Il
santuario di Sant’Angelo Muxaro
I
Il
paese tutto stava già operandosi e il sole barbagliava,
screziando gli ambienti con l’aurora.
Costruito presso
Agrigento, in Sicilia – una plaga battezzata dal mare ad ogni
antipode, percorsa dai cristalli ranci tutelati dalla paesaneria e
scimmiottata dal clima abracadabracante -, sembrava ch’el paese
avesse gli aggiramenti gaietti per via dell’albicare trapuntato
e che i rampichini pompieri, addestati dalle altrici, corvettessero
sopra il bambagioso manto di una braida.
Già volettavano
frotte di Actitis
hypoleucos
e
Anas
platyrhynchos pertinte
all’odeporico durabile, agenzando il paesaggio
antropogeno.
L’Oscuro scionnò, nella sua casipola,
smosso dal chicchiriare del gallo e circonfuso dalla caumestesia
della diana iperonia, contro la quale parve inutile prevenire,
accogliendo le tendine della finestra.
Il flaillo scorso dagli
occhi ancora socchiusi dell’Oscuro fu naturale e testeggiante,
non orrisono e inincarcerabile come il lustro orbante della zambracca
eburnea, inchiavata ed incube dei suoi ricorrentissimi cauchemar. E
il rezzo, non era come il distretto rantolo spifferato dalle scissure
degli appicci di quella stanza onirica, ma imbatto armonico e
edenico.
Inquarterava colla coppola, tutti i giorni, di poter
finalmente spiccare il volo anche lui.
“Stranio Pandion
haliaetus
umbratile ed anatreptico, non ritornerai in quel terreno pescoso ma
oliato, improvincialito ma beniamito da molti, rimarrai a Sant’Angelo
Muxaro, in una requie che alla peggio risulterà adiafora”
Brigante emendamento, il nostro votì di angelicarsi,
vivendo il crepuscolarismo agreste nel pieve di quella poscondola,
nella quale era inquilino ricettato con vero altruismo. Nonostante
cespitasse l’italiano e parlasse fluentemente solo l’
inglese, linguaggio interiorizzato solo da Padre Macario, il suo
anfitrione, il quale modulava una voce fortemente accentuale in ogni
frase, l’Oscuro ponzava ogni giorno per abbronzarsi di più
alla lingua e alla cultura di quegli isolani burlevoli.
Alzatosi
dal letto, l’Oscuro addivenì laddove la tinozza dacquata
fu da lui posta, si perfuse il volto spicciatamente, s’abbigliò
d’un paio di guanti gazzerini mordorè, una cannottiera
cannella, pantaloni neri e stivali zaccherati di verde. Uscito fuori
inspira l’aria fresca del mattino, riempendosi i polmoni ed
energizzandosi, quindi mira al giardino di cui tanto si cura,
svolgendo le solite faccente: pulizia, nutrimento per i verri nella
recinzione, rimozione della composta e capare i frutti maturi dagli
alberi.
Il tempo fluitava. Aderse la collottola e, avendo
ammettato e appresellato il terriccio nel giardino sin dalla diana,
avvertì cascaggine. Scoccarono le 11:30. Tempo di orazioni e
logomachie con Padre Macario.
La costante oppressione per i suoi
peccati ancora lo costernava, si rendeva conto della sua ipocrisia,
di quei patetici tentativi di redimersi donando il denaro illecito,
guadagnato dopo ogni “contratto”, alla chiesa.
Dopo la
notte fatale nella Piccola Svizzera, decise di sfuggire al suo
passato, cercò di raggiungere la Grecia, dove aveva appoggi
migliori per poter cambiare la sua identità, ma fu tutto
inutile: nonostante la prima parte della fuga fosse riuscita, mentre
stava sulla nave lì diretta, partita dal porto di Barcellona,
alcuni agenti nemici, dopo una lunga ricerca del clandestino,
riuscirono ad individuarlo e gli spararono contro, colpendolo al
petto e allo stomaco, per poi gettarlo in mare ancora vivo,
credendolo spacciato.
