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Autore: TheComet13    27/07/2012    3 recensioni
Jillian sedeva sul divanetto posizionato proprio sotto il grosso finestrone della sua camera, avvolta in una coperta e aspirando il fumo di una Gauloises blu, lo sguardo rivolto a quel cielo grigio che sembrava piangere tutte le lacrime che, invece, si rifiutavano di uscire dai suoi occhi. Era una fredda mattina di novembre, e Jillian sognava il caldo della sua California, proprio come diceva la canzone dei Mamas & Papas.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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NOTE DELL'AUTRICE: Con questa storia ho partecipato al concorso "Come la pioggia e la neve" e mi sono classificata seconda. Giusto una breve one-shot con molto di autobiografico.


WHY DOES IT RAIN DOWN ON UTOPIA?

 
 
Jillian non era abituata a svegliarsi con il rumore della pioggia nelle orecchie. Non era abituata a guardare fuori dalla finestra ed essere accolta dal cielo grigio e cupo e da pesanti gocce d’acqua che cadevano battendo sul terreno del giardino sottostante, formando grosse pozze di fanghiglia.

Prima, Jillian si svegliava ogni giorno con i raggi del sole che penetravano dalle veneziane e quando guardava fuori quello che le si presentava davanti era il cielo più azzurro che avesse mai visto. Avendo abitato a Los Angeles per gran parte della sua vita, Jillian si era quasi scordata di come fossero le giornate di pioggia. E invece, da qualche mese a quella parte, erano più le mattine in cui si ritrovava a guardare la pioggia cadere al di là della finestra di camera sua, di quelle che invece si svegliava col sole.

Quella mattina non faceva eccezione. Jillian sedeva sul divanetto posizionato proprio sotto il grosso finestrone della sua camera, avvolta in una coperta e aspirando il fumo di una Gauloises blu, lo sguardo rivolto a quel cielo grigio che sembrava piangere tutte le lacrime che, invece, si rifiutavano di uscire dai suoi occhi. Era una fredda mattina di novembre, e Jillian sognava il caldo della sua California, proprio come diceva la canzone dei Mamas & Papas. Erano passati quattro mesi da quando era salita sull’aereo a LAX, allontanandosi da quella che era stata la sua vita per gli ultimi quattordici anni, e aveva fatto ritorno nella città in cui era nata e che si era lasciata alle spalle quando era ancora una ragazzina, in seguito al divorzio dei suoi genitori. Quattro mesi, e ancora Jillian non si era abituata non solo a quel clima, ma a quella vita completamente nuova. Milano era totalmente diversa da Los Angeles. Le strade, per esempio, erano significativamente più strette di quelle della città californiana, per non parlare dei sanpietrini che erano un serio pericolo per le scarpe…seriamente, come facevano le ragazze milanesi a indossare i tacchi? In quattro mesi, Jillian era già stata sei volte dal calzolaio a far sistemare i tacchi delle sue scarpe. E poi c’era il fatto che evidentemente in Italia il concetto di cibo d’asporto era pressochè sconosciuto. Era già un miracolo che consegnassero la pizza, e solo a orari specifici. A Los Angeles potevi ordinare qualsiasi tipo di cibo a qualsiasi ora, e nel giro di mezz’ora ti arrivava a casa. Una gran comodità, soprattutto quando tornavi a casa con le voglie di sushi in tarda serata, dopo una riunione che si era prolungata più del previsto. Oh, e poi c’erano i semafori, che in Italia erano prima dell’incrocio invece che dopo come in America, e il fatto che fosse proibito svoltare a destra con il semaforo rosso. Jillian aveva collezionato un bel numero di multe nei primi giorni che guidava a Milano, perchè ogni volta che la strada era libera girava a destra con il rosso. E ancora, i cartelli con i nomi delle vie…come diavolo si faceva a leggere quelle placche di marmo striminzite appese agli edifici?

