Fanfic su artisti musicali > Crashdïet
Ricorda la storia  |      
Autore: Pwhore    26/07/2012    1 recensioni
Peter no, aveva smesso di farlo. O almeno così credeva.
Fan fiction non esattamente horror, non esattamente niente. Troppo veloce e non particolarmente intrigante, ma mi è piaciuto scriverla.
Genere: Horror, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Breathe (horror col font figo)

Martin si svegliò di soprassalto con un urlo, il respiro affannato e i muscoli tesi fino a fargli male, mentre una gocciolina di sudore si faceva strada sulla sua tempia pallida e correva fin sotto il suo mento, precipitando poi verso le lenzuola. Rimase lì seduto con gli occhi spalancati per quelli che a me sembrarono una trentina di secondi, muovendo a malapena il petto per respirare e senza smettere di rabbrividire e fissare il vuoto per un solo istante, come se stesse nascondendo qualcosa di orribile, poi deglutì e s’inumidì le labbra, senza abbassare lo sguardo. Il cuore gli batteva così forte che mi sembrava di vederlo spingere contro il suo petto, in un vano tentativo di liberarsi e fuggire dalla sua cassa toracica, e una grande vena gli s’era ingrossata a dismisura sul collo, a causa dei muscoli contratti e della posizione innaturale in cui si era messo. Anche lei non sembrava molto intenzionata a rimanere dov’era, ma la sua mi pareva più una battaglia silenziosa, passiva; si limitava a far sapere al castano che non voleva stare lì, che voleva staccarsi e trovarsi un’altra sistemazione, ma poi non osava spingersi oltre e rimaneva immobile, come ad aspettare il momento in cui il ragazzo stesso l’avrebbe lasciata andare con un gesto spontaneo, regalandole la tanto bramata libertà.
Mi sentii invadere da un forte senso d’ansia e disagio e rimasi come paralizzato per una manciata di secondi, incollato al cuscino, poi deglutii e trovai la forza per alzarmi, spingendomi verso l’alto con le mani e con un movimento del bacino; trovai una posizione comoda in cui rimanere e tornai a fissare insistentemente il ragazzo, che non sembrava essersi mosso durante quell’ultimo minuto e che sembrava entrato in uno strano stato di trance. Se possibile, mi sembrava ancor più terrorizzato e spaesato di prima – sembrava un cucciolo che ha smarrito la strada di casa e si ritrova in mezzo a un convoglio fermo di camper, dove per la prima volta incontra l’uomo e dove per la prima volta viene preso a calci per qualcosa che non è nemmeno importante – e l’espressione sul suo viso richiamava terribilmente quella di un animale condotto al macello, se vogliamo restare in tema. Pareva essersi rimpicciolito di molto in quegli ultimi istanti, i capelli scuri appiccicati al cranio sudato e gli occhi circondati da un alone rossastro e inquietante, ma allo stesso tempo sembrava che nulla fosse mutato, nonostante la schiena drizzata al massimo e il rumore quasi impercettibile dei suoi denti che battevano, arcata contro arcata; e faticai a tenere lo sguardo fisso e ben focalizzato sul suo corpo, così immobile e innaturale da sembrare una statua, ma allo stesso tempo così vivo e sveglio da parer pronto a scappar via da un momento all’altro. D’un tratto un tremolio prima debole poi più forte partì dalla sua mano e salì verso l’alto, arrivando a scuoterlo visibilmente da tutte le parti, e il suo respiro teso si affannò ancora di più, quando invece avrebbe dovuto cominciare a rilassarsi e regolarizzarsi. Contrasse i muscoli delle braccia e si avvinghiò alle lenzuola con tutta la forza che aveva in corpo, finché le sue nocche non divennero pallide e