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Autore: Dave1994    28/07/2012    1 recensioni
Ispirato a "Il bicchiere della staffa",racconto del Re dell'Horror: Stephen King.
Genere: Horror, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Io sono Nessuno. -
L'uomo di fronte a me mi guarda con un sorriso idiota stampato in fronte, come se avesse appena sentito la barzelletta più divertente del mondo senza però capirla. Non ricambio lo sguardo e bevo il mio Bacardi, fissando un punto poco oltre la cassa.
Fa freddo, cazzo. Possibile che non accendano il riscaldamento qui dentro, in pieno inverno?
Poi ci penso sopra e mi ricordo all'improvviso ogni cosa, quasi scoppio a ridere. Per non piangere, ovvio.
- Ehi, ti ho sholo chiesto come ti chiami. Non fare il diffishile. - farfuglia il tipo, mezzo ubriaco. Il suo alito puzza di alcool, un odore tremendo per me e i miei nuovi cinque sensi. Come un bambino che viene al mondo e strilla quando le persone intorno a lui alzano le voce: il suo udito è grezzo e ogni suono è per lui assordante.
- Barney, lascialo stare. E' solo un ragazzo. - 
Mi volto, a parlare è stato il barista: un uomo sulla cinquantina, basettoni alla Wolverine e gli occhi più grigi che abbia mai visto in vita mia. L'uomo di nome Barney grugnisce e si allontana, guardandomi di traverso.
Spera che non incroci mai la tua strada per sbaglio, anziché domandarmi il mio nome. 
- Devi perdonarlo - mormora il barista, pulendo un boccale con un panno bianco - un anno fa gli è morta la figlia e da quel giorno viene qua ogni sera a sbronzarsi. Non fargliene una colpa. -
Annuisco, osservando l'uomo negli occhi. Grigi come la neve in un mattino senza sole, come il ghiaccio in un bicchiere di whisky.
- Mi chiamo Alex. - dico, all'improvviso. Non so perché l'ho fatto, ma quell'uomo mi suscita un'istantanea simpatia.
Ed è da così tanto che non parlo con qualcuno che quasi mi sembra di impazzire a stare in silenzio per un altro poco.
- Jack. - dice soltanto, porgendomi la mano destra. Gliela stringo, avvertendo il battito del suo cuore irradiarsi dal polso. Ignoro questa percezione e sfoggio un sorriso sincero.
- Che ci fa un ragazzo giovane come te in giro tutto da solo a quest'ora, con questa tormenta alle porte? Giurerei che al mio buon vecchio Beagle si sono gelate le chiappe poco fa, quand'è uscito. -
- Oh - rispondo, momentaneamente spiazzato - beh, i miei sono fuori per...affari, perciò ho deciso di uscire di casa e farmi un giro. -
Speriamo che la Solfa, come la chiamo io, regga senza ulteriori domande.
Ma a quanto pare Jack è un uomo e padre responsabile, tanto che mi guarda sinceramente incuriosito negli occhi.
- In un bar a quattordici anni, da solo e con questo freddo? -
Poi mi squadra ancora più attentamente e penso: ti prego, fa che non se ne accorga...fa che attribuisca il mio pallore al gelo della tempesta....
- Come fai ad andare in giro con soltanto quel giacchino? -
Ora sì che sono in difficoltà. Ma quando sto per rispondere, lo stesso Barney ubriaco di poco prima lo chiama a gran voce e Jack si allontana a passi spediti.
Rimango da solo al bancone, con in mano il mio bicchiere vuoto.
Il locale non è particolarmente affollato, stasera: devono essere clienti abituali e il loro vociare non è nemmeno troppo fastidioso.
Ma io sento.
Posso distinguere ogni singola parola, ogni piccola intonazione della voce: ma la cosa più terrificante è il battito del loro cuore. 
Piccolo, aggraziato e regolare, tranne qualche rara eccezione. Barney, ad esempio, deve soffrire di una discreta aritmia: il suo cuore fa impennate ogni trenta battiti e rallenta ogni cinquanta per una durata di dieci secondi, per riprendere successivamente il suo normale funzionamento. 
Poi, accade. E' automatico, non posso farci niente: se penso al suo cuore, penso anche...
- Ehi, Jack, c'è del shangue qui per terra, che cassho è susshesso? -
Mi controllo, sebbene la mia nuova natura frema come una belva dietro le sbarre: potrei quasi guizzare da una parte all'altra del bar, senza che nessuno...
- Un tizio è scivolato oggi e si è spaccato il naso, speriamo non sia così stronzo da incolpare me per l'accaduto. Io gliel'avevo detto che il pavimento era.... -
Con una smorfia rimango seduto, dandomi un pugno alla bocca dello stomaco. Il dolore rischiara la mia mente e mi riporta alla lucidità, per quanta ce ne possa essere nella mia attuale condizione.
Devo andarmene. Non posso restare qui.
Frugo febbrilmente nella mia tasca e ne tiro fuori un biglietto da cinque dollari. E' l'unico che ho, ma decido di lasciare volentieri il resto a quel barista così simpatico.
Tutto, pur di andarmene da questo posto affollato.
Che diavolo mi è saltato in mente, quando ho deciso di passare una sera fuori dalle grigie e squallide mura di casa mia?
Quando ho deciso di allontanarmi da quelli come me e tornare a mischiarmi in mezzo alla gente comune?
Lascio il denaro alla cassa e mi dirigo alla porta a passi svelti, come se scivolassi sul pavimento anziché calpestarlo: una volta fuori, prendo un bel respiro e socchiudo gli occhi.
Finalmente.
- Ehi, ragazzo, hai dimenticato il resto! - urla una voce alle mie spalle, quella del simpatico barista Jack. I suoi occhi sono più grigi della tormenta di neve attorno a noi, che pare quasi ruggire.
- Può tenerlo, io sono di fretta. -
Poi mi volto verso di lui, gli sorrido e li vede,
(lunghi canini appuntiti)
spalancando la bocca dallo stupore. Non mi sembra il tipo da lettura serale dell'orrore, ma dubito non abbia mai sentito parlare di quelli come me,
(occhi rossi come rubini rilucenti, come braci nel buio dell'Inferno)
e di quello che realmente siamo.
- Ragazzo... -
Sorrido ancora una volta e mi allontano nella tormenta, sicuro che stia guardando i miei passi che non lasciano orme sulla neve.
 
  
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