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Autore: Fanny Jumping Sparrow    25/07/2012    7 recensioni
Il malvagio ed affascinante Capitan Vegeta ha un cuore nero come gli abissi, è vittima di una maledizione e con la sua nave Bloody Wench semina morte e terrore per i sette mari; la bella e intrepida Bulma Brief è una coraggiosa avventuriera con l'umore mutevole come la marea che nasconde un singolare segreto. Entrambi attraversano gli oceani alla caccia dello stesso tesoro: le magiche sfere del Drago. Il giovane tenente di vascello Son Goku, fresco di accademia ed amico d'infanzia della ragazza, riceve l'incarico di catturare i due fuorilegge, che nel frattempo hanno stretto una difficile alleanza, e consegnarli al capestro...
Personale rivisitazione in chiave piratesca del celebre anime su suggerimento della navigata axa 22 (alla quale questa storia è dedicata;) e della mia contorta immaginazione. Possibili numerose citazioni e riferimenti ad opere letterarie e cinematografiche esterne. Gli aggiornamenti saranno dettati dalle capricciose onde dell'ispirazione. BUONA LETTURA! Se osate...
Quella tonalità era insolita, appariscente, innaturale. Non umana.
Contenne uno spasmo di eccitazione. “Troppa grazia”, obiettò pessimisticamente.
Aveva dato la caccia ad un colore simile innumerevoli notti, sondando bramoso il blu profondo.
Troppo facile, troppo assurdo che l’avesse proprio lei.

*CAPITOLI FINALI IN LAVORAZIONE*
Genere: Avventura, Commedia, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bulma, Freezer, Goku, Vegeta | Coppie: 18/Crilin, Bulma/Vegeta, Chichi/Goku
Note: AU, Otherverse | Avvertimenti: nessuno
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Salve ciurma! Da oggi sono ufficialmente in vacanza e finalmente sono riuscita a concludere un nuovo capitolo di questa storia. Salvo altri impedimenti e ispirazione permettendo, gli aggiornamenti d'ora in poi saranno più rapidi.

Qualche premessa per questo capitolo...Probabilmente Vegeta potrebbe apparire OOC, ma sappiate che la sua infatuazione non è "naturale" bensì conseguenza della sua maledizione, cui ho accennato negli scorsi capitoli e che si spiegherà meglio man mano che la storia procede. Ci tengo comunque a conoscere le vostre impressioni sulle mie idee "fantasiose"^.^

Per il resto ringrazio LoveKath per essersi gentilmente prestata a modificare l'immagine che trovate a fine capitolo (oltre che per avermi sopportata in queste ultime settimane di stress notturno pre esame^^"), axa 22 per essere sempre disposta a darmi consigli sullo svolgimento della storia (ma ne apprezzerai qualcosa nei prossimi capitoli!), Proiezioni per essersi sottoposta alla lettura completa in tempo record ed avermi incoraggiata con le sue recensioni a perseguire la mia rotta, oltre a tutti coloro che hanno inserito la storia tra le seguite, le preferite o le ricordate, chi mi ha lasciato un commento allo scorso capitolo e chi legge semplicemente.

Adesso vi lascio al capitolo, spero vi sia gradito :)

Buona lettura, al prossimo approdo!)

IX: SPARKS

Capitan Vegeta ripose la sfera nella custodia di stoffa e la riallacciò alla cintura: - Non so come ci siate riuscita, ma mi avete preceduto sia alla Montagna Ululante che all’Isola di Corallo.
Sillabò quelle parole con evidente difficoltà, come se la lingua gli si fosse infeltrita, senza però abbassare lo sguardo intriso di ferrigna repulsione da quello cristallino della ragazza, che gli si ergeva davanti con un mezzo sorriso trasudante un timoroso soddisfacimento.
