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Autore: Herit    24/07/2012    1 recensioni
Filippo e Lorenzo sono gemelli, opposti in tutto e per tutto dall'aspetto esteriore e caratteriale, alla scelta della scuola, per passare in fine all'orientamento sessuale.
Arianna è la migliore amica di Lorenzo, ed è innamorata di Filippo più o meno da sempre. Phill però non la vede. Lui guarda altro, a differenza del fratello.
Giovanni è al primo anno di magistrale ed è costretto a dare ripetizioni un po' in tutte le materie a Phill. Ma tra loro c'è anche altro.
Riccardo è l'ex di Giovanni, partito per studiare all'estero senza lasciare notizie di sé, che ora vuole tornare nella vita dell'universitario. O forse non è davvero così? Il cuore umano è volubile, infondo.
E poi ci sono Vanessa, Stefano... e la droga.
Vite che si intrecciano e che prendono distanze. Frammenti che cadono a terra come foglie d'autunno e come sfondo una Venezia fin troppo calda.
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, Yaoi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Cap. III Ritorno

 

A Giovanni Filippo non è mai sembrato piccolo come in quel momento. Più che piccolo, gli sembra fragile, seduto sull'angolo del divano con la testa ripiegata in avanti e le mani immerse tra i capelli. C'è qualcosa che si sgretola ogni istante di più. Cede pezzo dopo pezzo, staccandosi da lui e scivolando lontano, alla deriva, senza guida. La sua anima si divide in piccoli frammenti, spaccata tra il desiderio di correre dietro a Lorenzo e quello di restare lì con lui, in un'oasi protetta. Giò può leggerle, quelle sensazioni, nel lieve tremore che scuote le spalle del liceale, coinvolgendo poi tutta la sua figura. Così come nel muoversi nervoso dei piedi del ragazzo, che sembrano pronti a scattare e lasciarlo indietro. E' alla deriva anche lui, perché sa di aver combinato un casino. E per assurdo, a Giovanni non sembra di aver mai sentito la loro differenza di età così profonda come in quel momento.

Cosa ci si sarebbe aspettati da un adulto?

Cosa da un amante?

Cosa si aspettava Filippo, da lui?

Sbuffa, deglutendo un grumo di saliva ed incertezza. Quell'incertezza che deve sparire, perché lui deve essere il suo appoggio. Il suo punto di riferimento. Come adulto, almeno, in quei cinque o sei anni di età che li separano.

“Non lo sapeva. Di te e me, intendo... mi avevi detto che ne era al corrente.” Commenta, prendendo posto accanto a quella roccia che poco a poco si sta consumando sotto il moto incessante dell'acqua e degli agenti atmosferici che la corrodono sempre più velocemente, mano a mano che cresce la consapevolezza. Non può capire a pieno quel dolore, lui, però: lui non ha mani avuto un legame tanto profondo con qualcuno.

Bugiardo. Qualcuno c'è stato, ma ha deciso di cancellarlo. Come un disegno sulla sabbia che si sbiadisce ad ogni nuovo refolo di vento.

Sospira dal naso, chinandosi in avanti, così da trovare in uno spiraglio tra le sue mani, il visto di Filippo. E' rigido come quello di una statua di bronzo, ma ancora non sa di lacrime. Probabilmente non sentirà nemmeno il loro sapore, quando lo bacerà fugacemente, prima che questi si richiuda nuovamente a riccio. Scappando in un impeto di codardia. Ne sfiora la guancia pruriginosa di barba incolta, raccogliendo il profumo della sua pelle. Non lo sta sgridando, ma Phill si ritrae, scuotendo il capo.

“Sono sicuro che ora mi odia, Giò... non gliel'ho detto perché non volevo accadesse questo. Perché senza di lui mi manca un pezzo. Un pezzo importante. Rischio di frantumarmi. Temevo mi avrebbe disprezzato. Che mi avrebbe guardato come mi guardavano i miei compagni di scuola. Con lo stesso schifo. Con la stessa fottuta aria schifata. Ma di loro me ne frego. Lo sai che me ne frego.” C'è una nota nervosa nella sua voce. Aspra. Quella di chi se ne frega solo in superficie, perché dentro sta male. “Non sapevo come dirglielo, poi. A lui fanno schifo i gay. Me l'ha sempre detto. Cioè... Aria lo sa perché non volevo darle false speranze. Mi si è dichiarata qualche mese fa, lo sai. Ma a lui come lo dicevo? 'Sai, al tuo adorato gemellino piace prenderselo in culo. Scusa se non sono il tuo ideale di fratello maggiore, ma così è la cruda realtà'...” Parla in modo sconclusionato, Filippo, gettando la testa all'indietro e passandosi le mani tra i capelli per scostarseli dal volto. Un naufrago che riemerge dall'acqua per riprendere respiro, prima di cadere nuovamente preda dei flutti. Sbuffa nervoso, come gli mancasse aria, mentre l'osserva.