Ma quello che a Jillian mancava di più non era il cielo azzurro di Los Angeles, le sue strade larghe e tutte almeno a due corsie, il cibo consegnato a casa alle undici di sera, la possibilità di svoltare a destra col rosso o gli enormi cartelli blu che segnalavano la Sunset Boulevard. No, si sarebbe abituata a tutti quei cambiamenti e avrebbe imparato a vivere da brava milanese (anche se la sua collezione di scarpe sicuramente non le avrebbe mai perdonato questo traserimento). Ciò che a Jillian mancava di più in quella mattina di fine autunno, e nei quattro mesi precedenti, era Helena. Helena, la sua ragazza, la sua partner, la sua anima gemella. Le mancava essere svegliata alle quattro e mezza del mattino dalla voce di Helena che urlava un rosario di profanità con quel suo strano accento un po’ della Virginia e un po’ del North Carolina, perchè l’acqua della doccia era troppo fredda e lei doveva essere al lavoro alle cinque e mezza. Le mancava avere la camera da letto più incasinata della sua testa, perchè Helena sembrava totalmente incapace di mantenere anche solo una parvenza d’ordine. Le mancava avere nel frigorifero quello schifoso succo di frutta verde che Helena amava e che invece a lei disgustava anche solo vederlo; e dopo che Helena l’aveva bevuto, Jillian le faceva lavare i denti o masticare una gomma prima di darle il permesso di baciarla. Le mancava fare sesso a qualunque ora, in qualunque luogo, perchè Helena sembrava avere dei seri problemi di dipendenza da sesso, e “amore, non lo sai che una donna nei suoi trent’anni è come un ragazzo adolescente? È normale che sia sempre arrapata!”, come se fosse una scusa valida e Helena non fosse stata perennemente arrapata anche prima di compiere i fatidici trenta.

Un sorriso si abbozzò sulle labbra di Jillian a quei ricordi. Jillian a volte era terrorizzata dall’intensità con cui amava Helena. Non poteva essere salutare amare qualcuno così tanto, in quel modo. Ma non ne poteva fare a meno. Era come se, ogni volta che Jillian guardava Helena, lei trovasse un nuovo modo per farsi amare; e la parte migliore, o peggiore, era che Helena non se ne rendeva neanche conto. Non credeva di fare niente di speciale, ma in realtà lo faceva. Helena lasciava Jillian completamente ipnotizzata.

Helena…chissà cosa stava facendo in quel momento. Visto il fuso orario, probabilmente stava dormendo, e Jillian sentì stringersi il cuore al pensiero della donna che dormiva tranquilla senza di lei al suo fianco. Chissà se anche Helena faceva fatica ad addormentarsi ora che era sola in quel letto enorme. Jillian non era più riuscita a dormire bene da quando aveva lasciato Los Angeles.

Jillian teneva tra le mani una lettera che Helena le aveva scritto a luglio, quando Jillian stava cercando di prendere una decisione, combattuta tra il desiderio di restare nella città che considerava casa sua e il senso del dovere verso la sua famiglia che la spingeva verso Milano. Una lettera, perchè Helena era il tipo di persona che scriveva ancora con carta e penna. Da quando era arrivata a Milano, Jillian aveva ricevuto una quantità spropositata di lettere da parte della sua ragazza. Helena scriveva quasi ogni giorno, a volte anche senza richiedere una risposta.

“Il motivo per cui stiamo così bene insieme è perchè siamo entrambe incasinate, e quindi tra di noi funziona. Pensi veramente che potrei mai trovare qualcun’altra così fuori di testa come me? Potrei cercare per sempre, potrei viaggiare il mondo intero alla ricerca di qualcuno che sia in grado di capirmi nel modo in cui riesci a capirmi tu, ma non la troverei. E sì, è vero, siamo terribili l’una per l’altra, e sì, siamo un disastro, ma puoi dirmi onestamente che il tuo cuore non accellera i battiti in presenza di un uragano o di un edificio in fiamme? Non siamo perfette, ma siamo devastanti…è un amore disperato, lo è sempre stato…è una lotta per rimanere in vita, per tenere la testa sopra il livello dell’acqua, ma è questo quello che facciamo. L’abbiamo sempre fatto, dal primo momento che ci siamo conosciute. Quello che voglio dire è che non importa dove siamo, o quanto tempo passiamo insieme, non potrei mai trovare un’altra, perchè non esiste nessun’altra persona per me. Mi hai chiesto se continuerò ad amarti anche quando te ne sarai andata, e la verità è che amarti non è mai stata una scelta. È semplicemente qualcosa che faccio, che ho sempre fatto. E non sono certo pronta a smettere. Non sono pronta a smettere di amarti. Quindi vai, fai quello che devi fare, e poi torna da me, perchè io sarò qui ad aspettarti.

Ti ricordi quello che ti ho detto una volta? Che l’amore epico è così. Separa le persone da continenti e oceani. Fa versare sangue e piangere lacrime. Fa a pezzi l’animo umano finchè non rimane quasi nulla. Ma poi la polvere si deposita e i cieli si rischiarano, e quelle persone che sono davvero destinate a stare insieme troveranno sempre la strada per tornare l’una dall’altra. Ed è questo quello che siamo noi. Troveremo sempre la strada per tornare l’una dall’altra. Sempre.”

