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Autore: LaniePaciock    29/07/2012    7 recensioni
Rick e Kate finalmente c’è l’hanno fatta, ma a che prezzo? Le dimissioni, la rottura tra Esposito e Ryan… Kate pensava di smettere, di essere in salvo, ma se venisse assassinato Smith? Se fosse di nuovo in pericolo? Ma soprattutto, cosa succederebbe se l’uomo misterioso di nome Smith non fosse stato l’unico a ricevere i fascicoli sul caso Beckett da Montgomery?
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Quasi tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler! | Contesto: Nel futuro
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Rick's dad'
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Cap.14 Una festa?

Quando Castle e Beckett uscirono dall’ascensore, notarono subito lo stato di tensione che permeava l’aria attorno alle scrivanie di Esposito e Ryan. Sembravano in un mondo a parte rispetto alla normale routine del distretto intorno a loro. Entrambi i detective infatti erano concentrati a testa china su alcune scartoffie, ma le compilavano automaticamente. Ryan consumava più tempo a mordicchiare la penna che aveva in mano piuttosto che scrivere e il suo sguardo si perdeva spesso a vagare per il tavolo. Esposito invece sembrava preso da una crisi furiosa di cancellatura immediata per ogni parola su tre che scriveva. A un occhio inesperto potevano sembrare assorti nel loro lavoro, ma in realtà avevano la testa completamente altrove. Inoltre erano troppo silenziosi. Beckett sapeva bene che i due detective faticavano a rimanere seri e in silenzio per non più del tempo che ci voleva a compilare un modulo. Ryan ed Esposito si accorsero di detective e scrittore solo quando sentirono Castle sedersi pesantemente sulla sedia accanto alla scrivania della donna.
“Yo, Beckett, Castle, siete arrivati finalmente!” esclamò Esposito lasciando cadere immediatamente sul tavolo la penna che fino a un secondo prima aveva in mano e alzando le mani sopra la testa per stirarsi. “Tutto bene?” chiese poi notando lo sguardo assente dello scrittore e il lieve nervosismo di Kate che si mordicchiava il labbro inferiore. Ryan li salutò a sua volta e posò anche lui la sua biro sulla scrivania. Si accorse solo in quel momento, con sguardo sorpreso, di quando avesse triturato con i denti quella povera penna.
“Ciao ragazzi” salutò di rimando Beckett togliendosi la giacca. Lo scrittore si limitò ad un cenno con il capo verso i due. “Sì, tutto a posto” rispose sbrigativamente alla domanda di Esposito. “Qualche novità?” Ryan scosse il capo.
“Negativo” replicò. Poi si guardò per un momento in giro, quindi si alzò e si avvicinò loro. Esposito fece la stessa cosa. Beckett li guardò con un sopracciglio alzato, incuriosita e divertita da quel comportamento circospetto.“Siamo tutti in attesa di quei documenti” disse Ryan a bassa voce quando li ebbe raggiunti insieme a Esposito. “Perfino la Gates sembra piuttosto tesa stamattina…” continuò facendo un segno con la testa verso l’ufficio del capitano. Castle e Beckett si voltarono verso di esso. Nonostante le persiane mezze abbassate, potevano vedere chiaramente la Gates camminare avanti e indietro per il suo ufficio e lanciare occhiate saltuarie all’ascensore. La detective sospirò. Posso capire perché è così agitata… pensò la donna ricordando la conversazione della sera prima. Stiamo parlando del capo della polizia, ma anche dell’uomo che ha salvato la vita a suo padre…
“A proposito dov’è Tully?” domandò Esposito, non vedendolo con loro.
“È quello che ci stiamo domandando tutti” sbuffò Castle. I due detective si voltarono a guardarlo perplessi.
“È uscito questa mattina presto senza che ce ne accorgessimo” spiegò Beckett amaramente evitando lo sguardo dei due detective. “Non ha detto a nessuno in quale banca sarebbe andato. Ha solo fatto riferire che ci saremmo incontrati al distretto” continuò con una smorfia. I due partner la guardarono a occhi sgranati.
“Ma… è andato da solo quindi?” domandò Ryan cauto. Beckett annuì. Lanciò un’occhiata allo scrittore. L’uomo aveva lo sguardo puntato al pavimento. Se non fosse stato per i pugni chiusi sui braccioli della sedia, lo avrebbe detto calmo.
