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Autore: EvgeniaPsyche Rox    29/07/2012    8 recensioni
Roxas Hagen vive un'esistenza che è lontana anni luce da ciò che si può considerare come una vita normale.
E' stato spedito nella clinica Werner a sedici anni e mezzo;ora ne aveva diciotto e a lui sembrava sempre di essere al punto di partenza.
Anzi.
Talvolta gli pareva addirittura che la sua situazione fosse peggiorata.
-Un migliore amico che fa di tutto pur di infrangere le regole, un odiosissimo compagno di stanza, terapie di gruppo, pazienti del terzo piano, passati che continuano imperterriti a bussare alla porta...
Forse non ricordava neanche che cosa fosse una vita normale. -
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Axel, Hayner, Roxas
Note: AU | Avvertimenti: Incompiuta | Contesto: Nessun gioco
Capitoli:
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Insidie interiori.

 

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2. Strangeness  

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«Dieci minuti e venticinque secondi. Complimenti per il ritardo, Roxas. Hai già battuto Hayner, che cosa vuoi ancora?»
Il paziente sbuffò rumorosamente, prendendo posto sulla sedia girevole di pelle, incrociando poi le braccia al petto. «Non mi interessa minimamente di battere quel... Quella sottospecie di...», si interruppe, mordendosi il labbro inferiore per evitare di terminare la frase con qualche insulto poco carino.
L'uomo, seduto dall'altra parte della scrivania bianca, sospirò pesantemente, togliendosi gli occhiali. «Roxas, cos'è successo? Sei svenuto per caso?»
«No!», sbottò immediatamente il biondo, voltando di scatto le iridi blu verso il dottore. «Non sono svenuto.», ribadì successivamente a voce più bassa.
«Lo sai che è inutile mentire, non è vero? Tanto i tuoi insegnanti mi diranno se hai partecipato o meno alle attività pomeridiane.», spiegò pazientemente l'altro, aprendo nel frattempo un cassetto; tirò fuori una cartella gialla prima di proseguire. «Roxas, rischi davvero. Sia tu che il tuo amichetto. Fai troppe assenze.»
«Le attività pomeridiane sono per i ritardati del cazzo. Non mi aiutano per niente.», affermò schiettamente il diciottenne, scrutando con estrema attenzione i numerosi fogli che sbucavano dalla cartella. «E comunque non sono stupido; ho capito come funzionano le cose. So che non mi butterete mai fuori di qui. Non prima di avermi curato. Se non fosse così, Hayner sarebbe già fuori da mesi e mesi, dopo tutto quello che ha fatto.»
Lo psicologo aprì il fascicolo del paziente, ignorando volontariamente il suo discorso. «Non c'è alcun miglioramento da quasi sette mesi, Roxas. Non è una cosa positiva. Tu puoi guarire, basta ch-»
«'Fanculo.», lo interruppe il biondo, proprio come aveva fatto il suo migliore amico qualche ora fa. «Non mi faccia ancora quei dannati discorsi del diavolo. Posso guarire se voglio, devo solo impegnarmi e bla, bla, bla. Sono tutte stupidaggini. Sono qui da quasi un anno e mezzo. Un fottuto anno e mezzo, non so se ha capito. Com'è possibile?! Come cazzo può essere possibile che io sia qui dentro da così tanto tempo?! Perché mi sento ancora così?! A pezzi, distrutto, così schifosamente in colpa e... », si zittì improvvisamente, inclinando il volto su un lato con gli occhi rivolti verso il vuoto totale, mentre il dottore cercava di prendere nota dello sfogo momentaneo del paziente; Roxas si irrigidì, sentendo una fitta al petto.
Un anno e mezzo.
Era davvero passato così tanto tempo?
I primi mesi erano stati un vero e proprio inferno: contava i secondi, i minuti, le ore e i giorni che passava in quel posto pieno di pazzi. Contava i pasti, le lezioni, le attività, tutto. Contava ossessivamente, si fermava ad osservare ogni singolo orologio, scrutava ogni calendario, chiedeva sempre l'ora e la data precisa.
Contava, contava e contava.
Contava e sperava.
''Mi verranno presto a prendere e uscirò da qui'', si ripeteva la sera prima di scivolare nel sonno. ''Domani tornerò a casa e passerà tutto.''
Ma poi non era successo nulla.
