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Autore: Ryta Holmes    12/02/2007    8 recensioni
Ginevra Weasley è stata assunta come insegnante privato di una bambina. Ma quando scopre che il suo datore di lavoro, non che padre della piccola Vivian, è una persona che conosce molto bene e per cui non prova molta simpatia, le cose potrebbero complicarsi... e se si aggiunge anche un mistero che avvolge il luogo in cui Ginny si è trasferita e che lega anche Vivian? Ispirato a Jane Eyre, di Charlotte Bronte
Genere: Fantasy, Mistero, Romantico, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Draco Malfoy, Ginny Weasley
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Vorrei sprecare due paroline prima di iniziare. Perché vorrei scusarmi con tutti i lettori di questa storia. E’ vero, è trascorso un anno e mezzo dall’ultima pubblicazione e poi non vi ho più dato mie notizie. Vi ringrazio per le tante richieste di concludere la fanfic e – avete fatto benissimo – anche per le minacce. E vi ringrazio se adesso avete ancora voglia di leggere quest’ultimo capitolo.

In questi ultimi mesi ci sono stati dei momenti terribili e altri al contrario meravigliosi che mi hanno allontanato dalle mie storie. E in più, perché le cose non vengono mai sole, ho dovuto lottare a più riprese con pc senza vita e internet assente.

Ora finalmente ho ripreso in mano le mie storie e ho tutta l’intenzione di concluderle una per una. Ammetto che scrivere mi è mancato, ma mi rendo anche conto che prima non avrei potuto avere lo stesso risultato se mi fossi messa a chiudere Il buio, cosa di cui vado soddisfatta.

Ora non vi annoierò ancora e vi auguro una buona lettura! ^^

IL BUIO HA I TUOI OCCHI

CAPITOLO 12

Il trillo di una campana risuonò nel silenzio della campagna assolata. I rintocchi allegri e alternati interruppero l’amenità del luogo immobile all’ora di pranzo.

E a seguire un vociare vivace e concitato si sparse per le vie del piccolo villaggio situato in quel luogo.

“Ricordatevi che domani abbiamo una verifica, ragazzi!”

All’improvviso sulla porta della stanza accanto alla chiesetta, adibita ad aula scolastica, comparve l’insegnante che da qualche mese aveva preso i pochi ragazzi del villaggio rimasti senza guida, quando il loro vecchio maestro era scomparso alla veneranda età di ottantaquattro anni.

Solo pochi si voltarono annuendo e salutandola. I più piccoli scorazzarono verso casa, gridando, felici per il meritato riposo dopo un’intera mattinata trascorsa sui banchi scolastici.

L’insegnante sospirò rassegnata. Conosceva quei ragazzi solo da poco, ma ormai aveva imparato a conoscerli bene… e in qualche modo ad affezionarsi a loro.

“Se lo ricorderanno, tranquilla.”

Una voce alle sue spalle la richiamò. Non le servì voltarsi per sapere chi fosse, ma dopo aver chiuso la porta, decise di incrociare comunque il suo sguardo.

“Lo so bene, padre John.”

Pochi instanti di silenzio nei quali lei lo aveva guardato divertita e come in attesa… e in effetti si stava chiedendo quando sarebbe esploso. Giusto cinque secondi.

“Ohhhh, Ginny! Quante volte ti ho detto di non chiamarmi così! Mi fa sentire vecchio!”

Lei ridacchiò, avvicinandosi all’uomo e battendogli una mano sulla spalla. “Ma se ti ci chiamano tutte le vecchiette del villaggio. Perché non posso farlo anch’io?”

John le rivolse un’occhiata obliqua, tanto che i suoi occhi azzurri si nascosero sotto le palpebre per qualche secondo. “Perché abbiamo la stessa età e tu non sei una vecchietta, ma una bella ragazza.”

Un piccolo sbuffo divertito, celando l’imbarazzo per quel complimento, le sfuggì dalle labbra, mentre si accingeva a riporre i libri nella borsa.

“Non ti smentisci mai, eh John. E sei un pastore…”

“Non so se ne sei al corrente, ma i pastori protestanti possono sposarsi.” Replicò l’uomo, avvicinandosi alla cattedra con pochi passi veloci. Allargò le braccia, iniziando quello che Ginny definiva ‘il monologo del convicimento’. In sostanza John iniziava un lungo soliloquio nel quale spiegava per punti e per ipotesi come sarebbe stata felice la loro vita assieme, se solo lei si fosse decisa a sposarlo.