cominciarono a fargli male; allora allentò la presa e si stabilizzò un attimo, chiuse gli occhi, serrò la mascella e inspirò profondamente, come se stesse cercando di entrare in un’altra dimensione ed eliminare il mondo dalla stanza, e increspò le labbra in una smorfia un paio di volte. Corrugò la fronte, sempre madida e imperlata di sudore, e si leccò i denti davanti, trovando una specie di conforto e sicurezza nel sentire il proprio sapore e il loro essere sempre lisci, in qualsiasi occasione, ed espirò, buttando fuori praticamente tutta l’aria che aveva nei polmoni e rimanendo per qualche secondo privo di supporti e difese, come quand’era piccolo e sua madre lo lasciava a fare la bada alla spesa mentre lei andava a rimettere a posto il carrello.
Improvvisamente sentii un rumore e avertii il guizzo delle sue orecchie, protese verso la penombra; i suoi occhi si sgranarono e le sue mani scattarono in avanti, alla ricerca di un qualcosa da stringere, per poi chiudersi attorno a un altro lembo di lenzuolo, mentre il chitarrista si mordeva il labbro inferiore con tutta la forza possibile e cercava di convincersi che non si trattava di niente di pericoloso o in qualche modo importante, che era un rumore normale in una casa normale e che non c’era assolutamente nulla da temere.
Nonostante il senso di malessere che mi attanagliava le interiora e mi pesava sul cuore, riuscivo a rimanere cosciente e a percepire i suoi sbalzi d’umore, sentivo la paura correre dentro le sue vene e fondersi con il suo lato pessimista in mille modi diversi, per poi scindersi e riunirsi in nuove forme, più forti e credibili, e la cosa mi metteva ancor più a disagio. Deglutii, finsi d’ignorare il tremore quasi impercettibile che ancora lo scuoteva, e posai la mia mano sulla sua, incredibilmente fredda e magra, e lui si voltò a guardarmi, cercando nei miei occhi chiari un segno di pace e salvezza che potesse esorcizzarlo da quella paura improvvisa, da quel terrore che gli incombeva addosso da quella che gli sembrava un’eternità e che stava cominciando a fargli male sul serio. Strinsi le dita attorno alle sue con più decisione e gli sorrisi, cercando con tutto me stesso di apparire il più calmo e convincente possibile, e con il dorso dell’altra mano gli accarezzai lentamente il braccio, passando poi alla sua gamba scoperta e tesa. Sentii che pian piano si stava rilassando e abituando al mio tocco delicato e mi tranquillizzai anch’io, al punto di rompere la nostra stretta per qualche secondo, giusto il tempo di avvicinarmi e abbracciarlo con vigore, provando a trasmettergli una parte del mio calore. Eppure mi sembrava tutto così strano e surreale: quella del castano mi era parsa una reazione un po’ esagerata per un semplice incubo - per quanto terribile esso potesse essere stato - e morivo dalla voglia di scavare più a fondo e scoprire cos’era che l’aveva intimorito fino a quel punto; ma sapevo che avrei fatto meglio a non intromettermi e a lasciargli il tempo di riprendersi da quell’esperienza, prima di provare ad affrontare l’argomento.
Eppure, nel momento in cui lo abbracciai, ebbi come l’impressione che non saremmo più riusciti a dormire quella notte, e mi si accapponò la pelle con un brivido, come se sentissi qualcosa di orribile incombere su di noi. Deglutii, respirai a fondo e mi concentrai sul chitarrista, scacciando dalla mente tutte quelle paranoie e sostituendole con pensieri di scarsa importanza: l’ultima cosa di cui avevo bisogno era un ulteriore motivo per agitarlo, e, detto fra noi, anch’io cominciavo a non sentirmi bene per niente.

