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Autore: wari    27/07/2012    1 recensioni
Ciò non toglie che anche Itachi sia un essere umano e di tanto in tanto è doveroso che siano gli altri ad ingegnarsi al posto suo per semplificargli l'esistenza. Quindi, dato che comunque si è in tempi di pace, non c'è nulla di male nel chiedere all'Hokage – santo Kakashi sensei – una vacanza: per due giorni contati comprensivi del viaggio, ma ne vale la pena, anche se c'è Naruto che sbraita arancionando a briglia sciolta sul bagnasciuga – o forse proprio per quello.
[Cosa che cerca di essere un'Itachi/Shikamaru legata alla serie "Là, dove il sole fa ombra", di slice. Riauguri, ali! *inciampa sul mese sbagliato*]
Genere: Commedia, Fluff, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Itachi, Naruto Uzumaki, Sakura Haruno, Sasuke Uchiha, Shikamaru Nara
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la serie
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Là, dove il sole fa ombra è una serie what if... ? partorita dalla beneamata slice. Un futuro (quasi) pulito in cui Itachi razzola libero per Konoha, Shikamaru finisce molestato in maniera consenziente e divertente, Sasuke ripara tostapane e lo sport nazionale è il lancio del Naruto: consiglio a tutti di farci un salto.
Questa, per farla breve, è appunto la fic per il compleanno (30/6) di slice ed è un plag- cioè, lei dice di chiamarla “una fanfiction della fanfiction” cosa che le cagiona una certa ilarità. Quindi, niente, dopo averla letta mi ha dato il suo consenso per postarla, e quindi eccola qua. È più che un tantinello sconclusionata.





Nulla riposa della vita come
la vita


Certi giorni è ancora difficile accorgersi d'avere tempo, per Itachi. È strano, un po' angosciante.
Notevolmente angosciante, in verità, ma Itachi ha vissuto troppo – un troppo che non ha a che fare col tempo, un troppo condensato e ruvido che l'ha scardinato dai binari, gettato in caduta libera
per non aver capito come si fa ad adattarsi. E dunque si è adattato, anche stavolta; adattato a vivere non più in funzione della morte, non più in funzione di Sasuke, sebbene Sasuke resti una costante: Sasuke che impreca in cucina perché il rubinetto perde di nuovo, Sasuke che prepara zuppe di miso sempre troppo salate, Sasuke che vive, parla, fa il Sasuke attorno a lui. Qualche volta persino con lui, che è quanto Itachi non avrebbe mai neanche osato sperare. Però è comunque difficile, stare lì e vivere quando si era progettata una vita solo per giungere ad un epilogo prestabilito.
«Nuvole all'orizzonte» annuncia la voce di Shikamaru, ancora distante. Itachi stira le labbra tra sé: il genio sa che l'ha sentito già dalla porta, sicuramente sa anche che ha stirato le labbra.
«Si è alzato il vento, tra un po' saranno sparite».
Accomodato con indolenza al suo fianco, i piedi giù dall'engawa, Shikamaru si puntella sui palmi e sbadiglia, faccia al cielo nell'aria immobile. Sorride a metà, pensoso.
«Non sarebbe un problema se ogni tanto piovesse, fa fin troppo caldo» risolve infine, rassicurante.
L'Uchiha ne spia la figura con la coda dell'occhio: davanti al tramonto afoso la sua ombra si allunga sull'engawa assieme alla schiena flessa e alle braccia tese, per poi rincontrare il corpo quando Shikamaru si lascia cadere giù, supino e accaldato; l'estate lo sfinisce, così dice lui.
«Gli acquazzoni estivi possono provocare ingenti danni, probabilmente è preferibile tenersi un po' d'afa» ribatte Itachi, piano.
Shikamaru tace per secondi lunghi, si dilatano nel caldo come liquefatti.
«È molto da te» sbuffa infine, giusto un poco indeciso; teme d'essersi spinto troppo in là.
Itachi non si volta: il sole si sta abbassando e sembra fare sempre più caldo, sembra davvero che il mondo voglia sciogliersi, diluito in un'acqua da brodo primordiale. Vorrebbe rispondere, ma il cervello di Shikamaru sta elaborando: ne può quasi sentire il ronzio; ha smesso di sbuffare, trae aria dal naso e sta sospeso come un'ape indecisa.