Roxas Hagen aveva smesso di fermarsi nei corridoi per osservare il grande orologio a pendolo appeso sul muro; aveva smesso di contare i giorni e i minuti, aveva smesso di attendere una libertà che non avrebbe mai avuto.
Era arrivato alla tragica conclusione che nessuno sarebbe più venuto a prenderlo. Nessuno avrebbe spalancato la porta della sua stanza bianca -Schifosamente bianca-, per dirgli che c'era qualcuno a prenderlo, a salvarlo da quel fottuto posto.
Nessuno.
Aveva passato le sere immerso nell'angoscia più totale a stringersi la testa, rannicchiato sul letto, con gli occhi pieni di lacrime; quella verità lo aveva trafitto, lo aveva divorato da dentro, uccidendolo lentamente e inesorabilmente, spegnendolo, rubandogli tutto, tutta l'energia per vivere.
E il giorno successivo aveva smesso di essere, aveva smesso di esistere.
Non gli importava più di niente. Né della data, né delle ore. Né dei secondi, né dei minuti.
Non si accorgeva più del tempo che si sommava alla sua vita, dell'orologio che suonava; per lui non faceva alcuna differenza se era l'ora di pranzo o di cena, non gli importava se stava andando a dormire o se si era appena svegliato, non gli importava della buonanotte o del buongiorno, non gli importava niente di niente.
Era tutto uguale. Era una macchia grigia che circondava quel posto in cui le persone rinchiudevano la gente malata per tenerla lontana da sé.
Non era vero che volevano aiutarli. Erano tutte stronzate per Roxas. La verità è che volevano solo allontanarli dal mondo, volevano spingerli via, ammucchiarli tutti in quello scatolone, unire i pazzi, tutti, tutti insieme.
Era stretto, troppo stretto per lui.
«... E comunque non sono svenuto. Ho saltato le attività pomeridiane perché non avevo voglia di fare niente; ho litigato con Hayner.», mentì poi, tornando ad osservare gli occhi neri come la notte più buia del dottor Astron: preferiva ricevere altri voti negativi nella condotta che far sapere agli altri che lei era tornata a possederlo, ad ucciderlo e a riempirgli il corpo, lasciandogli allo stesso tempo un immenso vuoto mortale.
Lo psicologo sospirò nuovamente, prendendo appunti con una penna nera. «Sì, lo so.», disse poi senza staccare gli occhi dal foglio che veniva lentamente riempito di parole sul paziente; quest'ultimo voltò lo sguardo altrove, stringendosi le spalle. «Glielo ha detto Hayner?»
L'uomo annuì, togliendosi nuovamente gli occhiali prima di massaggiarsi le tempie: aveva sempre sognato di fare lo psicologo, di aiutare la gente, di capire i loro problemi per trovare insieme a loro una soluzione. L'unico dilemma di quel lavoro era la pesantezza; sentiva addosso a sé i pesi di tutti i complessi di quei ragazzi, mescolato al timore di non riuscire a trovare una cura, un rimedio. Vedeva sempre sguardi spenti, vacui, come se fossero morti. E, in effetti, in un certo senso lo erano. Qualcuno o qualcosa li aveva uccisi interiormente e stavano cercando in ogni modo di resuscitare.
Il problema è che non sempre ci riuscivano.
Era quello il problema.
Non sempre.
«E che cos'altro le ha detto?», la voce di Roxas spezzò il filo dei suoi pensieri; alzò finalmente lo sguardo dal foglio e incrociò le iridi blu del giovane, un tempo spensierate e piene.
Il dottor Astron era anche lo stesso psicologo di Hayner e aveva un'ora con lui giusto prima di Roxas; quando i due amici litigavano, il secondo cercava sempre di fare tardi per evitare di incrociare l'altro per i corridoi.
Eppure Roxas aveva la fissa di chiedere ossessivamente che cosa avesse detto Hayner, come se fosse qualcosa di essenziale per lui; nonostante sapesse praticamente tutto del suo migliore amico, aveva sempre il timore che nascondesse qualcosa nelle sue viscere, nel suo essere più scavato e profondo.
Qualcosa che non voleva dirgli.
E continuava ad insistere con quella domanda, anche se la risposta dell'uomo non cambiava mai. «Roxas, lo sai che c'è il segreto professionale e non posso dirtelo. Quante volte te lo avrò ripetuto?»