Bulma, costernata ed agitata, emise uno sbuffo che le scompigliò la frangetta: - Ma, quindi non l’avete trovata voi la sfera caduta nel folto della Foresta ghiacciata? – evinse in parte demoralizzata, fissandolo ad occhi sbarrati, portandosi la mano destra sul mento con le dita ripiegate verso il labbro inferiore.
Per un istante il masnadiere fu sfiorato dal pensiero che quella posa fosse vagamente, e non capiva quanto volutamente, sensuale, ma il suo tono rimase insensibile e aspro: - Non ci sono mai stato – ammise spiccio, restando ancora una volta in attesa di una sua controffensiva. Dopotutto non si toglieva di mente, sin dall’avvistamento della sua bandiera, che quella Brief si fosse fatta rintracciare intenzionalmente, ed era molto curioso di vedere in che modo e fino a che punto avrebbe saputo continuare a destreggiarsi con un pirata indomito e mascalzone come lui.
La donna piegò il braccio sinistro in modo da toccarsi il gomito dell’altro reggendo la stessa posa plastica e riflessiva: - Strano … - farfugliò elusiva, spostando l’attenzione sull’orizzonte, mentre un suono secco, leggero e rapido aveva ricominciato a provenire dalla piccola scatoletta metallica agganciata alla cintola; istantaneamente cercò di attutirlo nascondendo l’oggetto in un pugno.
Yamcha, piegato in ginocchio e tenuto al cappio da due scagnozzi, le lanciò un’occhiata smarrita ed inquisitoria, contemporaneamente Vegeta la scrutò dai capelli agli stivali, altero e corrucciato.
- State cercando di suggerirmi che c’è una terza persona interessata alle sfere? … O state cercando di fregarmi? – la incastrò, l’impazienza e l’irritazione riflessa dai suoi occhi atri e obliqui sembrava una marea montante gonfiata dai venti di burrasca.
Bulma deglutì rumorosamente, e non riuscì ad evitare che la voce le si alterasse in qualcosa di simile ad uno squittio: - Perché dovrei, scusate?
Il Capitano della Bloody Wench si compiacque nell’appurare che, nonostante infiorettasse ogni parola e ogni occhiata di una fastidiosa spavalderia, in realtà le incuteva soggezione.
- Perché siete una donna e un pirata – sentenziò spregiativo con un sorriso tagliente, facendo sollevare dei risolini di approvazione tra la ciurma. “E mezza umana”, gli venne da pensare.
La prigioniera giudicò quell’affermazione come la prova della sua mentalità misogina e retrograda: - C’è una sola parola, bello: piratessa – chiosò, fulminandolo stizzita con le mani ai fianchi.
Vegeta contrasse la mascella e incassò la petulante provocazione senza aprir bocca, limitandosi ad un infastidito borbottio: - Continueremo questa conversazione nella sala nautica – le ingiunse tassativo, staccando un dissimulato ammiccamento ai suoi ufficiali.
Bulma non se ne avvide, essendosi nello stesso istante voltata verso Yamcha per trasmettergli un segno d'intesa rassicurante, per quanto non discerneva se quel burbero invito potesse essere il principio di una recalcitrante collaborazione o il sentore della sua subitanea condanna.
Il moro filibustiere si era già incamminato torvamente e di gran carriera verso il castello di poppa per farle strada. La ragazza lo seguì impettita: - Bene – si disse, procedendo dietro di lui.
Yamcha osservava i due allontanarsi dalla tolda ed il suo volto era paralizzato dal terrore: quella giovane era talmente matta e sicura di sé che si stava infilando dritta dritta nella tana del lupo! E non aveva avuto la benché minima accortezza di ritirarsi finché era ancora in tempo, anziché correre il rischio di straperdere. La stimava per questa sua grinta, tuttavia non poteva evitare di stare in pena per lei, perché su quel tizio ne aveva sentite di cotte e di crude.