«Ci vorrebbe una vacanza».
A Itachi viene da ridere: non lo fa, però le sopracciglia si sollevano sulla fronte e una bolla strana gli sfrigola dietro le narici.
«Una vacanza» commenta, schivo: lui non lavora, lui vive
è questo il suo lavoro, adesso, la sua missione , sarebbe un po' strano andare in vacanza. Sarebbe strano anche desiderarlo.
I corvi si posano sul muricciolo rotto di fronte alla casa e mandano ombre lunghe sul terriccio del giardino incolto: Naruto ha provato a piantarci i pomodori – scelta del tutto disinteressata –, ma lo deve aver fatto nella stagione sbagliata, perché l'unica cosa che ne ha ricavato Sasuke è stata un po' di terra smossa. L'eroe di Konoha invece ci ha guadagnato un cazzotto di fraterna riconoscenza per il tentativo.
«Una vacanza, sì» prosegue Shikamaru, che ha elaborato. «È una buona idea. Ogni tanto bisogna riposarsi dal proprio cervello, diceva Asuma».
C'è tramestio di pentole al di là dello shouji aperto, tra corridoio lungo e cucina; la voce di Sasuke borbotta: «tra un po' si mangia» senza specificare per quanti commensali abbia preparato la cena.
«Sembra un buon consiglio, quello di Asuma» pondera Itachi sottovoce. Shikamaru lo guarda in attesa, ancora spalmato sul pavimento, raccolto dietro la sua ombra: sembra comodo.
Itachi lo sente sbuffare di finta insofferenza quando lui si lascia cadere a sua volta indietro, ad imitarne la posa da stella marina spiaggiata; e sì: è comodo.
«Al mare» decide, ispirato.
Prima che Shikamaru possa fare qualcosa di più che chiudere gli occhi e accennare un sorriso a labbra chiuse, Sasuke fa capolino dal pannello aperto dello shouji. Ribadisce che, oh, la cena è pronta, solo per trovarli stesi in terra come tappeti. Li inquadra dall'alto, cerca gli occhi del fratello in un silenzio mezzo esasperato mezzo rassegnato.
«Che palle, Itachi, questa storia deve finire...» raspa infine, con l'arsura in gola per caldo e fastidio. Quando è filato via – a sbuffare forte come un bollitore – Itachi ne segue la nuca finché le pupille non sono così in alto che può vedere l'ombra sfocata delle sue stesse sopracciglia. Poi fa scivolare gli occhi a sinistra: Shikamaru sta ridendo.


Asuma era un maestro strano e Shikamaru gli è debitore di un debito disinteressato, quello di chi dà senza volere nulla per sé, solo per il futuro – per Nakaru.
Lui è sempre stato quello pigro spalmato contro una superficie orizzontale, quello che si metteva in moto solo a calci – con un Naruto che ti lascia cadere fin dentro il ring –, ma Asuma è riuscito a sentire il ronzio del suo cervello dietro gli sbuffi fiacchi, a riconoscergli sforzi invisibili e stanchezze annesse che neanche Shikamaru stesso si era mai sentito in diritto di attribuire alla sua molle persona. È anche per questo che lo capisce: ad Itachi vivere costa fatica. Non sempre e mai di modo che sia visibile; non è neanche una questione drammatica su ideazioni suicidarie o simili: Itachi non vuole morire, perché morire era funzionale al suo piano di vita e, adesso che quel piano è sfumato, lui resta un uomo troppo versatile per non riuscire a trovare da solo il modo giusto di cavarsela, che sia qualcosa di apparentemente sciocco come scrivere liste di quel che ha da fare 
così che anche le giornate lente scivolino via o occuparsi di mille cose piccole e utilissime per migliorare l'esistenza di suo fratello, degli amici di suo fratello e la sua – sua di Shikamaru.
