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Autore: La Mutaforma    28/07/2012    0 recensioni
Usciva di casa e guardava tutti, frequentava posti pubblici, stava tra le persone. Aspettava che qualcuno si avvicinasse al suo tavolo fuori il bar e si presentasse, ricordandole i tempi andati che lei non avrebbe potuto ricordare. Un amico, un conoscente. Chiunque.
Non venne nessuno.
[...] Il vero incubo è il risveglio.
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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È una fortuna che sia viva.

Incidente.

Auto.

Non ricorda.

Molti volti erano venuti a farle visita. Anche nei giorni a seguire. Sempre gli stessi. Ma mai uguali. Indossavano sorrisi di circostanza, occhi liquidi, e le tenevano la mano.

Lei non parlava mai. Non perché non sapesse farlo. Più semplicemente, perché non aveva nulla da dire.

Spesso le facevano delle domande.

Sempre le stesse.

Come stai?

Ricordi come ti chiami?

Sai chi sono?

Alle stesse domande sarebbe stato ovvio dare sempre la stessa risposta.

Eppure in un attimo ebbe l’impressione che le ripetessero le stesse domande per avere risposte diverse.

Non lo so, diceva lei. E non la sfiorava nemmeno il desiderio di capire il perché di quelle domande, di trovare loro una risposta. Come se nulla in quelle parole avesse avuto per lei un significato particolare.

Dicevano che si chiamasse Helen.

Ma non aveva mai sentito quel nome prima d’allora.

E non conosceva i nomi nemmeno di quelli che si proclamavano suoi genitori.

Né tantomeno i loro volti, i loro occhi inquieti, e le loro mani, che la toccavano e che la facevano sussultare.

Erano tutti gentili con lei. Sorridevano, un po’ forzatamente.

Qualcosa, in quelle labbra increspate, le fece pensare che avessero fatto qualche errore, in precedenza. O forse era stata semplicemente colpa sua e basta.

“Non ricordi proprio nulla?” le chiese la donna che si faceva chiamare mamma, con una certa insistenza. Helen scosse la testa, osservando dalla finestra un paesaggio mai visto. Si prese la testa fra le mani, affondando le dita in quei lunghissimi capelli lisci e castani che lei non ricordava.

Sospirò. Presto si sarebbe abituata a non ricordare assolutamente nulla. Avrebbe costruito una nuova identità, forse migliore di quella precedente. Avrebbe avuto nuovi ricordi, i più belli della sua vita.

Sperò che i giorni brutti della sua vita fossero quasi tutti alle sue spalle.

Davanti a sé avrebbe dovuto vedere un cielo terso e sereno.

Invece rivedeva lo stesso cielo plumbeo, carico di pioggia e di promesse, che abbracciava lo spazio oltre l’orizzonte fuori dalla sua finestra.

Spero di non ricordare mai, mormorò sottovoce, seduta accanto a quella che ormai era in tutto e per tutto sua madre.

“Perché dici così?”

“C’è qualcosa che mi tormenta. E’…come se avessi fatto degli sbagli, qualcosa di terribile mi ha portato su quella strada. So che quella che vedo sotto i miei occhi non è tutta la verità”

Sua madre sobbalzò. Helen non ebbe nemmeno un fremito.

“…Ma non mi importa” completò lei, semplicemente.

In fondo, non era così drammatico vedere tutti quei volti piegati, forzati da un sorriso mai spontaneo. Chi l’aveva odiata nella sua vita precedente l’avrebbe guardata attraversare le strade della città e lei non avrebbe riconosciuto nessuno.

La tormentava il pensiero di aver lasciato qualche nemico alle spalle, che all’ombra di vicoli bui, fumava ancora di collera per lei.

Tutto il rancore, tutto il dolore di una vita intera era stato spazzato via su quella strada di cui non ricordava nulla, nemmeno come ci fosse arrivata e cosa l’avesse spinta ad andarci.

Tutte le lacrime della sua vecchia identità erano state asciugate per la prima volta su quel sudicio asfalto nero, tra il sangue e i suoi ricordi, mentre anche diceva addio a qualcuno di cui adesso non ricordava nemmeno il volto.

Ormai, nulla l’avrebbe riportata indietro.

A volte il richiamo della strada era forte, e avvertiva il pressante desiderio di ricordare cosa l’avesse portata davanti alla morte.

A volte non restava altro che la stessa, identica domanda di sempre. Valeva di più vivere una vita che non era la sua, o morire per un destino che non le apparteneva più?

Ritornava la voce di sua madre che la scuoteva nel suo letto, di nuovo in preda alla febbre, e sempre le stesse parole.

È una fortuna che sia viva.

Incidente.

Auto.

Non ricorda.

Ricrollava inerme nel sonno, sperando che al suo risveglio l’incubo fosse finito.

Non poteva fare a meno di sognare volti che non conosceva, verosimili, e forse mai esistiti.

Con un po’ di dolcezza e di affetto si accarezzava i lunghi capelli, gli stessi che aveva la ragazza nella foto che giaceva abbandonata sul comodino.

Era il viso ad essere diverso.

E non avrebbe saputo dire in cosa, esattamente.

Usciva di casa e guardava tutti, frequentava posti pubblici, stava tra le persone. Aspettava che qualcuno si avvicinasse al suo tavolo fuori il bar e si presentasse, ricordandole i tempi andati che lei non avrebbe potuto ricordare.

Un amico, un conoscente. Chiunque.

Non venne nessuno.

Sembrava non essere nemmeno parte del mondo. Almeno non di quello.

La verità sopraggiunse cruda e fredda come una folata di vento.

Non era semplicemente lei a non conoscere quella città. Era quella città a non conoscere lei. Come se fino a quel momento non avesse vissuto lì, ma altrove. In un sogno; un sogno di quelli che svaniscono al risveglio.

In fondo, era esattamente come aveva immaginato all’inizio.

La vera Helen era morta. E forse non su quella strada.

Lei non era che un rappezzamento in cui cercavano di istillare ricordi di una vita che non aveva mai vissuto.

   
 
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