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Autore: Siria Lilian Black    25/07/2012    7 recensioni
Una figura scalza, accucciata a terra, si stringeva il capo fra le mani, fremendo appena, scossa dalle lacrime e dai singhiozzi che incontrollabili rompevano il calmo silenzio della notte.
Stringeva le gambe piegate al petto, sperando quasi inconsciamente di potersi così nascondere dal mondo.
Era pazza, lei, o così le avevano detto ferendola nel profondo.
Amava un uomo lontano mille miglia da lei.
Amava un uomo che mai e poi mai avrebbe potuto vivere al suo fianco.
Amava quell'uomo ed era stata ferita proprio per questo.

Probabilmente la troverete campata per aria, beh, fatemelo sapere.
Personaggi principali: Siria Lilian Black & John Cena.
Genere: Dark, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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E' stato solo un brutto sogno, Siria. Solo un brutto sogno.







Una figura scalza, accucciata a terra, si stringeva il capo fra le mani, fremendo appena, scossa dalle lacrime e dai singhiozzi che incontrollabili rompevano il calmo silenzio della notte.
Stringeva le gambe piegate al petto, sperando quasi inconsciamente di potersi così nascondere dal mondo.
Era pazza, lei, o così le avevano detto ferendola nel profondo.
Amava un uomo lontano mille miglia da lei.
Amava un uomo che mai e poi mai avrebbe potuto vivere al suo fianco.
Amava quell'uomo ed era stata ferita proprio per questo.


*

Alle cinque de pomeriggio, Siria, agguantò un pennarello indelebile e prese a riscrivere quella frase che imprimeva ormai da tre anni sulla pelle.
Rise Above Hate, recitava la scritta. Mancavano appena tre ore all'inizio del ballo di fine anno e nemmeno i tacchi e il vestito elegante avrebbero potuto costringerla a non tatuarsi ancora una volta quella promessa.
Con un sorriso ammirò quelle lettere ed uno sguardo determinato prese il posto del solito sguardo perso e rassegnato. Non era mai stata molto famosa a scuola, a dirla tutta era sempre stata ai piedi della piramide sociale, ma quella notte... quella notte nessuno le avrebbe impedito di dimostrare chi realmente era.
"Ma che schifo! Con che coraggio pretendi di diventare reginetta del ballo se continui a pasticciarti le braccia in quel modo?" esclamò la voce prepotente ed indignata della madre della ragazza.
"Non mi troverei costretta a farlo se solo mi aveste dato la possibilità di spendere la mia paghetta come meglio credo, non con stupidissimi regali per mia sorella!" rispose acida, la ragazza, chiudendo la porta in faccia alla madre.
La chiuse a chiave. Quella sarebbe stata capace di entrare in camera, cancellare quella scritta e prenderla a schiaffi, succedeva sempre così dopotutto.
Elizabeth. Lei sì che era una figlia perfetta. Appassionata fin dalla nascita alla moda, al ballo e all'eleganza, non come lei, amante del calcio, del Wrestling e dei vestiti da uomo.
Sua sorella era insopportabile, ma era la più piccola di casa, di conseguenza la privilegiata di turno.
Le due ragazze si odiavano e, mentre ad Elizabeth era permesso ignorare e insultare la sorella, a Siria spettava il compito di sorridere, annuire e acconsentire ad ogni richiesta della sorella.
I mille schiaffi presi, comunque, non avevano fatto altro che allontanare ulteriormente le due sorelle, portandole a dover abbandonare la camera che da piccole condividevano.
Siria sbuffò appena, lasciandosi cadere distesa sul letto.
Lo sguardo corse immediatamente al soffitto tappezzato di poster. I suoi poster.
John Cena, nel poster centrale, con un sorriso strafottente sul volto e la mano destra aperta, rivolta verso il volto ad immortalare un principio di "You can't see me".
Sul volto della ragazza spuntò un sorriso, spontaneo, felice, malinconico. Sospirò ancora, passandosi le mani dietro la testa.