Ciò non toglie che anche Itachi sia un essere umano e che di tanto in tanto è doveroso che siano gli altri ad ingegnarsi al posto suo per semplificargli l'esistenza. Quindi, dato che comunque si è in tempi di pace, non c'è nulla di male nel chiedere all'Hokage – santo Kakashi sensei
una vacanza: per due giorni contati comprensivi del viaggio, ma ne vale la pena, anche se c'è Naruto che sbraita arancionando a briglia sciolta sul bagnasciuga – o forse proprio per quello. Son due ore che grida, da quando hanno intravisto il mare dalle cime degli alberi, e aver raggiunto la meta l'ha reso solo più entusiasta.
«Sì, imbecille. È grande e bagnato, lo sappiamo» lo rimbrotta Sasuke alla terza esternazione ovvia e rumorosa del jinchuuriki. Quello gesticola agitato a venti metri da Shikamaru, di fianco ad una Sakura troppo tranquilla per spazientirsi: manca il deterrente e Naruto continua a ruota libera, lasciandosi attorno polveroni di sabbia perché felicissimo di poterci strusciare i piedi su.
«Eh, ma è proprio... proprio enorme. E blu. Perché è blu?» domanda, come colto da un'improvvisa folgorazione. Shikamaru emette un sospiro soffocato e Sakura rantola d'afflizione; si stringe il capello di paglia sulla testa e si avvia verso l'acqua, apparentemente decisa a non soddisfare gli infantili interrogativi del suo migliore amico e lasciare piuttosto che Sasuke lo anneghi.
Come sempre – come Shikamaru modestamente aveva previsto – interviene Itachi.
«Mh, mi verrebbe da dire “perché ci si riflette il cielo”, Naruto kun. Ma sospetto ci sia una spiegazione più tecnica... In effetti meriterebbe approfondimento».
Ma già alla prima mezza frase Naruto ha sgranato gli occhi e, preda d'una mistica rivelazione, li ha sollevati al cielo.
«Woah, non ci avevo mai pensato!» e lo dice a Sasuke perché non possiede il benché minimo spirito di conservazione. Difatti quello gli tira un dritto in mezzo agli occhi e lo lascia agonizzare a terra.
«Ma perché gli date corda?» si rivolge poi al fratello – col plurale maiestatis, perché Shikamaru e Sakura non si sentono minimamente tirati in causa.
«Anche io trovo che sia interessante, Sasuke».
«Itachi...»
Shikamaru segue lo scambio con la soddisfazione dello stratega, mentre la squadra sette si comporta da squadra sette, con Sasuke che borbotta offeso qualcosa riguardo il fatto che non bisognerebbe mai mescolare amici e parenti e Sakura che, per distrarlo, sospira illogicamente briosa: «guarda Sasuke kun, i gabbiani!», sia mancando tragicamente l'interesse dell'interlocutore, sia sopravvalutando le potenzialità oculari del suddetto, che studia a lungo una busta di plastica con espressione critica, prima del messianico intervento di Naruto. Il jinchuuriki gli gira il collo nella direzione corretta, quasi novanta gradi a destra: finisce ovviamente a botte da orbi e i gabbiani scappano credendo ci siano falchi riottosi giunti a minacciare la pace del posto.
Shikamaru scuote la testa, mentre il chidori cerca di privare Konoha del suo eroe per l'ennesima volta in un arco di tempo relativamente breve e Sakura si arrabatta a sedare liti, agitando sabbia a pugni in una riuscita imitazione del Gaara primi tempi – funerale del deserto!
«Senza non sarebbe stato divertente» risponde la voce pacata di Itachi alla considerazione insofferente che Shikamaru non sapeva neanche di aver formulato 
«era meglio se li lasciavamo a casa» , semplicemente seguendo il suo sguardo.
«Suppongo» sbuffa il genio, diplomatico.
Alla fine, nonostante il superfluo chiasso, c'è tutto quello che serve:
il sole è alto sulle loro teste, ma a smorzarne la calura tira un buon vento di mare sulle mangrovie che, appunto, fanno ombra tra spiaggia e acqua. È riuscito a trovare l'unico posto in cui si possa fare il bagno all'ombra e tutto senza uscire dal Paese del Fuoco – anche perché portare un ex criminale internazionale a spasso non è esattamente qualcosa che si possa fare e Itachi non si sarebbe mosso, senza il fratello. Shikamaru lo sa e lo accetta, altrimenti non avrebbe senso neanche andare tanto d'accordo con Uzumaki Naruto.