“Avresti potuto, sì.” La schiettezza di Giovanni è dura. Pesante. Un pugno che attraversa la pelle e le ossa, colpendo diritto al cuore. Un po' arrabbiato, alla fine, lo è anche lui. Più che arrabbiato, sarebbe meglio dire deluso. La giovane età di Filippo in parte lo giustifica, anche se avrebbe preferito che fosse stato sincero con lui. “Magari scegliendo altri termini avresti potuto dirgli che ti piacciono gli uomini, ma che in fondo in te non è cambiato nulla. Che sei la stessa persona con cui è cresciuto e che non smetterai di essere tu solo perché sei attratto da qualcuno del tuo stesso sesso. Se la sarebbe presa, probabilmente, Avreste litigato, ma siete fratelli, quindi presumo sia normale litigare: a volte discutere è anche un modo per dimostrare il proprio affetto nei confronti di quella persona. Credo che affrontare la questione apertamente sia comunque l'unica cosa che tu possa fare.” Considera, poggiando i gomiti sulle gambe e lasciando ciondolare le braccia verso il basso, ancora piegato in avanti. Guarda il ragazzo con espressione assorta, come alla ricerca di qualcosa. Ma Filippo si limita ad osservarlo già stanco - non dei suoi discorsi, certo – ma di quella giornata che l'ha provato più di un intero anno scolastico. “Magari non subito. Aspetta un attimo che si calmi. Aspetta di calmarti anche tu. Di solito sei impetuoso, quando ti metti in testa qualcosa, ma ora è bene che ti rilassi un attimo. Se vuoi restare qui, puoi farlo. Fatti una doccia e distendi i nervi. E poi pensa con un po' più di calma e lucidità. Vuoi?” La dolcezza di Giovanni scende a piccole gocce su di lui. Quella dolcezza che di solito cela dietro alla sua maschera un po' burbera. Sembra pioggia leggera che si posa sul corpo, morbida e sottile e poi scivola via, delicata, penetrando un po' più sotto la pelle. Il tono abitualmente quieto dell'uomo che non cambia mai sfuma e si tinge di tanti colori diversi, ma non si alza, mantenendo quella compostezza matura che Phill ama. E si abbandona, il ragazzo, scivolando con il capo verso la spalla del suo insegnante privato, poggiandovela sopra, alla ricerca di quell'appiglio che ha intravisto mentre l'altro parlava.

“Ho paura, Giò...” Mormora chiudendo gli occhi, sospirando. Piccolo. Piccolo e fragile. Quella sensazione si accentua sempre di più. “Mi sono costruito una bolla di cristallo attorno. Qualcosa che proteggesse il mio piccolo universo e quella mi è caduta dalle mani, struggendosi completamente in una sola mattina.” La voce di Pill è un mormorio basso, rassegnato, vibra un po'. Trema come scossa dal terremoto di emozioni che lo stravolge. Giovanni gli passa un braccio attorno alle spalle in una stretta solida che non lo faccia crollare e che va a chiudere con calma, portandosi il ragazzo più vicino.

“Di bolle di cristallo ne vendono tante nelle botteghe. Te ne regalo una di nuova io.” Azzarda quella promessa, ma si sente già uno spergiuro. E' troppo grande per lui. Per loro. Lo sa, ma ci prova.

“Sai..?” Sorride alle parole dell'uomo. Un sorriso mesto, ma che per lo meno torna a fiorire su quelle labbra piene. Belle. “In realtà avevo una paura fottuta di essere messo davanti ad una scelta. Se mi si chiedesse di rinunciare a te o a Lore, non potrei farlo. Impazzirei, piuttosto.” Si stringe un po' nelle spalle, osservando Giò dal basso, giusto in tempo per cogliere l'ombra di un ghigno. Ironico. Irrisorio.

“Che discorsi sono? Hai davvero una fantasia smodata, ragazzino. Non potrà mai essere così. Il rapporto che hai con Lorenzo e che hai con me è completamente differente. Lui è tuo fratello. Io sono quello che ti dà ripetizioni. Io te lo do. Lui no.” Cala un breve silenzio. Freddo. Pesante. Lo stesso pensiero -immagine- sfiora entrambi, lasciandoli gelati sul posto. E poi si scioglie in una nuvola leggera. Uno sbuffo di fumo.

