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Autore: TooLateForU    28/07/2012    4 recensioni
“Sapevi che schiessenhausen vuol dire gabinetto?” chiesi divertita, sfogliando il dizionario tascabile di inglese-tedesco.
“Sì Julie, lo sapevo. Perché sai, io sono tedesco.”
“Ti immagini? Scusi, devo fare un salto al SCHIESSENHAUSEN!!” scoppiai a ridere, perché era una parola sinceramente esilarante, ma Mister Trecce Selvagge si limitò ad alzare un sopracciglio.
Nessuno comprendeva il mio spiccato humor inglese.
Genere: Commedia, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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ALOOOOHA!
come va? avete visto che stiamo spaccando i culi alle olimpiadi?
ITALIANS ARE SO HOT. yeeeeeh
stasera fa caldissimo. sto liquefando (non sono sicura esista questo termine, ma licenza d'autore, evoco teeee!)
e bbbbasta. questo capitolo è lungo come..oddio, non mi viene nessun paragone casto. mi sento perversa e sporca ora.
okkkay, basta, mi sono smerdata abbastanza. adioss!





“Oddio guarda, stanno cominciando an deiner seite! KEINER WEISS, WIES DIR GEEEEEHT!”
Sbuffai, buttando giù un pugno d’uva tutto insieme. Era ingiusto che le star avessero accesso a tutto questo cibo gratis, e i comuni mortali come me dovessero nutrirsi di schifose patatine alla paprika prese dai distributori.
Comunque, era più di un’ora e mezza che vagavamo nel backstage. O meglio, io vagavo, Carol saltellava praticamente ad un passo dal palco stesso tutta emozionata. L’ultima volta che l’avevo vista così era stato il giorno in cui Samuel l’aveva portata ad una gita al lago con la parrocchia.
Stendiamo un velo pietoso.
Comunque, mi doleva davvero davvero molto ammetterlo, ma i Tokio Hotel non facevano cagare i piccioni in piazza come pensavo. Erano..bravi. Oddio, sicuramente era tutto merito della voce di Willy che era proprio niente male, o della batteria, o del basso..
Di certo la chitarra era una cagata. Potevo affermarlo con certezza.
“Secondo me Timmy non sa suonare.” Dissi a Carol, fissandolo mentre si atteggiava a figo sul palco. Praticamente stava pulendo il palco, con quella maglietta, neanche fosse 50 cent.
“Che?” rispose lei, senza togliere gli occhi dal palco.
“Tommy, Timmy, come cavolo si chiama quello..non sa suonare.”
“Ma sei fuori? TOM è bravissimo con la chitarra!” lo difese, scandalizzata “E poi tu non sai nulla di strumenti.”
“Guarda che mio fratello ha una band rock, provano ogni sabato in garage.” Ribattei, sicura. Lo sapevo perché per un certo periodo di tempo il cantante della band, un certo Stan, mi era venuto dietro. Ma io l’avevo rifiutato, che figura ci avrei fatto ad uscire con un dodicenne (o qualsiasi fosse l’età di mio fratello) ?
“SU LE MANI, BERLINOOOO!” urlò Bill, dopo aver finito la canzone, e per poco non venne giù tutto lo stadio.
Quelle ragazze erano davvero rumorose.
E schizzate.
Soprattutto quella che stava sventolando il suo reggiseno, lì in prima fila, sulle spalle di quell’altra. E si era pitturata i nomi dei componenti della band.
Ma non in faccia.
 