“Non possiamo fare altro che aspettare che arrivi” dichiarò la detective passandosi una mano tra i capelli. I due annuirono. Stavano per tornare alle loro scrivanie quando una voce che sentivano raramente su al distretto li fece voltare.
“Detective Katherine Beckett!” La detective sobbalzò sulla sedia e si voltò. Castle non riuscì a non ridacchiare per l’effetto che quella voce a volte aveva sulla sua musa. La dottoressa Lanie Parish stava infatti avanzando a grandi passi verso di loro e sembrava tutt’altro che amichevole.
“Hola chica! Che fai qui? Ti mancavo?” esclamò Esposito con un sorriso enorme vedendo spuntare la sua, ormai di nuovo, ragazza. Fece qualche passo per andarle incontro e allargò le braccia per abbracciarla e, possibilmente, baciarla.
“Non ora Javi!” dichiarò la donna passando sotto una delle braccia alzate dell’uomo. Il detective rimase di sasso a quello slalom, la bocca spalancata. Lanie lo superò quasi senza guardarlo e si andò a piazzare davanti alla scrivania di Kate, il busto in avanti, le mani ben poggiate sul tavolo, gli occhi che mandavano fuoco.
“Ehm… Ciao Lanie…” balbettò Beckett deglutendo. Non sapeva bene cosa avesse fatto, ma vedersi arrivare Lanie con quel tono e quello sguardo non era mai una cosa positiva.
“Ora spiegami una cosa, perché io non riesco proprio ad arrivarci” cominciò minacciosa, gli occhi socchiusi. Kate indietreggiò quanto poté sullo schienale della sedia. Nel vedere quella scena Rick pensò che nemmeno i grandi criminali riuscivano a intimorire Kate quanto Lanie in quel momento. “Correggimi se sbaglio: due sere fa hanno tentato nuovamente di toglierti dalla circolazione. Un uomo misterioso ti ha salvato. Hai passato la notte in ospedale e ieri sei stata comunque tutto il giorno al distretto” elencò la donna continuando a fulminare la detective. “Ora ti vedo e hai un livido nero in un occhio, almeno un paio di tagli alla testa e dio solo sa quanti altri segni addosso.” Beckett la guardò stupita e stava per chiederle come facesse a saperlo, quando la dottoressa la interruppe alzando una mano. “Ho letto il rapporto.” Il tono ora però aveva perso un po’ della minaccia e si era addolcito, nonché preoccupato. “Non dico scendere in obitorio a trovarmi, ma ti costava tanto fare una singola telefonata? Eppure mi sembrava avessimo già parlato di questo diversi giorni fa…” aggiunse con tono di rimprovero. La detective non riuscì a sopportare il suo sguardo accusatore e abbassò gli occhi. “Sono tua amica, Kate, anzi la tua migliore amica. Per fortuna Javier mi ha detto cos’era successo altrimenti da te non avrei avuto una parola. Ero preoccupata.”
“Lo so Lanie, mi dispiace. Ieri avevo… diciamo altri pensieri per la testa” si scusò, lanciando un’occhiata ai tre uomini accanto alla sua scrivania. “In ogni caso sarei venuta oggi giù in obitorio o ti avrei chiamato se non fossi riuscita. Mi spiace davvero” continuò sinceramente. Non lo diceva solo per rabbonirla. Aveva pensato sul serio di scendere da lei in giornata, anche perché sapeva che Esposito le avrebbe raccontato buona parte di quello che era successo, come infatti era stato. Lanie socchiuse gli occhi per capire se stesse raccontando balle o meno. Dopo qualche momento di riflessione, sembrò convincersi. Si alzò dal tavolo e fece un mezzo sbuffo, incrociando le braccia al petto.
“Ti perdono ancora per questa volta” dichiarò alla fine. Poi alzò un dito come ammonimento. “Ma… prova a rifarlo e questa volta sarò io a tentare di ucciderti. E credimi, io non sbaglierò mira e non permetterò a nessun ‘occhi blu’ di salvarti da me! Capito?” Kate annuì subito. Detto questo Lanie si ritenne pienamente soddisfatta e sorrise. Solo a quel punto Kate si concesse un piccolo respiro di sollievo. Con la coda dell’occhio vide accanto a lei lo scrittore che tentava di non ridacchiare con scarso successo. Gli lanciò un’occhiataccia e lui alzò le mani in segno di resa, senza smettere però di ghignare.