Se solo fossi qui... se solo potessi essere al mio fianco ora e per il resto della mia vita, non sarebbe sempre tutto così difficile. Pensò osservando quegli occhi azzurri da lontano, con la ferrea certezza di non poterli mai vedere dal vivo. Rimase immobile per pochi secondi, minuti forse, ripercorrendo gli ultimi minuti, cercando delle risposte negli occhi immobili incollati al soffitto.
Come se fosse facile smettere di essere la sfigata, la secchiona per una notte, per poter finalmente mettere in pratica ciò che ho sempre fatto. Vorrei poter dire "Voglio quella corona e questa notte la farò mia", ma... quando mai ho avuto la forza di combattere per realizzare i miei sogni? Questo è il mio ultimo anno, non avrò altre occasioni.
Annuendo appena in risposta ad una voce che si era semplicemente immaginata, si alzò, agguantando gel e spazzola e corse al bagno.
Non ho più scuse. Non c'entrano le cheerleaders o i giocatori di Football o i soliti idioti, sta a me guadagnarmi quella corona, e lo farò.
Giurò, guardandosi allo specchio, mentre inutilmente provava a non incollarsi le dita arricciandosi i capelli in punti strategici.
I minuti passarono in fretta e in ritardo come al solito, si ritrovò seduta sul sedile anteriore della macchina di suo padre, fremendo in attesa di ciò che avrebbe trovato a scuola.
Non aveva un cavaliere, né ne aveva mai desiderato uno.
Non le piacevano i suoi compagni. Femmine e maschi erano stupidi e troppo preocupati di apparire cool per poter scalare la piramide sociale da rendersi conto di sembrare semplicemente dei pappagalli. Tutti vestiti allo stesso modo, senza un minimo di originalità, non avevano fatto altro che tormentarla e prenderla in giro per quattro lunghi anni di liceo, fregandosene se talvolta tornava a casa con i lividi lungo le braccia. La picchiavano, sì, talvolta quando le parole e gli scherzi non bastavano più, la aspettavano nei bagni, in gruppo, impedendole così di potersi difendere in un modo o nell'altro. Non aveva mai versato una lacrima, né confessato qualcosa ai suoi genitori, aveva sempre preferito ribellarsi e riservare un sorriso sarcastico ai deficenti che osavano metterle le mani addosso.
"Così fai a botte?" le aveva chiesto sua madre quando, appena tre anni prima era stata convocata dalla preside dell'istituto per scegliere la punizione più adatta da riservare alla figlia. Aveva mandato una di quelle all'ospedale, era stata autodifesa, ma nessuno mai le avrebbe creduto, dopotutto quanto mai poteva contare la parola di una figlia di operai in una scuola privata?
Aveva deciso quel giorno di scrivere sulla sua pelle, in corrispondenza del polso sinistro, quelle parole. Quello stesso polso che più e più volte era stato bloccato dietro la sua schiena in una morsa dolorosa. Da quel giorno avevano iniziato ad aspettarla in gruppo, mai meno di tre, per impedire che in un modo o nell'altro potesse replicare ciò che aveva fatto ad una delle loro leader.
Quella notte, quella notte si sarebbe rifatta di tutte le offese subite. Avrebbe cacciato dal trono le reginette della scuola e avrebbe posto il suo nome accanto al titolo di Reginetta del ballo scolastico. L'avrebbe fatto per dimostrare che, indipendentemente da ciò che l'universo scolastico pensava di lei, era perfettamente in grado di essere qualcuno da rispettare e considerare.

"Ti chiamo appena finisce, così passi a prendermi. Ciao."
Con un sorriso soddisfatto e colmo di aspettative, Siria scese dalla macchina del padre e raggiunse l'ingresso della scuola, accompagnata da un insolito rumore di tacchi. Aveva un lungo vestito azzurro, semplice, con le spalline sottili e una scollatura a V. Un piccolo braccialetto azzurro con una rosa bianca appuntata sopra, al braccio destro ed un paio di decolleté dello stesso colore del vestito. Non aveva la borsetta, il cellulare era al sicuro dentro una tasca cucita appositamente sul lato destro del vestito, impossibile a vedersi, se non dopo un attenta analisi.
