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Autore: 04_RedRose    24/07/2012    2 recensioni
Rimango immobile, mentre piano piano alla foto sulla tomba si iniziano a sovrapporre altre immagini, istantanee dei momenti che avevo passato insieme a lei nella sua casa nel quartiere popolare. Non ricordo di avere mai visto il “prima”, ovvero senza il morbo di Parkinson, per cui tutti i miei ricordi sono animati dal tremolio della sua mano.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Si può iniziare a voler bene a qualcuno dopo la sua morte?

Salgo in macchina cercando di toccare il meno possibile, con la bocca deformata da un’espressinone di autentico e profondo disgusto. Appena la portiera si chiude vengo investita dall’odore di germi, di sporco, di starnuti. E di vecchi. L’odore dei vecchi, quello che ti rimane addosso quando sali in autobus con loro, quel misto di ospedale, siringhe e pipì, quella miscela esplosiva che ti si insinua nelle narici e pizzica sino a farti starnutire, ma neanche starnutendo riesci a liberartene. Ti rimane attaccato quasi a ricordarti che un giorno anche tu finirai così.
 Mio nonno sale al posto del conducente e mia madre monta accanto a lui, con l’aria di chi sa che sta facendo la cosa giusta e ne è compiaciuto. Solo una leggera ombra di apprensione le vela gli occhi mentre guarda mio nonno che mette in moto la piccola vettura lucida che parte con uno sbuffo. La strada degradata fatta di botteghe e baracche con i panni stesi ed i bambini che giocano a pallone scorre fuori dal mio finestrino, provocandomi un’altra ondata di nausea. Botteghe e baracche, solo botteghe e baracche.
Mia mamma cerca di intrattenere una discussione con il vecchio fatta di frasi piatte e monotone. Vai spesso? Da solo? Come stai?. Lui non ci sente, così lei è costretta ad urlare. Riprova alzando il volume, ma il vento si porta via le sue parole e lei ci rinuncia. Il viaggio continua in silenzio per le stradine della zona popolare. Baracche e botteghe. E baracche. E botteghe.

Ci fermiamo davanti al cancello nero incastrato nel muro scalcinato che avvolge l’intero cimitero. Mi fermo un attimo prima di entrare, poi abbasso la testa e mi accodo. Passo il cancello e una strada fatta di sassolini bianchi si apre davanti a noi e un poco oltre le mie Converse si ramifica, scivolando attorno alle bare. Seguiamo il viottolo che costeggia il muro consunto. Accanto a me si susseguono nomi di persone morte prima ancora che io nascessi, che non ho mai incontrato, o che magari ho incrociato per strada una volta. Le foto sono le più diverse, in bianco e nero, a colori, giovani, vecchi, fototessere, fotografie scattate in un giorno di festa, quando l’ultimo pensiero era la morte. Tanti occhi e tanti sorrisi che si sovrappongono , in contrasto con la linea dritta delle mie labbra. Ad incorniciare i nomi e le date ci pensano fiori di ogni tipo e colore, veri o finti, freschi o appassiti ed ingialliti portati lì da amici e parenti in lacrime.

Continuiamo a camminare seguendo il nonno che si affatica, tenendosi alla ringhiera nera. Camminiamo per minuti in silenzio, uno dietro l’altro. Svoltiamo a destra, poi a sinistra e di nuovo a destra. Davanti a noi un immenso rettilineo. Ci fermiamo un attimo a  prendere fiato, poi continuiamo a camminare ondeggiando. Il vecchio si ferma a metà del muro facendomi sussultare. Ormai mi ero abituata a camminare accanto a tutte le foto ed i ricordi e mi riesce difficile ordinare ai miei piedi di fermarsi. Scruto la porzione di parete davanti a me, cercando la sua foto, gli occhi azzurri uguali a quelli di mio papà, il suo nome. Passo in rassegna tombe davanti a me, ma sono così inebriata dai volti e dalle iscrizioni che non riesco a trovarla. I miei occhi continuano a vagare più curiosi che interessati finchè il vecchio non alza il dito.
-È lì-  dice quasi come una liberazione.
Seguo la linea dell’immaginario prolungamento  del suo braccio raggrinzito fino alla tomba di mia nonna. Un anonimo rettangolo grigio con la sua foto a colori e le date di nascita e morte incise:

18-2-1925  -  13-8-2011.

