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Autore: Neko no Yume    27/07/2012    1 recensioni
Non ricordava la sua infanzia.
A dir la verità non ricordava nulla al di fuori del suo logoro vestito di taffetà nero, che conservava ancora nei suoi tenui bagliori l'eleganza e la fierezza dei tempi migliori, e le scarpette di vernice rossa, ormai scrostata in più punti, che quando camminava la rallegravano col caldo chiocciare dei tacchi a ogni passo.
Poi ricordava i lampioni.
Genere: Drammatico, Sovrannaturale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Non ricordava la sua infanzia.
A dir la verità non ricordava nulla al di fuori del suo logoro vestito di taffetà nero, che conservava ancora nei suoi tenui bagliori l'eleganza e la fierezza dei tempi migliori, e le scarpette di vernice rossa, ormai scrostata in più punti, che quando camminava la rallegravano col caldo chiocciare dei tacchi a ogni passo.
Poi ricordava i lampioni.
Non era sicura di essere umana, si sentiva più vicina alle falene che la notte svolazzavano affascinate attorno alle luci nelle strade fino a bruciarsi le ali, mentre di giorno riposavano come in trance.
Anche lei nelle ore di sole si rifugiava a dormire ovunque ci fosse uno sprazzo d'ombra, ma appena la luna faceva capolino e il cielo si tingeva dello stesso colore del suo abito, si svegliava e osservava incantata i lampioni che ardevano per le strade.
Spesso si arrampicava sino alla punta e per qualche istante osservava il globo di luce che tremolava oltre la spessa corazza di vetro e ferro battuto, lasciando che il suo calore le formicolasse sulle braccia nude e lentigginose.
Allora, quando ormai quell'ambrosia dorata e impalpabile l'aveva riscaldata a sufficienza e iniziava a farle il solletico, sorrideva e gli occhi scuri si illuminavano di soddisfazione.
Passava le notti così, spesso saltando da un lampione all'altro con balzi precisi, sicura che nessuno avrebbe mai fatto caso a lei nonostante gli schiocchi dei tacchi sul ferro e le scintille che le turbinavano attorno alle caviglie in una danza crepitante.
Una volta invece un bambino alzò lo sguardo verso di lei.
Era vestito di stracci scoloriti e cercava di proteggersi dal vento il naso e le guance arrossate con una sciarpa di lana azzurra come i suoi occhi spalancati dalla sorpresa.
La ragazzina si bloccò interdetta, accovacciata in bilico sulla sommità del lampione su cui era appena atterrata, i tendini già tesi per riprendere la corsa.
-Ciao-, si limitò a dire, convinta che fosse la cosa giusta per non sembrare maleducata.
-Chi sei tu?-, le rispose l'altro, contravvenendo alle regole di buona creanza che lei aveva cercato di rispettare, per quanto abbarbicata su un palo.
-Prima dimmelo tu, che io non lo so-, borbottò a disagio.
Lui fece spallucce e incurvò le labbra screpolate in un sorrisetto scaltro.
-Hans, abito in quella vecchia casa pericolante laggiù-, proclamò a petto in fuori, come a sottolineare quanto fosse coraggioso a vivere in un posto del genere -E tu come fai a non sapere chi sei?-.
-Non lo so e basta, mica è tanto importante!-.
-Sarà... Ce l'hai un nome almeno?-.
La giovane si accigliò visibilmente, la fronte corrugata nel vano tentativo di trovare una risposta nei meandri fumosi e sfuggenti del suo passato.
-Dato che sei tanto bravo, dammene tu uno-, decise dopo un lungo silenzio, inchiodando Hans con un'occhiata carica di aspettativa.
Lui assunse un'espressione concentrata e la scrutò a lungo senza quasi respirare, come se tutto fosse passato in secondo piano rispetto all'importanza di trovare un nome adatto quella strana creaturina avvolta in un manto di taffetà e lentiggini disseminate su un corpo che sembrava palcoscenico di uno spettacolo di ombre cinesi.
Splendeva da dentro, quel corpo, e aveva bisogno di un nome.