Quell'Uzumaki Naruto, nella fattispecie, è già in acqua in compagnia del suo migliore amico, molto impegnato nell'impresa di annegarlo. Sakura sulla riva assaggia il freddo con la punta dell'alluce; tre paia di sandali e un cumulo di indumenti giacciono abbandonati alla rinfusa poco più in là.
Poi, nella stasi pigra, è Itachi a prendere l'iniziativa: Shikamaru scopre d'avere il polso intrappolato in dita lunghe e pallide quando lui l'ha già scarrozzato senza irruenza – è come avesse inserito la spina: i piedi di Shikamaru si sono semplicemente messi a camminare – fino alla battigia.
«Venite anche voi?» domanda Sakura, tranquillissima nonostante solo due secondi prima abbia dovuto sbraitare «Sasuke kun, il chidori no!» al fine di evitare una moria di pesci e jinchuuriki.
Itachi guarda prima lei, poi si volta verso Shikamaru: lui gli rilancia un'occhiata interrogativa che Itachi esplica in un cortese «vi raggiungiamo dopo» a Sakura. Lei semplicemente annuisce e saluta: avanza di ben due passi rabbrividendo con determinazione; Naruto la incita da lontano, tutto impegnato ad affogare Sasuke tenendogli la testa sotto.
«L'acqua è fredda» concorda infine Itachi, dopo essersi accomodato direttamente sulla sabbia umida.
Shikamaru fa quasi per annuire: il suo ideale di vacanza non a caso può essere compreso nell'immagine di lui gettato lì accanto, pancia all'aria e sole in faccia, il vento a spazzargli addosso e Itachi a un passo. Solo che poi lo guarda, Itachi, seduto sulla spiaggia come seduto sull'engawa, a contemplare distante il mare invece che un muro, sotto un cielo uguale a quello di sempre. Aggrotta le sopracciglia e gli si para davanti, sbuffando.
«Non fa niente, andiamo» decide, porgendo una mano. Itachi socchiude gli occhi per guardarlo meglio, con tutta quella luce; sembra pensarci un po', ma alla fine accetta la mano e si alza, con calma, senza preoccuparsi della sabbia che gli è rimasta addosso. Inclina il capo per un lungo momento, assorto, tanto che Shikamaru finisce quasi per preoccuparsi, finché non scatta di nuovo col mento su, vicinissimo alla sua faccia.
«Andiamo, allora» acconsente, il tono pacifico. L'istante dopo il mondo di Shikamaru si rovescia – cielo sotto i suoi piedi e la sabbia chiara sulla sua testa, la spalla di Itachi nello stomaco, tre passi in avanti e freddo, freddissimo dentro il cervello, e niente aria. Rinviene grondando acqua gelata, ancora vestito, seduto sul fondale basso e sabbioso a tossire sale e conchiglie.
«Itachi...»
E quello non se la sta ridendo unicamente perché è troppo impegnato a ficcare la testa tutta sott'acqua, solo il naso fuori e gli occhi chiusi, vestito anche lui, perché Shikamaru ha idea che gli scherzi gli vengano così, fulminei come le tattiche ninja, ed Itachi è uno stratega che pensa più alla riuscita della missione che alla propria incolumità.
Seccato come solo Itachi sa seccarlo – per nulla, in pratica – si vendica tappandogli il naso con due dita.
Ottiene uno spruzzo d'acqua dalle guance, dritto in faccia, prima che l'altro si liberi e resti a guardarselo lì, accovacciato sul fondo con l'espressione svagata dell'innocenza dipinta chiara sulla faccia da adulto.
«Pessimo».
«Pensavo volessi fare il bagno» si difende Itachi, placido. Rabbrividisce per via delle spalle fuori dall'acqua bassa e, mentre Shikamaru prova a obiettare che «non intendevo da vestito!», si è già ricacciato dentro, sotto il pelo, sordo sia allo sbuffo del genio che agli schiamazzi degli altri tre ninja, molto più in là.
