casa e attraversò il varco. 
  

*** 
  
  
[SOUTH ASHFIELD , nella metropolitana.] 
  
La testa di Henry Townshend doleva incredibilmente. Aprì gli occhi appesantiti dal viaggio nell’altra dimensione e guardò attorno a sé faticosamente. Gli ci volle del tempo per abituare gli occhi alla luce e scrutare così la vecchia metropolitana della città. 
Si trovava all’interno di uno dei vagoni del treno che, al momento, era fermo e sembrava completamente deserto. 
Prima di alzarsi e cominciare l’esplorazione si ritrovò a pensare a lei, a Cynthia. 
La prima persona che aveva visto morire lì dentro e nella realtà… colei che aveva segnato per la prima volta quel viaggio come un vero incubo macchiato dal sangue. 
Strinse i pugni, risentendo dentro di sé quelle emozioni che non gli avevano permesso di solcare il buco, prima. 
Ricordare tutto quel che era legato a quel suo primo viaggio nell’otherworld di Sullivan, quando era ignaro di tutto…fu…tremendo. 
  
Cynthia… 
Avrebbe dunque incontrato lei, questa volta? 
  
Sentiva un leggero turbamento in corpo pensando ad una simile eventualità, questo perché Cynthia era entrata profondamente dentro di lui. 
Oltre che per le tragiche circostanze che li avevano separati, c’era dell’altro. Lo sentiva nitidamente. 
Qualcos’altro premeva sul suo cuore oltre al significato personale che attribuiva a quella donna. 
  
Quel turbamento…era per via dei sentimenti di Walter Sullivan nei suoi confronti? 
Talvolta se lo chiedeva, ma come avrebbe potuto essere possibile? 
  
Gli venne in mente lo strano sogno che aveva fatto. Aveva visto proprio lei, quella donna di origini ispanico-americane, e l’aveva vista parlare con l’assassino. 
Non solo. L’aveva vista anche in una versione adolescenziale mentre incontrava lo stesso uomo che poi, sedici anni dopo, l’avrebbe uccisa. 
Poggiò una mano sul capo, completamente disorientato. 
Era stato solo un sogno dovuto alla suggestione del momento? Era accaduto veramente? 
  
La cosa che lo turbava maggiormente, tuttavia, non era tanto questo… 
Henry, in quel sogno, non era stato un semplice spettatore. Aveva visto il terrore di Cynthia riflesso nei suoi occhi e...aveva provato le emozioni di Walter Sullivan. 
Il suo essere estasiato da lei, la sua consapevolezza che ella fosse la prima vittima della terza rivelazione del rituale sui ventuno sacramenti… 
Stringendo le labbra, sentiva ancora il calore penetrante di Cynthia sulla sua pelle…
 
Portò una mano sul visto e provò orrore di ciò che aveva avvertito. 
Non riusciva semplicemente a capacitarsi che qualcosa anche nella sua testa stesse cambiando.
 
Senza contare che nella sua mente stessa ultimamente stavano cominciavano a riaffiorare ricordi sull’uomo biondo che mai avrebbe potuto avere. 
Quasi come una connessione indissolubile e involuta li avesse legati.
 
  
Si alzò poggiandosi appena sulla panchina, facendo così cadere una scatola rossa che era già in bilico sull’orlo. 
  
“Nh?” sussurrò e riconobbe quella scatola. 
  
Era la scatola nel “prezioso trenino di Walter”. Quella che aveva aperto con una chiave giocattolo che gli aveva passato il bambino stesso da sotto la porta. 
  

Mamma, ti do cuesto cuindi svegliati presto.
E' dentro al mio trenino. 
  
(messaggio del bambino trovato sotto la porta dell’appartamento 302) 
  

Osservò la scatola. Era aperta e le catene erano sparse lungo lo scompartimento. Il bruno deglutì ricordando l’ultima volta cosa ci fosse al suo interno. 
La moneta da utilizzare per ottenere la chiave del delitto. 
La chiave che avrebbe aperto la porta dove avrebbe trovato Cynthia esamine. 
Si chiese se l’avesse trovata di nuovo lì. Tuttavia questa volta la scatola era vuota. Solo una serie di messaggi stracciati vi erano al suo interno, impossibili da decifrare per Henry. 
  