“Ora che hai sgridato Beckett, posso essere salutato anch’io?” domandò Esposito spudoratamente, comparendo alle spalle della dottoressa. Aveva uno sguardo da cucciolo che quasi sicuramente aveva imparato da Castle. Lanie si voltò verso di lui e scosse la testa sorridendo. Poi lo attirò a sé per lasciargli un piccolo bacio sulle labbra. Un po’ troppo piccolo evidentemente per Esposito che emise un verso di disappunto. Lanie ghignò malefica, ma subito dopo il suo sguardo venne catturato dalla lavagna bianca con il caso Smith, rimasto lì dal giorno prima, appena dietro l’uomo. Tornò più seria e si voltò di nuovo verso Kate.
“A proposito… avete poi scoperto cosa stava cercando l’assassino di Smith?” Ryan, Esposito e Castle si scambiarono un’occhiata e si girarono verso Beckett, aspettando che fosse lei a decidere quanto riferire. La detective si prese un paio di secondi prima di rispondere. Si morse il labbro inferiore.
“Sì… diciamo che ora sappiamo cosa voleva e purtroppo è anche possibile che l’abbia trovato” rispose alla fine la detective, cauta. Non voleva ancora mettere al corrente Lanie delle loro ultime scoperte come aveva fatto con la Gates. Non perché non si fidasse di lei, ma perché era più al sicuro così. La dottoressa capì la sua impossibilità a parlare e non chiese altro. Sospirò e diede un’occhiata alle foto del corpo martoriato di Smith.
“Spero fosse qualcosa di ben importante” mormorò la dottoressa facendosi istintivamente più vicina a Esposito che le passò un braccio intorno alla vita e la strinse a sé. “Nessuno si merita di essere torturato in quel modo. Bruciature, elettricità, percosse, affogamento… Deve essere stato terribile. Ancora non so come abbia fatto a resistere così a lungo…”
“Oh, avrebbe resistito anche di più, ma il torturatore è stato molto fortunato purtroppo.” La voce di Tully apparve improvvisamente dietro di loro insieme alla sua persona. Tutti erano sobbalzati. Non l’avevano visto né sentito arrivare. Tully aveva uno sguardo duro e malinconico puntato verso le foto di Smith. “Conoscendo Jonathan, lui non avrebbe mai detto niente se non fosse stato per l’acqua. Immagino sia stata quella l’ultima tortura subita prima della morte.” Tully rimase qualche secondo in silenzio, pensieroso. Poi scosse la testa, riprese il sorriso affascinante con cui avevano imparato a conoscerlo e si rivolse a Lanie, che lo guardava confusa e stregata. “Dottoressa Lanie Parish giusto? Piacere di conoscerla, sono Alex Tully. Non so se già qualcuno le ha parlato di me…”L’uomo si avvicinò ulteriormente e allungò la mano verso Lanie nel presentarsi. In quel momento i tre detective e lo scrittore si accorsero della ventiquattrore che l’uomo teneva saldamente nell’altra mano. La dottoressa o osservò ancora per un momento confusa, poi sorrise e gliela strinse annuendo.
“Sì sono io. Piacere mio signor Tully. Sì, mi hanno accennato qualcosa di lei… Anche che è il padre di un certo scrittore di nostra conoscenza!” esclamò divertita. Nessuno riuscì a fermarla, ma d’altronde nessuno le aveva spiegato il rapporto tra padre e figlio. A quelle parole Tully divenne per un momento più serio. Kate invece poté vedere la mascella di Castle contrarsi e gli occhi spostarsi rapidamente verso in basso, lontani dalla figura dell’ex-agente CIA. Lanie capì di aver detto qualcosa di sbagliato. “Io… mi dispiace, io non volevo…”
“Non si preoccupi dottoressa” replicò subito Tully vedendola in difficoltà, riprendendo il sorriso. “Non poteva certo conoscere alcune ‘dinamiche interne’ tra me e mio… e il mio ragazzo.” A quelle parole Rick sbuffò. Lanie annuì mortificata. Poi un po’ per cambiare argomento e un po’ per curiosità, fece un cenno alla lavagna.