Shikamaru scuote la testa, la coda gli penzola sbieca e sfatta sulla cima, come un ciuffo di alghe. Perde tempo a sistemarsela, direttamente sott'acqua e impicciando le dita nell'elastico, e quando riemerge di Itachi non c'è più traccia. Solleva un sopracciglio, si spia attorno cauto: l'acqua è immobile, solo blu del mare e del cielo; Naruto, Sasuke e Sakura, lontani, si sono arrampicati come licheni sulle radici grosse delle mangrovie: arriva a stento la voce di Sakura a parlare piana, frammezzata da qualche esclamazione di Naruto, che sta prendendo le misure per tuffarsi goffo dalle radici dell'albero, neanche l'impresa richieda chissà quali complesse nozioni di balistica.
Shikamaru assiste stralunato all'impatto di un jinchuuriki che si spalma contro l'acqua senza dimenticare di tirarsi dietro un Sasuke a caso – poi saranno botte –, finché si sente afferrare per un piede; e non grida solo perché, oltre ad essere un ninja, quella è una storia che conosce e che alla fine non gli dispiace neanche un po'.
Sott'acqua gli occhi di Itachi sono comunque nerissimi ed è anche stupendamente buffo coi capelli gli ondeggiano attorno, sospesi tra le bolle. I baci, quelli sono più salati e 
Shikamaru non credeva fosse possibile –, più mozzafiato del solito.


Sakura rimprovera tutti, uomini, donne, bambini e Sasuke – sì, pure Sasuke.
Però non aveva mai rimproverato Itachi. Non le mette propriamente soggezione, non più – o meglio, non è lui in sé stesso a metterle soggezione, quanto ciò che ha rappresentato per Sasuke, per tutti loro
, ma neanche ci si trova a propriamente a suo agio. Eppure questo deve essere un assunto che è stato valido per un certo periodo e che adesso la kunoichi, senza dare conto a nessuno, ha felicemente archiviato: altrimenti Shikamaru non si spiega perché mai la candida fanciulla stia sbraitando contro Itachi come fosse un giocondo jinchuuriki arancione.
«Al mare a respirare l'aria buona, Itachi san! Non al mare a beccarsi una broncopolmonite fulminante!» e gli sfrega l'asciugamano sulla testa che neanche Yoshino quando Shikamaru aveva sei anni e lui e Chouji tornavano fradici per aver bighellonato tutto il pomeriggio sotto la pioggia. Itachi quantomeno ha il buon senso di accettare il blaterio medico-apprensivo senza emettere un solo fiato di disaccordo – anche perché ci pensa Sasuke a guardare la scena con espressione non si sa se oltraggiata o semplicemente allucinata.
Shikamaru, dal canto suo, approva in silenzio e un po' si biasima, in colpa: è che Itachi emana naturalmente una sorta di forza superiore, incrollabile; qualcosa di indefinibile e concreto insieme che lo sostiene come uno scheletro supplementare, tanto da appannare trascorsi fin troppo recenti di emottisi giornaliere e retine massacrate. Sakura è la sola che, medicina dalla sua, non perde mai di vista la faccenda neanche se si tratta di cose sciocche come essersi fatto il bagno vestito di tutto punto in un clima soleggiato ma ventoso – anche se le sopracciglia corrugate di Sasuke, ogni volta che ad Itachi scappa da starnutire, saranno pure loro indicative di qualcosa. Ma se lui si incupisce ed elucubra, Sakura – sempre la medicina dalla sua, l'abitudine alla relatività dello star bene o male – ha la capacità di dare il giusto peso alle cose, passare da un umore all'altro in maniera fluida e naturale tirandosi tutti dietro. Shikamaru lo realizza solo quando, preso a sua volta da apprensive elucubrazioni sasukiane, Sakura gli ficca in mano una lattina di tè freddo senza neanche farsi ringraziare – già tutta presa dallo sbraitare a Naruto di venirsi a prendere il suo, sebbene lui non abbia ancora minimamente palesato una qualche necessità di bere.
«Fa paura, eh» argomenta il genio, una volta sedutosi un po' troppo pesantemente accanto ad Itachi, col tè in mano e il sedere sulla sabbia sottile – e mentre lo dice sta pensando un po' anche ad Ino. Itachi però è preso dallo spettacolino di Sakura che intima a Naruto e Sasuke di bersi il loro tè zitti e mosca, perché non ha intenzione di riportarsi a casa il cestino del pranzo - un borsone in cui Nakaru potrebbe comodamente star dentro in piedi - pieno.