«Almeno un centinaio.», rispose automaticamente il paziente, stizzito ed estremamente irritato. «Ma se dice qualcosa su di me ho tutto il diritto di saperlo, non crede?»
Astron rimase stranamente in silenzio e assunse un'espressione preoccupata che non sfuggì agli occhi attenti del biondo, il quale riprese immediatamente la parola senza farsi troppi scrupoli. «Parla di me? Che cosa dice?»
Lo psicologo era caratterizzato da una forte professionalità che lo faceva apparire come un uomo perennemente rigido e inflessibile; nonostante ciò, Roxas aveva passato ormai così tanto tempo con lui che riusciva a notare anche le sue più piccole espressioni, i suoi occhi che si incupivano improvvisamente o il suo sguardo pensieroso.
Roxas non era affatto stupido e questo Astron lo sapeva fin troppo bene.
«Sì.», ammise infine con un sospiro, consapevole che anche se avesse mentito il paziente lo avrebbe sicuramente intuito. «Sì, Roxas, parla di te. E ti ho già detto troppo.»
Il diciottenne si irrigidì un poco sulla sedia e parve addirittura sorpreso; eppure era strano dato che si aspettava una risposta del genere.
Allora cos'era quella sorta di inquietudine che si stava facendo spazio nel suo stomaco? Era forse ancora quella paura che Hayner nascondesse qualcosa?
Roxas mantenne lo sguardo fisso sulle piastrelle bianche del pavimento fino a quando non si accorse che il dottore stava frugando tra i numerosi fogli nel suo cassetto; dopo qualche secondo il nero dei suoi occhi sembrò illuminarsi, come se la notte si fosse improvvisamente accesa grazie ad una singola stella, e tirò fuori una scheda su cui vi era disegnata una spirale piuttosto disordinata.
Il biondo sbuffò sonoramente: detestava a morte quando il dottor Astron gli faceva quei ''giochetti psicologici da imbecilli'', come li chiamava Hayner, per cercare di scoprire che cosa ci fosse nel suo inconscio e stupidaggini del genere. «Non mi ha ancora chiesto come ho passato la settimana.», osservò apaticamente, sperando di evitarsi quella dannatissima scheda.

«Te lo chiederò dopo.», si limitò a dire fermamente l'uomo, indicando con un dito la spirale. «Allora, Roxas, guarda attentamente questa spirale.»
Osservò di sottecchi il diretto interessato che, al contrario, aveva voltato lo sguardo altrove, scocciato. «Roxas», lo chiamò con tono rimprovero e spazientito, «ti prego, prestami un po' di attenzione. Se fai come ti dico magari ti faccio uscire prima, che ne dici?»
A quel punto il biondo si illuminò appena, osservando immediatamente la scheda sotto il proprio naso; Astron sospirò prima di riprendere a parlare. Sapeva perfettamente che non era per nulla professionale giungere a questi compromessi con i pazienti, ma sapeva anche che con Roxas non c'era altro modo per farlo ragionare.
«Come ti stavo dicendo, devi osservare con estrema attenzione questa spirale», ne tracciò così con cura i contorni mentre il paziente annuì, tentando di non mostrarsi annoiato com'era realmente. «e dopo dovrai segnare con un punto, un quadrato o quello che vuoi la tua posizione.»
Roxas alzò appena le iridi blu, tuffandosi nella notte dell'uomo. «Cioè devo segnare dove sono secondo me in quella spirale?»
«Esattamente.», annuì il dottore. «E poi, se vuoi, potrai anche aggiungere qualcuno che ti sta particolarmente a cuore, scegliendo ovviamente la posizione anche per lui. Ricorda che qui non ci sono risposte giuste o sbagliate, Roxas, ma solt-»
«Soltanto punti di vista che emergono dalla mia interiorità.», lo interruppe con fare meccanico il paziente, dato che sapeva ormai a memoria quelle parole; impugnò la penna nera e rimase per interminabili minuti ad osservare la scheda di fronte a sé.
L'altro, nel frattempo, segnò qualche altro appunto su un foglio; in realtà non sempre scriveva qualcosa di concreto e comprensibile, semplicemente aveva capito che Roxas era uno di quei ragazzi che detestava particolarmente essere fissato mentre pensava o mentre prendeva una decisione. Lo metteva sotto pressione e l'ultima cosa al mondo che voleva era provocargli un attacco di ansia o di panico.