Sotto la foto, quasi a coprirla dagli sguardi dei visitatori, c’è un mazzo di fiori fucsia. Per un attimo resto in ascolto della mia anima, aspettando di registrare un qualche cambiamento dentro me. Rimango in attesa di una qualche sensazione strana, di un po’ di tristezza almeno, mentre invece sento solo silenzio. Mi sento assolutamente muta. E vuota. Non provo niente, nessun sentimento, nessun nodo allo stomaco, niente di niente. Sono solo vuota, non sento neanche i rumori intorno a me, il vento che soffia ed alza le foglie secche dalla strada, mia mamma che si avvicina piano alla foto e la bacia. Niente. Fisso gli occhi sulla foto, pensando che almeno il suo volto sorridente mi dovrebbe far provare qualcosa. Assolutamente niente. Ho la bocca impastata e la mente sgombra riflette la foto azzurrognola che fisso. Inizio a chiedermi se non ci sia qualcosa di sbagliato in me, che non sia io ad essere insensibile. Mi sforzo di provare qualcosa, ma il mio corpo riesce a creare solo una specia di eco della foto. Rimango immobile, mentre piano piano alla foto sulla tomba si iniziano a sovrapporre altre immagini, istantanee dei momenti che avevo passato insieme a lei nella sua casa nel quartiere popolare. Non ricordo di avere mai visto il “prima”, ovvero senza il morbo di Parkinson, per cui tutti i miei ricordi sono animati dal tremolio della sua mano. Quando mi ha insegnato a fare le bambole di pezza ed io, impaziente di finirla avevo disegnato gli occhi senza infilare tra le due pezze un cartoncino, stampando gli occhi sia sul davanti che sul retro. Quando facevamo insieme la ginnastica che le aveva prescritto il medico e mi mettevo accanto a lei con il bastone della scopa. Quando al Parkinson si era aggiunto l’ Alzheimer  e lei aveva iniziato a dimenticarsi le cose e quindi mi chiedeva che classe facessi a distanza di pochi minuti. Quando la domanda era diventata chi fossi. Quando non poteva più muoversi...
Sono ancora muta, immobile, ma una nuova sensazione serpeggia nel mio animo. Provo solo una strana sensazione di ilarità, un pizzicorìo in fondo allo stomaco che sale e si ferma sulle mie labbra. Cerca di aprirle in un mezzo sorriso di rivincita per tutte quelle volte che aveva messo in difficoltà mia madre, per tutte le volte che ero dovuta rimanere in quella silenziosa prigione. In realtà non sono arrabbiata con lei, non provo quella scarica elettrica che mi pervade quando sono davvero arrabbiata, sono neutra. Sono neutra perchè io e lei non abbiamo niente da spartire.

Lancio un’occhiata al nonno. Guarda per terra, sembra affaticato, come se non avesse camminato per qualche centinaia di metri, ma per molti chilometri. E forse è quello che ha fatto, ha camminato per chilometri di ricordi, per chilometri di istantanee di situazioni diverse, in cui però erano insieme. Non piange, ma si aggrappa alla ringhiera come ad un’ancora di salvezza.
Mia mamma sta accanto al nonno, qualche passo davanti a me. Non guarda la tomba, ma mio nonno. È lì per lui, non per la defunta.  Per due motivi- mi aveva detto quella mattina in auto- si va al cimitero: perchè si ha un legame con il defunto, ma non è il mio caso, oppure per rispetto dei vivi. All’improvviso si scosta dal nonno e si avvicina alla tomba, prende il vaso e si allontana per cercare una fontana per cambiare l’acqua ai fiori che sicuramente il nonno ha portato qui domenica. La guardo allontanarsi tra le lapidi dei “ricchi”, quelle dei cimiteri dei film e mi sento quasi svenire. Possibile che qualcosa stia cambiando?
All’improvviso inizia a scendere una pioggerellina leggera, che subito si trasforma in an acquazzone. Rimango ferma sotto la pioggia e lascio che il vento mi inebri con il profumo dell’asfalto bagnato. Il nonno si muove inquieto davanti a me, mentre cerca con gli occhi mia madre. Intanto quel pizzicorìo che mi risaliva si trasforma in qualcosa di viscido, squamoso, dal retrogusto amaro. Non è dispiacere nè dolore, è un misto di insofferenza e voglia di cambiare, con un pizzico di speranza per il futuro.
Non vado via piangendo, ma con una preghiera nel cuore.
 
Angolo dell’autrice:
questo  testo è molto personale e spero vi sia piaciuto. È stato un brano liberatorio, uno di quelli in cui, scrivendo ciò che è successo, cerchi di capirti e di accettare te stesso e la vita.
Spero che non vi abbia annoiati.
Un bacio,
Stefania.

  
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