Decisa a dimenticare il passato e quanto avrebbe potuto influire sul suo futuro, entrò nella palestra dove si sarebbe tenuta la festa. Di fronte a lei apparve un mondo completamente diverso da quello che era abituata a vedere in quella scuola. In quella mega festa non c'era e non ci sarebbe mai stato spazio per le classi sociali. Erano semplicemente liberi di essere ciò che volevano essere, l'unica cosa importante è che facessero tutto a ritmo di musica.
"Ehi, Black, stai bene così!" esclamò un ragazzino del terzo anno, incontrato un po' per caso nei corridoi della scuola, l'unico che forse aveva dimostrato in un modo o nell'altro di considerarla degna di appartenere a quell'universo.
"Grazie, Tom." rispose lei, raggiante.
Resasi finalmente conto di essere libera di fare qualunque cosa avesse desiderato, fermò il ragazzo, stringendo appena il suo polso.
"Senti, non è che ti andrebbe di ballare?" domandò abbozzando un classico sorriso imbarazzato.
"Beh, sì... dubito che Diana si arrabbierà." rispose, il ragazzo, dopo alcuni attimi di silenzio, lanciando un'occhiata a quella che avrebbe dovuto essere la sua dama, impegnata al momento con Daniel Io-Sono-Figo-E-Tu-No Vane.
Raggiunsero la parte centrale della sala e, parlando di scuola e dei loro piani futuri, presero a ballare, dimenticando presto il resto della scuola.
Le ore passarono velocemente e Siria, resa in qualche modo diversa dall'abbigliamento e dal sorriso raggiante, cambiò spesso accompagnatore, ritrovandosi a ballare con ragazzi e ragazze che nona veva mai avuto il piacere di conoscere. In tutto questo, nonostante fosse un'iniziativa solitamente supportata e supervisionata dai docenti dell'istituto, i professori e i bidelli non si erano fatti vedere...

"Fermi, fermi, fermi! Suppongo abbiate ballato abbastanza questa sera. E' con mio immenso piacere che vi comunico i nomi che quest'anno occuperanno un posto speciale nel cuore della nostra scuola. Il Re e la Regina del ballo di fine anno!" James, il presidente del comitato studentesco, tirò fuori due buste dalla tasca della giacca nera che portava e le aprì con un sorriso degno della copertina di People. "Ebbene, inchinatevi dunque di fronte al vostro nuovo Re... DANIEL VANE!"
La nomina venne accolto da un'assordante e feroce battito di mani. Nessuno era rimasto stupito da tutto ciò e Siria, ad appena pochi metri dal palco sul quale era salito ed era stato incoronato Daniel, si limitò a mettere su un falso sorriso, battendo le mani una volta soltanto, giusto per dare l'impressione di essere, come il resto del mondo, estasiata dalla sua nomina.
"Adesso è il momento di leggere il nome della vostra prossima Reginetta e lasciatemelo dire, resterete a bocca aperta! E' con mio grande stupore che vi chiedo di fare un grosso applauso alla vostra nuova Reginetta... SIRIA LILIAN BLACK!"
Il rumore della sala cessò e tutti si voltarono di colpo a guardare la ragazzina sfigata che indossava l'abito azzurro. Dal canto suo, Siria era rimasta immobile, incredula di esser finalmente riuscita a ripristinare un pizzico di giustizia nell'universo scolastico. Timidamente, ma con un sorriso a metà fra il soddisfatto e lo strafottente, salì sul palco e attese paziente che James le posizionasse la coroncina sulla testa, nel silenzio più totale.
"E adesso, ragazzi, liberate il centro della palestra, è venuto il momento del Gran Ballo!" esclamò James, invitando Siria e Daniel a prendersi per mano e raggiungere il centro della palestra, dove un lento avrebbe richiesto la loro concentrazione.
Resa euforica dal risultato ottenuto, Siria ballò quasi senza rendersene conto, limitandosi a seguire i passi di Daniel sotto gli occhi dell'intera scuola, quella stessa scuola che mai prima di quel giorno aveva osato guardarla con un pizzico di rispetto. Presero a volteggiare, l'uno nelle braccia dell'altro, e quasi come in una classica favola per bambini, la magia venne interrotta da uno sguardo, lo stesso sguardo di sempre.