 
“Grazie Gesù, ti voglio bene!” esclamai, portando le mani al cielo, e Carol ruotò gli occhi al cielo.
“Quanta scena che fai. E’ stato un bellissimo concerto.” Replicò, raccogliendosi i capelli in una coda e lasciando passare la troupe per il corridoio.
“Sì, meraviglioso. Ora andiamo.” La presi per un polso, e cominciai a strattonarla verso l’uscita. O almeno, supponevo che quelle scale portassero all’uscita..
“Ehi ehi, mollami!” protestò, scrollandosi velocemente dalla mia presa “Voglio salutare la band, fare i complimenti..”
“Ma se ne sono già andati! So che l’idea di irrompere nel camerino di Billy e violentarlo ti manda su di giri, ma lui potrebbe non essere d’accordo..”
A quel punto mi fece davvero un pessimo, pessimo segnaccio prima di voltarmi le spalle ed addentrarsi nel corridoio che portava ai camerini.
Sbuffai, passandomi una mano tra i capelli, e mi guardai intorno. Era pieno di gente vestita di nero, probabilmente tutto lo staff, che si affrettavano a togliere gli strumenti dal palco, a sistemare le luci, pulire tutto lo schifo arrivato dalla platea..
Non li invidiavo per niente. Ma quel mars al cioccolato fondente e con triplo caramello abbandonato su una delle casse mi attraeva alquanto. Lanciai un’occhiata furtiva intorno, neanche fossi una ladra, e lo afferrai in fretta.
Probabilmente ero ingrassata di cinque chili in quelle due ore, e domani mi sarei risvegliata con ottantacinque brufoli paonazzi, ma a chi importava? Ero sola come un cetriolo, anzi solo come un gurke, e nessuno mi si filava di striscio. Persino Jorg era sparito.
Mi ero sentita un po’ usata a dir la verità. Ma questa è la mia dura vita.
Passeggiavo innocentemente per lo stesso lungo corridoio imboccato da Carol, mangiucchiando il mio mars, quando tutt’un tratto i miei piedi si scontrarono contro qualcosa di duro e persi l’equilibro.
“Cazzo!” esclamai, accorgendomi che per pararmi la faccia avevo schiacciato la barretta sul pavimento.
Ora avevo la mano tutta appiccicosa! Che schifo!! E che diamine era quella cosa rantolante sotto le mie gamb..
“O SIGNORE!” urlai, fissando il viso insanguinato di Tommaso. “Ma che cavolo ti è successo?!”
Mister Trecce Selvagge era semi sdraiato sul pavimento, illuminato dalla luce fioca del corridoio. I dreads erano tutti scompigliati, e il suo solito cappellino si trovava a qualche metro di distanza, ma cosa più importante perdeva TANTO sangue dalla bocca ed aveva una parte della fronte livida.
Tossicchiò, sbattendo più volte le palpebre, e poi si asciugò la bocca con una mano “N-niente, leva ‘ste cazzo di gambe.” Rantolò, accennando alle mie gambe ancora premute sulle sue.
“Ma niente cosa? Ti hanno pestato! EHI, AIUTO, C’E’ QUALCUNO?” urlai, e la mia voce echeggiò per tutto il corridoio. Stavo per ricominciare quando Tom mi mollò un debole schiaffo sulla pancia, che però avvertii comunque.
“Tappati la bocca, per la miseria!” esclamò, ma la voce non gli era uscita minacciosa come aveva sperato, credo.
“Le minacce non riescono se hai la voce di uno che sta per crepare. Okay, adesso..uhm, alzati, andiamo a cercare il tuo gemello sano.” Continuai, levandomi in piedi e afferrandolo per le spalle.
“No, NO! Non dirlo a Bill!” si oppose, stringendo la presa sui miei polsi. Tentò di parlare di nuovo, ma finì con lo sputarsi del sangue sulla maglietta.
Oddio oddio questo muore. Questo mi muore davanti ed io sono fottuta. Oddio oddio oddio..