Ma quella volta Ginny aveva fame e non le andava proprio di stare ad ascoltarlo. Perciò pose una mano davanti alla sua bocca, piegandosi in avanti oltre la scrivania. “Alt. So già cosa vuoi dirmi, non c’è bisogno che lo ripeti. Tanto la mia risposta è sempre la stessa.”

Lo sguardo di John si fece capriccioso, come i suoi alunni quando lei è costretta a rimproverarli. Ma in effetti, pensandoci bene, padre John aveva spesso dei modi di fare un po’ infantili; nonostante fosse ritenuto il miglior partito nell’intero villaggio: bello, onesto e di condizioni modeste. Ginny doveva ritenersi fortunata per quella corte, ma non per questo si era mai fatta convincere.

“Dai, non ha senso che mi rifiuti! Sei sola e anch’io, sei una bella donna e anche molto buona. Come puoi….”

“John, non ti amo. Quante volte devo dirtelo? Non mi sposo senza amore e dovresti evitarlo anche tu, visto che lo predichi così tanto nei tuoi sermoni. Mi dispiace.”

Se ne uscì dalla stanza con un passo celere, stringendosi la borsa al petto. Nonostante tutto si sentiva in colpa. Sapeva che c’era dell’affetto nei suoi confronti, ma lei….

Lei non poteva amarlo. Non dopo così poco tempo.

Nel rientrare nella stanza che aveva affittato ad un’eccentrica signora del posto, gettò la sacca in un angolo e poi sprofondò nel suo letto.

Ogni volta era la stessa storia, John tornava all’attacco, lei replicava – dapprima in maniera gentile, poi sempre più bruscamente – e finiva col rivangare nella mente il motivo per cui era scappata via e si era nascosta in quel villaggio sperduto nella brughiera inglese, dove nessuno sapeva che il suo vero nome non era Ginny Weyler, ma Ginny Weasley e dove nessuno sapeva che era una strega.

*

“Che… che cosa sei tu….”

Era corsa via da quella soffitta, senza voltarsi indietro nemmeno una volta. Aveva sceso le scale di corsa e aperta la porta d’ingresso si era riversata nei giardini. E poi aveva continuato a correre e a correre, continuato fino a che non aveva visto le prima case di Hay e le gambe non l’avevano retta più.

In un primo momento non si era accorta di aver raggiunto il villaggio, tanto aveva la vista offuscata dalle lacrime e dalla pioggia che scendeva incessante. Si era accasciata contro un muro e lì aveva continuato a piangere per un tempo indecifrabile, cercando di recuperare il respiro, già difficoltoso per il troppo dolore.

L’aveva tradita. Aveva tradito la sua fiducia… e soprattutto l’aveva soltanto presa in giro.

Non era lei la persona più importante nella sua vita. Non lo era nemmeno sua figlia. Era ancora Gloria Rookwood ad occupare i suoi pensieri.

Eccola quell’ombra che lo assillava, ecco il motivo per cui lei non sentiva che stesse dando tutto se stesso.

Lui amava ancora quell’assassina. E lei non poteva competere con quel legame.

Singhiozzò ancora per diversi minuti, fino a quando non si era risollevata in piedi e aveva ripreso a camminare. Nonostante la stanchezza, voleva allontanarsi da quel posto. Doveva farlo, il prima possibile. Così alla fine, decise di ignorare qualsiasi legge sul controllo della magia e decise di Smaterializzarsi.

Non seppe nemmeno lei dove arrivò. La mente troppo offuscata non le aveva dato l’opportunità di eseguire l’incantesimo correttamente e così si era improvvisamente ritrovata nel bel mezzo di una campagna buia. Ma almeno lì non pioveva.

Mosse qualche passo, cercando di guardarsi intorno e in un primo momento aveva vagato come ubriaca, senza sapere dove andare. La vista ancora annebbiata, ma cosa peggiore una sensazione di spossatezza e di crollo mentale. Poi all’improvviso si era piegata in due, crollando su se stessa. E aveva cominciato a tossire. Un attacco di crisi respiratorio, proprio nel bel mezzo del nulla… si contorse su se stessa, continuando a piangere e cercando inutilmente di respirare, di poter incamerare ossigeno. Ma il dolore era troppo forte e lei non riusciva a calmarsi.