Se a chiunque altro quelle parole sarebbero potute suonare esagerate, drammatiche, Jillian sapeva bene che erano vere.

Tra Jillian e Helena erano sempre volati fuoco e fiamme. Era stato così sin dalla prima volta che si erano incontrate, otto anni prima, una sera d’estate a Wilmington, North Carolina. Si erano odiate sin dal primo momento. Nessuna delle due aveva saputo spiegarne il motivo, era stata una sensazione a pelle. Non si piacevano. Jillian aveva pensato che Helena fosse una snob piena di sè, e Helena considerava Jillian una ragazzina immatura e un po’ troppo vittimista per i suoi gusti. Si erano conosciute grazie ad amici comuni, quegli stessi amici che una sera, dopo l’ennesimo litigio, avevano chiuso Jillian e Helena in una stanza e avevano lasciato l’appartamento, sperando che in quel modo le due ragazze risolvessero i loro problemi. E, in un certo senso, così era stato. Inizialmente si erano ignorate, chiudendosi entrambe nel silenzio, poi avevano iniziato a urlare, a far volare insulti, e alla fine, prese da un raptus, si erano lanciate l’una contro l’altra, la lingua di Helena praticamente nella gola di Jillian, le mani che si strappavano furiosamente di dosso i vestiti, e avevano fatto il sesso più arrabbiato della loro vita, ma anche il migliore. E da quel momento era diventata un’abitudine. Si incontravano, facevano sesso, e poi Jillian se ne andava, lasciando Helena sola nel letto, con le lenzuola che sapevano ancora di sesso e di loro.

Come questo si era piano piano trasformato in amore, nessuna delle due lo sapeva. Come erano passate dall’odiarsi e non riuscire a non insultarsi ogni volta che si vedevano all’essere considerate LA coppia nel loro gruppo di amici, tanto che le persone intorno a loro avevano persino fuso i loro nomi e ormai le chiamavano Jilena, era un mistero. Ma certamente non era stato un passaggio semplice. Helena aveva ragione, il loro rapporto, il loro amore, era una lotta per rimanere in vita. Jillian aveva perso il conto delle litigate, dei piatti (o qualunque altro oggetto capitasse sotto mano) lanciati e delle volte che si erano buttate sul letto avvinghiate l’una all’altra, graffiandosi, mordendosi, lasciandosi lividi in preda alla rabbia cieca ma anche all’infinito amore di fondo che le univa.

Jillian non avrebbe mai pensato di separarsi da Helena. Certo, la distanza non era un qualcosa di nuovo per loro. Agli inizi della loro storia, Helena abitava ancora a Wilmington dove cercava di farsi un nome come produttrice televisiva, mentre Jillian era a Los Angeles a inseguire il suo sogno di diventare supervisore musicale. E poi ancora, tutte le volte che Helena aveva passato mesi a Toronto per le riprese del suo telefilm, facendo avanti e indietro ogni weekend per poter trascorrere qualche giorno con la sua ragazza. Ma questo…questo era diverso. Stavano insieme da otto anni, e per sei avevano abitato insieme. Ora Helena non avrebbe potuto semplicemente prendere un aereo il venerdì sera per raggiungere Jillian e ripartire la domenica dopo il brunch. Ora Jillian non avrebbe potuto andare a trovare Helena sul set a Toronto ogni volta che aveva un paio di giorni liberi. Era una separazione lunga, forzata, dolorosa.

La pioggia continuava a cadere fitta e rumorosa da quel cielo che sembrava di piombo, e i ricordi continuavano ad affollarsi nella mente di Jillian. I ricordi erano tutto ciò che le permetteva di tenersi Helena vicina.

A pensarci bene, era stato proprio durante un giorno di pioggia che Jillian aveva conosciuto Helena. Jillian non avrebbe mai dimenticato la prima volta che l’aveva vista, in un vestitino azzurro estivo che si muoveva al vento, i capelli biondo/rossi che le volavano davanti a quegli occhi di un colore indefinito tra il verde e il nocciola, mentre si riparava sotto l’ombrello. Nonostante la forte antipatia che aveva provato per lei sin dal primo istante, Jillian non aveva mai potuto negare che Helena fosse di una bellezza sconvolgente. Ancora oggi, si chiedeva come fosse possibile che una meraviglia simile potesse amare e sentirsi attratta da lei, che aveva qualche chilo di troppo, i cui capelli erano un perenne disastro, e l’unica parte veramente bella di lei erano gli occhi, che suo padre una volta aveva definito “color Sierra Nevada al tramonto”.  Quando faceva quei ragionamenti ad alta voce, Helena si arrabbiava. “Perchè non riesci a vedere quanto sei meravigliosa? Smettila di svalutarti in questo modo! I tuoi occhi, le tue labbra, il tuo seno, le tue mani…tutto di te mi fa impazzire! Accettalo e smettila di farti seghe mentali inutili!”