Si guardò intorno in cerca di un’idea o di una via di fuga, ma al momento dovette riconoscere di non poter far nulla di eclatante per aiutarla, senza inguaiarsi anche lui.

Bulma, arrancava faticosamente sul castello di poppa, seguitando a maledire con tutti gli improperi che conosceva quel furfante perché non si curava minimamente del fatto che avesse ancora la palla legata al piede sinistro e dovesse compiere uno sforzo notevole per sollevare la gamba. Preferì, però, che la collera le riecheggiasse dentro anziché lasciarla esplodere in mille schegge come un cannone rotto. Si trattenne con enorme fatica solo perché ritenne che, forse, si stava creando un fragile equilibrio fra lei e quel terribile fuorilegge e non voleva mandare tutto a rotoli con la sua intolleranza proprio in quel frangente favorevole.
Vegeta, avvertendo quel tonfo cupo e cadenzato sulle assi di legno, le gettò una lesta ma acuta occhiata. La preda che aveva a lungo inseguito non se l’era immaginata proprio così: quella femmina era particolarmente forte ma altrettanto goffa, oltre che terribilmente pettegola. E testarda. Picchiò su tutti i gradini, affannandosi e sbuffando, ma non dandogliela vinta.
Stava per arrivare in cima alla rampa, ma i ghigni malevoli che animavano i volti infidi dei marinai disseminati un po’ ovunque, le incollarono di colpo i piedi. La Brief ebbe il sentore nascondessero qualcosa di losco e la sua preoccupazione andò immediatamente all’incolumità degli altri prigionieri rimasti sottocoperta.
Il pugnale che l’avversario le aveva rubato faceva bella mostra di sé in una fondina che gli penzolava dietro la schiena. Fu tentata irragionevolmente di riprenderselo e piantarglielo tra quelle scapole robuste che intravedeva al di sotto della leggera camicia di flanella, per intimidirlo con più convinzione circa le sue rivendicazioni. Aveva già iniziato ad allungare il braccio verso di lui, ma, rammentandosi all’istante la figuraccia precedente, prudentemente lo ritrasse.
Erano nel frattempo arrivati entrambi sulla balconata sovrastante il ponte di coperta che accoglieva la tuga, con l’alloggio del comandante. Solo allora si rese conto di quanto la situazione fosse sconveniente, perché in verità non l’allettava molto rimanere a lungo da sola con quell’imprevedibile canaglia.
- Non vi fidate dei vostri uomini o mi volete più vicina? – osò scherzare per celare l’agitazione. La salace favella e l’esotica bellezza donatale da madre natura erano le uniche armi a sua disposizione e doveva sfruttare quanto più possibile quelle, oltre al brillante intelletto.
Il Capitano s’irrigidì come se l’avesse davvero pugnalato, poi si voltò ritrosamente a guardarla: - Avete indovinato – affermò ambiguamente, con accento sin troppo basso e morbido, mentre artigliava le dita al pomo della maniglia, spalancando con uno scatto imperioso la porta ed entrando senza aspettarla.
La piratessa dedicò un ultimo colpo d'occhio all’esterno: Yamcha, tutto sommato, stava piuttosto bene, e il sole era ancora alto, toccando appena il mezzogiorno. Ad ogni modo era meglio se si sbrigava. Trasse un sospiro e si infilò timidamente.
Bulma rilevò subito come quella cabina molto spaziosa fosse oltremodo buia e cupa, nonostante una grande vetrata ne occupasse una parete intera sul fondo. Fatto qualche passo notò, a qualche metro dall’ingresso, sulla sinistra, seminascosto da una tenda scarlatta di seta trasparente, un grande letto con la struttura in ferro battuto e la testiera imbottita. Le lenzuola di bisso, disfatte e aggrovigliate, recavano l’impronta di notti inquiete. Si passò una mano sul collo avvertendo una strana vampa allo stomaco e alle orecchie, e pensò fosse inappropriato soffermarsi oltre, perciò continuò ad addentrarsi, non trattenendosi dall’ammirare con soggezione il resto del lugubre ambiente. L’arredamento pesante e tetro comprendeva un mobilio barocco dai colori sulfurei, brutalmente scheggiato in più punti e decorato con teschi e pezzi di ossa; vi erano anche parecchi candelabri e bottiglie di varie dimensioni sparse sul pavimento o su altri ripiani.