Sarebbe sicuramente morta, se all’improvviso non l’avesse colpita una luce e lei nel delirio e nella crisi non aveva intravisto un ciuffo di capelli biondi.

“Dra-…..drac-….o…”

“Chiamiamo subito il medico, presto! Questa ragazza sta male!!” una voce lontana, un ultimo pensiero a lui. Poi più niente.

Nell’incoscienza, ricordò solo strani e lunghi sogni, molti dei quali terribili incubi.

Sognò Draco e Gloria nella scuola dove furono trucidati i bambini, poi Vivian torturata da Gloria… e altri sogni ancora più strani, come il maniero dei Malfoy in fiamme, lui orribilmente deturpato e la signora Rachele distrutta dal dolore.

Poi l’incoscienza finì e lei si era trovata in un letto candido e piccolo, in una stanza dall’aria un po’ vecchia, ma sapientemente arredata in modo da renderla accogliente e confortevole.

Si era chiesta dove fosse finita e da quanto tempo era scomparsa, ma l’unica risposta che ricevette fu sottoforma di un vassoio lasciatole accanto, sul comodino, con del brodo caldo.

Si era rifocillata a fatica. Si sentiva debole e spossata e soprattutto era convinta di avere la febbre, considerato che la testa le doleva e le girava ad ogni movimento.

Dopo quel primo pranzo, alternò momenti di incoscienza ad altri in cui era sveglia, ma fino a quel momento si era sempre trovata da sola.

Poi, una mattina di un paio di giorni dopo qualcuno aveva bussato alla porta e lei ansiosa aveva replicato. Rivide di nuovo quel ciuffo di capelli biondi e in quel momento si rese conto di quanto era stata stupida a pensare che fosse stato lui a salvarla.

La persona che aprì la porta fu un uomo di chiesa – forse un pastore – dall’aria veramente giovane. Aveva grandi spalle e un bel portamento, gli occhi azzurri come il cielo e la capigliatura bionda, ma non come quella che lei conosceva bene. Era il colore del grano maturo, quella che vide sul capo del prete.

Accennò un sorriso, quando lui si scusò e chiese di poter entrare. Sembrava un tipo piuttosto alla mano, ma era ancora troppo presto per poter dare un giudizio.

“Sono contento che ti sia ripresa…. Quando ti abbiamo trovata eri in pessime condizioni e abbiamo creduto il peggio….” Dopo queste ultime parole si era oscurato, ma solo il tempo di sederle accanto. Aveva scrollato le spalle recuperando il sorriso. “Ma adesso è tutto finito! Allora come ti senti?”

Fino ad allora lei non aveva parlato, ma la colpì il modo di porsi dell’uomo così gioviale anche con un’estranea. Si chiese se non fosse prerogativa degli uomini religiosi.

“Ora molto meglio, grazie…. Quanto… quanto tempo sono stata qui?” cercò poi di domandare, mentre sentiva una leggera preoccupazione assalirla.

“Con oggi sono dieci giorni. Hai avuto una febbre da cavallo che non accennava ad abbassarsi. Ma come hai fatto a ridurti in quel modo?! Non avrai certo cercato di farti un bagno nel laghetto del signor Ross!”

Improvvisamente si ricordò che era stata ritrovata completamente fradicia nonostante in quel posto non piovesse. Strinse i pugni nel lenzuolo senza sapere cosa rispondere. Aveva la mente ancora troppo confusa per poter mentire in così poco tempo.

Comunque non ce ne fu bisogno, perché l’uomo le picchiettò delicatamente su una spalle e le offrì un sorriso sincero.

“Non importa se adesso non ne vuoi parlare. Quando sarai pronta sarò qui ad ascoltarti. Per il momento vorresti almeno dirmi come ti chiami? Giusto per tranquillizzare la nostra signora Lawrence che ti ospita che non sei una teppista che è venuta qui per portare disgrazia.”