Come se ci fosse pericolo: Naruto ha appetito e non a caso ha appena cominciato a lamentare come a nessuno sia venuto in testa di portare del ramen, neanche fosse sano e normale desiderare brodo bollente quando si è seduti su silicio caldo, sotto un sole caldo, nell'aria calda di una stagione calda.
«Itachi san, togliti quell'asciugamano umido di dosso e prendi un po' di sole!» sbraita Sakura ignorando il jinchuuriki, e Itachi sorride da lontano, finge con estrema diplomazia che quell'asciugamano non gliel'abbia dato lei ed esegue all'istante neanche l'ordine arrivasse dall'Hokage in persona; quando infine si volta verso Shikamaru, annuisce: «fa paura».
Il genio ride e rovescia un po' di tè in giro. Buttato giù l'ultimo diligente sorso – Sakura sarebbe capace di ammazzarlo perché non ha finito il tè, se lo sente – si guarda attorno in cerca di un cestino della spazzatura.
«Su una spiaggia deserta» si ricorda da solo, mentre con gli occhi è già a metà della perlustrazione.
Itachi gli dà il profilo, la lattina altrettanto vuota – se la sarà scolata, integerrimo teinomane quale è – e lo sguardo al litorale, rivolto al verde. L'impellenza di un cestino della spazzatura perde di colpo molto del suo senso e Shikamaru barbuglia quella che vorrebbe essere una proposta e che invece si manifesta come uno «mnh?» di sopracciglia sollevate e ammicco – una roba particolarmente imbranata a metà tra un flirt ed un sintomo del colera.
Ma Itachi è Itachi: si volta verso la sua espressione da totano svenuto – non è il caldo a intontire Shikamaru, a meno che all'insaputa di tutti Mikoto Uchiha avesse battezzato così il suo primogenito – e interpreta con un molto più dignitoso: «mh, vorrei vederle da vicino», il cui soggetto sono le mangrovie con le loro radici intricate come ragnatele, grossi nuvoloni verdi tra acqua e cielo.
Si alzano senza rumore e lasciano alle loro spalle la squadra sette, che tanto è comunque troppo impegnata a consolidare la propria amicizia – anni e anni di dura amicizia – a colpi di starnazzi e risse, per accorgersi della loro assenza.


Shikamaru è arcisicuro che Itachi Uchiha, quello che ha viaggiato per anni seguendo le direttive dell'Akatsuki, di mangrovie ne avrà viste a migliaia, così come molte altre cose – tantissime, troppe anche per il suo cervello, che è comunque quello di un ragazzo cresciuto in un villaggio a rotoli e missioni -, più interessanti di una vegetazione bizzarra. Eppure Itachi ogni volta sa sorprenderlo con quelle uscite che sarebbe più facile aspettarsi da Nakaru – il piccolo sta entrando nell'età dei perché, a breve sarà un inferno – e ogni volta che si sorprende Shikamaru si dà dello stupido. A Itachi piacciono le cose che non interessano a nessuno, quelle che se interessassero a qualcuno forse migliorerebbero la vita sul pianeta: a Itachi interessa il motivo per cui il mare sia blu, anche passati i vent'anni, semplicemente perché non ha mai avuto il tempo di chiederselo, prima. O forse perché se l'è chiesto e nessuno gli ha risposto, tutti troppo impegnati a guardarlo diventare un gran ninja il più in fretta possibile, un assassino il più in fretta possibile; tutti uniti nel considerare un'inutile perdita di tempo il domandarsi quello che sarebbe naturale chiedersi, tipo come facciano degli alberi a crescere nell'acqua salata.
E fa sinceramente piacere che sia così: Itachi che se ne sta seduto su una radice gigante, gli occhi a spiare giù nell'intrico di cortecce e ombre liquide, come se queste dovessero di colpo mettersi a parlare con lui, è qualcosa che fa ridere perché è riposante e vivace insieme, e Itachi si merita di vivere il riposo come preferisce. Anche interrogandosi sulle mangrovie, se è quello che gli piace, anche se Shikamaru lì per lì si era immaginato un altro epilogo per quella camminata in punta di chakra sul mare – eh, gli ormoni.