Haley Stevenson, capo cheerleader e detentrice di tutti i record scolastici, punta di diamante della piramide sociale dell'istituto e quattro volte di seguito Reginetta del ballo scolastico. Te la farò pagare. Sillabò senza emettere nemmeno un suono. Accanto a lei Christian Sono-Pazzo-Di-Haley Brown e Joe Convinto-Di-Essere-Il-Vero-Fidanzato-Di-Haley Gillies, eterni decelebrati e membri fondanti del club Picchiare Siria Non E' Un Problema.
Distratta dalle possibili conseguenze della sua nomina, Siria pestò un piede a Daniel, mormorando appena un misero "Scusami" appena pochi attimi prima che il brano finisse.

Finito il ballo, la nuova reginetta, sgattaiolò dalla sala, passando dal portone ad est, diretta verso i bagni. Sperava di non essere stata vista da nessuno, visto ciò che era appena successo con Haley, la sue minace avevano sempre avuto un seguito decisamente poco bello, per quello aveva scelto i bagni meno frequentati durante le occasioni mondane, un piano sopra le palestre.
A quell'ora nessuno si sarebbe curato di lei, e, sbrigando i suoi bisogni, si era ritrovata a sperare che anche Haley, per quella sera, decidesse di lasciarla in pace. Non le era piaciuto per niente lo sguardo dei due decelebrati che l'avevano accompagnata, erano sembrati quasi attratti da lei.
Scuotendo la testa lasciò che il sorriso tornasse ad illuminare il suo viso.
"Oggi non succederà niente." disse rivolta a sé stessa, uscendo dalla porta che nascondeva il WC dal resto del bagno.
"Perché ovviamente speri di passarla liscia, dico bene Black?" domandò una voce secca e acida, alla sua destra.
Spalancando gli occhi per un attimo, vide accanto a lei Haley, a destra e i due tirapiedi a sinistra, ad impedirle di raggiungere la porta e quindi di fuggire.
"Cos'è vuoi indietro la tua corona, Stevenson?" ribattè la Black, voltando il capo verso di lei, tenendo comunque d'occhio i due ragazzi.
Non gliel'avrebbe data vinta. Non quella volta. Non quella notte.
"Fossi in te non userei quel tono, Black. Ricordi cos'è successo l'ultima volta?"
"Ma certo, hai dovuto usare i due idioti qui accanto per infilarmi la testa nel water. Dopotutto, da sola con quelle braccine che ti ritrovi non saresti in grado di tener fermo neanche un pollo."
Lo schiaffo avrebbe dovuto andare a segno sulla guancia destra della Black, ma venne intercettato, bloccato con una stretta ferrea dalla stessa.
"Allora non hai capito niente Stevenson. Non è picchiando me che risolverai i tuoi problemi e colmerai le tue insicurezze. Sei solo priva di spina dorsale, ragazzina." rispose con un tono deluso, Siria, stringendo appena i denti quando quello stesso braccio che aveva osato bloccare lo schiaffo di Haley, venne rigirato dietro la sua schiena da Christian.
"Sei tu che non hai capito niente, Black. Ti conviene chiudere la bocca se non vuoi peggiorare la tua situazione." esordì in un sussurro, il ragazzo, le labbra ad un millimetro dall'orecchio di Siria.
"Ti puzza l'alito, Gillies..." ribattè la Black, gemendo appena quando la stretta sul braccio divenne più forte.
Un'altro schiaffo da parte della ragazza venne bloccato, la mano destra, con la scritta sul polso ben evidente, corse a proteggere il volto di Siria, fermando la mano di Haley. Liberandosi dalla stretta della Black, la ragazza le prese il braccio stringendole il polso e con un sorriso infame esclamò:
"Oh, ma guarda un'altra fan di Cena... chissà cosa dirà il tuo eroe dopo che avremo impresso un po' più a fondo questa scritta..."
