Le due porte si aprirono con un tonfo sordo: la stanza
pullulava di Mangiamorte.
Irrompemmo all’interno, cogliendoli di sorpresa: all'istante
cominciò lo scontro.
La battaglia che avevo tanto aspettato di combattere era
finalmente giunta.
Una raffica di incantesimi furono lanciati contro gli uomini
incappucciati, che risposero con altrettanta offensiva al nostro attacco.
Infidi.
Guidato dall’istinto e dai nervi saldi, affrontai un
Mangiamorte dal viso coperto, tanto che non riuscii a riconoscerlo. Era abile,
dotato di grande tenacia e sangue freddo, ma di poca rapidità.
Scartavo i suoi attacchi, prevedevo le sue mosse e riuscivo
ad attaccarlo per primo: rimasto rinchiuso per tutto quel tempo a Grimmauld
Place, avrei potuto rivelarmi anche arrugginito.
Ma non lo ero.
Carico di una grinta che riposava dentro di me da troppi
mesi inerti.
Impegnato nella lotta contro il Mangiamorte, non mi era
possibile controllare la situazione attorno a me e non mi resi nemmeno conto
quando passai accanto a Harry e Neville.
Le rosse scintille provenienti dalle bacchette dei
combattenti esplodevano nella Sala dei Cervelli, animata come non lo era mai
stata prima.
Il mio avversario era ormai ai ferri corti e, con un rapido
Schiantesimo, riuscii ad atterrarlo prima di qualsiasi maledizione.
Il mio sguardo poi setacciò l’intera stanza: gli altri
membri dell’Ordine stavano combattendo senza sosta, ma era una persona in
particolare quella che cercavo.
Harry.
In una frazione di secondo, scorsi Dolohov tentare di
colpire il figlio del mio migliore amico con un movimento di frusta. Strabuzzai
gli occhi, ma lo scaltro ragazzo riuscì a proteggersi, tanto che l’incantesimo
lo sfiorò appena.
Bravo Harry, sei degno di tuo padre.
James ne sarebbe andato fiero.
Vedendo la bacchetta del Mangiamorte alzarsi di nuovo,
raggiunsi in quattro falcate l’angolo della stanza e colpii Dolohov con una
spallata. Riuscii a mandarlo a terra, ma immediatamente si rizzò in piedi e
tornai a duellare.
Rischio e pericolo erano sempre stati i miei più fedeli accompagnatori
di vita.
Mi erano quasi mancati durante la prigionia nella dimora di
mia madre.
Non riuscivo a chiamarla casa, non lo era mai stata.
Puoi chiamare casa l’abitazione dove ti piace tornare e io
odiavo passarci le vacanze estive.
Puoi chiamare casa la dimora dei tuoi amati famigliari, ma
io detestavo loro con tutto me stesso e la cosa era reciproca.
Dolohov cercò di colpirmi con il suo solito movimento di
frusta, ma qualcosa glielo impedì.
O meglio, qualcuno.
Lui.
Il mio amato figlioccio.
La persona che più desideravo proteggere e che si era spinta
fino al Ministero solo per me, credendo fossi in pericolo.
Le braccia e le gambe di Dolohov s’irrigidirono e come una
statua, il Mangiamorte cadde a terra, pietrificato dall’incantesimo del bambino
sopravvissuto.
Incrociai i suoi occhi color smeraldo, tali e quali a quelli
di sua madre, scorgendovi un misto di paura e determinazione.
Gli sorrisi di sbieco e fui ricambiato da un altrettanto
sorriso, pieno di orgoglio.
Sarebbe stato un degno Malandrino.
- Bravo! – gli gridai, in modo che potesse sentirmi in mezzo
a quella confusione. Gli spinsi di scatto la testa giù, evitando un paio di
Schiantesimi mandati nella nostra direzione – e adesso esci di qui…
Nuovamente fummo costretti a chinarci e un getto di luce
verde mi mancò per un soffio.
Sì, certe volte la fortuna mi assisteva, anche se le
capitava raramente d’incrociare il mio cammino.
Entrambi vedemmo Tonks rimbalzare sui gradini di pietra e
rotolare a terra, stremata in seguito al duello contro Bellatrix Lastrange, la
quale tornava trionfante nella mischia.
La mia cara cugina Black.
La perfetta erede di una famiglia Mangiamorte.
Donna che crede fortemente all’ideale di persecuzione e
morte che i miei zii le hanno inculcato fin da bambina. E se solo fosse nata
maschio, sarebbe stata il perfetto rampollo dei Black, eredità che era prima
passata a me e poi a mio fratello Regulus.
Ma Bellatrix si era ugualmente fatta valere e aveva
mantenuto alto l’onore della famiglia.
Una perfetta signora del male.
- Harry, prendi la profezia, agguanta Neville e vattene! –
gli gridai, tenendolo per le spalle e scrutandolo in quel viso così somigliante
a quello del padre.