Capitan Vegeta era ritto davanti quello scorcio sull’oceano, aveva indossato una giacca nera lunga fin sotto la vita, e le dava nuovamente le spalle, perso in chissà quali considerazioni.
Lo raggiunse trascinando stancamente la gamba e facendo strisciare la palla di piombo sul delicato parquet. A separarli vi era un imponente tavolo di legno laccato d’oro ricoperto di volumi e scartoffie. Sfortunatamente non c’era neppure una sedia, pertanto, per riposarsi un po’, si appoggiò con entrambe le mani proprio a quel tavolo, attendendo concitatamente che lui si degnasse di considerarla.
Le sembrava di poter affettare l’aria in quella calma fittizia, e involontariamente si mise a picchiettare le unghie, tentando di esprimersi cautamente e al contempo disinvoltamente:
- Quest’altro che vuole le sfere … Di chi si potrebbe trattare? Ne avete parlato con qualcuno?
- E voi? – incalzò il filibustiere, voltandosi e protendendosi verso di lei con le iridi di pura antracite lampeggianti sospetto. Poco più di una spanna separava i loro volti e la ragazza, intimorita dall’intemperanza incontenibile trasmessa dai suoi lineamenti duri e marcati, scosse energicamente la testa tirando indietro il busto nel ritrovarselo così vicino.
Anche Vegeta si ritrasse di scatto. La folata del suo profumo, ora che si trovavano al chiuso, gli era penetrata sin dentro le viscere, mandandogliele a fuoco. Non aveva quasi più dubbi. Quelle sfumature acquatiche tra i capelli, la carnagione troppo chiara e perfetta per una donna che faceva vita su una nave, ed ora l’odore invitante del suo sangue. La persistente attrazione che gli suscitava corroborò, con sua contrarietà, che doveva essere proprio lei quella creatura imprendibile che stava braccando; altrimenti non l’avrebbe trovata così appetibile.
Doveva dominarsi, o le avrebbe fatto del male anzitempo.
All’improvviso captò un rumore e si concentrò su di esso. Era come il ticchettio di un orologio che batteva i secondi in maniera accelerata, e proveniva da lei, dal suo rotondo fianco sinistro per l’esattezza. Le sue pupille vi indugiarono con speciale interessamento.
- Ad ogni modo, chiunque sia quest’altra persona, si sta avvicinando – comprovò con superba pedanteria la Brief, sganciando il prisma lucente dalla cintura e aprendolo per studiarne l’interno.
Il Capitano, sempre più intrigato dalle sue affettate parole, decise di guardare più da vicino quella scatoletta. Bastò un altro passo verso di lei perché tornasse a bruciargli ancora la gola. La sua mente acuta trovò tuttavia un rimedio per accomodare. Tra le varie chincaglierie stipate alla rinfusa sulle suppellettili, ebbe la prontezza di individuare la sua tabacchiera e ne attinse alcune foglie, portandole convulsamente alla bocca. Erano molli e stantie, detestava dipendere da qualcuno o qualcosa, perciò ultimamente ne aveva abbandonato il consumo. Masticandole, tuttavia, riusciva a smorzare e confondere i sensi omicidi che lei, senza saperlo, gli aveva con virulenza rinfocolato. Trattenne un altro colpo di tosse, avvicinandosi con una lunga falcata: - Cos’è quell’affare? – ringhiò rauco e irrequieto, indicandolo con gli occhi.