“Maniaco e pedofilo.” Ride. Finalmente la sua risata gioiosa. Spensierata.

“Io? Chi era quello che ieri voleva a tutti i costi fare ripasso di anatomia?”

“Non mi pare ti sia dispiaciuto così tanto, poi, aiutarmi. Anche se... Giò, è stato tutto in...” Non gli lascia finire la frase, Giovanni. Non vuole che ci pensi. Alla bocciatura. All'essere stati scoperti. Basta. Non vuole sentirsi dire che è stato tutto inutile, perché altrimenti sembra che accusi anche lui di non essere servito a niente. E quel pensiero un po' gli dà fastidio.

“Ne parliamo dopo. Ora va tutto bene. Ne parliamo dopo.” Mormora con tono quieto, ma già il corpo freme mentre le mani carezzano le cosce del ragazzo. Corpo che trema e che in quel momento desidera solamente abbracciare.

“Posso dormire qui, stanotte?”

Filippo è una falena. Gira attorno alla luce, ci si avvicina. Resta scottato, ma è forte. Continua ancora a vivere.

“Sì.”

Giovanni è una falena. Gira attorno alla luce, ma poi vede quello che succede a Phill e scappa via. Scappa a sorreggerlo.

****

Una bestia in gabbia. Lorenzo sembra veramente tale, nel suo agitarsi nervoso per la stanza. Nel suo fissare con astio la porta della propria camera. Filippo è tornato dopo due notti passate fuori, da Giovanni. Aveva chiamato a casa per avvertire che non sarebbe rientrato per un po' di tempo e che un suo amico lo stava ospitando per studiare assieme. Peccato che la menzogna fosse caduta il giorno dopo, quando il preside aveva chiamato a casa loro per dire che Phill aveva preso a pugni un compagno di scuola, senza motivo apparente e che se un episodio simile fosse capitato una seconda volta, avrebbe avuto delle serie ripercussioni nell'anno successivo, visto che il ragazzo era stato bocciato ancor prima di accedere agli esami. Alla notizia i suoi genitori erano rimasti basiti, tanto da afferrare nuovamente il telefono e chiamare il figlio, costringendolo a rincasare seduta stante.

Sbuffa Lorenzo, buttandosi di peso sul proprio letto ed afferrando la tesina. La sa a memoria, ma ha bisogno di concentrarsi su altro. Di liberare un po' la testa. Possibile che sia servita la notizia della bocciatura di suo fratello, per far smuovere un po' i suoi? Quando lui era rincasato tre giorni prima, infuriato come una belva, ed aveva comunicato loro quanto visto, sua madre si era limita a sollevare le spalle ed a sorridere con accondiscendenza. Gli aveva detto che probabilmente era per via della pubertà: nel giro di qualche mese gli sarebbe passata. Ma qualche mese è passato da un bel po' diamine! La pubertà, inoltre, l'hanno superata ufficialmente al compimento dei diciotto anni. Lui, poi, è più che convinto che quella storia vada avanti da quasi un anno. Suo padre gli aveva dato già più appoggio. Da sempre conto i gay, l'aveva guardato inorridito dalla notizia. Aveva chiuso con quella calma che gli era tipica il giornale, per poi sbatterlo con forza contro il tavolo della cucina, provocando uno schiocco che l'aveva fatto sussultare visibilmente. Aveva quindi iniziato a dire che non l'avrebbe mai accettato. Che non era possibile. E che lui non aveva sbagliato niente nell'educare il proprio figlio. Letizia, sua madre, era però intervenuta, cercando di placare le ire di Franco. L'aveva addolcito con un caffé caldo, pregando Lorenzo di andare nella propria stanza. Doveva parlare con il marito con calma. Li aveva sentiti discutere animatamente per un po', poi le acque sembravano essersi calmate, segno che la discussione era giunta al termine.

Aggrotta le sopracciglia, leggendo mentalmente un passo della “critica della ragion pura” di Kant. Chi gliel'aveva fatto fare di mettere Kant in tesina? Arianna aveva ragione: gli piaceva strafare, però almeno lui ne aveva le capacità. Arianna... anche lei l'aveva tradito. Anziché dar ragione a lui, aveva difeso il suo gemello a spada tratta.