“Ce la fai a stare zitto o vuoi vomitare fuori anche il pancreas? Okay, appoggiati su di me, ma non troppo perché io sono delicata e poi finiamo per cad..” non riuscii a completare la frase perché, appena messo in piedi, mi crollò praticamente addosso e finimmo contro l’altra parete.
“Merda..” borbottai a mezza bocca, prima di spingere contro il suo torace per rimetterci dritti, ma una sua smorfia mi fece intuire che gli faceva male anche lì.
Dopo circa sei anni riuscì a mettere un braccio intorno alle mie spalle, per poggiarsi, mentre io stringevo sulle sue, di spalle, e piano piano cominciammo a camminare.
“Allora, dov’è il camerino di tuo fratello? O di uno della band? O l’infermeria, o un qualsiasi posto dove ti possano curare..”
“Non m-mi serve niente, chiaro? Smettila.” Mi interruppe, e riusciva comunque a sembrare piuttosto incazzato.
“Senti, evita di fare l’eroe mentre sei praticamente sdraiato su di me. Almeno dimmi dov’è il tuo, di camerino!” insistetti. Lui fece una smorfia, ma poi fece un cenno con la testa verso una porta a pochi passi.
Alleluja, mi stava per cadere la spalla! Ci avvicinammo, e con un gomito abbassai la maniglia in acciaio. Entrammo in una stanza bella grande, arredata come quella di un albergo, all’incirca. Un letto ad una piazza e mezzo stava al centro della stanza, e senza troppi convenevoli ci gettai Tom sopra, che atterrò con un rantolo.
Salii anche io sul letto e mi avvicinai a lui, che continuava a tossire. Osservai meglio la sua faccia, e le ‘ferite’.
“Faccio tanto cagare?” chiese, scrutando la mia espressione.
“Tranquillo, non più del solito.” Cercai di alleggerire la tensione, prima di sospirare “Dannazione Tom, io non la so fare la crocerossina! E’ Carol la brava ragazza, quella che sa fare tutto. Ti fa tanto male?”
Tom scrollò le spalle, chiudendo gli occhi “Naah. Per niente.” Minimizzò. “Solo un po’ di bruciore.”
“Che hai fatto per fare incazzare così chi ti ha picchiato?”
“Mi stavo portando a letto la ragazza.”
“Che?”
Tom sbuffò “Sai, dal palco si vedono un sacco di ragazze carine, e ogni tanto ne scelgo qualcuna per passare il tempo. La tipa di oggi però si era accidentalmente dimenticata di dirmi che era venuta con il suo ragazzo, che ci ha visti e mi ha gonfiato.”  Spiegò, velocemente.
Oh. Wow.
“Bhè, non è che abbia fatto male..” cominciai, e nonostante stessi guardando il soffitto mi arrivò benissimo la sua occhiataccia “..però sei ridotto di schifo. Non è che muori dissanguato?”
“Sì, certo, adesso mi si aprirà la testa come un melone e il cervello salterà fuori, schizzando su tutte le pareti..”
“Uuuh, che schifo!” lo interruppi, con una smorfia. Poi mi misi a sedere “Vado a chiamare qualcuno per metterti apposto.” Annunciai, e stavo per alzarmi quando mi afferrò un polso.
Mi lanciò uno sguardo da lamantino ferito “Non te ne andare, Juliana..”
“Julie, mi chiamo Julie.”
“Sì appunto, Julie..Ho bisogno di te, non lasciarmi..Io mi nascondo dietro la facciata da cattivo ragazzo, ma in realtà..soffro di solitudine. Vado da uno psicoanalista che mi costringe a guardare quelle macchie nere su fogli bianchi tutto il giorno..ho bisogno di affetto.” Concluse mormorando, stringendomi il polso.
Io lo fissai. Lui mi fissò.
Ci fissammo intensamente.
“Da quanto pensavi a questo discorsetto?” chiesi, disincantata, e lui mollò la presa.
“Ho improvvisato. Potevi almeno fingere di crederci.” Borbottò, offeso.
“Tu non hai bisogno di affetto, tu hai bisogno di scopare.”
“Hai afferrato il concetto. Quanti bottoni hanno i tuoi jeans?”
“Dio, sei un ninfomane pazzo!” esclamai, scattando in piedi “Anche quando hai la faccia mezza distrutta!” 
E detto questo uscii dalla stanza, prima che mi violentasse.
 