Bulma per un secondo sorrise tra sé e sé: un pirata col mal di gola era assai insolito, ed era stupido si curasse col tabacco. La donna fu comunque contenta e orgogliosa di aver riscosso il suo vivo interessamento. Poggiò la cassettina sul tavolo, esponendola perfettamente alla luce delle candele e ne illustrò le straordinarie capacità: - È la mia bussola cerca-sfere. Ecco, guardate: ogni lancetta indica una sfera; queste tre sono quelle che ho già portato al sicuro. Questa è la vostra, le altre due che vanno ancora rintracciate, e … questa, che deve essere nelle mani di qualcun altro perché si muove.
Vegeta si lasciò assorbire dalla spiegazione, cercando di assuefarsi alla sua vicinanza, ma si accorse che i suoi respiri erano diventati sempre più lunghi e profondi, e che tutta l’aria che inspirava gli appiccava un incendio nelle vene. Lei, avendo presumibilmente percepito qualcosa di diverso nel suo atteggiamento, indugiò a guardarlo intensamente. Doveva stare attento a non annegare in quegli specchi di cobalto, perciò si avventò sulla bussola e la prese, tornando di fretta davanti alla vetrata.
Bulma tentò di inseguirlo: - Hey! Ridatemela! – protestò inviperita, arrivandogli alle spalle.
- Dove l’avete trovata? – inquisì lui, continuando ad ispezionare ogni particolare del bizzarro oggetto, masticando celermente.
- L’ho costruita io, a dire il vero – si imbaldanzì la donna, sollevandosi sulle punte per cogliere quale fosse la sua reazione a quella notizia – Piuttosto, voi cosa impiegavate per la ricerca? – soggiunse curiosa, arrendendosi all'impossibilità di intercettare l’espressione del suo volto.
Vegeta mosse appena il collo: - Quelle – mormorò atono, accennando a delle mappe spiegate su un altro scrittoio poco lontano.
L’avventuriera assottigliò gli occhi e sbuffando si spostò lentamente fino al punto indicato; focalizzando gradualmente quello che aveva davanti ebbe un sussulto di eccitazione: - Le carte del Supremo! Sono secoli che le cerco! – si ritrovò a strillare e saltellare senza contegno, zittendosi di colpo quando avvertì lo sguardo paonazzo di lui.
Si lisciò nervosamente i capelli dietro le orecchie e riprese a dissertare con voce misurata, nonostante l’irrefrenabile emozione: - Voglio dire … credevo fossero perdute da secoli. Contengono una minuziosissima descrizione di tutti i luoghi della Terra, compresi quelli più misteriosi e reconditi. E indicano l’ubicazione delle sfere, anche – affermò entusiasta, rimirandole sotto il lume di un candelabro.
Il comandante l’ascoltava stupito: quella non era davvero una donna comune, conosceva molte cose e d’altronde sarebbe stato impensabile altrimenti che riuscisse ad imbrogliarlo e addirittura che potesse entrare nella sua cabina e discutere bellamente con lui. Si stava rivelando doppiamente utile ai suoi scopi, meditò approprinquandosi a lei: - Queste carte non mi sono servite a recuperare le sfere prima di voi, quindi pensavo di liberarmene – commentò sbattendovi rabbiosamente una mano sopra, tacendole che erano state anche l’origine della sua condanna.
- No! Siete pazzo! – lo contraddisse Bulma, interponendosi tra lui e il tavolino e difendendole con il suo corpo – Io so come interpretarle e farle funzionare: ho tenuto per tanti anni in serbo il pezzo che vi manca – lo ragguagliò raggiante, sottraendogli con possessività la bussola che Vegeta impugnava nell’altra mano, rimasta a mezz’aria per lo stupore. Gli scoccò un sorrisetto scaltro, come a rimarcare che pure lei, all’occorrenza, era capace di impiegare mezzi scorretti per raggiungere i suoi fini. Solo dopo si rese conto dell’impulsività del suo gesto che lasciò sconcertato perfino quello scorbutico briccone.
