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Autore: Lacus Clyne    28/07/2012    1 recensioni
Sono trascorsi sei mesi dalla caccia di Tom Culpeper al branco di Mercy Falls. L'inverno è tornato, e alle porte del Natale, Isabel torna a casa, nel gelido Minnesota. Una voce di lupo totalmente inaspettata e le sue speranze si riaccendono. Sam, Grace, Cole sono tornati? O è solo un miraggio dettato dal desiderio di rivederli?
Genere: Fantasy, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Buonasera! *_* Posto il nuovo capitolo, ringraziandovi per il sostegno!! *---* Sono incredibilmente felice che questa storia stia piacendo, e spero che continuerete a seguirmi! *__* Aspetto di sapere che ne pensate! *__* Buona lettura!! :D

 

 

 

 

 

 

COLE

 

 

 

Era lì, di fronte a me. Isabel, bellissima e glaciale come una regina nordica. Isabel, che con la sua arguzia aveva scosso la monotonia della mia vita. Isabel, la sola che osava parlarmi come nessuno si permetteva. Isabel, che mi era stata vicina anche nei momenti più bui. Isabel, la sola malattia che non avrei mai potuto debellare.

“Tu non mi hai mai richiamato, nonostante i messaggi che ti avevo lasciato in segreteria.” Dissi, cercando di risultare quanto più innocente possibile.

Inarcò il sopracciglio, studiando la mia espressione.

“Non credi che sia un reato caduto in prescrizione?” Domandò, scettica, ma la tempesta che si agitava nei suoi occhi era più che visibile. Quanto mi eccitava farla incazzare. I miei sensi erano in fibrillazione ogni volta che eravamo insieme.

“La vendetta è un piatto che va servito freddo. I modi di dire mi affascinano. Quale piatto potrebbe essere associato alla vendetta? Uno a lunga conservazione?” Riflettei.

“Non provarci nemmeno.”

“A far cosa?”

“A fare il finto tonto con me. Ti conosco, Cole.” Riprese, sorvolando sul mio sincero ragionamento.

“Avevo altro da fare. Tutto qui.” Risposi, infine.

Per qualche istante sembrò non respirare più.

“Dio, era davvero così…”

“Cosa?”

“Sam aveva ragione… tu non potrai mai stare bene con nessuno.” Disse, e il suo tono gridava delusione. Dopotutto, non aveva tutti i torti, perché ero stato il primo a non stare bene con me stesso. Raccolse il piumino e senza degnarmi di uno sguardo, mi lasciò lì. Quando anche il rumore dei pneumatici svanì, mi voltai verso la porta. Silenzio. Solo un muto silenzio. Una folata di vento gelido mi fece rabbrividire, provocandomi un conato di vomito. Il lupo dentro di me si stava risvegliando, e sentivo torcermi le budella. Mentre il mio corpo lottava per espellere le tossine, cercai di rimanere quanto più lucido possibile e raggiunsi a fatica il bagno. Gli spasmi stavano diventando forti e dolorosi, ma riuscii comunque e togliermi i pantaloni prima di buttarmi nella vasca e a ruotare la manopola dell’acqua calda. Il petto mi faceva male, sentivo i polmoni scoppiarmi, e respirare stava diventando difficile, tanto il mio respiro era accelerato. Sbattei i pugni sull’acqua man mano che saliva, poi frizionai i palmi contro le braccia, cercando di scaldarmi. Quando la temperatura dell’acqua fu abbastanza calda, riuscii a riprendere il controllo, quanto bastava per non lasciarmi sopraffare. Mi buttai addosso quanta più acqua possibile, e il movimento generò altro calore.

Mi sciacquai il viso, poi rimasi a mollo, con lo sguardo fisso sul soffitto.

 

“Tu non potrai mai stare bene con nessuno.”

 

Chiusi gli occhi, lasciando che il calore facesse effetto e placasse, almeno momentaneamente, gli spasmi.

 

“Tu non potrai mai stare bene con nessuno.”

 

Il cellulare nella tasca dei pantaloni squillò. Una, due, tre volte. Che suonasse in eterno, non volevo sentire nessuno. Ventinove, trenta, trentuno volte. Perché non avevo messo uno dei miei pezzi al posto di un dozzinale e martellante trillo? Tre minuti dopo stesi il braccio a peso morto fino a raggiungere i pantaloni buttati accanto alla vasca. Potevo scegliere tra farmi esplodere la testa e porre fine al tormento. Avrei lasciato al chiamante la scelta. Tastai fino a trovare il cellulare e lo raccolsi dalla tasca. Sul display campeggiava il nome “Ringo”. In ogni caso, avrei avuto mal di testa. Risposi.

“Da.”

“Cole, era ora!” Mi redarguì.

“Davvero? Ero rimasto a mezzogiorno.”

“Ma che… che stai combinando?”

Sollevai pigramente il braccio libero dall’acqua. Nell’incavo, il segno dell’ultima dose di epinefrina/tossine che mi ero iniettato. Per il resto, segni di vecchie cicatrici.

“Sto solo lessando nella tua vasca preferita.” Comunicai. Sam sbottò.

“Ehi, Ringo, come va nella penisola? C’è anche Grace con te? Ve la state spassando, piccioncini?”

“Cole, che diavolo hai?”

“Passami Grace, non voglio parlare con te. Niente di personale, ma lei mi capisce.”

Sbottò di nuovo, poi sentii in sottofondo i loro discorsi. Grace era vicina a Sam, mentre lui le faceva notare che avevo presumibilmente bevuto e non stavo dicendo la verità. Ridacchiai, poi Grace prese il telefono.

“Ciao, St. Clair.”

“Ciao, Brisbane.”

Guardai verso lo specchio appannato per il vapore. Nebbia, nebbia calda.

“Hai bisogno d’aiuto?”

Adoravo quella ragazza. Sì, Grace Brisbane era una delle persone, delle poche persone, che mi piacevano. Ci capivamo.

“Isabel è stata qui.”

Tacque. Per un lungo istante, non disse nulla. Tic tac, tic tac.

“Le hai detto di Angie, Cole?”

Test fallito.

“No, non ce n’è stato bisogno.”

Sospirò. “Se tieni a qualcuno, devi essere pronto a dire la verità, qualunque essa sia, Cole. Isabel ci ha aiutati più di chiunque altro. Credi che allontanarla sia la soluzione migliore?”

Valutai. Avevo coinvolto Isabel in tutti i miei casini. Mi aveva mandato al diavolo più di una volta, ma non avrei potuto sperare in una spalla migliore. E la desideravo come non avevo mai desiderato nessuna in vita mia. Se fossimo stati Adamo ed Eva, avrei fatto del serpente tentatore una borsa piena di mele, a costo di essere dannato in eterno.

“Ho bisogno d’aiuto, Brisbane.”

“Torneremo presto.”

“Grazie.”

“Non c’è di che.”

Chiusi la chiamata e lasciai ricadere il braccio fuori dalla vasca. Il cellulare mi cadde di mano, producendo un tonfo sordo. Affondai nell’acqua, circondato dai fumi del vapore, lasciando che la mia mente tornasse indietro di due mesi. Il viaggio. A New York. Da Angie.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

  
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