“Che rabbia. Sono tutti ciechi? Anche papà che è sempre stato contro i gay... com'è possibile?” Borbotta lanciando il plico di fogli il più lontano possibile da sé, in un impeto di stizza e quella trentina di pagine già rilegate emette due tonfi sordi, il primo più ovattato dell'altro. Alza la testa quel tanto che basta per inquadrare la direzione del rumore, inglobando così Filippo che se ne sta sulla soglia della porta. Il capo chino e lo sguardo colpevole. Trema per un istante, Lorenzo. Trema di rabbia. Trema di tristezza. Trema per trattenersi dall'alzarsi e combattere tra il desiderio di nuovo crescente di prendere a sberle suo fratello, e quello di abbracciarlo, sollevato perché nonostante tutto è tornato. Lo guarda in silenzio. Ha gli occhi bassi e lo sguardo di chi non piangerà mai, nonostante questi siano palesemente lucidi di lacrime.

“Mi hai fatto male, Lò.” Pronuncia con la voce roca di chi ha urlato tutta la notte. Non urla di piacere, però. No. Urla di dolore. Il cuore che grida muto perché nessuno lo senta. Resta sulla soglia della camera e lui lo guarda dal letto, scostando con fastidio un lembo del lenzuolo in disordine. Odia il disordine. “Mi hai fatto male”, gli dice, ma non ha idea di quanto ne ha fatto a lui. Lorenzo lo guarda distaccato. Si siede meglio sul letto, ma sembra ancora una bestia. Una di quelle che difende il suo territorio. Non gli lascerà ulteriore spazio per entrare nella sua stanza, e Filippo sembra sentirlo, perché resta lì. Si stringe nelle spalle ed abbassa lo sguardo, come un bambino che è appena stato messo in punizione.

“Anche tu me ne hai fatto. Non mi hai detto che... che ti piacciono gli uomini. Non me l'hai mai detto. E poi c'è stata la Madda. Pensavo che ti piacesse almeno un po'. Era tutta una farsa?” La voce che gli esce suona dura anche a lui. Aspra ed amara. Guarda il suo gemello abbassare il capo, per poi sollevarlo di nuovo con una forza che in realtà non ha. In quel momento sembra sopportare tutto il peso del mondo sulle sue spalle. Un minuscolo Atlante che presto si spezzerà in due, crollando. Phill abbassa le spalle, sostenendo imperterrito lo sguardo del fratello. Un orgoglioso titano davanti, non più quello che sta per finire a pezzi.

“Avevo paura di questo. Di te. Di noi. Lore, siamo fratelli. Gemelli. Diamine, mi hai sempre messo davanti a tutto. Tutto! Ed io volevo essere il tuo punto fermo. Voglio essere il tuo punto fermo. Voglio che tu sia fiero di me, come io lo sono sempre stato di te. A Madda volevo bene. Davvero, ma non nel modo in cui posso amare un uomo. Non è colpa mia se preferisco prenderlo in culo, piuttosto che infilarlo da qualche altra parte. Le donne però non mi piacciono. E tu ne stai facendo un affare di stato. E' perché non ti piace Giovanni? Se fosse stato un altro ragazzo avresti sclerato uguale? O avresti accettato? Cazzo di domande faccio. Mi avresti fanculizzato comunque, no? Odi i gay e non ho mai capito perché. Perché sono due uomini che si fottono tra di loro? Sai cos'è? E' che non importa il sesso, ma il sentimento che c'è dietro. Prova a portarti a letto una donna senza amarla ed una donna che ami, e poi dimmi se è uguale. Credi che mi farei scopare da qualcuno che non amo solo perché vado dietro agli uccelli? O che mi sbatterei qualcuna solo per dare soddisfazione a chi, come te, odia quelli come me? Mi dispiace, ma non hai davvero capito un cazzo, se è così.” Trema, Phill. Implode e poi esplode come una nana bianca. Esplode e butta fuori tutto quello che ha dentro. Tutto. Lo rigurgita assieme all'anima, come un ubriaco. Un ubriaco di emozioni. Ha gli occhi sgranati ed il respiro che per un istante si blocca in gola, per poi uscire con uno sbuffo improvviso. Un tuffo al cuore per Lorenzo che ha ascoltato in silenzio ogni parola. Ogni lacrima pronunciata e non versata. Labbra schiuse, ma occhi seri. Occhi di chi non capisce. Di chi non trova una spiegazione ed altalena lentamente, ondeggiando su un filo che sta per spezzarsi. Digrigna i denti, Lore, alzandosi in piedi di scatto. Le braccia lunghe distese verso il gemello e la sua rabbia. Mani che si poggiano sulle spalle e lui spinge. Lo spinge indietro, giusto un poco. Lo butta giù, nel baratro. Crolla. Cade. Si infrange ogni legame e quel filo si spezza. Ma lui resta lì. In piedi sull'orlo di quel precipizio che è riuscito ad attraversare a guardarlo che si frantuma. Lorenzo resta lì a guardare quegli occhi tanto noti che divengono estranei. Quelle labbra sempre tese in un sorriso scanzonato, che si dischiudono in una smorfia a metà tra una disperata richiesta di aiuto e l'accusa di un tradimento. Fa male. Fa così male che per un istante la sua mente va nel panico.