Scaccia via i pensieri impuri – Itachi candidamente mezzo nudo seduto lì accanto non è che proprio lo aiuti tantissimo – e decide piuttosto di assecondare gli altri suoi bisogni primari: si accomoda su una delle ampie radici, stirando la schiena con indolenza e complimentandosi di nuovo con se stesso per la scelta del posto. C'è l'acqua sotto, il cielo in altro tra le fronde eppure, eh! c'è anche l'ombra; la prossima volta ci porterà pure Ino e Chouji, quando sarà un po' più grande chiederà a Kurenai di portarci Nakaru e Itachi non viene nominato solo perché è scontato che debba essere la costante della piacevole faccenda.
Si accorge d'essersi appisolato solo quando Nakaru gli si siede sullo stomaco e comincia a pizzicargli la faccia, come fa sempre quando lui vuole dormire – una domenica qualsiasi, per esempio – con quelle sue zampette vivaci e l'umido di bave e omogeneizzati che il pargolo gli spalma volentieri addosso in ogni momento.
Però quando apre gli occhi, con un rantolo di foca spiaggiata, e le sue mani sono già in alto per riparare invano il naso dagli artigli della bestiola, non trova bambini. O meglio, ne trova, e di quelli grossi.
«Muoio» soffoca stoico, in comunicazione diretta col suo fegato. Itachi ci resta felicemente seduto su, troppo concentrato a sistemargli un paguro sul naso per prestare ascolto a qualche inezia come le lagne di un organo interno che tra l'altro ricresce.
«Buon pomeriggio» saluta; una chiocciola scivola sulla palpebra di Shikamaru e l'Uchiha, magnanimo, l'aiuta a risalire sul sopracciglio, ché se no cade.
«Itachi, pesi» fa presente la bocca del genio, fortuitamente libera da molluschi. «E fa caldo».
Capisce d'aver detto una cosa terribile quando ormai è troppo tardi: lo sguardo di Itachi si è già illuminato di divertimento, in un lampo breve, prima che il proprietario di quegli occhi sia piombato su di lui come un paguro gigante; slittano giù dall'albero quasi delicatamente, come da uno scivolo; Shikamaru ha il tempo di sospirare di finta afflizione, prima che lui, Itachi e il piccolo zoo di molluschi e crostacei precipitino in acqua con un molle plop.


Naruto ha costruito un castello di sabbia. In realtà il suo piano era una riproduzione fedele di Konoha, monte degli Hokage annesso, ma Sasuke gli ha fatto perfidamente notare, dopo un quarto d'ora di lui che ammucchiava sabbia e la squadrava da ogni angolazione credendosi un architetto – e sembrando invece un povero idiota – quanto fosse molto più somigliante ad un mucchio informe e che sarebbe rimasto tale, quindi tanto valeva calpestarlo subito. Ovviamente il suo voleva essere un provvedimento a favore dell'estetica e del buon gusto e invece, al solito, il mondo l'ha frainteso e persino Sakura è finita a concordare con Naruto riguardo l'infame accusa di bullismo a suo carico. Alla fine, per evitare la rissa, lei – la perversa, maligna, infida e noiosissima ragazza dai capelli rosa, che è assurta al ruolo di gran capo un dì e che da allora spadroneggia impunemente su tutto e tutti – l'ha spedito a chiamare Itachi e quell'appendice del Nara, dato che i due sono spariti e neanche hanno mangiato, tra l'altro l'insalata di riso di cui lei è orgogliosissima nonostante le carote che ci ha messo dentro sembra siano state mutilate da un boscaiolo e Naruto abbia mandato giù gusci d'uova sode solo per non offenderla.