Con un ghigno liberò il polso della ragazza e tuffò la mano destra nella borsetta e pochi attimi dopo la tirò fuori, stringendo fre le dita le forbicine per le unghie. Conscia di ciò che la ragazza avrebbe fatto di lì a poco, Siria, tirò una gomitata a Joe, riuscendo miracolosamente a liberarsi per pochi attimi. Sperava di potersene andare prima di vedere quelle forbici premute sulla sua pelle. Arrivarono le braccia di Christian a bloccare i suoi movimenti ed in pochi attimi si ritrovò stesa a terra, il bacino bloccato dal 'dolce' peso di Joe e le spalle tenute ferme da Christian, inginocchiato accanto alla sua testa.
"Stevenson, tocca quella scritta e sei morta, lo giuro sulla mia tomba. Toccala e non sarò responsabile delle mie azioni" Sibilò gelida la ragazza.
Potevano dire tutto di lei, divertirsi alle sue spalle, picchiarla se proprio non sapevano come occupare il tempo, ma quelle parole... quelle parole erano sacre per lei e mai nessuno si sarebbe dovuto azzardare a profanarle.
"E sentiamo, come pensi di impedirmelo?" Domandò Haley, inginocchiandosi accanto a lei. Forzò il suo braccio e la contrinse a distenderlo a terra, bloccandolo in seguito con un ginocchio.
"Sto aspettando..." continuò, aprendo le forbici e puntandole contro la R, incurante del fatto che la ragazza stesse cercando di liberarsi in ogni modo possibile.
I minuti seguenti furono i più dolorosi della sua intera esistenza.
In seguito non riuscì a ricordare se in risposta a tutto quel dolore avesse gridato e, in quel caso, perché nessuno si fosse dato la pena di soccorrerla, o se per orgoglio avesse tenuto la bocca chiusa, limitandosi a versare qualche lacrima, fissando uno ad uno i suoi aggressori negli occhi.
Talvolta è facile passare da bullo della scuola a puro e semplice criminale ed evidentemente Haley, Joe e Christian avevano trovato una valida giustificazione ai loro gesti nella gerarchia scolastica, fatto sta che non si limitarono ad incidere nel sangue quelle parole, andarono ben oltre. Violarono l'intimità della ragazza, macchiandosi di uni dei reati più atroci. La stuprarono, ridendo e scherzando, quasi si trattasse di un giorno. Uno stupido gioco finito male. Ridevano guardandola negli occhi, commentando a voce alta quanto fosse piacevole trovarsi lì in sua compagnia e risero uscendo da quel bagno, lasciandola sola, immersa nel suo dolore su quel pavimento.
Passarono attimi, minuti, ore, forse, prima che la Black riuscisse ad alzarsi.
Aveva pianto fino a dimenticare il senso di ogni cosa.
Non c'era un perché, non c'era una giustificazione a tutto ciò che aveva subito.
Non riusciva a capirene il perché.
Perché un essere umano sceglie di odiare a tal punto un altro da privarlo con violenza dell'innocenza?
Perché due compagni di scuola avrebbero dovuto strapparla via dal suo stesso corpo?
Perché tanto odio nei suoi confronti?
Con le guance ancora umide dalle lacrime, Siria, barcollò fuori dal bagno, cercando in un modo o nell'altro di allontanarsi dal teatro di quell'incubo. Appena pochi metri dopo, crollò seduta a terra, le spalle contro il muro e le ginocchia strette fra le braccia, riniziando a piangere come mai aveva fatto nella sua vita.


*

Sentendo una lieve pressione sul fianco, si ricordò della promessa fatta al padre e, cercando inutilmente di trattenere le lacrime, tirò fuori il cellulare dalla tasca. Cercò il numero del padre nella rubrica, poi, chiedendosi come avrebbe potuto spiegare il perché di tutto quel sangue addosso a lei, tornò sulla schermata principale, chiudendo la rubrica. Quegli occhi azzurri tornarono a colpirla e fra le lacrime sussurrò:
"Ho fatto semplicemente ciò che avevo promesso..." cercando ancora una ragione in quel volto ormai familiare.
Senza nemmeno farci caso, si ritrovò connessa a internet, su uno dei social network più famosi della rete. Twitter in quel momento sembrava essere in bianco e nero, tante erano le lacrime che scorrevano sul volto della ragazza.