Anzi, gli aveva sempre detto che non c'era fretta e che poteva prendersi tutto il tempo necessario.
Il diciottenne appoggiò un momento la penna sulla scrivania e si massaggiò la testa, come se avesse appena fatto un enorme sforzo mentale; socchiuse un poco le palpebre e per un attimo gli sembrò addirittura che la spirale avesse iniziato a ruotare di fronte ai propri occhi.
Stava girando. Stava girando davvero. E la spirale si trasformò improvvisamente nella trottola con cui amava giocare da bambino; il nero si trasformò in blu e tutto mutò. Era una trottola, la sua bellissima trottola che tanto aveva amato. Passava il tempo nel piccolo parco vicino a casa sua e la faceva girare, sperando che durasse all'infinito.
La trottola si ruppe e Roxas sbattè le palpebre, osservando la spirale nera. Afferrò nuovamente la penna e segnò un punto vicino al centro.
Astron allontanò lo sguardo dal foglio biancò e scrutò con estrema attenzione ciò che aveva fatto il biondo, rimanendo comunque in silenzio.
Per un momento gli sembrò quasi di vedere quegli occhi blu galleggiare nel vuoto; spesso aveva notato che il diciottenne non osservava qualcosa di preciso, era quasi perso, come se si fosse ritirato dentro se stesso, come se qualcun altro avesse preso il comando del suo corpo.
Era un filo che si spezzava, un filo conduttore che per un po' interrompeva il collegamento con il suo cervello, facendo così in modo che lui rimanesse immobile e sospeso. Una volta aveva provato a parlargli di quei strani momenti, ma Roxas si ostinava ad affermare che non ricordava nulla del genere.
Il paziente, quasi fosse sotto una sorta di ipnosi, tracciò automaticamente una linea dal punto che aveva segnato prima fino all'inizio della spirale; inizialmente essa era scura, ma poi lentamente sembrava svanire nel bianco del foglio fino a risultare praticamente invisibile.
Successivamente Roxas fece un altro punto, abbastanza vicino al primo, e li collegò con un'altra linea piuttosto sottile; allungò poi il braccio e raggiunse nuovamente l'inizio della spirale dove disegnò un enorme cerchio, colorandolo in malo modo come un bambino delle elementari.
Astron corrugò la fronte, perplesso e stupito, mentre il biondo aveva improvvisamente scosso la testa, sussultando appena e guardandosi attorno come se avesse magicamente dimenticato qualcosa di importante.
Abbassò poi le iridi blu verso la scheda e iniziò finalmente a parlare, indicando il primo punto che aveva segnato. «Questo sono io, mentre l'altro punto è Hayner.», spiegò con aria assorta, facendo scorrere lentamente l'indice verso il filo sottile che collegava i due punti. «Questa riga indica la nostra vicinanza.», successivamente si interruppe improvvisamente e il dottore ne approfittò per chiedere: «I due punti sono sullo stesso piano, quindi tu ti consideri quasi nella sua stessa situazione?»
Roxas scrutò con estrema attenzione la spirale e annuì con una leggera titubanza. «I nostri problemi si assomigliano molto, anche se sono stati causati da motivi del tutto diversi. Siamo entrati qui nello stesso periodo e siamo rimasti insieme per tutto questo tempo», a quel punto si accorse di avere inspiegabilmente la gola secca e si leccò nervosamente le labbra, tastando un fastidioso sapore salato. «quindi sì, siamo sullo stesso piano in questa voragine.»
Il dottore annotò tutto con grande interesse; doveva ammetterlo, quel ragazzo era sempre in grado di stupirlo in qualche modo. «E dimmi, Roxas, secondo te se uno dei due guarirà, anche all'altro potrebbe accadere la medesima cosa?»
Il paziente rimase perfettamente in silenzio e si irrigidì completamente; l'uomo alzò nuovamente lo sguardo e notò l'espressione quasi impaurita del giovane.
Ecco, era quello il problema, il dilemma di quei due ragazzi così tanto affiatati tra di loro. Spesso la loro amicizia era stata considerata come un danno, un modo tutto loro per distruggersi a vicenda; o almeno, così affermava buona parte degli insegnanti.