E non solo pioveva quando si erano conosciute…pioveva anche la prima volta che Jillian aveva realizzato che si stava innamorando di Helena. Erano a letto insieme, nel periodo in cui i loro incontri di sesso non erano più solo di sesso ma qualcosa di più. In silenzio, guardavano la pioggia scendere, e Jillian si era girata verso Helena e aveva sentito qualcosa cambiare dentro di lei. La ragazza sdraiata affianco a lei non era più solo “la scopata dell’estate”. Era molto, molto di più. “Ho paura di te.” aveva detto. Helena l’aveva guardata inarcando quel perfetto sopracciglio, un gesto che faceva fin troppo spesso, e che faceva totalmente impazzire Jillian. “Ho paura perchè sei il genere di persona che potrebbe sconvolgermi completamente la vita, e non sono sicura di essere pronta.” “Non si è mai pronti a farsi sconvolgere la vita, ma è proprio questo il bello, no?” aveva risposto Helena, e poi era tornata a rivolgere la sua attenzione alla pioggia.

Jillian scattò una foto con il cellulare fuori dalla finestra, e la mandò a Helena. “Questo tempo mi ricorda di quando mi sono innamorata di te.” scrisse, poi si allontanò dalla finestra e si accucciò a terra per raggiungere una scatola di legno che era nascosta sotto il letto. Con la scatola in mano, tornò a sedersi di fronte alla finestra. Rimase un attimo ferma a fissare quella scatola, sorridendo lievemente al ricordo.

“Ma perchè non possiamo usare una scatola da scarpe?” aveva chiesto a Helena. “Sarebbe molto più appropriata considerato che riguarda noi, e siamo entrambe drogate di scarpe.”

“Perchè le scatole da scarpe sono fatte di cartone e il cartone non resisterebbe mai sotto terra per lungo tempo. Fidati, il legno è il materiale giusto!” aveva risposto Helena, mentre percorrevano gli scaffali di Home Depot in cerca di una scatola giusta.

Era il loro quinto anniversario, e avevano deciso che avrebbero sotterrato nel giardino del padre di Jillian una specie di capsula del tempo contenente oggetti significativi della loro storia. “La verremo a dissotterrare il giorno del nostro matrimonio, d’accordo?” aveva detto Helena quando aveva proposto l’idea.

E invece, il giorno prima che Jillian partisse per l’Italia, erano andate a casa del padre di Jillian armate di pala a scavare per riprendersi quella scatola di ricordi, così che Jillian potesse portarla con sè.

Dentro c’erano i momenti significativi dei primi cinque anni della loro storia. A partire dai biglietti del Carolina Beach Jungle Mini Golf dove erano state per il loro primo vero appuntamento, perchè “ma il museo è banale e il giro in barca l’hai già fatto mille volte, mentre non sei mai stata al Mini Golf! Non è che ci sia molto da fare in questa città!”, passando da una copia della chiave del loro primo appartamento insieme, l’attestato di quando avevano deciso di frequentare un corso di paracadutismo insieme, i biglietti aerei di quando erano andate in vacanza a Vienna, i pass VIP di Coachella dove Jillian era andata teoricamente per lavorare ma che avevano finito per essere completamente ubriache sotto il palco a saltare e cantare a squarciagola“I wanna fuck you like an animal”* insieme ai Nine Inch Nails (e poi Helena aveva trascinato Jillian nella loro tenda per trasformare quelle parole in realtà), e quelli del Comic Con dove invece era Helena che avrebbe dovuto lavorare e si erano imbucate a un party con il cast di Stargate (e Jillian aveva completamente perso la testa dopo aver passato quasi un’ora a chiacchierare e bere con Amanda Tapping), qualche post-it con scribacchiate frasi a volte romantiche, altre divertenti, che Helena era solita lasciare per tutta la casa ogni volta che partiva per lavoro, la chiave magnetica della loro stanza d’albergo a Las Vegas quella volta che Helena aveva cercato di passare per uomo (con scarsi risultati) per poter sposare Jillian, una marea di fotografie, biglietti di concerti e del cinema, e tanti altri oggetti vari che facevano sorridere Jillian al solo ricordo, ma sembravano anche stringerle il cuore in una morsa soffocante.  