@JohnCena Sono stata stuprata pochi minuti fa e tutto ciò non sarebbe successo se fossi stato al mio fianco... a proteggermi.
Scrisse, di getto, senza preoccuparsi del mondo o dei quattrocento followers che avrebbero potuto domandargli come stava o altre cose delle quali non le sarebbe importato più. Di colpo il mondo era diventato di un bianco abbagliante, estraneo per una che come lei aveva sempre amato i toni scuri. Senza nemmeno accorgersi dei suoi movimenti aprì la scheda Connetti, leggendo quasi con un pizzico di incredulità le sei parole che aveva semper sognato di leggere: John Cena ha iniziato a seguirti.
Mentre ancora cercava di dare un senso a quelle parole, con lo stupore in aggiunta a quell'assurdo mix di emozioni terribili e contrastanti che aveva provato, vide la sagoma in alto a destra sulla pagina principale, illuminarsi di azzurro. Senza aver ancora trovato un senso in tutto ciò che stava succedendo, aprì i DM, trovandovi un nuovo messaggio da parte di John:
Dove ti trovo?
Diceva il messaggio.
Sono al secondo piano del tuo vecchio liceo...
Rispose lei, come un automa.
Non muoverti di un passo, spero soltanto che non sia vero e che tu stia bene.
Il Blackberry le scivolò dalle dita, finendo a terra con un rumore secco. La testa tornò stretta fra le braccia e le ginocchia, in attesa di trovare semplicemente la forza di andare avanti.
Aveva pensato più volte ad una situazione di quel tipo.
Aveva provato a vivere con la mente una situazione simile, leggendo romanzi e guardando film sull'argomento, eppure tutte le sue convinzioni erano state schiacciate via dalla realtà.
No, non sarebbe riuscita semplicemente ad andare avanti.
Non sarebbe riuscita a dimenticare.
Non sarebbe tornata a sorridere sinceramente il giorno dopo, tenendosi stretta gli amici, perché in fondo di amici non ne aveva mai avuti.
Sarebbe rimasta ferma al passato, rivivendo quegli attimi ogni giorno, pur desiderando con tutta se stessa di dimenticare.
Avrebbe pianto ancora, nascosta nella sua camera e avrebbe nascosto tutto ai suoi genitori.
Avrebbe finto, così come aveva sempre fatto, ma con delle certezze in meno, questa volta.
Persa nei suoi pensieri e nelle sue infinite lacrime, quasi non si acorse dell'uomo che aveva appena salito le scale e lasciato il primo piano.
"Siria..." sussurrò incredulo, l'uomo, lo sguardo sconvolto posato sul vestito azzurro, macchiato di rosso dalla vita in giù.
La ragazza alzò lo sguardo perso sul volto dell'uomo, temendo quasi di trovarsi di fronte nuovamente i suoi aggressori. E per l'ennesima volta trovò in quegli occhi azzurri, questa volta animati da stupore, incredulità ed un pizzico di sofferenza, una risposta.
Non era mai stata lei il problema.
Non era e non sarebbe mai stata lei la causa di ciò che le era successo.
Era il mondo ad essere sbagliato, non lei.
Avrebbe ricordato, pianto, urlato, ma non avrebbe semplicemente smesso di vivere.
Avrebbe combattuto e non si sarebbe arresa.
Vide l'uomo avicinarsi lentamente, quasi temesse di poterla in qualche modo spaventare o ricordarle ciò che le era successo.
"Hanno macchiato la mia promessa... e non ho potuto fare niente per fermarli..." disse lei, la voce rotta appena udibile.
Come tutti, si concentrò sui dettagli, sulle cose meno importanti, per non ricordare, per rimandare il più possibile l'appuntamento con il ricordo di quell'incubo. Accanto a lei, gli occhi azzurri erano velati da un enorme punto di domanda.
"Promessa? Di cosa stai parlando?" domandò, abbassandosi, così da non costringerla a torcere il collo in modo innaturale, avendo il muro alle spalle.
"Avevo giurato... avevo giurato di non farli vincere... di dimostrare chi ero... ma..."