Lui non aveva mai capito se essi avessero ragione o meno. La loro amicizia aveva i pro e i contro, come in quasi tutte le situazioni.
E uno dei contro più grandi e che uno era dipendente dall'altro. Erano legati da un filo che non li lasciava mai, erano perfettamente incollati, due tasselli di un puzzle bianco uniti tra di loro. Non osavano allontanarsi; la loro amicizia era stata costruita dal terrore di rimanere soli da parte di entrambi, dalla voglia di sopravvivere in qualche modo in quella clinica.
Desideravano ardentemente uscire, ma al tempo stesso erano impauriti dall'abbandonarsi. Avevano paura che se fossero guariti si sarebbero persi di vista. E da un lato sarebbe stata la cosa migliore; se si guardavano a vicenda non avrebbero fatto altro che alimentare i ricordi dei loro giorni passati in quel posto, delle loro angosce e sofferenza.
Si autodistruggevano a vicenda ed erano incatenati in mezzo a quel labirinto in cui non riuscivano ancora a vedere l'uscita.
Roxas non rispose e si limitò ad indicare l'altra linea che collegava il primo punto fino all'inizio della spirale. «Questo è il filo che mi dovrebbe condurre all'uscita. All'inizio è ben evidente, però poi diventa invisibile perché... », si zittì e di nuovo non proseguì il discorso, dedicandosi alla presenza del cerchio posizionato quasi all'esterno della spirale. «Questo è la gente, il mondo. Questo cerchio rappresenta tutti gli altri.»
Lo psicologo si sitemò gli occhiali sul naso, osservando attentamente la scheda. «Quindi tu vedi la gente come qualcosa di lontano da te?»
«Lontano anni luce.», precisò apaticamente Roxas alzandosi, nonostante mancassero ancora dieci minuti alla fine dell'ora. «Io vado.», e abbandonò la stanza senza neanche lasciare il tempo all'uomo di dire altro, chiudendo la porta dietro di sé.
Astron si massaggiò per l'ennesima volta le tempie, sospirando pesantemente.
Era quello il problema. Hayner era collegato a Roxas, e se Roxas avesse provato a seguire il filo che lo conduceva all'esterno della spirale, Hayner lo avrebbe automaticamente seguito.
Era quello il problema.



Non aveva ancora avuto tempo di tornare in camera propria; aveva passato circa due ore a passeggiare per il cortile sotto l'edificio, saltando così anche la cena.
Il fatto è che non se la sentiva proprio di rivedere Hayner. Non ancora, per lo meno. Anche se sapeva perfettamente che non poteva di certo fuggire per sempre da lui. Prima o poi lo avrebbe beccato o per i corridoi o per le scale.
O in sala tv.
A quel pensiero si lasciò sfuggire un sorriso sghembo; nonostante tutto, l'incontro tra quell'alcolizzata e Hayner non se lo sarebbe perso per nulla al mondo. E proprio per questo motivo alle nove di sera entrò nella grande sala già immersa nel buio più totale. Il film era iniziato da qualche minuto e Roxas con una fugace occhiata intuì che molto probabilmente doveva essere d'azione. Al contrario di Hayner, lui detestava quel genere; era sempre la stessa solfa tra inseguimenti e colpi di pistola.
Si poteva saltare l'attività serale soltanto due volte alla settimana, dato che esse non erano propriamente obbligatorie come quelle pomeridiane; ovviamente, però, non ci si poteva recare in cortile dopo l'ora di cena e neanche fare baccano per i corridoi -Nonostante lui ed Hayner avessero violato quel regolamento già un centinaio di volte-. Al massimo si poteva fare una piccola passeggiata per l'edificio o, ancora meglio, rimanersene in santa pace chiusi nella propria stanza.
Il suo migliore amico amava la sera; erano le ore più libere, in cui non c'era quasi nessuno a controllare le sue mosse o ciò che faceva. Non per nulla spesso lo costringeva ad assistere a ciò che combinava; spesso adorava infilarsi nell'aula informatica -Ormai aveva capito come aprire la porta grazie ad una semplice forcina rubata nella camera di qualche ragazza- per fare qualche scherzo bastardo come riempire i computer di virus o costringere i pazienti che più detestava a subire delle figuracce il giorno successivo a causa di siti sconci. Praticamente tutti erano a conoscenza del fatto che era lui l'artefice di quelle follie, ma nessuno aveva le prove per incastrarlo e così quella furia di Hayner avrebbe potuto continuare all'infinito.