Li raccolse e li esaminò. Sebbene non fosse possibile ricomporre i pezzi, quella calligrafia gli era ben nota ed era quella dell’io-bambino di Sullivan. 
In alcune era chiaro ci fossero dei riferimenti relativi la linea metropolitana. In altri appariva spesso il nome di South Ashfield. In ogni caso, era abbastanza evidente che fossero tutti frammenti di ricordi di quell’uomo, durante i suoi viaggi per raggiungere la madre. 
  
Un uomo all’improvviso aprì le porte del treno. Henry si voltò preso alla sprovvista. 
Non appena alzò lo sguardo, vide l’uomo col cappotto abbassare il cappuccio della giacca e guardarlo gelido. Henry ebbe lo strano presentimento che anch’egli non si aspettasse la sua presenza lì. 
  
“Henry Townshend…” bisbigliò. Poi continuò. “Che guardi?” 
  
A quel punto l’uomo dai capelli biondi spalancò gli occhi e gli rivolse uno sguardo indemoniato. Henry rimase lì senza sapere che fare, e quel silenzio sembrò adirare ancora di più Sullivan. 
  
“Allora…muori qui!” 
  
Sparò il ragazzo ferendolo alla spalla. 
Henry spalancò gli occhi, sentendo il suo corpo ghiacciarsi. 
Sentì la paura gelargli il sangue a tal punto da non avvertire alcun dolore, sebbene il sangue prese a macchiare le sua candida camicia. L’adrenalina aiutò il giovane a non curare la ferita, dunque, seppur sotto shock, velocemente si strascinò via da lì, oltrepassando i vagoni. 
Walter cominciò a inseguirlo con passo deciso, inveendo contro di lui. 
Henry aveva la peggio essendo ferito e non poteva far altro che passare da un vagone all’altro sperando di seminarlo. 
Nel vedere però che Walter non mollasse l’inseguimento, comprese di dover fare qualcosa. Le parole quasi uscirono da sole dalla sua bocca, proprio prima di chiudere l’ennesimo vagone. 
  
“Era solo una bambina! Perché?!” urlò e un altro proiettile lo sfiorò, al che chiuse immediatamente il vagone. 
  
L’assassino era ben conscio di non poter uccidere Henry, ma continuava imperterrita a colpirlo e inseguirlo. Solo allora Henry, mentre correva, si chiese se non stesse cercando di farlo fuori proprio per ciò che aveva visto: i suoi ricordi. 
Possibile che Sullivan si fosse accorto che era entrato nella sua mente ed aveva conosciuto una parte di lui? 
Purtroppo non aveva la tranquillità e nemmeno la sanità mentale sufficiente per pensarci troppo. 
  
Estrasse la mappa della metropolitana e cercò il sistema più breve per uscire da quel dannato treno. 
Walter intanto gli era alle calcagna. Non appena Henry vide la linea gialla da fuori uno degli sportelli, subito uscì e corse via. 
Nonostante l’affanno e il bruciore alla spalla, corse più velocemente che poté e solo dopo una manciata di secondi si accorse che gli spari erano cessati. 
Si girò attorno non capendo. 
Fatto stava che Walter era sparito. Di lui nemmeno l’ombra. 
  
Non era di certo la prima volta che l’uomo sparasse contro di lui, ma la rabbia che aveva in corpo era stata completamente diversa, quel giorno. 
Era per via di Cynthia? 
In verità ne aveva la certezza. Questo perché lui stesso si era reso conto, tramite le sue emozioni, quanto ella rappresentasse per Walter Sullivan. 
  
All’improvviso sentì dei sospiri intensi. 
Affacciandosi vicino i binari, vide una donna dai lunghi capelli d’ebano seduta sul bordo del marciapiede. Indossava una maglietta rosa e una gonna dai motivi colorati. 
Dondolava i pieni incessantemente, bisbigliando e ansimando. 
  
“…Cynthia?” disse, riconoscendola. 
  
Subito corse verso di lei e fece per guardarla in viso. Si sporse, ma quasi cadde a terra quando si rese conto che aveva un viso pallidissimo e una pelle oramai coriacea. 
  
“Ah!” urlò, non sapendo che fare. 
  
Quello era il fantasma di Cynthia. La sua testa prese a dolere terribilmente e fu costretto ad allontanarsi di qualche passo. Continuava tuttavia a scrutarla, avvertendo il cuore battere sempre più forte. 
Faceva davvero impressione, pensò. Eppure lei…sebbene dalle sembianze così impressionanti, ella continuava a fargli molta pena. 
Ora era solo una vittima di quel macabro rituale, e l’ombra della sua anima era rimasta anch’ella sigillata lì. 
Henry, più la osservava, più si rendeva conto che Cynthia non si fosse accorta di lui e fosse, oramai, solo il riflesso di ciò che un tempo rappresentava. 
  