“Fuori di qui. Vattene!” Sbatte la porta Lore e lascia il mondo al di là di quella barriera di legno scuro. Sbatte la porta e lascia al di là di questa qualcosa di troppo spaventoso, per lui. Ammissioni che fanno troppo male. Sbatte la porta e ci si posa contro con la schiena, recuperando la tesina. Ritorna a leggerla con foga.

Non vuole più pensare.

***

Arianna scende dall'autobus con lo sguardo basso. Gli occhi che seguono la lunga lingua di asfalto che forma il marciapiedi fino ad uno scalino. Solleva la cesta nella quale si trova Peppa che miagola stancamente: spossata per il viaggio in quel mezzo di trasporto terribile. La gatta riapre quei due smeraldi opachi e lucidi, mostrando l'incrocio delle doppie palpebre e sbadigliando, svelando quella schiera di dentini aguzzi e candidi. Non si alza in piedi, lei. No. Il pancione è ben accomodato sul cuscino che la divide dal fondo del trasportino.

“Arianna.” Una voce la chiama e lei solleva il visetto incorniciato da quei ricci pieni. Gonfi che ballano alla poca aria bollente di quel giorno di metà giugno. Giovanni procede dall'altra parte della strada, attraversandola velocemente, quando le macchine sembrano scomparire per un istante. Quasi una magia avesse sgombrato il passaggio al ragazzo.

“Giò. Dopo ti avrei chiamato. Domani non vengo da te. Ti lascio stare almeno la domenica.” Considera, mostrandogli uno di quei sorrisi vivaci e luminosi che le fanno animare tutto il visetto rotondo. Lui annuisce silenzioso, cercando qualcosa in quei lineamenti ancora da bambina che si ritrova la ragazza. Ma non sembra identificarlo ed allora sospende la ricerca, fissando quell'unico scalino bianco che macchia il marciapiedi grigio e nero.

“Stai andando da Miche?” Le chiede e lei per contro lo osserva perplessa per qualche istante. Le labbra arricciate in una smorfietta di disappunto, assieme a quelle sopracciglia sottili che si incurvano di poco verso il basso. “Michele.” Sembra capire il suo disagio, Giovanni, quando specifica quel nome. Ed Aria annuisce con enfasi.

“Scusami, con gli esami alle porte, sto fuori dal mondo. Cioè, Lunedì prima prova, e tra una settimana ho l'orale. No. Non credo di potercela fare. Posso stare a casa tua? Mi fai ripassare fino allo sfinimento. Poi vediamo se non riesco a tirar fuori qualcosa di buono. Se faccio scena muta come facevano le mie compagne in certe interrogazioni, giuro che mi sotterro da qualche parte.” Ride nervosa, infilandosi all'interno di quella porta a vetro bendata da una tenda. Fruscia la tenda, quando lei la spinge. Un rumore leggero, simile a quello di una carezza di stoffa. Giovanni accenna un sorriso ed indugia per qualche istante fuori dall'uscio, fissando l'insegna del veterinario.

Phill quell'esame non lo darà.

Phill che con la sua mente fantasiosa e la sua follia estrosa avrebbe sicuramente preso il massimo al tema.

Phill che l'ha costretto a correre dal tabaccaio dall'altra parte della strada a farsi una ricarica per chiamarlo. Soldi spesi inutilmente, visto che il cellulare gli si è spento all'improvviso e non ha più dato segni di vita.

Abbassa lo sguardo solo per seguirla dentro.

“Tu che fai scena muta è utopico.” Cerca di scherzare, l'uomo, ma la voce gli esce bassa. Distante. “Poi non credo che Lorenzo ne sarebbe particolarmente contento.” Arianna sospira a quel commento e si accomoda su una poltroncina, carezzando la gatta che porta con sé attraverso i buchetti della portantina.