Nonostante ci fossero una decina di posti liberi, rimase in piedi, appoggiato al muro con le braccia conserte ad osservare la situazione, facendo comunque finta di essere interessato alla visione del film; la sala era estremamente spaziosa ed era formata da una ventina di file orizzontali di poltrone rosse. Un lusso niente male per una clinica di recupero, questo bisognava ammetterlo.

«Ehi, Hagen», Roxas si voltò di scatto, riconoscendo la figura di un uomo dai lunghi capelli disordinati ricadenti sulle spalle. «Come ti butta la vita?»
Il diciottenne si strinse le spalle, sentendosi immediatamente a disagio. «Come al solito.»
Marluxia Horn -Definito anche 'Porn'- aveva circa ventidue anni e si trovava in quella clinica da sei mesi e mezzo; in quel periodo relativamente breve in confronto a tanti altri pazienti, era riuscito a farsi immediatamente conoscere per la sua folta chioma tinta di un rosa acceso che gli dava un'aria piuttosto femminile, nonostante il carattere dimostrasse l'esatto opposto. Oltre ad un altro piccolo dettaglio: era omosessuale e non aveva avuto alcun problema ad annunciarlo, non facendo altro che girare per i diversi piani alla ricerca di una preda da portarsi a letto.
E questo disgustava enormemente Roxas. Non era il fatto dell'omosessualità di per sé ad irritarlo, assolutamente no; in un posto del genere, pieno di pazzi e malati, non doveva di certo mettersi a fare lo schizzinoso o a giudicare la gente per i loro gusti sessuali o altro. Il vero motivo per cui Marluxia non gli piaceva, oltre al fatto che faceva parte dell'allegra combriccola degli svitati del terzo piano, era semplicemente che ci aveva provato spudoratamente con lui già ben cinque volte.
Le prime volte si era limitato a riempirlo di lusinghe anche romantiche, lasciandogli perfino delle rose davanti alla porta di camera sua; poi, notando che le sue attenzioni non venivano ricambiate in alcun modo, era passato agli apprezzamenti più pesanti e sconci, palpandogli addirittura il sedere e ricevendo in risposta un pugno sul naso durante l'ora di giardinaggio -Materia che, al contrario di Marluxia, Roxas detestava a morte. Non gli interessava assolutamente nulla di come piantare uno stupido fiore, per lui poteva benissimo anche appassire-.
E tutto questo si aggiungeva al fatto che lo trovava estremamente inquietante, sotto diversi punti di vista. Erano ben pochi a sapere del perché fosse finito in quel posto di matti e Roxas era uno di quelle persone che, in quel caso, preferiva tapparsi le orecchie e fare finta di niente. Soprattutto quando aveva sentito dire in giro che forse aveva un piercing nelle suddette 'parti basse'.
L'uomo sorrise. «Dov'è il tuo amichetto?»
Roxas dal canto suo sollevò istintivamente un soppraciglio. «Cos'è, quella vipera di Larxene ti ha chiesto di fare il lavoro sporco al posto suo?», sputò aspramente, consapevole di essere conosciuto anche per la sua estrema bastardaggine; Marluxia però non fece una piega, mantenendo la sua solita espressione dipinta sul volto. «No, mi dispiace dirtelo, ma hai sbagliato, caro il mio biondino. Semplicemente lo sto cercando anch'io per poterlo consegnare a Larxene.»
«Così lei gliene potrà dare di santa ragione.», concluse il diciottenne apaticamente. «E che cosa ti farà credere che io ti dica dove si trova Hayner?»
«Volete chiudere o no la bocca? Sto cercando di seguire il film.», si intromise improvvisamente un ragazzo dai capelli argentati seduto nell'ultima fila, voltandosi verso gli altri due con aria estremamente irritata.
Marluxia alzò allegramente la mano sinistra in segno di saluto. «Andiamo Riku, datti una calmata. Non è mica colpa mia se questo bocconcino non mi vuole dire dov'è Wiedenkeller.»
«Peccato che il suddetto ''bocconcino'' se la sia data a gambe.», osservò con indifferenza Riku, indicando con un cenno della testa lo spazio del muro in cui prima vi si era appoggiato il biondo; Marluxia sobbalzò e grugnì qualche insulto a denti stretti, uscendo immediatamente dalla sala e iniziando così a correre.