Fu un vero miracolo, l’essersi
salvato dopo una lunga notte agonizzante in acqua e, dopo il
salvataggio dovuto ad un accorto pescatore, sulla terra.
Condotto
all’ospedale locale, gestito da suore, fu ricoverato dal
miglior chirurgo nel raggio di centinaia di chilometri e, ulteriore
fortuna, Padre Macario, l’uomo a cui egli dovrà poi
molto, accompagnava una scolaresca a cui stava mostrando le opere di
bontà delle suore, e fu solo per pura fortuna se potette farsi
capire, mugolando in inglese, dal frate anglofono.
II
Dopo
aver provveduto a curare le piantine di pomodori, si occupò
della spazzatura. Terminati i suoi doveri, percorse il calle verso
l’umile baracca ad est della chiesa, in cui rimuginare.
Entrò
lì dentro, sistemo i suoi strumenti sporchi e si sedette a
terra, fissando il vuoto, pensando al suo futuro. Non durò a
lungo: qualcuno bussò alla porta. Aprì la porta e vide
la siluetta oscura di Padre Macario, illuminato da dietro dai raggi
del sole.
Padre Macario, oltre la sessantina, magro, glabro,
capelli grigi sempre ben pettinati, naso un poco camuto e mascella
debole, si occupava di lui da cinque anni ed ormai era un amico
fidato e, per ringraziarlo dei suoi contributi alla chiesa e per il
giardinaggio, gli offrì una sistemazione. La sua figura era
prominente e rassicurante.
Vestito di una casacca nera con
collare bianco e accessoriato con una croce in princisbecco portata
al collo, il prete salutò in italiano il suo
ospite.
"Buongiorno,
figlio mio. Come stai?"
"Padre,"
rispose l’ospite in inglese "mi sento bene, grazie, ma
debbo parlare assolutamente con lei. "
Il crocifisso intorno
il collo del prete era solo un sollecito dell’inevitabile
declino dell’uomo costretto alle fratture oscure dell’inferno.
Dio non avrebbe mai accettatolo nel suo regno aureo, perché
strumento di distruzione, testamento contro Lui e i Suoi precetti.
Entrambi iniziarono a passeggiare per il giardino.
"Stai
tranquillo, figlio mio" –
espresse il prete appena accedettero al giardino –
se
vuoi aprire il cuore, il posto migliore è il confessionale
della chiesa, dove di aspetterò a mezzogiorno.”
Padre
Macario annuì con la propria testa a favore della propria
proposta e, lentamente, si avviò verso le scalinate che
conducevano all’androne principale della chiesa, mentre
l’Oscuro rimase ad osservare l’ambiente, a lui ormai
familiare: le rovine di un piccolo altare greco laggiù, il
portone principale in legno pregiato proprio un poco più lì,
il retro privo di porta. Effettivamente, all’Oscuro la chiesa
sembrava parzialemente incompiuta, ma, da quando era al servizio di
Padre Macario, non era mai stata completata, se la si doveva
effettivamente completare. A volte, quando voleva soltanto liberare
la mente dai propri pensieri e tralasciare le rimuginazioni,
all’Oscuro bastava sedersi al di sopra di una delle colonne
dell’antico altare, osservando l’orizzonte oltre i muri
intorno la chiesa, erta al centro.
La sua era l’architettura
ibrida, consimile a quella Bizantina e a quella Siciliana: le mura
erano nere e i tetti bassi erano rivestiti da tegole rosse. C’erano
tre alte finestre per ogni muro ed ogni finestra era decorata dal
ritratto di un angelo, differente per ogni finestra, rivestito di una
tunica bianca e sotto un sole raggiante, soprano all’angelo e
alle genti prostrate innanzi i piedi di lui.