In ogni caso, Sasuke ha obbedito alla gentile richiesta 
«per piacere, Sasuke kun, va'» pronunciata in tono tutt'altro che conciliante solo perché gli importa dello stomaco vuoto di suo fratello: per il resto Nara può pure evaporare digiuno e Sakura non gli fa paura per niente, che sbraiti o miagoli a lui scivola addosso come l'aria, come il sudore che gli sta colando sulla fronte, perché si dà il caso che quei due abbiano deciso di farsi mezzo mare a piedi per “vedere le mangrovie”  e lo sa che è un'idea di Itachi: a Nara non sarebbe mai venuto in testa di camminare tanto ; con l'aggravante che a lui lo stesso tragitto tocchi rigorosamente fuori dall'acqua perché «hai appena mangiato ti verrà una congestione!»
Sakura li stordirà tutti con le sue paranoie mediche, diventeranno ipocondriaci e moriranno segregati sotto una campana di vetro, Sasuke lo sa.
Brontola interiormente, accaldato, e si arrampica sulla mangrovia più vicina, enorme e addormentata. Effettivamente non si sente un fiato, né si muove altra acqua che quella spinta dalle onde.
«Itachi, venite a mangiare» risolve semplicemente, rivolto agli alberi, i due più grossi protesi fin dove l'acqua è profonda.
Niente, pure le foglie stanno zitte – si è anche fermato il vento. Sasuke sbuffa e scende, i piedi sul pelo dell'acqua e le sopracciglia aggrottate in direzione di alcune ombre poco lontane, oltre il grumo delle radici ingombranti dell'albero; si sporge e fa per aggirare l'ostacolo, concentrato, finché non inquadra un paio di oggetti insoliti – insoliti su di un albero
, a penzolare come fantasmi scuri da un ramo basso. Stringe le labbra e dilata le narici, perché ha capito: ci vede abbastanza da schifo, ma mica è scemo. Comincia con: «che palle-», ma si ferma, perché non può neanche dire che siano in casa sua, o che la cosa gli dia fastidio. È solo che non lo vuole sapere: sono cose che un fratello minore non dovrebbe sapere, quelle che riguardano costumi da bagno appesi ai rami e Nara randomici che... Ugh. Non c'entra neanche che sia un maschio, c'entra che è Itachi quello, che cavolo!
«Veniamo subito» fa la voce di Itachi-cavolo, da qualche parte tra le fratte. C'è anche quella di Nara, a borbottare qualcosa di indefinito, e Sasuke decide che sono due voci nudissime e che lui non vuole averci niente a che fare: avrà il diritto di non immaginare suo fratello in atteggiamenti intimi con chicchessia, no?
«Sasuke, ci lanci i costumi?» lo ferma la testa di Itachi, spuntando come una testuggine da sotto le radici. Lui, che già s'era voltato per filare via, rivolge un'occhiata di puro biasimo al suo incrollabile tono noncurante. Espira e ringhia, poi gli lancia il costume dritto in testa. Dietro al tronco si sente la mezza risata di Shikamaru.
Bruciare l'intera foresta di mangrovie con l'Amaterasu sarebbe stupido, tanto più che sta arrivando anche Naruto 
l'idiota bercia «Saas'keeh! Perché ci stai mettendo una vita? Sakura chan dice che tra un po' dobbiamo andare!» tutto ignaro e contento, lui, una macchietta arancione nel blu.
«Questa storia deve finire» conclude Sasuke a braccia conserte e piglio sostenuto, pudicamente rivolto verso il jinchuuriki ancora lontano. Alle sue spalle, i due nudisti si rivestono in fruscii bagnati: e tanto quella storia non finirà, c'è solo da rassegnarsi.



Nda
Nascosti (male) sono citati sette titoli di storie di slice XD Questo perché sono una fan accanita e anche il corvo delle cazzate (cit!).
Neanche il titolo è mio: trattasi del distico finale di Milano, del buon vecchio Saba (e se qualcuno dovesse chiedersi, legittimamente, cosa minchia c'entri, la risposta sarebbe “boh, mi suonava bene”).
Nakaru, in Là, dove il sole fa ombra, è il figliolo di Asuma e Kurenai: un amabile pargolo biascica-pastine.
Il mare è blu per un motivo molto ganzo che trovate spiegato qui (sì, su Focus Junior ùù').

Tutta roba di Kishimoto e di slice: di mio c'è solo tanta stupidità (e tanto amore, ali XD).




  
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