Le dita e le iridi si erano intrecciate e con quel leggero contatto erano scaturite di nuovo scintille dalla sua pelle. Le pareva affascinato da lei, anche se la trattava con scortesia. Nascose l’imbarazzo apprestandosi subito a studiare il modo di riunire i due frammenti di quella preziosa mappa del tesoro, assodando a poco a poco che non capiva il materiale di cui fosse costituita: sembrava un innesto tra un metallo e una pietra di colore ramato. Era una tavoletta quadrata, non più spessa di due dita, ricoperta di scritte variopinte e scanalature che, scorrendo, attivavano lo spostamento di blocchetti, facendole variare forma e dimensioni.
Suo padre le aveva raccontato la leggenda secondo cui quella bussola, che avevano ricostruito insieme in base alle descrizioni lette o ascoltate in vari luoghi visitati, trovando il punto esatto vi si sarebbe potuta inserire e mostrare in maniera chiara ed inequivocabile la collocazione delle sfere sparse nelle diverse regioni del pianeta. Le carte, tuttavia, non presentavano alcun vuoto apparente in cui incastonarla, perciò o aveva sbagliato lei a fabbricarla, oppure la leggenda era una menzogna.
Capitan Vegeta aveva inseguito ognuno dei rapidi movimenti che le sue agili dita affusolate imprimevano a quelle bislacche carte. Vedendola così concentrata, ebbe la sensazione che si fosse talmente appassionata a risolvere quel rompicapo da aver dimenticato dove e con chi fosse in quel momento.
Bulma, invece, avvertiva con angoscia il suo fiato sul collo, gli sentiva trarre respiri avidi e non era più convinta che fosse a causa di un dispettoso raffreddore. Voleva sorprenderlo con la sua intelligenza e voleva disperatamente convincerlo della necessità di una tregua e di un accordo, poiché temeva di incorrere nelle fauci della morte che lui incarnava così spaventosamente con il suo carattere così gelido e crudele e i suoi tratti così torbidi e avvolgenti. Riflettendo su quest’ultimo aspetto sollevò la fronte per sbirciare il suo volto. Le era parso che quei pozzi di inchiostro nero che vi spiccavano fossero dilagati fino ad invadere le sclere e che non ci fosse più uno spiraglio di chiarore in essi.
Un sembiante diabolico che le fece correre un fremito lungo la schiena. Si convinse fosse la stanchezza, o lo sforzo cui stava sottoponendo la sua vista in quella penombra. Le mani le si aggranchirono, soffiò dalle narici ed esplose in un urlo stizzito: - Non ci riesco! Perché? – si strusse adirata, scattando con un altro borbottio snervato, oltrepassandolo e quasi urtandolo con un gomito. Lui la tallonò lentamente, lo udiva aprire e chiudere la mascella, stritolando smanioso quelle foglie di tabacco.
Andò a sedersi sul bordo del tavolo più ampio, spostando alcuni volumi per avere più spazio e riprendere a trafficare con le carte e la bussola. Le si intorpidirono i polsi e si arrese. Aveva bisogno di più tempo per decifrare quei meccanismi complessi. Ripose i manufatti e lo scrutò.
- Comunque, non voglio fregarvi. Voglio proporvi un’alleanza, un’alleanza temporanea che potrete considerare nulla nel momento in cui avremmo recuperato le sette sfere. Naturalmente rivendico il diritto di esprimere almeno un desiderio; gli altri due li lascio a voi – parlò sveltamente, scendendo infine dal tavolo e porgendogli cordialmente una mano.
Vegeta, accostandosi a lei con reticenza, incrociò le braccia, rimasticando con vigore e concupiscenza:- Rimarrete a bordo della Bloody Wench. A mia totale e assoluta disposizione – sentenziò con un tocco di voluta malizia che si riflesse negli occhi plumbei e nel sorriso sghembo.


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