“Ho freeeddo…” disse lei, ridendo appena. Il suo tono era sofferto. “Forse, ho bevuto troppo la scorsa notte…Mi…mi sento di morire…ah!” 
  
Prese ad ansimare forte, agitando i lunghi capelli scuri. Henry strinse gli occhi, con il cuore a pezzi. Ella…stava rivivendo la sua morte. Era ben chiaro per lui. Non aveva mai dimenticato quel giorno… 
Istintivamente, nell’udirla così addolorata, le si rivolse. 
  
“Non preoccuparti. È solo un sogno.” le disse. Proprio come l’ultima volta. 
  
Il fantasma di Cynthia sembrò sgranare gli occhi. Prese parola, non guardando però il ragazzo, ma dirigendo il suo sguardo verso un qualcosa di vago. 
  
“Qualcuno un giorno mi disse così…è vero…che orribile sogno che feci. Così…vero.” sussurrò ancora. “Così…vero.” 
  
Cynthia non si ricordava di lui? 
Beh, era anche probabile questo. Il loro incontro era stato così breve, in fondo... 
Così breve, davvero... 
  
Quel pensiero cominciò ad echeggiare nella sua mente. 
  
Breve…Breve… 
Eppure…intenso. 
  
Era strano come un lasso di tempo così “breve” potesse cambiare inesorabilmente la vita di una persona. 
Guardò Cynthia preso dal rimorso di non aver potuto far niente per lei, oramai ingabbiata per sempre in quella realtà parallela, capace solo di rievocare quella che era stata la sua vita. 
  
“Sta arrivando…scappa…sta arrivando…” sussurrò ancora, dicendo le stesse parole che gli diceva all’epoca, proprio prima di morire. 
  
Henry allora sorrise malinconicamente. 
  
Walter Sullivan era un uomo cinico e insofferente. Aveva disprezzato la vita e ogni qual volta si fosse aggrappato a qualcosa, questi gli si era ritorto contro. 
Si era aggrappato, dopo una vita terribile presso la Wish House, a un appartamento, credendo inconsciamente potesse restituirgli l’amore perduto. 
E in quell’ottica, Cynthia…in gioventù… aveva rappresentato un’ennesima porta chiusa? 
  
“Sei la tentazione perché lui era innamorato di te, Cynthia.” 
  
Lei non si era mai accorta di quanto lui, nella sua malasanità, avesse avuto bisogno di tenere quella porta aperta almeno per un po’. 
Gli occhi di Henry divennero tristi, spenti, e continuavano a guardare Cynthia con incanto…quasi estasiati da lei. 
  
“Cynthia…” sussurrò ancora. Guardò verso l’uscita della metropolitana e allungò il braccio verso una direzione ben precisa.  "Ecco....quell'appartamento..lì....la stanza 302...South Ashfield Heights." 
  
Lui l’aveva sempre trovata perfida e… 
Bellissima. 
  
  
  
*** 
  
  
“Sul marciapiede della città le mie urla sono solo un sussurro? 
Le persone occupate vanno e vengono ovunque. 
Guardami qui, immersa sotto la pioggia. 
Non avere nessuna compassione, non importa. 
La mia resistenza sta vacillando. 
Come un fiore nel seminterrato, in attesa di una morte solitaria…” 
  
(Your Rain) 
  
  
  
*** 
  
  
[Pianerottolo del terzo piano. Appartamenti di South Ashfield Heights] 
  
Eileen stava rientrando dopo una serie di commissioni svolte. Non vedeva l’ora di sbarazzarsi di tutti quei pacchi che aveva in mano e che la stavano facendo letteralmente trascinare su per quel pianerottolo. 
Sospirò intensamente e dalla tasca estrasse le chiavi di casa. Erano ben riconoscibili per via della bambolina di pezza che usava come portachiavi. 
Aprì la porta e sbuffò intensamente, lanciando i pacchi sul bancone della cucina. 
Doveva solo sistemare un altro paio di cosette, telefonare l’università, e… 
Qualcosa, all’improvviso, la fece scivolare quasi sul pavimento. Riuscì a tenere l’equilibrio a stento. 
Si poggiò con le mani sul muro e guardò a terra disorientata. 
  