“Ah, sì!” esclamò lei come risvegliandosi. “Ginny W-…. Weyler. Ginny Weyler… e può tranquillizzare Mrs Lawrence che non sono una teppista ma un’insegnante… e che il suo brodo è eccezionale.”

L’uomo ridacchiò, alzandosi in piedi. “Bene, Ginny Weyler, sarà fatto. Ah, il mio nome è John. Sono padre John, ma preferirei evitare di essere chiamato così, mi fa sentire vecchio.”

Ginny aveva sorriso, osservandolo avvicinarsi alla porta e salutarla. Quando poi era rimasta sola, aveva chinato lo sguardo e di colpo aveva lasciato che tutti i ricordi tornassero a galla.

Ormai sicura di essere lasciata tranquilla, si abbandonò sul letto piangendo per diverso tempo.

La sua salute migliorò molto in fretta da quel giorno. Fortunatamente aveva sempre avuto una costituzione di ferro, anche se sospettava che quel crollo fosse stato causato non tanto dalla corsa sotto la tempesta, quando dal crollo psicologico che aveva avuto a causa di Malfoy.

Dopo alcuni giorni passati a compiangere se stessa, il suo senso pratico aveva infine prevalso e con grande determinazione aveva deciso che si sarebbe impegnata a superare il dolore e a ricominciare una nuova vita.

D’altronde quel posto offriva molte opportunità. Già un paio di giorni dopo il suo risveglio, padre John era venuto a chiederle le sue intenzioni – cioè se avesse o meno intenzioni di andarsene – perché da alcune settimane il maestro che insegnava ai ragazzi del posto li aveva lasciati e lui era stato costretto a dividersi tra lezioni per i suoi piccoli fedeli e sermoni per quelli più grandi.

Le aveva lasciato il tempo di pensare, ma già da quando le era stato proposto quell’impiego ne era rimasta convinta. Avrebbe avuto un lavoro… e in quel caso Miss Giuliet, una donna dall’aria eccentrica ma molto simpatica, le avrebbe permesso di affittare una sua stanza.

“Ha una grande casa, ma è anziana e vive da sola…. Penso che sarà contenta di avere compagnia.” Le aveva detto John, il giorno in cui le aveva spiegato quell’opportunità.

E questo aveva convinto Ginny ancora di più.

Infine non aveva più avuto dubbi, quando potendo finalmente uscire a vedere il villaggio, ne era rimasta affascinata.

Le piaceva la vita di quel posto. Hobbyville, come si chiamava, era un piccolo paesino sperduto nella brughiera. Babbano ovviamente. Lì esistevano leggende su streghe e fantasmi, ma erano solo credenze popolari che raccontavano i nonni ai nipoti. Non c’era nessun mago o strega in quel villaggio, di questo ne era sicura, perché altrimenti avrebbe percepito la magia come aveva imparato a fare quando aveva fatto il corso da Auror. E questo era un grande punto a favore: perché lei aveva deciso di non usare più la magia. Aveva anche lasciato la sua bacchetta al maniero quella notte, perciò aveva preso quell’incidente come un segno del destino e aveva rinunciato ai suoi poteri.

Hobbyville in ogni caso era un villaggio pieno di gente buona e semplice. Erano soprattutto famiglie di contadini che si accontentavano dei loro raccolti e avevano pochissimi contatti con i paesi più vicini (che distavano almeno 30 miglia da ogni parte). E poi c’erano tanti bambini. Allegri, vivaci e spensierati, la gioia di vivere incarnata. E sicuramente fu questo che convinse del tutto Ginny a restare.

Dagli abitanti in un primo momento era stata vista con diffidenza: era la straniera misteriosa che era comparsa da chissà dove in maniera molto strana.

Ma poi aveva iniziato ad insegnare ai loro figli, e i bambini coinvolti nello studio come non lo erano mai stati con il loro vecchio insegnante, avevano fatto cambiare la sua opinione.

E in poco tempo si era fatta conoscere e amare da tutti.

Aveva ricominciato a sorridere e a godere della vita, tanto che il dolore si era a poco a poco attenuato ed era stato chiuso in un angolo del suo cuore.

Angolo che però, tornava a farsi sentire ogni volta che si trovava da sola… e ogni volta che discuteva con John, che aveva iniziato a farle la corte appena poche settimane dopo il suo arrivo.

