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Il taxi sfrecciava per le vie
stranamente poco trafficate di Londra. Erano circa le nove di sera e avevo
scoperto che un volo per Milano sarebbe partito circa un’ora e mezza più tardi.
Perfetto. Dovevo assolutamente lasciare la città il prima possibile, in modo da
non dare la possibilità a nessuno di provare a seguirmi e pregarmi di cambiare
idea.
Avevo sbagliato a rispondere
a quell’annuncio lasciato dai Faithless, sarei dovuta
rimanere nell’ombra e continuare a vivere con mio padre, nel tentativo di
sopportarlo finché non avessi trovato un lavoro che mi permettesse di andarmene
di casa. Invece avevo risposto a quella loro dannata ricerca e da lì era
cominciato tutto. Non ero adatta a vivere in mezzo a delle persone adulte,
perché nel mio cervello l’apposita maturità non c’era. Me n’ero accorta non
appena Michele aveva cercato di conquistarmi, e allora mi sarei dovuta
distaccare, anziché gettarmi tra le sue braccia. Così anche l’ira e la gelosia
di Matt si erano scatenate, riversandosi sui Faithless
e sul nostro rapporto. In più c’era stata la faccenda di Corey
che mi aveva allontanato da Joey, soltanto perché io,
come al solito, non avevo capito niente e lo avevo respinto nonostante cercasse
di spiegarmi la sua posizione. Poi, sempre a causa mia, la sorella di Max era
stata allontanata dalla saletta. Lo scompiglio nel gruppo era sempre stato
portato da me, così come l’incrinazione e la tensione
dei rapporti tra i componenti.
Ma stavolta non avrei
sbagliato, non sarei rimasta a guardare mentre tutto andava a rotoli a causa
mia, non l’avrei permesso ancora. Ora stavo facendo soltanto la cosa giusta e
non me ne sarei pentita.
Una volta giunta in
aeroporto, pagai la corsa e scesi, mentre una leggere brezza mi sferzava il
viso.
Mi trascinai dietro il mio
trolley e mi avviai all’interno della struttura con l’intenzione di fare il
check-in per poi rifugiarmi in un angolo e aspettare l’orario dell’imbarco.
Nessuno mi avrebbe trovato e
non avrei permesso che le cose andassero diversamente da come avevo deciso.
Quella era stata la scelta migliore che avessi mai fatto in venticinque anni di
vita e, nonostante il dolore mi squarciasse il petto, l’avrei portata avanti
fino all’ultimo.
Presto mi sbarazzai del
pensiero del check-in e mi fiondai in un angolo da cui riuscivo a scorgere
soltanto gli orari delle partenze e degli arrivi, mentre tutto il resto mi
veniva oscurato da un muro su cui posai la testa, sospirando. Mi sentivo
affranta e triste. Mi sarebbe mancato ogni singolo componente del gruppo e
questa sarebbe risultata la parte più difficile da sopportare. Serj con il suo ottimismo, Joey
con la sua allegria e i suoi consigli, Janne con le
sue battute stupide, Max e il suo temperamento latino colmo di vitalità.
E Michele, intelligente,
sicuro di sé, riflessivo.
E Matt, bello, impulsivo,
passionale.
Calde lacrime presero a
rigarmi le guance. Era impossibile, stavo sul serio abbandonando tutto per
tornare in Italia a vivere la vita che ormai non ricordavo più di aver vissuto?
Chissà come sarebbe andata.
In quel momento mi venne in
mente che non sapevo assolutamente dove andare.
Afferrai il cellulare e
scorsi la rubrica, asciugandomi le lacrime con il dorso della mano. Non ero
sicura che Anna mi avrebbe risposto. Sperai che non ce l’avesse ancora per me
per il fatto che me ne fossi andata senza salutarla, ma era stato mio padre ad
opprimermi e a farmi pressione.
Da allora io e Anna ci
eravamo sentite saltuariamente e lei mi era parsa un po’ fredda e distaccata.
Il suo era ancora il primo
numero della lista. Schiacciai convulsamente il tasto verde e la chiamata
partì.
Sentii gli squilli che si
susseguivano e il cuore perse un battito quando la sua voce mi arrivò alle
orecchie.
“Liz?”
Il suo tono era sorpreso e leggermente incerto.
“Annuccia”
mormorai, scoppiando nuovamente a piangere. Non avrei voluto, ma fu
inevitabile. Tuttavia sapevo che con lei potevo essere me stessa, senza pensare
né riflettere su cosa dovessi dire o fare per compiacerla. O almeno, così era
sempre stato in passato e ora il mio desiderio era quello che potesse essere
ancora così con la mia vecchia amica.
“Oh, tesoro! Perché piangi?”
“Sto tornando a casa” dissi
tra i singhiozzi.
“Cosa?” sbottò. “Perché?”
In quel momento udii la
chiamata dell’imbarco del mio volo.
“Ti racconto tutto quando
arrivo. Dimmi soltanto se posso stare da te per qualche giorno.”
“Certo che puoi!” dichiarò,
alzando il tono di voce. “Non devi nemmeno chiederlo.”
“Grazie” piagnucolai. “Sono
felice che tra noi non sia cambiato niente” aggiunsi, riprendendo ad asciugarmi
le lacrime.
Presi il trolley e mi alzai.
“Anche io.” Immaginai che
stesse sorridendo dal tono della sua voce.
Silenzio.
“Devo andare” dissi.
Mi incamminai verso l’uscita,
mentre un sacco di persone mi passavano accanto, quasi di corsa.
“Vuoi che ti venga a prendere?”
domandò.
“Prenderò un taxi.”
Ci salutammi
e riagganciai, gettando il cellulare dentro una tasca interna del trolley, dopo
averlo spento.
Mi diressi dietro a tutti gli
altri passeggeri e mi immersi tra la marmaglia.
Non so perché, ma qualcosa mi
indusse a voltarmi indietro.
E li vidi.
Michele e Matt, così diversi
eppure così uniti dallo stesso amore per me, per la persona sbagliata che non
aveva fatto altro che procurargli sofferenza. Stavano là, vicini, con lo
sguardo fisso su di me, come se aspettassero che ci ripensassi.
Ma ciò non accadde.
Mi dovetti sforzare
immensamente per non correr loro incontro, eppure rimasi con i piedi piantati
per terra a guardarli come se non fossero nemmeno là.
Michele era arrabbiato e
deluso, sul suo viso teso, le sopracciglia erano inarcate e gli occhi puntati
sui miei erano accusatori.
Matt era triste. Sembrava che
volesse piangere da un momento all’altro e le sue spalle erano incurvate in
maniera strana, come se tutto il dolore che provava si riversasse su di esse.
Gli occhi erano sgranati e lucidi.
Il cuore mi si spezzò, fu
quasi come se un rumore orribile mi si espandesse per tutto il petto, fino a
raggiungere ogni singolo recettore del mio corpo.
A ridestarmi da quella fase
di trance fu l’ultima chiamata del volo.
I due ragazzi raddrizzarono
le spalle e rimasero immobili a fissarmi intensamente, aspettando una mia
mossa, un mio passo verso di loro, un mio ennesimo errore.
Che non avvenne.
Gli voltai le spalle e mi
affrettai ad accodarmi agli ultimi ritardatari.
Senza guardare più indietro,
camminai velocemente e mi gettai definitivamente il passato alle spalle.