-Sveva-, mormorò quasi con reverenza, attento a non stropicciare quelle poche lettere appena nate -Significa "luce"-.
-Sveva-, ripeté lei sognante, assaporando la parola sulle labbra sorridenti, lasciando che le penetrasse dentro come faceva il bagliore dei lampioni -Mi piace-.
Ad Hans sfuggì un sospiro di sollievo che si condensò in una nuvoletta attorno al suo viso, per poi essere stracciata da una raffica di vento.
I due si scambiarono un ultimo sorriso e con esso la promessa silenziosa e invenitabile di rivedersi ancora nello stesso posto, poi Sveva spiccò un balzo verso il palo più vicino.
Rispettarono il patto e continuarono a incontrarsi ogni sera, appena le prime stelle bucavano il firmamento, incamminandosi in lunghe passeggiate lungo le strade, a volte raggiungendo persino il porto e rimanendo a farsi accarezzare dalla brezza marina intrisa di salsedine.
Il bambino osservava con ammirazione la disinvoltura con cui la ragazza saltava da un lampione all'altro, mentre lei nutriva verso di lui un affetto inossidabile che lambiva la venerazione per averle dato finalmente una parvenza di identità.
Tuttavia non poteva fare a meno di notare che più si avvicinava l'inverno e più Hans sembrava pallido, fragile e minuto.
Da quel poco che aveva imparato osservando le folle che si accalcavano lungo le vie, sapeva che le persone, al contrario di lei a cui bastava la luce dei lampioni, avevano bisogno di mangiare e di stare al caldo.
Aveva visto mangiare l'altro soltanto un paio di volte qualche tozzo di pane duro e la casa in cui viveva irradiava puzza di muffa e gelo da ogni vecchia trave.
Il giorno in cui il bambino le svenne davanti agli occhi mentre stavano chiacchierando di gatti randagi seppe che stava assistendo alla sua lenta morte.
Per la prima volta da quando di erano conosciuti scese dal lampione su cui stava e immediatamente fu agguantata da una sensazione di freddo che sembrava soffocare ogni scintilla presente dentro di lei come un cumulo di neve gettato su un fuocherello.
Si morse l'interno della guancia per contrastare l'improvviso bisogno di riposare che le rendeva le palpebre pesanti e si inginocchiò accanto ad Hans, prendendogli il viso intirizzito tra le mani.
Lui aprì gli occhi e li fissò nei suoi, incredulo e stordito come la prima volta che l'aveva notata.
-Mi ricordo...-, esordì Sveva con voce lontana, venata di sorpresa e malinconia -Anche io sono stata salvata così-.
-Che stai blaterando?-, riuscì a biascicare l'altro, mentre dal punto in cui i palmo della ragazza erano posati sulla sua pelle sentiva irradiarsi un piacevole formicolio.
-Prima ero una bambina, ma avevo tanto freddo-, procedette lei tra un brivido e l'altro -Avevo sbattuto la testa scivolando sul ghiaccio, ma qualcuno mi si avvicinò e mi donò il suo calore-.
Ormai palpitava di una luce quasi accecante, ma continuava a tremare, aveva le palpebre socchiuse e le dita livide.
Hans rimase in silenzio, cercando di sopportare il calore sempre più forte senza lamentarsi.
-Promettimi che ne farai buon uso e terrai compagnia ai lampioni da parte mia, io non posso più restare qui-, cercò di sussurrargli Sveva con i denti che le battevano.
Il bambino deglutì a fatica, ma annuì vigorosamente.
Fu allora che lei sorrise con gratitudine ed emanò un ultimo bagliore folgorante, per poi crollare a terra.
Sembrava una bambola di ceramica di struggente bellezza, con i capelli chiari che le ricadevano disordinati sulle guance esangui e sfioravano la bocca ormai violacea.
Hans le sfiorò una mano e l'intero corpo si dissolse in un nugolo di scintille che piroettarono con grazia nella notte.
-Sveva significa "luce"-, mormorò il non più bambino con voce incrinata, poi si arrampicò sul lampione davanti a lui.
  
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