“I loro genitori hanno messo Phill agli arresti domiciliari, lo sapevi? Non ho capito se è perché hanno scoperto... ecco...” Arianna fa un gesto eloquente con la mano, indicando il ragazzo. C'è gente e non sa quanto Giò abbia voglia di svelarsi. “O se per la bocciatura. Forse per entrambi. Ma Phill è sempre stato libero. Non so per quanto riusciranno a tenerlo buono.” Cerca consiglio con lo sguardo. Uno sguardo smarrito per un istante. Uno sguardo smarrito che ne trova uno troppo stanco. Giovanni sembra stanco. Forse si sente in colpa. Forse è colpevole di un reato che è un affetto sbagliato per gli altri. Ma cosa c'è di sbagliato nell'amare qualcuno, anche se non con la medesima intensità con cui si viene amati? E forse era quella la sua vera colpa. Non amare quella persona in eguale maniera. Ingiusto.

Lui guarda Arianna da lontano, distante. Quella distanza che in pochi hanno saputo colmare e che lui mette tra sé ed il mondo. Quella serietà che, Arianna lo sa, scompare solo con Filippo e solo in poche e rare occasioni.

“Me l'hanno detto ieri Steph. Non sapevo fosse tanto 'intimo' con Phill e Lore.”

“Ah, sì, andavamo a catechismo assieme. Siamo amici da allora.” Ha il visetto rotondo che mostra sorpresa, la ragazza. L'universitario, alla delucidazione, semplicemente sospira ed annuisce.

“Credo ce l'abbiano di più per la maturità e per il fatto che sia stato via di casa per giorni senza avvertire nessuno, che per il resto. Sua madre sembrava aver capito qualcosa. Suo padre odia quelli come me. Probabilmente lo shock c'è stato, ma non così forte. Immagino che quello che c'è stato peggio, infondo sia stato Lorenzo.” Spiega e dà due colpi alla porta che conduce al antiambulatorio. Due donne che stanno prima di lui ed Aria, lo guardano male, ma lui le ignora ritto come un albero secolare. Fiero e rigoglioso, anche se si coglie lo sforzo che fa per resistere alla tempesta.

“Phill non gliel'ha detto sotto mio consiglio.” Rivela, abbassando il capolino ricciuto. “Giò, perché sei qui comunque?” Cambia discorso. Scappa da qualcosa che le fa male, perché infondo a Filippo e Lorenzo lei è sempre stata legata ed ancora non demorde. Giovanni, poi è privo di animali con sé. Di sicuro non è una visita. La porta si apre e sulla soglia compare un ragazzo all'apparenza giovane. Anche troppo per essere un veterinario.

“Tirocinio.” Spiega semplicemente Giò, andando a guardare l'uomo davanti a lui. “Mik, mi fai entrare o mi serve una delega scritta?” Domanda con un'ironia stanca e dall'interno dello studio si coglie una risata. Il ragazzo all'ingresso gli sorride quieto, facendolo passare e lui non fa una piega, limitandosi a congedarsi da Arianna con un lento gesto di mano. La sensazione che sia in qualche modo provato anche lui, si acuisce all'improvviso, ma poi scompare. Lei gli sorride gentile, abbassando poi il visetto sulla gatta che l'osserva pigra. Tronfia per la sua futura cucciolata.

“Se solo lui non ci fosse...” Mormora la ragazza: c'è una sfumatura di rancore silenzioso, che si arrampica nella sua voce. Un ragno invisibile che tesse una tela stretta, quasi indistruttibile dentro l'animo. Una trappola ben nascosta. E Peppa l'osserva dal basso, inclinando il capo verso un lato, perplessa, perché la sua padroncina, così, non l'ha mai vista prima.

E' lo stesso ragazzo che ha accolto Giovanni a farla entrare nel piccolo ambulatorio per animali poco dopo. Il tirocinante non c'è, probabilmente intento a fare altro. E forse è meglio così.

 

***

 

Il suo telefono suona incessante. Lo fa da un po'. Lo fa da quando è uscito di casa senza dire niente a nessuno. L'ha fatto per ripicca. Per far capire che lui non è e non sarà mai il figlio perfetto. Ben diverso dal suo gemello. Ben diverso da tutti gli altri ragazzi, eppure identico a tutti loro. Non voleva deludere i suoi genitori, per questo non ha mai confidato loro la sua omosessualità. Non voleva deluderli, e per questo ha scelto una scuola “impegnativa”. Perché lui non è Lorenzo con la faccia pulita e la parvenza da cherubino. Lui non è il suo gemello, che parla in modo forbito e nonostante la freddezza, riesce a farsi benvolere da tutti. Fissa la stellata e stringe le dita attorno alla bottiglia di birra. Stefano gli ha dato appuntamento in campo Santa Margherita. Al solito posto, perché l'avrebbe portato a divertirsi. A dimenticare le stronzate che in quel momento gli stanno affollando la testa.