Ma lei non poteva amarlo….

*

“Piccola Ginny, non vuoi cenare, questa sera?”

La domanda era giunta da dietro la porta della stanza. La ragazza si era alza dal letto nel quale era sprofondata in un sonno agitato e si era avvicinata all’uscio.

Aprì la porta sbadigliando e poi passandosi una mano tra i capelli per ravvivarli.

“Sì, Miss Giuliet. Mi scusi se ho saltato il pranzo.”

In effetti nonostante la fame, una volta tornata a casa le era passata la fantasia di mangiare e aveva finito con l’addormentarsi, dopo un pianto mesto.

La signora, sorrise dietro i suoi grandi occhiali, mettendo bene in mostra il rossetto sgargiante che portava sulle labbra.

“Ma tranquilla, mia cara. Non importa. Adesso però vieni a cena, perché non sta bene saltare anche quella. Ti deperirai, bambina.” La ammonì, prendendole il viso tra le mani. Poi, con una scrollata di spalle, si era voltata verso le scale.

“Ti aspetto di sotto, bambina mia. Non fare tardi.”

Ginny aveva risposto di non preoccuparsi e poi aveva richiuso la porta sorridendo.

Miss Giuliet era davvero una donna stravagante. Minuta ma composta, sempre ben truccata e portava degli abiti sgargianti, corredati da uno stuolo di braccialetti e di collanine. Così com’era le ricordava in maniera impressionante la Cooman, tanto che la prima volta che l’aveva vista, aveva creduto fosse una strega. Ma non aveva percepito magia in lei, perciò aveva concluso che si trattasse solo di una donna stramba.

I suoi modi, comunque erano gentili e disponibili e fin dall’inizio aveva preso a trattarla come una figlia.

Ginny si era sistemata velocemente, cambiandosi d’abito e spazzolandosi i capelli. Guardandosi allo specchio si ricordò di aver lasciato tutti i vestiti al maniero e che era stata fortunata nel trovare dei vecchi abiti di Miss Giuliet, da indossare. Aveva scelto quelli meno vistosi e ne aveva fatto il suo guardaroba.

Scuotendo il capo per non pensare a Malfoy, per l’ennesima volta, era scesa giù per le scale a passo svelto.

In sala da pranzo trovò Miss Giuliet intenta a versare nei piatti un invitante e profumato spezzatino. Il suo stomaco le ricordò di essere a digiuno da ore e perciò fu ben contenta di sedersi a tavola. E le bastarono pochi minuti per vuotare il piatto con soddisfazione.

In questo aveva preso decisamente dai suoi fratelli. Ricordava ancora bene le lotte con Ron, Fred, George e gli altri su chi dovesse prendere l’ultimo pezzo di focaccia o di carne.

Questo le fece venire in mente che effettivamente le mancava molto la sua famiglia. Ma ormai faceva parte del passato….

“Bambina mia… cosa ti turba?” la domanda le era arrivata alle orecchie spiazzandola. Prima di allora Giuliet non aveva mai osato chiederle nulla.

L’aveva guardata un po’ sconcertata, non sapendo cosa rispondere. Poi alla fine aveva optato per un neutrale “Nostalgia.”

L’anziana donna aveva stretto le labbra preoccupata. “Ginny cara… se c’è qualcosa che posso fare… anche solo ascoltare. Padre John è convinto che tu abbia sofferto molto per qualcosa, mi ha raccontato che deliravi tanto quando sei arrivata qui. Ma certe cose non si possono dire ai maschietti…. Se invece hai bisogno di aiuto…”

“Grazie. Ma non mi sento ancora pronta.” Si era affrettata ad interromperla. Era stata sincera. Il problema non era la persona a cui parlarne, ma lei stessa. Il dolore era ancora troppo forte, nonostante cercasse in ogni modo di non pensarci.

Miss Giuliet sospirò rassegnata, alzandosi in piedi per portare via i piatti. “Ho capito, bambina…. Come preferisci.”

Lei non aveva commentato, anzi aveva fatto finta di niente, decidendo di prendere un sorso di vino. Fu mentre prendeva in mano la bottiglia che le venne un colpo. Una voce lontana, ma ben conosciuta, forse troppo conosciuta le attraversò la mente.