Era ingiusto che si fossero dovute separare. Certo, stavano ancora insieme, ma per quanto sarebbe durata? Nonostante quello che Helena le aveva scritto nella lettera, Jillian era terrorizzata dall’idea che la sua ragazza potesse innamorarsi di qualcun’altra. Ma Jillian non aveva avuto scelta. La sua famiglia aveva bisogno di lei, e lei non avrebbe mai potuto vivere in pace con se stessa se non l’avesse aiutata.

Tre anni prima il suo patrigno aveva avuto un incidente in macchina, in seguito al quale aveva subito gravi danni cerebrali. Per la madre di Jillian era stato un incubo aggiustare la sua vita a questa nuova persona che aveva in casa che non era più il marito di cui si era innamorata. Si sentiva più una badante che una moglie. Aveva tenuto duro il più possibile, ma quell’estate era crollata e aveva avuto un esaurimento nervoso in piena regola, seguito da un’acuta depressione. Con un marito invalido, due figli che studiavano ancora (di cui una, la sorella minore di Jillian, con forti disturbi della personalità) e la sua impossibilità temporanea di lavorare, la donna si era rivolta alla figlia maggiore in cerca di aiuto. E Jillian era partita, si era lasciata tutto alle spalle, e si era fatta carico di tutta la sua famiglia. Fortunatamente, essere un supervisore musicale affermato pagava bene, e Jillian non solo aveva trovato subito lavoro in Italia, ma aveva mantenuto i contatti con i suoi datori di lavoro negli Stati Uniti, per cui faceva la consulente. Jillian non sapeva quanto ci avrebbe messo sua madre a riprendersi e a tornare operativa, ma aveva paura che non si sarebbe trattato solo di pochi mesi, come invece sua madre le aveva detto.

E se Jillian si sarebbe potuta abituare allo stile di vita italiano, alla pioggia continua, al vivere di nuovo con la sua famiglia, non avrebbe mai potuto sopportare di stare troppo a lungo lontana da Helena. Eppure non c’era altra soluzione. Helena non poteva abbandonare tutto per trasferirsi in Italia con lei. Era una produttrice affermata, aveva una serie tv sua e lasciarla sarebbe stata un suicidio professionale. E per cosa poi? Per venire a produrre una di quelle squallide fiction che andavano in onda sulla televisione italiana? Jillian non gliel’avrebbe mai permesso. Ma quella distanza le stava uccidendo, e ancora di più la consapevolezza di non sapere quando avrebbero potuto tornare a stare insieme sul serio.

La vita era proprio imprevedibile. Qualche mese prima, Jillian aveva una chiara visione del suo futuro: lei e Helena si sarebbero sposate non appena i matrimoni gay fossero tornati legali in California, sarebbero subito ricorse all’inseminazione artificiale per avere un figlio e dopo un paio d’anni ne avrebbero avuto un altro, avrebbero proseguito le loro carriere abbastanza da permettersi uno stile di vita agiato e da mandare i figli nei college più prestigiosi del Paese, e poi si sarebbero ritirate e sarebbero invecchiate insieme. Ora invece, Jillian non riusciva più a vedere tutto quello. Era come se la pioggia di Milano avesse cancellato tutti i suoi sogni, le sue aspettative.

Il corso dei suoi pensieri fu interrotto da un suono proveniente dal suo computer. Il suono che annunciava una chiamata in arrivo su Skype. “Helena!” pensò Jillian. Helena era l’unica che la chiamava su Skype senza prima avvisarla. Per quanto tempo era stata davanti a quella finestra a fissare la pioggia cadere? L’ultima volta che aveva guardato l’orologio erano le nove, il che voleva dire che erano le tre di mattina a Toronto. Doveva essersi persa nei suoi pensieri per molto più tempo di quello che aveva creduto.

L’orologio sul suo portatile segnava le undici e dieci. “Che ci fai già sveglia?” chiese, non appena il volto di Helena riempì il suo schermo.

“Iniziamo alle sei oggi, sto per andare sul set” rispose Helena, quasi grugnendo. Non era mai stata una persona mattiniera, e forse aveva scelto la professione sbagliata per lei. La maggior parte delle mattine, doveva essere sul set prima che il sole sorgesse. “Ho visto il tuo messaggio. C’è qualcosa di estremamente romantico nella pioggia che scende al mattino.”