“Se permette, posso chiederle come faceva a sapere che l’affogamento è stata l’ultima tortura? E cosa vuol dire ‘se non fosse stato per l’acqua’?” domandò. Tully tornò a osservare la lavagna, lo sguardo ancora una volta spento quando si trattava del suo amico.
“Vede, Jonathan era un medico militare. C’è stato un episodio, durante la prima guerra del Golfo, l’unica guerra a cui partecipò, che lo segnò profondamente…” Fece un sospiro e continuò. “Venne rapito e torturato per giorni per sapere la posizione di alcune casse di fucili e granate. Lo torturarono per affogamento, immergendogli la testa in una tinozza d’acqua ghiacciata fino a farlo svenire, più e più volte.” Ryan ed Esposito si guardarono per un momento. Sapevano bene cosa si provava. Ryan, che l’aveva sentito sulla propria pelle un anno e mezzo prima, rabbrividì. “Da quel giorno è sempre stato terrorizzato da quel liquido. All’inizio non riuscivano quasi nemmeno a farlo bere. Dovete capirlo, era solo un ragazzo all’epoca e ne era uscito traumatizzato. Da quanto mi aveva detto era riuscito a superare parte dello shock, ma ancora oggi non osava avvicinarsi di più di tre metri ad una piscina o spiaggia” spiegò Tully, lo sguardo ancora fisso sulle foto alla lavagna. Nessuno disse niente, provando a immaginare quale tormento dovesse essere stata per un periodo la sua vita. A interrompere il momento ci pensò la Gates, che uscì dal suo ufficio in quell’attimo e venne loro incontro. Si era accorta che era arrivato anche l’ex-agente e aveva notato la valigetta.
“Bentornato signor Tully” disse sbrigativa. “Dottoressa Parish, credo ci sia un cadavere in arrivo al suo obitorio per la squadra di Karpowski” aggiunse quindi rivolta a Lanie. Quella sgusciò subito fuori dall’abbraccio di Esposito.
“Oh, sì vado subito” rispose. Salutò con un cenno i detective e lo scrittore, strinse ancora una volta la mano a Tully e si diresse velocemente verso l’ascensore. La Gates aspettò che la dottoressa fosse fuori portata d’orecchio, quindi si rivolse all’ex-agente CIA.
“Presumo che lei abbia qualcosa per noi” affermò facendo un cenno alla valigetta.  L’uomo sorrise affabile e annuì.
“Come le ho promesso, capitano.”  La Gates fece un altro cenno verso una sala riunioni vuota e tutti e sei ci si chiusero dentro, lontani da orecchie e occhi indiscreti. L’uomo appoggiò la ventiquattrore sul tavolo al centro della stanza. Fece per inserire la combinazione nel congegno appena sotto la maniglia quando Kate si ricordò che avevano ancora un discorso da fare.
“Prima di cominciare…” interruppe il procedimento la detective. Tutti si voltarono a guardarla, chi stupito, chi irritato, chi sollevato. “Volevo dirle una cosa signor Tully.”
“Per favore, detective, le ho detto di chiamarmi Alex…” la corresse l’uomo con un finto sospiro esasperato.
“Io chiamo per nome le persone di cui sono certa di potermi fidare, Tully” replicò Beckett, marcando il cognome. L’espressione dell’uomo cambiò in un attimo. Aggrottò le sopracciglia, confuso.
“Pensavo che ora si fidasse di me” affermò con una nota di risentimento e rimprovero dopo qualche secondo.
“Non quando rischia di far saltare tutto” replicò Kate dura, riprendendo le parole che Rick aveva detto quella mattina. “Lo so che come agente CIA il suo addestramento è stato differente dal nostro e immagino anche che lei sia abituato ad agire da solo da anni, ma stavolta non si tratta solo di lei. Tutte le persone presenti in questa stanza sono coinvolte.”
“Quello che ha detto è vero detective, me ne rendo ben conto. Solo che ancora non capisco qual è il punto…” rispose Tully. Il suo atteggiamento era ancora calmo, ma Kate poteva vedere dalla ruga marcata che si era creata tra i suoi occhi che si stava scocciando.