Steph lo capisce. Lo conosce sin da quando sono piccoli, infondo. Si sistema meglio gli occhiali “da nerd” sul naso e si guarda attorno con poca voglia. Gli universitari si sono riversati in campo e con loro anche ragazzi del liceo. Un insieme policromo di giovani di ogni età e genere. Laureandi vestiti in modo strano e ricoperti di acqua, uova e farina. Qualche scemo che fa volare bottiglie. Altri seduti a terra, perché i bar, a quell'ora sono ricolmi. C'è casino. C'è vita. Ma forse è ancora troppo poco per lui. Ha bisogno d'altro. Qualche emozione nuova, forse. Ed ecco che le sue richieste vengono esaudite. Un braccio magro e nervoso gli avvolge le spalle. Una presenza più alta di lui, al suo fianco.

“Ti avevo promesso svago, vieni. Gli altri ci aspettano davanti a Calatrava.” Phill solleva lo sguardo, soffermandolo su due labbra rese invitanti da un anellino su un lato. Gli sono sempre piaciute le labbra di Stefano. Sono grandi e quando sorride – raramente, in realtà – si allargano in modo piacevole, ripiegandosi però, discrete, verso il basso. Lo saluta dandogli un bacio sulla guancia. Un gesto abituale. Semplice.

“Terraferma?” Gli domanda, scostandosi dal pozzo che si trova nel mezzo del campo, ed avviandosi verso una calletta laterale, assieme all'altro. Stefano annuisce, infilandosi le mani in tasca. S'è rasato i capelli, constata Filippo, scorrendo con gli occhi quelle tre striscioline più rade sul lato destro del capo dell'amico. Un peccato, però. Si ricorda il bambino con i riccioli d'ebano con il quale giocava a calcio nei giardini di Sant'Elena e rimpiange un po' quei turaccioli divertenti da tirare, perché poi ritrovavano la loro posizione abituale. E' cambiato, Steph, da allora. Vestiti larghi, piercing, tatuaggi e droga. E' cambiato, quel suo primo amore infantile mai svelato. Sospira e fa spallucce.

“Così hai litigato con Lore.” Non una domanda. Sa che non c'è niente che lo può ferire di più del litigare con il gemello. Phill lo fissa in obliquo e poi annuisce, buttando giù in sorso di birra.

“E quando mai non lo faccio?” Fa spallucce, accennando un sorriso superficiale. Labile.

“Appunto. Ma questa volta è qualcosa di serio.” E per lui è un libro aperto. Non sa se amarlo od odiarlo, per questo. Non lo guarda più. Scappa da quegli occhi di cielo e da quel naso un po' aquilino.

“Mi piace il nuovo tatuaggio che ti sei fatto.” Stefano abbassa lo sguardo su di lui, passandosi una mano sopra il disegno – una chiave di violino che si arrampica lungo il suo collo – e si ferma sulla sommità del ponte che stanno attraversando. Sembra indeciso se parlare o meno, e quindi sospira.

“Rappresenta una persona.” Sbrigativo. Sembra che qualunque buon intento nel rivelargli di più sia sfumato. Steph è riservato. Un po' strano. Un compagnone cui non piace rivelare nulla di sé, e che al contempo, riesce ad essere simpatico a molti senza fare niente. Così, a pelle. Uno di quelli che non conosce il proprio posto ed ha colpi di matto dal nulla, ma alla fine Phill lo conosce da tanto. Ormai ci è abituato. Si somigliano davvero, l'ha sempre pensato. La strada la percorrono senza fretta, ma è veloce a finire. In fondo a Venezia le distanze non contano, conta solo lo sciabordio dell'acqua contro le pareti delle fondamenta che si tuffano nel nero e quello di una voce amica, che non ti fa pesare quei passi lenti e misurati. Non conta nemmeno quanto è veloce a finire quella Heiniken che ora tiene Stefano. Pensano ad altro. Le narici si riempiono dell'odore dei gas di scarico di macchine e pullman ormai prossimi. Prossimi come le figure degli scheletri addormentati dei tabaccai ormai chiusi, lungo la strada.