“Peter?”, aveva mormorato Sweet una sera, alzando lo sguardo verso di me e inumidendosi le labbra.
“Sì, Martin?”, avevo replicato, sistemandomi il cuscino dietro la schiena.
“Tu ci credi ai mostri?”. La domanda mi era sembrata così assurda che non avevo potuto evitare di scoppiare in una sonora risata, ma me ne pentii appena incrociai il suo sguardo, serio come non mai.
“Oh, scusa, pensavo scherzassi. Comunque no, non ci credo. Anzi, penso che anche se esistessero girerebbero alla larga da qui, perché finché sarò accanto a te non permetterò a nessuno di farti del male, neanche a loro”.
Martin aveva sorriso ed eravamo rimasti in silenzio per un po', a goderci la notte.
“Tu non mi abbandonerai mai, vero Peter?”
“Puoi giurarci. Saremo amici per sempre”.

“Peter?”. Non mi aspettavo di sentirlo parlare. Pensavo sarebbe rimasto in silenzio ancora per molto, la testa posata sul mio petto e il mio braccio che gli circondava il collo, andando a cadere sul suo petto magro e ben delineato, ed ero più o meno convinto che sarebbe passato molto tempo prima che riuscisse a smettere di balbettare e a tornare più o meno normale, come prima dell’incubo. 
“Sì, Martin?” ribattei, arrotolandomi distrattamente una ciocca dei suoi capelli attorno all’indice.
“Tu ci credi ai mostri?”. Sgranai gli occhi per qualche decimo di secondo e lo guardai, attonito. Avevamo già avuto quella conversazione anni prima, in quella stessa stanza, in quello stesso letto, solo che eravamo molto più piccoli e infantili, e quel breve scambio di battute si era rivelato molto importante per Martin.
“Dì un po’, stai scherzando?”. Si morse il labbro e scosse la testa, mugolando un no con un filo di voce. Mi accigliai un attimo e lo guardai, ma mi sembrava serio e sincero proprio come quella volta.
“No, Martin, non ci credo. E anche se esistessero, ci sarei io a proteggerti” risposi. Lui si rasserenò per qualche secondo, prima di tornare di nuovo cupo, e portò la mano sul mio petto nudo, esitante. 
“E se ti dicessi che l’ho visto?” insistette.
“Visto chi?”
Espirò abbastanza rumorosamente, lanciò la testa all’indiero e chiuse gli occhi.
“Il mostro”.

Lho visto, ti giuro che l’ho visto!” continuava a insistere, sbattendo i piedi a terra. Io non ci credevo: semplicemente non potevano esistere mostri, non in quel mondo. Martin doveva esserselo immaginato.
Era qui! Era proprio qui! - esclamò, indicando un punto col dito e andando a sistemarsi proprio lì, - Era alto, altissimo, e aveva degli artigli lunghissimi! Non era un essere umano, questo è poco ma sicuro, ma non era neanche un animale! Era bianchissimo, e la sua non sembrava né pelle né pelo, chissà, forse erano squame!
Martin, non ti sembra di esagerare? Insomma, lo sappiamo entrambi che non è possibile”.
Ma c'era! L'ho visto con i miei occhi! Era proprio qui!aveva insistito, guardandomi con aria disperata.
Te lo giuro, Peter, te lo giuro su mia madre! Era qui, ed era spaventoso!
Okay, okay, vuol dire che stanotte dormirò con te e ti dimostrerò che quel mostro è solo frutto della tua fantasia, va bene?” avevo acconsentito con uno sbuffo. Tutta quella storia mi sembrava una gran cavolata.
Però se ho ragione io dovrai fare qualcosa per me” dissi, avvicinandomi al mio amico.
Che cosa?aveva chiesto lui.
Mi lascerai dormire qui ogni volta che vorrò”.
Tutto qui?aveva storto la bocca, deluso. Si era aspettato qualcosa di più dal mio essere un tormento continuo.
Già. Tutto quimi ero limitato a rispondere. Mi piaceva casa mia, certo, ma da Martin c'era un'atmosfera molto più piacevole e rilassata, e poi volevo rimanere vicino a lui in ogni momento possibile e immaginabile, chissà che non gli fosse potuto accadere qualcosa di grave. Se si fosse messo nei guai, sarebbe stato compito mio salvarlo e aiutarlo a uscirne. Dopotutto, è quello che fanno gli amici, no?
E se vinco io?” s'informò Sweet.
Verremo sbranati tutti e due e non rivedremo più le nostre madri. Non so se ti conviene vincere” sorrisi, mettendogli una mano sulla spalla con una risata. Martin s'irrigidì e finse di ridere.
Allora a stasera”.
A stasera”.