“Vedrò di chiarirglielo una volta per tutte allora” lo interruppe la donna alzando una mano per fermarlo. “Non le permetterò più di prendere decisioni e muoversi da solo. Ho provato sulla mia pelle cosa vuol dire fare di testa propria con questo caso…” disse amaramente abbassando per un momento gli occhi al pavimento. Aveva rischiato la sua vita e quella dei suoi colleghi. Ed era una cosa che non avrebbe mai più permesso. Dopo un secondo rialzò gli occhi decisa e incontrò quelli blu scuro di Tully. “E dovrebbe saperlo bene anche lei. Le prove spariscono, le persone muoiono. Oggi oserei dire che è stato fortuna se non hanno tentato nulla contro di lei…”
“In realtà” la interruppe Tully con un sorriso ironico. “Immaginavo mi avrebbero seguito per recuperare la valigetta. E così è stato infatti…” Tutti lo guardarono increduli. Stava parlando di un pedinamento come se fosse la cosa più normale del mondo. “…ed è questo il motivo per cui ho tardato. Volevo essere certo che non riuscissero a seguirmi e così è stato” concluse ridacchiando. Poi tornò più serio e guardò per un momento sia Castle che Beckett con uno sguardo di scuse. “Mi spiace non avervi permesso di venire, ma immaginavo sarebbe successo qualcosa e non volevo vi accadesse niente…”
“Proprio di questo si parla Alex!” disse con tono paziente la detective. “Poteva accadere a noi come poteva accadere a te!” Finalmente Tully comprese la loro preoccupazione. Rimase qualche momento in silenzio quindi fece un sospiro e annuì.
“D’accordo. Ho capito. Prometto che non farò altro da solo” Alex era rivolto a Beckett, ma i suoi occhi erano puntati su Castle. “Ma a una condizione” continuò spostando lo sguardo di nuovo sulla donna. “Lavoreremo come una squadra. Non ho intenzione di essere messo da parte perché non sono più operativo” replicò l’uomo, incrociando le braccia al petto. Beckett guardò per un momento la Gates. In fondo era lei il capitano lì dentro. La vide farle un lieve cenno affermativo con il capo, quindi Kate annuì a Tully. “Siamo d’accordo allora” dichiarò con un ritrovato sorriso l’uomo. A quel punto si voltò di nuovo verso il tavolo per prestare attenzione alla valigetta. Kate osservò per un momento Rick, che emise un lieve sospiro di sollievo. Lo scrittore ora sembrava più rilassato, anche se glielo si leggeva in faccia che era ancora diffidente. Dovette sentire gli occhi della sua musa su di sé perché girò la testa verso di lei e le sorrise rassicurante. Kate sorrise in risposta. Quindi tornarono tutti a prestare attenzione a Tully. L’uomo inserì la combinazione e aprì la valigetta. I presenti non poterono fare a meno di allungare il collo per vedere il contenuto della ventiquattrore. Non dovettero comunque attendere a lungo. C’era una pila di documenti all’interno che Tully tirò fuori con una mano e poggiò sul tavolo. Spostò quindi la valigetta a terra perché non intralciasse. A questo punto si rivolse ai presenti.
“Questi” disse indicando la pila di fogli. “Sono tabulati e conti bancari. Sono i fascicoli scomparsi nel corso degli anni. Sono ciò che serve per incastrare Franklin Spark Junior e sono abbastanza per mandare all’aria mezza città. Purtroppo non sono ancora sufficienti…” mormorò quindi con tono malinconico e un velo di rabbia.
“Come sarebbe che non sono sufficienti?” domandò stupito Esposito. Tully fece un cenno con una mano verso i fogli.
“Leggeteli e capirete” rispose solo.