“Se solo tu fossi qui a condividerla con me…” sospirò Jillian.

“Ma lo sono. Sono qui, no? Stiamo parlando. E sento la pioggia battere contro la tua finestra.”

“Novità?” chiese poi a Jillian, dopo un lungo silenzio in cui si limitarono ad ascoltare il rumore della pioggia.

“Ho conosciuto la ragazza di mio fratello. Non mi piace per niente.”

Helena scrollò le spalle. “Neanche io piacevo a lui quando mi ha conosciuta.”

“Che vuol dire, neanche a me piacevi quando ti ho conosciuta. Ma è perchè tu sei completamente psicopatica. È difficile capirti.” rispose Jillian.

Helena rise. “Ah quanto è vero!”

Non parlarono molto. Era decisamente troppo presto per Helena per le chiacchiere. E andava bene così. Anche nel silenzio, sentivano la presenza l’una dell’altra attraverso quello schermo.

“Ho fatto un calcolo approssimativo di quello che ci rimane da girare.” disse Helena. “Dovremmo finire entro gli inizi di dicembre. Potrei stare da te fino a Natale. Tu non torni a LA per il Ringraziamento?”

Jillian scosse la testa. “Non penso di avere tempo al lavoro. Magari per Capodanno…vediamo come vanno le cose. Ma sì, puoi venire qui a dicembre e stare da me.” La prospettiva di poter passare qualche settimana con Helena nel giro di un mese aveva sicuramente aiutato a migliorare il suo umore. Eppure, se si fermava a pensare che prima di trasferirsi avevano vissuto insieme per sei anni e che non c’era mai stato bisogno di organizzare i giorni in cui si sarebbero viste, tornava a essere assalita dalla tristezza. Persino quando Helena era a Wilmington o a Toronto, era stato molto più facile incontrarsi. Ogni weekend, e a volte, se avevano qualche giorno libero, anche durante la settimana. Ora invece…non era mai successo che passassero cinque mesi senza vedersi, senza toccarsi, senza addormentarsi insieme.

Helena evidentemente notò il volto di Jillian rabbuiarsi. “Che è quella faccia?”

“Ti rendi conto che sono quattro mesi che non ci vediamo?” chiese Jillian. “Non era mai successo prima. Mai una volta, in otto anni, Len. Per quanto tempo potremo andare avanti così?”

“Per quanto tempo sarà necessario.” fu la risposta di Helena. “Te l’ho detto mille volte, Jill. Troveremo la strada per tornare l’una dall’altra.”

“Come fai ad essere sempre così calma?” chiese Jillian. Sin dalla prima volta che era stata ventilata l’ipotesi che Jillian potesse trasferirsi a Milano, Helena era stata incredibilmente calma e razionale. Non aveva fatto tragedie, le uniche lacrime che aveva versato erano state quelle due singole gocce che erano scese dai suoi occhi quando si erano salutate in aeroporto. “Come puoi essere così ottimista quando c’è un oceano che ci separa e non sapremo quando potremo tornare a stare insieme davvero? Stiamo arrancando, Helena, e ho paura di scoprire quanto ci metteremo ad andare in pezzi.”

“Beh, stiamo ancora volando, no?”

Jillian sorrise, perchè conosceva bene quella citazione. Era sempre stato così tra di loro. Quando non sapevano trovare le parole giuste, parlavano a citazioni. Ed era così tanto da loro usare una frase di un telefilm fantascientifico per descrivere il loro rapporto. Erano molte le differenze tra i loro gusti, ma altrettante erano le cose che avevano in comune, ed erano state proprio quelle a unirle. Lo Steampunk, la musica metal e i telefilm di fantascienza erano in cima a quella lista.

“Non è molto…” rispose Jillian, sapendo cosa sarebbe venuto dopo.

“È abbastanza.”** sussurrò Helena, esattamente come Jillian si era aspettata.

Chiusero la comunicazione, e Jillian tornò a rivolgere lo sguardo fuori dalla finestra.

Helena aveva ragione. Stavano ancora volando, e questo bastava. E prima o poi avrebbero trovato la strada per tornare l’una dall’altra.

La pioggia stava ancora scendendo, ma per la prima volta da quando era arrivata a Milano, Jillian sembrò intravedere uno spiraglio di sole.

 
 
* Traduzione: “Voglio scoparti come un animale”
 
**Citazione presa da Firefly 1x01
  
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