«Svitati.», commento tra sé e sé il ragazzo dai capelli argentati, tornando ad osservare il grande schermo nella speranza di godersi finalmente il film in pace.
Nel frattempo Roxas stava cercando di correre il più velocemente possibile, sforzandosi in ogni modo di ignorare il solito dolore alle gambe; rischiò di scivolare lungo le piastrelle, ma riuscì a mantenere miracolosamente l'equilibrio.
«Hagen, lo sai che sono più veloce di te!», sentì tuonare alle proprie spalle. «Ti consiglio di fermarti e di dirmi dov'è Hayner, altrimenti se Larxene spezzerà le ossa a lui, io farò la stessa cosa con te!»
Ma poi perché diavolo doveva cacciarsi anche lui nei guai? E sempre per colpa del suo migliore amico, per giunta. Insomma, lui non sapeva neanche dove si fosse cacciato, però, nonostante avessero litigato, non se la sentiva proprio di farlo ammazzare di botte da quella vipera di Larxene.
«Aqua!», udì improvvisamente chiamare dall'uomo che non cennava a rallentare la propria corsa. «Fermalo, ti prego! Ferma questa peste!»
Roxas tornò ad osservare di fronte a sé e notò che in fondo al corridoio vi era appunto una ragazza da capelli celesti e lisci; Aqua inclinò il volto su un lato, non riuscendo ad inquadrare la situazione di fronte a sé.
«Prendilo, cazzo!», strillò Marluxia e questa volta lei si convinse e spalancò le braccia; il diciottenne rallentò immediatamente la corsa fino a fermarsi, notando, con sua grande fortuna, la presenza dell'ascensore alla sua destra. Premette velocemente il tasto ed esso si aprì.
«Buona serata, coglioni.», salutò con un falso sorriso dipinto sul volto prima di entrare velocemente, schiacciando un pulsante a caso giusto l'attimo prima in cui l'uomo potesse raggiungerlo; attraverso il vetro trasparente vide il suo volto infuriato e sventolò allegramente la mano sinistra, facendolo irritare ulteriormente.
Tirò un sospiro di sollievo quando udì una voce accanto a sé. «Anche tu qui?»
Roxas lanciò un urlo a causa dello spavento, finendo con le spalle al muro e sentendo nel frattempo il cuore in gola; vide poi il volto divertito del suo migliore amico e si mise una mano sul petto. «Cazzo, potevi dirlo che eri qui.»
Hayner sghignazzò. «Volevo farlo, ma sembravi impegnato a fuggire dal gay e dall'altra sua amichetta.»
«Sì, e per colpa tua.», osservò aspramente l'altro, riprendendosi del tutto dal colpo mentre le porte dell'ascensore si aprirono; Roxas porse il volto fuori e si guardò attorno. «Ma guarda tu che fortuna, siamo capitati proprio nel nostro piano.», e, dopo aver detto ciò, iniziò a camminare per i lunghi corridoi, seguito a ruota dal compagno che riprese a parlare. «Dovevi vedere quella bestia di Larxene; quella è tutta fuori, te lo dico io! E' venuta a cercarmi come una furia ancora prima che mi recassi in sala tv: voleva riempirmi di botte, cazzo. Sono stato salvato da Astron che era per i corridoi e l'ha fermata, altrimenti a quest'ora non sarei più in questo mondo.», raccontò con fare teatrale Hayner, annuendo. «Alla fine me la cavo sempre, perché io sono il grand-»
«Perché ti comporti in questo modo?», Roxas si fermò improvvisamente, voltandosi verso l'amico prima di osservarlo intensamente negli occhi. «Insomma, prima mi mandi a quel paese e adesso... Adesso mi parli come se nulla fosse?»
L'espressione dell'altro cambiò immediatamente e i suoi occhi marroni si fecero più scuri. «Non ti aveva mai detto fastidio il nostro modo di fare pace.», rimase in silenzio per qualche secondo prima di sembrare improvvisamente preoccupato e allarmato. «Aspetta, Astron ti ha detto qualcosa?»
Roxas scosse la testa. «No, perché? Gli dici qualcosa di particolare su di noi durante le tue sedute?», e finalmente ebbe il coraggio di chiederglielo apertamente. Sperò intensamente che rispondesse; sperò che gli dicesse una volta per tutte ciò che aveva da dire. Sperò e, come sempre, il suo desiderio non si realizzò.