All’estremo
est della chiesa, il campanile. L’Oscuro osservò
l’antica struttura per alcuni attimi, poi girandosi per
studiare i fili d’erba del terreno attentamente curato per
tutto questo tempo.
A sud-est uno spaventapasseri vestito di
stracci violacei ed un cappello. I corvi erano soliti evitare lo
spauracchio, preferendo l’area intorno il pozzo arcuato,
costruito tra le scale e il secondo capannone, quest’ultimo
collocato tra il letto di fiori e la scuderia. Una gru antica ed
arruginita, avvitata al soffitto, pendeva sopra il pozzo, ed una
croce ferrea era incastonata inchiodata al soffitto ricurvo. Guardò
il cielo aperto e vide muoversi le nuvole cotonate, chi diretta a
nord, chi a sud. Chiuse gli occhi e si lasciò coccolare dalla
brezza, mentre ascoltava il fruscio delle foglie, gli animali nella
scuderia e il suono delle ali degli uccelli.
Non riusciva a
ricordarselo un momento tanto quieto, in tutta la sua vita. Ecco,
d’improvviso, i ricordi dal passato, sanguinolenti, riaffiorare
dinnanzi a lui: spari, urla di terrore, sussurri di preghiere, ossa
frantumate, coltelli perforanti carni e trancianti gole, quindi il
padre, a terra, sul pavimento bianco, avvolto dal suo stesso sangue.
Il padre se lo ricorda così: in camice bianco, camicia
verde, pantaloni ecrù, scarpe nocette. Zampillava il sangue
dalla bocca e dalla ferita al petto, il volto distorto per il dolore
mostrava una smorfia sanguinaria. Una mano posta sopra la ferita e
l’altra tesa verso l’Oscuro, visore di quel patetico
essere. Con tutte le ultime forze rimastegli, il padre dell’Oscuro
disse al figlio di essere deluso dalle sue azioni, per poi
accasciarsi al suolo definitivamente.
La mano sinistra
dell’Oscuro, in segno di reverenziale rispetto, posta sotto la
testa del morto, le permette di poggiarsi al suolo con morbidezza.
Quand’ecco la luce accecante, quindi il santuario di
Sant’Angelo Muxaro. Era ancora sul pavimento piastrellato,
l’Oscuro. Sudava di terrore. Nonostante la requie, era stato,
in qualche modo, ricondotto dal suo subconscio a rivivere gli eventi
passati.
Le orecchie gli fischiavano. Le immagini ed i suoni
della mente gli erano parsi tangibili e vividi. Sbattè le
palpebre celermente per debellare quei ricordi orrendi. Si girò
lentamente, entrò nella scuderia, terminò tutte le
altre faccende, dette delle briciole di pane agli uccelli e, quando
rintoccò la campana del campanile, capì ch’era
mezzogiorno. Si diresse verso il retro, giusto dietro la sua
masseria. Aperta la porta, percorse l’andito, da cui fu
condotto all’interno della chiesa.
La camminata era
illuminata da alcune candele profumate collocate su candelieri
inchiodati ai muri. Alla fine dell’andito, due porte: una
opposta alle scale conducenti alla chiesa e l’altra alla sua
sinistra. Salì le scale ed entrò in chiesa. Il rintocco
della campana era più rumoroso dentro. L’interno della
chiesa era decorata bellamente, con le finestre sulla parte superiore
dei muri, i panneli di vetro colorato con alcuni ritratti degli
stessi patroni che vide fuori.
Un vecchio candeliere in ghisa
pendeva dal pallido tetto concavo, posto tra una delle tre paia di
piloni ottagonali arrangiati in due dirette file. A terra, due file
di panchine parallele alle colonne. I raggi del sole erano filtrati
dalle vetrate e si dividevano in una miriade di colori, illuminando
la chiesa in un fascio lucente e caloroso.