Le lacrime ripresero a scorrere quando, separando a fatica il polso sinistro ancora sanguinante dalla stoffa del vestito, vide quella scritta, incisa sulla sua pelle. Non riusciva più a distinguere il blu del pennarello indelebile dal rosso scarlatto del sangue. Alla vista di quell'assurda crudeltà gli occhi dell'uomo si spalancarono.
"Dio... non è possibile... " sussurrò, prendendo il polso della ragazza fra le dita con delicatezza. Apostrofò Haley con una serie di epiteti poco carini, ma perfettamente adatti alla situazione, cercando di tamponare con un semplice fazzoletto di carta la ferita. Ci mise quanta più delicatezza possibile, ripromettendosi di cercare di persona i bastardi che avevano osato toccarla.
"Sono sempre bastate le tue parole a darmi una ragione per combatterli..." disse con quello stesso tono vuoto. "Ma oggi... oggi avevo bisogno di te... non sarebbe successo... non mi avrebbero..."
Altre lacrime presero a scorrere lungo il suo volto, il corpo ancora scosso dai singhiozzi.
"E come avrei potuto?" rispose lui, circondando le spalle della ragazza con le braccia, attirandola verso di sé con delicatezza.
Lei, lasciò le ginocchia e si aggrappò a lui, continuando a piangere contro il suo petto, stretta in un abbraccio che aveva sempre desiderato ricevere, ma che avrebbe volentieri scambiato con un salto indietro nel tempo.
"Scusami..." sussurò lui, cercando in qualche modo di tranquillizzarla, accarezzandole appena il capo.
"Non avrei dovuto sfidarli... ma la promessa..." continuò poi, scossa dai singhiozzi.
"Shh... non sei tu la causa, non hai nessuna colpa! Quei bastardi non avrebbero dovuto... per nessuna ragione..." rispose, il tono animato dalla rabbia, seppur addolcita dalla comprensione. "Faremo in modo che non possano più fare una cosa del genere, ma non sono loro le persone importanti. Sono qui e adesso è a te che devi pensare, capito?"
Lei abbozzò appena un simil-sorriso, ricordando ciò che aveva pensato e desiderato appena sei ore prima.
"Sai... nonostante tutto credo di aver appena realizzato il mio sogno più grande..." disse dopo alcuni attimi di silenzio, il tono ancora privo di ogni sentimento, alzando il capo verso il volto del wrestler.
"Come?" rispose lui, spiazzato dalle sue parole.
"Sì... sono qui tra le tue braccia... libera di perdermi nei tuoi occhi senza essere presa in giro..." confessò.
Nel suo tono non vi era nemmeno l'ombra della felicità che avrebbe voluto provare in quel momento, così come nel suo cuore. C'era il vuoto ad accompagnare quelle parole sincere, eppure sul volto dell'uomo andò a formarsi un sorriso. Accarezzò il volto della ragazza, stringendola nuovamente fra le braccia. Una lacrima corse lungo il suo volto una volta che ella ebbe posato nuovamente il capo contro il suo petto.


*

In seguito l'accompagnò a casa, dove sì incaricò di spiegare l'accaduto ai genitori. Il viaggio in macchina verso l'abitazione della famiglia era bastato per permettere alla ragazza di raccontargli tutto ciò che era successo. I genitori lo ringraziarono ed egli si offrì di restare per assicurarsi che la ragazza ricevesse tutte le cure necessarie, tutavia i genitori decisero, visto lo stato emotivo della figlia, di rimandare al mattino seguente la visita all'ospedale, così, Siria, stretta fra le braccia di John, raggiunse la sua stanza e con non poca fatica riuscì a sdraiarsi a letto.
Sul volto di John apparve un lieve sorriso alla vista del soffitto, interamente dedicato a lui e ad Eddie.
"Dormi..." disse poi, con dolcezza, sedendosi sul bordo del letto.
Lei, voltandosi verso di lui con un lieve sorriso, il primo sincero dopo l'incubo, sussurrò un lieve "Grazie", prima di scivolare nel mondo dei sogni.
Accarezzando lievemente il volto della giovane, un'altra lacrima scivolò sul volto dell'uomo.
"Vorrei poterti dire che è stato solo un brutto sogno, Siria. Solo un brutto sogno."
   
 
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