«Ma figurati.», si affrettò a dire con aria vaga Hayner, facendo un cenno con la mano prima di tornare il solito ragazzo dal sorriso ironico stampato sul volto. «Gli parlo solo delle cagate che faccio durante le ore della signora Olsen.»
Roxas accennò un sorriso tirato, decidendo di lasciare perdere l'argomento per poi riprendere a camminare.
«Non dirmi che vuoi già tornare in camera? Non sono nemmeno le dieci! Neanche i vecchi dell'ultimo piano vanno a dormire così presto.», gli fece notare l'amico, accostandosi a lui. «Dai, Roxas, andiamo a fare qualcos'altro.»
«Come farci ammazzare da Larxene e Marluxia? Scommetto che avranno costretto tutti gli svitati del terzo piano a cercarci. Questa sera lascia perdere, Hayner. Sono troppo giovane per morire.»
Nonostante talvolta si ritrovava a pensare che forse la morte sarebbe stata meno dolorosa della sua attuale situazione.
Hayner sospirò pesantemente con aria arrendevole. «Va bene, va bene.»
«E comunque non dobbiamo mica dormire per forza.», proseguì Roxas, giungendo di fronte alla porta della propria camera.
«Allora cazzeggiamo un po' nella tua stanza.», concluse il compagno, ritrovando il buon umore; l'altro fece per aprire la porta, quando si fermò per qualche secondo, facendo cenno ad Hayner di tacere. «Non la senti?»
«Cosa?»
«La musica.», rispose il giovane dalle iridi blu, appoggiando l'orecchio sinistro sulla porta con aria indagatoria. «Adesso si sente benissimo.»
Hayner imitò il suo gesto e si illuminò immediatamente. «Cazzo, è vero.»
«I've got that summertime, summertime sadness.», ripeté le parole della cantante, allontanandosi di scatto dalla porta; alzò poi lo sguardo sul piccolo cartellino che segnava il numero trentaquattro, quasi timoroso di aver sbagliato seriamente stanza. Si voltò poi all'indietro e notò la porta graffiata del suo migliore amico che segnava il numero trentadue.
«Sicuro che non hai una radio?», chiese improvvisamente Hayner, assai perplesso; Roxas lo guardò male prima di rispondere ironicamente. «A meno che non l'abbia tirata fuori dal culo o che non me l'abbia portata la fatina dei denti, no.»
«Allora lì dentro c'è qualcuno.», alla conclusione dell'amico il biondo sentì un brivido freddo percorrergli la schiena.
E se fosse davvero... ?
«Ci devono aver fatto qualche scherzo idiota.», commentò poi con voce improvvisamente tremante Roxas, come se stesse cercando di convincere se stesso; tirò fuori la chiave e fece scattare la serratura, aprendo la maniglia con il cuore in gola.
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*Note di Ev'*
Ed ecco qui il secondo capitolo di 'Insidie Interiori'.
Vorrei anzittutto ringraziare le persone che hanno recensito il capitolo precedente; siete stati adorabili, davvero, vi prometto che risponderò presto ai vostri commenti e mi auguro che anche questo capitolo sia stato di vostro gradimento.
Passiamo dunque all'analisi (?). Il capitolo è diviso in due parti; all'inizio si vede Roxas che parla appunto con il suo psicologo e si scopre qualcosa in più sul rapporto tra lui ed Hayner, nonostante non si sappia ancora quali problemi reali abbiano. Mentre, nella seconda parte, vediamo un folle inseguimento tra Marluxia e il biondo, il quale poi fa pace con il suo migliore amico e insieme si recano in camera. Lì, però, sentono una canzone provenire dall'interno e... Bum, ho interrotto sul più bello. Inizialmente avevo pensato a proseguire un altro po', ma ho preferito lasciarvi la tensione addosso è_é
Mah, non ho molto da dire... Questa storia mi sta prendendo parecchio, sì.
E, come sempre, vi prego di recensire Siamo appunto in un sito in cui ci si deve confrontare e quindi mi sembra giusto lasciare un commento in qualsiasi storia si legga.
Bene, detto ciò, posso svanire di scena.
Alla prossima!
E.P.R.

 

   
 
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