Kyran.

Kyran quella mattina si era svegliato di cattivo umore. Sentiva addosso quella strana sensazione, quel presentimento che provava all'inizio di ogni giornata storta. Appena sceso dal letto,se così si poteva chiamare quello scomodo giaciglio di foglie, indossò il ciondolo che, da quando aveva memoria, portava sempre con sè. L'ultimo ricordo dei suoi genitori, quella strana goccia intagliata nel legno di ebano, nero come la notte, che tanto assomigliava al colore dei suoi occhi. Uguali a quelli di suo padre,diceva la gente, scuri ed impenetrabili. Dopo essersi vestito, Kyran sgusciò fuori dalle vecchie rovine che ormai da anni chiamava casa. Non era sicuro,lo sapeva, ma quello era l'unico modo per ripararsi dal freddo vento che di notte soffiava per tutta la vallata di Konovag, insinuandosi in ogni angolo,facendo gelare le ossa ,mozzando il respiro.

Il ragazzo camminò velocemente fino al paese, stringendosi nella sua giacca di pelle,e si fermò solo davanti al cancello arrugginito della vecchia miniera di zolfo in cui lavorava. Entrò nel locale illuminato dalla fioca luce delle lampade ad olio e, con un sospiro, infilò velocemente il casco malandato, unica protezione che il regno offriva ai minatori che ogni giorno scendevano nelle profondità della terra, senza essere sicuri di rivedere la luce che filtrava dal cielo plumbeo. Kyran sentiva i cigolii e i rumori sinistri che mandava il traballante ascensore. Paura. Quell'unica parola gli risuonava nella mente. Aveva paura del buio silenzioso in cui stava sprofondando, della sensazione di oppressione che gli stretti cunicoli gli davano, ma soprattutto temeva di non tornare da Lei.