Si sedettero intorno al tavolo e iniziarono a dividersi la pila di fogli. Trovarono subito i fascicoli del caso di Bob Armen scomparsi, con la realtà distorta dei detective Raglan e McCallister e alcune correzioni a mano di Montgomery. Scoprirono i tabulati telefonici dei tre di quel periodo e poterono vedere subito che più di una chiamata era stata fatta dal telefono dell’allora appena promosso capo dipartimento Franklin Spark Junior. Fu quindi la volta dei conti bancari. Uno di quei fogli diceva che nel conto di Spark apparvero all’improvviso migliaia di dollari e altrettanto velocemente scomparvero, presumibilmente in un conto segreto. Quindi altri fogli con segnate più transazioni strane di Spark che, a controllare la data, si notavano essere in concomitanza con elezioni politiche o di alti ufficiali di polizia. Alcuni pagamenti consistenti risalivano all’omicidio della madre di Kate e capirono che si trattava dell’assassino ingaggiato per quel delitto e per quello delle altre persone collegate all’associazione di Johanna Beckett. La data più recente che trovarono si notava su due fogli ed era di poco più di un anno prima, di poco antecedente alla morte di Montgomery. Il primo era un tabulato telefonico dal cellulare di Spark. Era segnata con evidenziatore giallo un’unica chiamata verso la prigione dove era rinchiuso Lockwood, il giorno in cui uccise McCallister. Il secondo foglio invece riguardava una transazione bancaria, avvenuta lo stesso giorno della morte di McCallister, di Spark per una associazione di beneficienza che però era inesistente.
“Come avete visto voi stessi, c’è ne sarebbe abbastanza, ma sono tutte prove circostanziali purtroppo” sospirò Tully quando ebbero finito di guardare tutti i fogli. La Gates sembrava incapace di parlare. Aveva gli occhi sgranati e la mascella serrata. Era aggrappata ad uno dei fogli e sembrava quasi volesse strapparlo in mille pezzi. “Se queste informazioni uscissero allo scoperto ci sarebbe un gran polverone, ma con un buon avvocato e un sacco di amicizie, Spark sarebbe libero in nulla e noi avremmo perso la nostra occasione. Abbiamo bisogno di un’ultima prova. Qualcosa che lo incastri definitivamente. Possibilmente una confessione…” aggiunse ridacchiando per alleggerire l’atmosfera. Ryan ed Esposito fecero un sorriso tirato. Erano increduli, ma decisi. Aspettavano solo che qualcuno gli dicesse cosa fare e loro avrebbero agito. “Allora, qualche idea?” disse infine Tully passando lo sguardo su tutti i presenti. Beckett e Castle si guardarono sconsolati. Non sapevano che inventarsi stavolta. Erano sicuri che questi fogli sarebbero bastati e invece si erano ritrovati di nuovo con un nulla di fatto. L’unica cosa positiva era che ora almeno conoscevano l’identità del drago.

“Forse avrei un’idea” esclamò la Gates all’improvviso facendo voltare tutti verso di lei. Aveva ancora gli occhi fissi sul foglio che aveva in mano, ma ora il suo sguardo non era più perso. Era deciso. Appoggiò il foglio e tirò fuori da una tasca un volantino piegato in quattro. Lo spiegò e distese ben visibile sul tavolo. Era la pubblicità per una festa che si sarebbe tenuta da lì a una settimana.
“Una festa?” domandò Ryan confuso. Solo in quel momento Beckett vide cosa si festeggiava.
“Non una semplice festa…” mormorò la detective, gli occhi fissi sul volantino. “È la festa della polizia!”
“Non ci avevo pensato!” esclamò Castle. “Partecipano tutti gli alti ufficiali della polizia dello stato e altre cariche politiche importanti.” La Gates fece un mezzo sorriso ironico.
“Credo sia il caso di andare a fare un saluto ad un vecchio amico…”

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Xiao! :D
Sono riuscita a pubblicare al pelo alla fine... è l'una e un quarto di notte e domattina sveglia alle cinque  e mezza... vabbé... -.-
Tully è tornato sano e salvo per chi lo credeva già spacciato, però ha avuto un pedinamento anche se l'ha superato come se nulla fosse... che tipo... X)
Ok, lo so che non ho scritto nulla di troppo importante, ma ci voleva come introduzione... Non ho fatto in tempo a ricontrollarlo, quindi spero di non aver scritto troppe scempiaggini... lasciatemi un commentino per sapere che ne pensate per favore!! (li leggerò quando torno non temete!) :)
Vi lascio che mi sto un po' addormentando in piedi... ci vediamo probabilmente tra un tre settimane! Buon agosto!! :D
Lanie
  
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