Strizzai gli occhi con decisione mentre i ricordi mi assalivano, disseminati senza un ordine ben preciso nel mio cervello, come se fossero stati lanciati lì a caso giusto per confondermi un po' le idee.
“Martin, i mostri non esistono” ripetei, mettendo più enfasi possibile sul non.
“Tu non capisci Peter, ti giuro che era lì” sussurrò il castano con voce rotta, sprofondando il viso nel mio petto pur di non essere costretto a guardare nuovamente in quella direzione e correre il rischio di scorgerlo di nuovo.
“Lì dove, Martin?”. Indicò lo stesso punto di quasi diciassette anni prima e mi sentii rabbrividire.
“Non vedo niente” osservai, cercando di distinguere un pochino i suoi contorni.
“Ti giuro che era là” insistette Sweet, alzando la testa dal mio petto.
“I mostri non esistono” ripetei, accarezzandogli la guancia col dorso della mano.
“Ti dico di sì, invece. Lui esiste” esclamò, spingendo via la mia mano e portandosi la sua sopra gli occhi.
“Vuoi che vada a controllare?” proposi. Scosse la testa.
“Non voglio che ti sbrani”.
“Non mi sbranerà, vedrai - lo tranquillizzai, - i mostri non esistono”.
Cominciai a tirarmi su.


I mostri non esistono. Semplicemente, non possono esistere. Hai presente la scienza di oggi, no? Se ci fossero davvero dei mostri lo sapremmo, sapremmo come sono fatti e di cosa si nutrono, e sapremmo anche dove vivono. Sapremmo tutto di loro e non ci sarebbe più bisogno di averne paura, perché li conosceremmo proprio come conosciamo le volpi e sapremmo sia come neutralizzarli che come farceli amici”.
Oh, andiamo, smettila. Ti dico che l'ho visto!
Dai, è ridicolo, magari hai avuto le allucinazioni”.
Ma che allucinazioni, era reale, realissimo! Sento ancora quel suo alito puzzolente sulla pelle”. Rabbrividì.
Io.. voglio che muoia. Che se ne vada, che si trovi un'altra casa, che mi lasci in pace. Non lo voglio più qui.
Non può andarsene, se vive nella tua testa” avevo obiettato.
Non vive nella mia testa, esiste davvero!
Anche il tuo vecchio amico immaginario esisteva, ma devi ammettere che viveva nella tua testa”.
Stavolta non è la stessa cosa, te lo giuro”.
Hmmm, sarà.. Comunque ci sentiamo dopo che mamma vuole il telefono. Ciao!”.

Avevo ripreso a ricordarmi di tutte le conversazioni che avevamo avuto sul mostro, delle descrizioni che mi aveva fornito Martin, dei disegni che mi aveva fatto, delle azioni che aveva svolto in sua presenza - di tutto ciò che lo potesse riguardare in qualche modo, insomma - tutto d’un colpo, e la cosa mi aveva lasciato in bocca un gusto fastidioso. Avevo dormito da Sweet per tre notti di seguito all’epoca, ma ovviamente non s’era visto niente, nonostante le varie esche che avevamo messo e le ronde che eseguivamo almeno due volte per notte per controllare ogni centimetro quadrato di casa sua. Semplicemente, il mostro si era volatilizzato.
“Ti ricordi di quando lo vedesti, quando avevamo sette anni?” mormorai, tirandomi lentamente a sedere.
“Te lo dissi anche allora: i mostri non esistono.”
“E come fai a dirlo?” insistette.
“Guarda tu stesso” sorrisi, sporgendomi e accendendo la luce. La stanza venne illuminata di colpo e fummo costretti a socchiudere le palpebre per qualche secondo, prima che ci abituassimo al nuovo ambiente.
“Bene, vedi qualche mostro?” domandai. Rimase in silenzio per qualche secondo, guardandosi intorno.
“No..” rispose infine, abbassando lo sguardo.
“Quindi?” lo incalzai io, incitandolo a proseguire e ammettere che avevo ragione.
“Quindi si è spostato da qualche altra parte” rabbrividì, sentendosi improvvisamente un colpo al cuore. 
“Dio, Peter, andiamocene, ti prego” piagnucolò di colpo, stringendosi forte a me.
“Ma ti pare?” replicai, aggrottando le sopracciglia.
“Ti prego Pete..” riprovò, chiudendo le dita sulle mie. Lo guardai negli occhi e la sua paura mi fece sussultare.
“Okay, okay, va bene, ho capito. Dammi giusto il tempo di vestirmi, okay?” acconsentii, alzandomi dal letto.
“Ah, già che sono qui, vuoi che ti passi qualcosa in particolare?” gli chiesi, fermandomi un attimo davanti al grande armadio in legno e voltandomi a guardarlo, la mano già sulla maniglia pronta a scattare.
“Un paio di jeans andrà più che bene” tagliò corto, guardandosi freneticamente intorno. Aprii velocemente l’anta e lo vidi sbiancare di colpo, così mi voltai e mi scontrai con due enormi occhi gialli, leggermente infossati in un volto fin troppo grande. Indietreggiai instintivamente e la creatura si protese in avanti, svelando una lunga fila di denti bianchi e aguzzi come quelli di uno squalo, pronta a farmi a pezzi alla mia prossima mossa. Urlai a Martin di scappare e mi lanciai dalla parte opposta, attirando il mostro dietro di me. 
Sono passati sette minuti, forse dieci.
Lo sento ridere e raschiare contro la porta, e la piccola barricata che ho costruito non reggerà ancora a lungo, però ho sentito le richieste d’aiuto di Martin dal fondo della strada, quindi almeno lui si è salvato. E’ questo che conta, alla fine, che la sua vita sia sana e salva.
D’altronde, non è compito di ogni amico assicurarsi che la sua anima gemella stia sempre bene?
Il mio compito l’ho svolto, e anche se dovessi morire ora, morirei felice.
Mi dispiace solo di averti preso in giro per questo. Avevi ragione, Martin, i mostri esistono.
Ma non per questo dobbiamo vivere nella paura.