Fu sorpresa di notare un bigliettino proprio ai suoi piedi. 
  
“Che cos’è?” disse. 
  
Lo raccolse e vide che era ripiegato frettolosamente su se stesso. 
  
Subito il cuore le prese a battere forte. E se fosse stato di Henry? 
In realtà si era pentita quasi subito del messaggio che gli aveva lasciato sotto la porta, nel quale gli aveva espresso teneri sentimenti di conforto. Tuttavia si era imbarazzata nel fare una cosa simile, e a maggior ragione si sentì terribilmente paonazza nel leggere un’eventuale sua risposta. 
Lo aprì e sgranò gli occhi quando vide che il bigliettino dentro era…bagnato? 
  
Sentì la mano bagnarsi e istintivamente la allontanò per scrutarla. Ora era… inspiegabilmente tinteggiata di rosso. 
Annusò perplessa e quel terribile odore organico la fece trasalire. 
Lasciò cadere il bigliettino e strillò. 
  
“AH…ma è sangue?!” 
  
Sbiancò letteralmente, ancora incredula e con la mano sporca di quel liquido rosso. 
Si poggiò alla porta dell’appartamento e prese a tremare. Tremare incessantemente. 
  
“Henry..?” disse, con gli occhi ancora spalancati. 
  
Il bigliettino… 
Adesso era interamente macchiato di rosso. 
Non vi era nulla scritto sopra. 
  
Nello stesso tempo, qualcosa nella palazzina si aggirava incessante nei pressi dell’appartamento 302. 
  
Una mano graffiava e batteva incessante a quella porta. Nessuno poteva udirlo o vederlo. Altrimenti chiunque sarebbe scappato a quella visione. 
La mano colpiva forte, lasciando muovere la manica della camicia smessa. 
Era davvero difficile riconoscerlo. Aveva gli abiti strappati e sporchi. Un jeans consumato e una serie di innumerevoli tagli su tutto il corpo. Il viso era ben nascosto dalla lunga frangia disordinata, al di sotto dalla quale si intravedevano appena quegli orrendi sfregi che lo deturpavano. 
Bisbigliava, bisbigliava incessantemente, continuando a battere su quella porta. 
  
Dall’altro lato, lo spioncino dell’appartamento 302 prese a sanguinare. Una goccia rossa scivolò rapida da quella piccola fessura fino a gocciolare sul pavimento.
  
E quell’uomo continuava a battere. 
Sotto il suo collo si distinse poi uno sfregio ben preciso. Sebbene scritti a stento, sembravano una serie di numeri cicatrizzati su quel corpo orribilmente sfigurato. 
  
21/21 
  
Più volte si sentì, poi, il telefono di quella casa squillare. 
Una ragazza dai capelli corti e castani, con il viso preoccupato, continuava a comporre ripetutamente il numero, senza mai ottenere risposta. 
  
  
[…] 
  
  
  
  
  
  
NDA: è stata una vera faticaccia scrivere questo capitolo! Cynthia è un personaggio che mi ha davvero colpita nella storia e scrivere su di lei è stato difficoltoso perché volevo davvero scrivere qualcosa che le desse un giusto tributo. 
Inoltre ritengo che Walter la consideri come la sua “prima cotta” quindi provi amore e rabbia nei suoi confronti. Questo lo rende più violento automaticamente anche con Henry. Spero tanto di essere riuscita a rendere l’idea^^ 
L’intero capitolo inoltre ha dei riferimenti legati alla canzone di silent hill 4 : Your Rain. 
È una canzone presente nella soundtrack, è cantata da Cynthia stessa nel video e per me parla proprio del suo personaggio. Mi porta sempre molta tristezza quando l’ascolto… 
Oramai siamo a più di metà storia…mi appresterò a mettere le basi per terminare la fan fiction, spero di essere sempre all’altezza. 
Ringrazio tutti coloro che mi seguono e mi recensiscono. E’ difficile il lavoro che sto facendo, ma amo questa storia e farò del mio meglio nel parlarvi di SH4 e cosa lo rende per me terribilmente affascinante a differenza di come credono in molti! 
Un bacio, ci sentiamo nelle recensioni e nel prossimo capitolo^^
  
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Videogiochi > Silent Hill / Vai alla pagina dell'autore: fiammah_grace