MEZZANOTTE E TRENTACINQUE, OSPEDALE.
“Smettila di muovere la gamba, mi fai salire l’ansia!” mi lamentai stridula, verso Bill.
“Scusa se sono nervoso mentre stanno ricucendo la faccia di mio fratello, là dentro!” sbottò lui, infastidito.
“L’infermiera ha detto che basteranno tre punti, non diventerà uno scolapasta..”
“Julie, piantala.” Si intromise Carol, lanciandomi un’occhiataccia dalla sedia davanti a noi, ed io sbuffai.
In quel momento riapparve il bassista, che reggeva eroicamente tre caffè “Volete?” chiese, nella nostra direzione.
Stavo per dirgli che a me faceva vomitare il caffè, ma poi vidi che Carol indossava gli stivali a punta e avrebbero fatto piuttosto male sui miei stinchi, quindi ne presi uno borbottando un grazie.
Lanciai uno sguardo alla sedia alla mia sinistra, dove giaceva raggomitolato il batterista “Ma è svenuto?” domandai.
“No, dorme.” Rispose George, scrollando le spalle “Ci siamo svegliati alle cinque stamattina.”
In quel momento notai che non solo Bill aveva ripreso a muovere la gamba, ma anche a tamburellare le dita laccate di nero sul bicchiere di caffè.
Tenetemi, tenetemi, tenetemi, tenetemi..
La porta della sala dove si trovava Tom si aprì, e apparve l’infermiera grassoccia di prima. Una certa Greta, stando al cartellino “I parenti di Tom Kaulitz?” domandò.
No, siamo della televendita dei materassi Eminflex.
“Sono il fratello. Come sta? E’ a posto la faccia? Posso entrare?” Bill scattò in piedi, facendo mille domande, ma non si curò di aspettare la risposta ed entrò comunque.
Tutti gli altri lo seguirono, rimasi solo io ad indugiare sulla sedia scomoda e blu nel corridoio che odorava di disinfettante. In realtà mi sentivo un po’ a disagio, voglio dire, ci aveva deliberatamente provato con me neanche due ore prima..
Oh, chissene frega! Abbandonai il caffè sulla sedia ed entrai anche io. Tom era comodamente seduto sul lettino d’ospedale, perfettamente conscio, e la faccia era stata del tutto ripulita. Rimaneva tre punti di sutura proprio sotto il labbro inferiore e un pezzo di garza all’angolo sinistro della fronte.
“Guarda che merda di faccia ti ritrovi. Si può sapere che hai fatto?” chiese Georg (ah-ah, avevo ricordato il nome!), fissandolo con una smorfia.
“Niente, problemi con una tipa.” Rispose lui, scrollando le spalle.
“E questa tipa ti ha lanciato addosso una sedia?”
“Gli avrà dato un pugno e lui sarà caduto addosso a qualcosa. Ho visto una ragazza molto grossa e bionda uscire dal corridoio prima che arrivassi.” Inventai sul momento, e tutti si voltarono a fissarmi stupiti.
Tranne Tom, che accennò un veloce sorrisetto complice. “Sì, è andata così.” confermò.
“Quindi..una ragazza ti ha picchiato?” riprese Bill, scettico.
“Oh bhè, sai come sono alcune fan esaltate, urlano per stordirti e poi diventano isteriche e incazzose senza alcuna ragione..”
Ma che alta considerazione delle donne. Ruotai gli occhi al cielo, fino ad incontrare lo sguardo di Carol che si limitò ad alzare le spalle.
Il telefono di Bill si illuminò, e lui scorse velocemente lo schermo “Sta arrivando David. Sveglio Gustav e ce ne andiamo, okay?”
“Perfetto.”
Tutti uscirono velocemente dalla stanza, rimasi solo io appoggiata alla stipite a braccia incrociate, in attesa del ringraziamento.
“Allora?” invogliai Tom, che nel frattempo si stava sdraiando pacatamente sul lettino.
Alzò un sopracciglio, mentre intrecciava le mani dietro la testa “Allora cosa?”
“Un ‘grazie per avermi parato il culo ed evitato la figura da mentecatto davanti a tutti’ sarebbe gradito.”
“Ah, giusto. Certo che avresti potuto inventarti qualcosa di meglio, tipo una scazzottata con qualche criminale, un killer, o magari Tom Cruise..”
“Idiota.” Sibilai, prima di voltargli le spalle e posare la mano sulla maniglia della porta.
“Ehi ehi, stavo scherzando dolcezza, calmati.” Esclamò, ed io mi fermai per lanciarli un’occhiata perplessa.
“Dolcezza..?”
Tom scese velocemente dal lettino, si aggiustò il cappello bianco sulla testa e si fermò a qualche centimetro da me.
Aveva davvero degli occhi particolari. Forse il taglio, o forse il fatto che fossero così neri..
“Grazie per avermi parato il culo.” Disse, allargando le braccia per poi farle ricadere sui fianchi.
“Non ti ci abituare.” Gli risposi, ficcando le mani nelle tasche dei miei jeans.
“Sei parecchio strana, Julia.”
“Julie, dannazione, mi chiamo JULIE!”
Fece un gesto seccato “Sì, come vuoi. Comunque, quando avrai finito di fare l’incazzata nera con il mondo chiamami pure.” Concluse, e prima che potessi sputargli in un occhio mi stampò un bacio a stampo sulle labbra.
Sentii una scarica elettrica attraversarmi da capo a piedi, e sgranai gli occhi. Lui ridacchiò della mia espressione, poi mi scompigliò i capelli ed uscì dalla stanza.
Oh. Signore. 
 
 
 
 

   
 
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