Poi corsi verso Bellatrix, iniziando un intrepido duello con
la mia amata cugina.
Il più allettante, azzarderei.
Sì, perché Bellatrix non conosce la pietà, né ha mai provato
compassione per nessuno. E tutto ciò fu piuttosto stimolante per il mio
impavido carattere: scommetto che attendeva con intenso desiderio di combattere
contro di me.
E l’avevo accontentata.
Scaltra e maligna come avevo avuto modo di conoscerla, mi
lanciava incantesimi senza tregua.
Molti Auror che avevano avuto il piacere di lottare contro
di lei, l’avevano definita pazza.
No, mia cugina non è pazza, ma ben conscia di ciò che fa.
Ama la sofferenza degli altri, tanto che la sua maledizione
senza perdono preferita è il Crucio.
Ad un certo punto, Malfoy fu scaraventato contro la
piattaforma sulla quale stavamo combattendo io e Bellatrix e la urtò.
Non avrei potuto farcela contro tutti e due, ma a quanto
pare il biondastro aveva altro da fare.
- Amata cugina, da quanto tempo! – le rivolsi un cenno di
saluto, notando una leggera stanchezza nel suo pallido viso.
Digrignava i denti, strabuzzando gli occhi e questo non era
un buon segno: significava che le cose non stavano andando come voleva.
Con gli anni avevo imparato a conoscere il carattere di
Bellatrix.
- Quattordici anni, reietto! – esclamò infastidita,
chinandosi per evitare un incantesimo di disarmo - dopo che ti sei fatto
sbattere ad Azkaban, la tua faccia da traditore non si è più vista in giro!
E una risata isterica la invase, quando una sua magia lacerò
un pezzo della mia tunica.
Esaminai il buco formatosi, per poi rivolgerle uno sguardo
deludente.
- Tutto qui? Ti stai arrugginendo col tempo, cara cugina…
- Taci mentecatto! Non sei degno di portare il grande
cognome dei Black!
Più la stuzzicavo, più la lotta si faceva interessante: era
uno spasso farla innervosire.
La mora ricevette un colpo al fianco destro, che però la
prese solo di striscio.
- Mia cara, si vede che stai invecchiando!
Un lampo d'ira attraversò i suoi occhi scuri,
mentre sghignazzavo sotto i baffi.
- E tu hai già un piede nella fossa!
Lampi, incantesimi, scintille fuoriuscirono dalla bacchetta
di Bellatrix, ma la spuntai parandoli tutti, prima che potessero colpirmi.
Batteva i piedi per terra, facendo rumore con gli stivali,
come una bambina viziata alla quale non veniva comprato un giocattolo.
- Azkaban ti sta aspettando cara cugina – la provocai,
lanciando un paio di Schiantesimi – non vorrai farti attendere…
Provò ad attaccarmi anche utilizzando incantesimi
non-verbali, ma prevedevo le sue mosse. I suoi vizi e i suoi trucchi non erano
affatto cambiati con il trascorrere degli anni.
- Ti ucciderò, cugino! Fosse l’ultima cosa che faccio! –
esclamò con furia assassina, agitando velocemente la bacchetta.
All’improvviso, tutto intorno a noi si fermò, come se il
tempo avesse cessato di scorrere: ma il duello tra me e Bellatrix non era
finito e non sarebbe mai terminato se non alla morte di uno dei due.
Evitai l’ennesimo getto luminoso che l’ex studentessa
Serpeverde mi lanciò e ripresi a deriderla.
- Avanti, puoi fare di meglio! – le urlai, tanto che la mia
voce echeggiò nella vasta Sala dei Cervelli.
Conosco le tue capacità, le tue mosse segrete, i tuoi assi
nella manica: non riuscirai mai a battermi, cara cugina.
Il secondo fiotto di luce rossa riuscì a colpirmi in pieno
petto.
Provai un acuto dolore all’altezza del cuore, una botta che
forse avrei potuto evitare.
Attesi di cadere a terra e di sentire il pavimento sotto di
me, ma ahimè ciò non accadde.
All’improvviso tutto scomparve: non vidi più la stanza dei
Cervelli, né la scura figura di mia cugina.
Tutto si oscurò e mi accorsi troppo tardi di aver
oltrepassato il Velo.
L’ultima immagine che riuscii a scorgere fu il diabolico
ghigno di Bellatrix, il quale si mutò in un’eccitata risata che decretò il suo
trionfo.
Ero morto.
E lei aveva vinto lo scontro.
Il mio ultimo pensiero andò a lui.
Perdonami Harry…
Ti ho lasciato solo, mi ero promesso che non l’avrei mai
fatto.
E nonostante i miei sbagli, la mia poca esperienza e il mio
carattere un po’ infantile, sappi che ti ho voluto bene come a un figlio.