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Autore: _Mally_    28/07/2012    1 recensioni
E' sempre meglio non avventurarsi tra le radure fatate, nelle notti tinte di luce lunare, perchè i viaggiatori spesso non riescono più a tornare a casa.
Genere: Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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 Era la creatura più bella che avessi mai visto. Le sue labbra erano un rosso bocciolo di rosa nel procinto di schiudersi, i suoi occhi sembravano perle azzurre raccolte da mani palmate sul fondo dell’oceano e conservate fino alla sua nascita tra i tesori brillanti delle sirene, sotto i chiari raggi della luna. E la sua pelle diafana pareva porcellana tanto era liscia e perfetta. Aveva inoltre lunghi capelli scuri come la notte stessa, e le stelle erano i delicati fiorellini bianchi che li costellavano. Mentre la Luna era rappresentata dal viso luminoso e raffinato. Si muoveva con leggerezza e agilità, talmente leggera che in certi momenti mi era parso di vedere i suoi piedi nudi staccarsi dal terreno mentre danzava. I suoi passi non producevano alcun rumore e il suo corpo lungo e flessuoso non aveva alcuna ombra sotto di sé, e intanto la sua veste bianca svolazzava mossa da un vento inesistente.
Sicuramente non era umana e ne ebbi la conferma quando posando i suoi occhi dalle lunghe ciglia su di me, ne vidi uno strano bagliore all’interno, come due piccoli fuochi blu, che mi ricordarono i falò delle Fate a mezzanotte e sentii le loro canzoni echeggiarmi nelle orecchie. Se fossi stato più intelligente mi sarei congedato con un inchino e sarei fuggito all’istante. Ma non lo feci, era davvero la più bella creatura che avessi mai visto e privarmene la vista sarebbe stato come privarsi dell’aria.
Intanto la fata aveva cessato di ballare e si stava avvicinando. La guardai mentre mi raggiungeva e osservai i raggi della Luna illuminare il suo corpo e poi scomparire quando raggiunse l’argine del bosco, dove io mi trovavo. La sua figura mi porse una mano dalle lunghe dita e con immenso piacere la presi. Mi trascinò fuori dall’ombra scura degli alberi e ancora più in là nel centro della radura. La Fata cominciò a ballare senza lasciare la mia mano, finché anch’io, preso da una voglia irrefrenabile di fargli compagnia, mi unii a lei. Allora mi lasciò andare e fece alcune piroette. Io la seguivo nei suoi passi, bravo quanto lei.
Ero stupito da quella bravura, poiché non ero mai stato così agile. Poi, guidato da uno sconosciuto istinto, danzai passi mai visti e decisi di avvicinarmi di più. Così cominciai a farmi sempre più vicino, mentre il desiderio mi bruciava dentro aumentando ogni centimetro. Quando, finalmente, riuscii a prenderle le mani e ad accompagnarla in una lenta danza di coppia. I nostri corpi erano vicinissimi e sentivo la sua pelle fresca a contatto con la mia. Il suo tocco mi inebriava ed ogni volta, come un ubriaco, ne volevo sempre di più.
La sua bocca era un invito profumato ed allettante e quando fummo in prossimità dell’argine del bosco non resistetti più. La baciai e la notte parve riversarsi su di me attraverso quelle labbra ed accendermi un desiderio ancor più grande. La strinsi a me e spingendola contro un tronco infilai la mano sotto il vestito e la feci scorrere sul suo fianco. La baciai con più fervore e i nostri corpi si appiccicarono. La mia passione era accecante, le strappai la veste di dosso e mi abbassai i pantaloni, gioendo poi delle sue incantevoli forme la trascinai sotto un cespuglio senza mai smettere di baciarle il collo o le labbra. La sentivo ansimare sotto di me, e questo mi spinse a far di più. La volevo, la volevo tutta. Così entrai dentro di lei e non riuscii a trattenere un grido di piacere. Fu la cosa più bella e sbagliata che avessi mai fatto. Nello stesso attimo fui scaraventato sul duro tronco di un albero e sbattei la testa. Provai un dolore atroce in tutte le ossa, come se me le stessero rompendo in tanti piccoli pezzi e la mia testa cominciò a girare. Pensai che mi stesse per scoppiare da quanto male mi faceva. Poi mi si annebbiò la vista finché tutto non divenne buio.
Quando riaprii gli occhi, non riuscivo a muovermi. Misi a fuoco ciò che mi circondava e le sagome di fronte a me. C’era un uomo grosso e alto che indossava un lungo mantello blu ed aveva una barba ispida e grigia che gli conferiva un aspetto austero. I suoi occhi erano piccoli e del colore dei ghiacci, così freddi e severi che non avevo il coraggio di guardarli due volte. Sopra di essi due grosse sopracciglia li sovrastavano. Accanto a lui c’era la fata, coperta totalmente dallo stesso mantello blu. Sulla sua guancia destra brillava una lacrima.
– Tu, villano! Hai osato profanare una delle mie indifese figlie! Povere, perché non hanno la parola e sono pure come gli angeli, tanto che non conoscono il male e non sanno proteggersi da esso o da ciò che ne deriva. Ora per questo grave atto, dovrai subire le conseguenze della mia ira. Non potrai più muovere passo di danza o compiere alcuna piroetta e nemmeno più provare ciò che significa correre a piedi nudi tra i campi. Dalla vita in giù fino alle punte dei piedi non sentirai di avere carne e non potrai più muovere muscolo. Poiché tu dopo aver ricevuto il dono della danza da mia figlia, l’hai usurpata. Hai offeso la donatrice!- il suono della voce dell’uomo imperiosa e irata, mi fece rabbrividire. Quello che aveva detto echeggiava ancora nella mia testa, ma mi ci volle qualche secondo per capirlo. Fui preso dall’orrore. Non potevo più camminare.
Prima che potessi protestare o dire qualsiasi altra cosa padre e figlia erano già scomparsi, lasciandomi solo nel mio tormento. Chi mi avrebbe trovato in mezzo al bosco? Come avrei fatto a sopravvivere senza cibo e acqua? Non mi volli rispondere per paura che ciò che avrei risposto si sarebbe avverato. Ma già sapevo che sarei morto. 
 

  
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