Mi svegliai di colpo con un urlo. 
Avevo fatto di nuovo quel sogno - un fastidioso incubo ricorrente e terribilmente frustrante che mi perseguitava ormai da diversi giorni, ogni volta che chiudevo gli occhi e cercavo di addormentarmi. C'è chi dice che i sogni a volte sono premonizioni, ma io non ci credo. Non permetterò mai a quel ragazzino di scapparmi. Mai.

“Umea, Svezia, 13 luglio 2005.

Ragazzo ventiquattrenne gravemente ricoverato dopo l’attacco di quello che si suppone essere un animale selvatico di grossa taglia, non ritrovato sul luogo dell’aggressione.

Il ragazzo, bassista della band glam metal Crashdiet, originaria delle terre del nord, è stato trovato questa notte, intorno alle ore tre, dal corpo di polizia, sollecitato a intervenire dalla chiamata del chitarrista della medesima band, nome d’arte Martin Sweet. Il giovane afferma che, dopo aver passato la notte nella propria casa di famiglia, è stato svegliato da un rumore sospetto proveniente dai piedi del letto. Peter London, la vittima, si sarebbe svegliato assieme a lui, senza però notare niente di strano e decidendo di controllare solo a causa del terrore dell’altro. Avrebbe acceso la luce, ma tutto sarebbe risultato normale e si sarebbe fatto due risate, probabilmente adducendo l’esagerata reazione dell’altro a un bicchierino di troppo e minimizzando tutto come suo solito. A quel punto si sarebbe alzato, dopo le suppliche dell’amico, per prendere un paio di jeans e cambiarsi, in modo da andare a passare la notte a casa di qualcun altro, in una zona un po’ più sicura. Avrebbe aperto l’armadio e si sarebbe ritrovato la bestia davanti, alta più di due metri e con un’aria decisamente aggressiva; si sarebbe quindi fiondato verso il bagno, attirando la belva e permettendo all’altro di mettersi in salvo.
Nonostante l
’intervento della polizia sia stato tempestivo, l’animale non è stato ritrovato, ed il tipo di ferite riscontrate dal musicista non coincide con nessuna di quelle praticate dalle bestie a noi conosciute. 
E
’ stata indetta un’inchiesta, ma nessuno sembra aver notato niente, se non qualche persona che afferma di aver visto il diavolo allontanarsi con fierezza. E chi lo sa, forse, per una volta, il signore degli Inferi è davvero venuto a farci visita, a spese di qualcuno che però non aveva fatto niente.

   
 
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > Crashdïet / Vai alla pagina dell'autore: Pwhore