“Steph! Phill!” C'è un gruppetto sparuto di ragazzi poco distanti da loro, davanti ad una macchina pizzata spavaldamente lì dove parcheggiano i bus. Un ragazzo sventola un braccio per richimare la loro attenzione, assieme alla voce. Una cresta castana ed un piercin al sopracciglio che riflette un poco la luce fioca del lampione sopra di lui. Ha un sorriso da cafone in faccia e l'atteggiamento arrogante di chi si diverte ad andare contro alle regole. Filippo lo fissa, non lo conosce, ma evidentemente l'altro conosce lui. Stefano accelera l'andatura e raggiunge l'auto, incrociando le braccia sopra il tettuccio, mentre lui sta qualche passo indietro, tanto da notare una seconda persona in uno dei sedili posteriori.

“Ohi, testa di cazzo, ci fai tu da autista?” E' canzonatorio Stefano. Un'arroganza che emerge quando non parla con Phill. Perché Phill è bello così e non vuole fargli del male e questo, il moro lo sa. Una volta gli ha chiesto perché con lui cambia atteggiamento. L'amico, allora, scherzando gli aveva detto “perché relazionarsi con un frocetto come te è come relazionarsi con una ragazza: vai trattato con cura.” e nonostante tutto lui aveva riso e si era rassegnato al suo destino di essere trattato come una donna.

“Sono l'unico che ha la patente qua, lo sai. Mi sacrificherò per la causa.” Un sospiro teatrale ed un cenno verso Phill che ricambia con un gesto della mano.

“La mummia lì dentro chi è, Enrico?” Steph si china in avanti a picchiettare sul finestrino, scettico. L'altro fa spallucce.

“Un amico del fratello di Jack, a quel che ho capito. C'è anche la loro compagnia, in disco e ci siamo mossi con una macchina in meno, piazzandolo qua.”

“Ah, un cazzone universitario?”

“No, un fottuto cazzone che ha un lavoro.”

“Wow, dovemo fargli i complimenti, allora? Dici che si è scopato qualcuno per ottenerlo?” Una risata sguaiata da parte di Enrico che torna a fissare Filippo.

“Non lo so. Il ragazzino lì monta o lo lasciamo qui?” Anche Stefano si volta a guardarlo, accigliandosi.

“Che hai? Sei strano, Phill.” Di solito gli piace stare in compagnia. Di solito, appunto. Ma forse quella non è la sera giusta. E allora, ancora di più, gli afferra il braccio, Steph, e se lo tira contro, avvolgendogli le spalle. E Phill lo lascia fare, perché è una bambola senza vita, in quel momento. Il finetrino posteriore s'è abbassato e la testa del passeggero è emersa come un incubo dal nero. Occhi come lame e labbra storte in una smorfia irritata.

“Avete finito con il gossip? Alzate il culo, signorine. C'è Alvise che rompe le palle perché non siamo ancora lì.” Scuote il cellulare. Guarda Stefano solo di sfuggita e poi Filippo ed il ragazzo sente un brivido freddo e la sensazione soffocante di essere in trappola. La stessa di quel pomeriggio, un paio di giorni prima, quando lui e Giovanni stavano al Tapppa. E pensare che lui quel tipo, nemmeno lo conosce. Per questo non si spiega quella sensazione – paura? - irrazionale che per un istante gli mangia lo stomaco.

“Io...” Una protesta che sfuma, quella di Phill. Steph gli apre la porta e lo infila in macchina quasi a forza.

“Ne parliamo dopo in bagno, intanto andiamo.” E Filippo si trova rinchiuso in un incubo. L'acqua alla gola e due occhi chiari piantati sulla nuca. Stefano parla con il tizio alle sue spalle, ma lui non ne sente nemmeno la voce. Non l'ascolta perché lo raggiunge ovattata. Sprofonda lentamente e soffoca.

“Ah, io sono Riccardo.” Un sorriso ambiguo e gli occhi di Phill sfiorano i suoi dallo specchietto retrovisore.

Sì, quell'uomo gli fa paura.

Perché?






Uhm... sì, è passato un po' di tempo dall'ultimo aggiornamento. Chiedo scusa.
Mi sono fatta la patente e tra questa e l'università, non ho avuto modo di scrivere. Inoltre, questo è stato un capitolo difficile. Pesante per tanti motivi. Ho presentato un nuovo personaggio e ne è tornato un altro, anche se di sfuggita, per il momento. Ce ne sono altri che devono sbucare fuori, ancora. E, beh, visto che un mio amico mi ha dato qualche idea, assicuro che non sarà una storiella all'acqua di rose ^^"
Non so quando sarà il prossimo aggiornamento. Non mi piace nemmeno troppo il finale di questo capitolo. Lo vedo molto sbrigativo, ma un motivo c'è, quindi non poteva essere altrimenti *cerca di autoconvincersene*.
Alla prossima.

Herit.

   
 
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