Tre sensi per Alba
Notturnità,
oblivione, scotofilia. Dopo nove anni di cattivaggio, segregata nella
biblioteca di Palazzo Franco, ormai si è assettata
all’atmosfera nerolanguida.
Il laboratorio umoroso? Sempre
più madefatto ad ogni anno stanco.
I topolini occasionali,
fuoriusciti dalle loro segrete? Sempre meno gustosi e deprecabili.
I
messali e pergameni biblomaniacalmente ? Ormai insipidi.
I più
avrebbero loscato e prorotto da quella stia orrisiona.
Non lei,
però. Non Alba. Fisiastra di se stessa, esitava la giunta del
suo fabbrocatore, a lei incelebrato. Ignoto, ma immaginato.
Immaginato come lo stereotipato dottore di cui aveva letto nei
tantissimi romanzi: una lunga veste bianca, occhiali e capelli
chiazzati, scombussolati come lo studio. Immaginava, sperava, ma non
crebbe nella solitudine. Stava attendendo. Pose il suo libro, un
giorno in particolare, raggiunse con le braccia la maniglia d’onice,
la spinse per aprire la porta e la luce solare la assorbì
tutta, e questa rapidamente richiuse la porta, per poi, dopo aver
studiato il ritratto della porta, aprirla nuovamente e vedersi il
proprio mondo cupo illuminato da quell’altro mondo, in cui
regnavano la vita, l’erba rigogliosa e illuminata dal sole.
Rinchiuse la porta, vi ci poggiò la schiena e rimase attonita.
II
Come
una cagnetta, lo attendeva fedele. Come una gattina, si accucciava
pacificamente, ignorando se tornasse o meno. I soli rumori
provenivano da fuori. Cercava di ignorare il cinguettio degli
uccelli, la brezza, e di notte fingeva di non sentire gli ululati dei
lupi. Voleva mantenere le orecchie pure. Voleva percepire i passi di
colui che desiderava e i suoi incoerenti bisbigli, oltre la
porta. III
Il
laboratorio umido, un tocco di muffa sulle papille gustative. L’aria
varia di sapore – verde e fresca, bluastra e nuvolosa, rosso
guerresco, una sfumatura di rame e discordia. Nella cava, tra il
freddo familiare coglie un vermiciattolo dall’interno del suo
volto, quell’orribile creaturina infilatasi nella sua ferita
aperta.
Aveva il mondo sulla punta della lingua, e ancora non
sapeva quale fosse il suo sapore o come assaporarlo.