La nicchia dietro
l’Oscuro conteva una larga croce al di sopra di un tavolo
ricoperto da una tovaglia immacolata. Dietro il tavolo, un catino di
terracotta colmo d’acqua santa. La parte superiore delle mura
ricurve attorno la nicchia erano fregiate con un murale di Gesù
crocifisso circondato dai suoi apostoli patenti, mentre la parte
centrale era abbellta dalla Vergine con in mano Cristo, circondata da
un alone attorno la testa e riverita da vescovi e preti anziani,
celebranti la nascita di Cristo. Il confessionale era opposto alla
nicchia, attraverso la fila di panchine. I passi reboavano e la eco
si diffondeva tra le mura. Erano sei mesi che si trovava lì, e
da allora, non aveva mai posto piede nella chiesa. Vergogna e
tormento lo destavano da lì. Ognì giorno il tormento
aumentava e molte domande turbavano la sua mentè già
oppressa. Leggermente spinse la porta del confessionale, vi entrò
e si inginocchiò in preghiera.
Non c’era religione
da dove veniva. Studiò anatomia, combattimento corpo a corpo,
tattiche militari, cecchinaggio, scherma, fu addestrato a eliminare
il proprio obiettivo il più efficientemente possibile.
Ma
si era mai approcciato alla religione, in vita sua. Il destino lo
volle, sei mesi or sono, Cristiano. Sarebbe riuscito a trovare le sue
risposte? Mentre si angustiava, il rintocco della campana sfuggiva
sempre più. Alcuni minuti dopo, una porta si aprì e
Padre Macario occupò la cabina adiacente al confessionale.
Aprì il boccaporto tra la partizione delle due cabine e
rimase in ascolto.
“Padre...
ho peccato.”
"Avanti,
Figlio Mio, ascolto"
"Ho
ucciso.Tanti uomini. Per soldi. Senza... odio. Senza... stupidezza.
Senza... cattività"
Ci
fu un silenzio momentaneo nell’altra cabina, un eternità
per Padre Macario. Con tono quieto, l’Oscuro ebbe una
risposta.”
"Figlio
Mio,
ti conosco. Sei buono. Hai svolto sempre i tuoi doveri, hai donato
molto alla nostra piccola comunità, senza remore. Riuscirai a
redimerti, fidati. Dio da a tutti una seconda possibilità"
"Ma
Padre,
io sono un mostro, ho commesso atrocità in tutto il mondo. Dio
non avrà pietà per me.”
"Tranquillo,
figlio”
– la voce di Padre Macario più compassionata –
“Quando verrà l’ora, avrà posto anche per
te. Fin’allora, reggi le virtù del Signore.”
Il
prete, in Latino, recitò un Memorare, un ulteriore
augurio alla salvezza del suo ospite. Lentamente, lasciò
l’Oscuro intento nella sua preghiera, dirigendosi verso la
biblioteca della chiesa, in cui poter cercare qualche Directorium per
le messe successive.
Prega l’Oscuro:
*
"MEMORARE, O piissima Virgo Maria,
non esse auditum a
saeculo, quemquam ad tua currentem praesidia,
tua implorantem
auxilia, tua petentem suffragia,
esse derelictum.
Ego tali
animatus confidentia,
ad te, Virgo Virginum, Mater, curro,
ad
te venio, coram te gemens peccator assisto.
Noli, Mater
Verbi,
verba mea despicere;
sed audi propitia et
exaudi.
Amen.”
* Ricordati, o piissima
Vergine Maria,
che non si è mai udito al mondo
che
alcuno sia ricorso alla tua protezione,
abbia implorato il tuo
aiuto,
abbia chiesto il tuo soccorso,
e sia stato
abbandonato.
Animato da tale fiducia,
a te ricorro, o Madre,
Vergine delle vergini;
a te vengo, dinnanzi a te mi prostro,
peccatore pentito.
Non volere, o Madre del verbo,
disprezzare
le mie preghiere,
ma ascoltami benevola ed esaudiscimi.
Amen.”