“….Ginny!”

E la bottiglia era andata in frantumi. In pratica era esplosa.

“Ommerli-!” Ginny esclamò alzandosi in piedi di colpo, spaventata. Senza rendersene conto aveva usato la magia involontariamente e il vino era andato a versarsi un po’ ovunque.

Cosa peggiore Miss Giuliet si era spaventata a tal punto, che per alcuni istanti l’aveva fissata sconvolta, gli occhi fuori dalle orbite e una mano sul petto che si muoveva velocemente.

“M-mi scusi… non so come ho fatto… devo averla stretta troppo forte!” si affrettò a spiegare, agitata. Si augurò che ci credesse.

Miss Giuliet, recuperò un po’ di autocontrollo e si avvicinò alla ragazza. “Non importa, Ginny, non importa! Era una vecchia bottiglia! Ma se ti sei fatta male…”

“No, sto bene…” la tranquillizzò controllandosi la mano e il braccio. “Sto…. Bene.”

La donna la controllò non convinta e poi tirò un sospiro di sollievo. L’istante dopo aveva incominciato a ripulire il disastro, borbottando ancora un po’ scossa.

“Dannate vecchie bottiglie… dannate.”

Ginny si apprestò ad aiutarla, ma dentro probabilmente era più scossa della sua padrona di casa. Non poteva credere a quello che aveva udito. E non poteva essere stata un’invenzione della sua mente.

Quella era la voce di Malfoy.

*

Erano due giorni che non faceva altro che pensarci. Nonostante si sforzasse di fare altro, di impegnare ogni momento della sua giornata, la mente la riportava sempre a quella voce, a quel richiamo che tanto l’aveva turbata.

E non solo perché sapeva a chi appartenesse quella voce, quanto per il tono che era stato usato.

Sembrava disperato.

“Non è possibile…” si ripeteva ogni volta che arrivava a quel punto nei suoi ragionamenti. Non era possibile che lui fosse disperato.

E non era possibile che sentisse la sua voce a chissà quante miglia di distanza. Non l’aveva calcolato mai con esattezza, ma sapeva di essersi Smaterializzata praticamente dalla parte opposta dell’Inghilterra.

Doveva convincersi di lasciar perdere, perché altrimenti quella storia l’avrebbe portata verso l’esaurimento… anzi, verso un altro esaurimento, come quello che aveva avuto mesi prima.

Anche se si riteneva davvero disperata se era arrivata a sentire voci nella sua testa….

“Terra chiama Ginny…? Ti avrò disponibile o attenderò che ti risvegli dal mondo dei sogni?”

Ginny scosse la testa confusa. Quando tornò a concentrarsi si ritrovò in sacrestia, seduta al grande e vecchio tavolo che si trovava nella stanza. Ma davanti a sé non c’erano più i compiti che correggeva, bensì il faccione preoccupato di John.

“Ehi… stai bene?”

Lei si schiarì la voce, sbattendo le palpebre più volte. “S-sì sì. Ero solo soprapensiero, scusa.”

L’aria dell’uomo si incupì per qualche istante. “Pensi sempre a cose sgradevoli…” mormorò come se fosse un’affermazione. E prima che Ginny potesse chiedergli spiegazioni – non tanto perché non sapesse di cosa parlasse, tanto perché voleva sapere come facesse ad intuirlo – John sollevò le braccia.

“Sono venuto in pace. Giuro che non ti assillerò.”

Ginny sospirò accennando un sorriso. “Allora sei ben accetto. Questi compiti mi stanno facendo impazzire. Nemmeno Vivian era-”

Inghiottì il resto delle parole, quando si rese conto di cosa stava dicendo. Un’improvvisa morsa nel petto la costrinse a trattenere il fiato. Le era costato abbandonare quella casa e Malfoy… ma le era costato tanto anche abbandonare Vivian.

Come avrebbe vissuto adesso con un padre snaturato ed una madre assassina? Come avrebbe fatto a mantenere quel sorriso che con tanto sforzo era riuscita a tirarle fuori?

La immaginava triste e sola… ma quasi sperò che Malfoy – Malfoy… da quanto aveva ripreso a ri-chiamarlo per nome? Forse da quando si era resa conto che Draco le faceva molto più male – l’avesse mandata in collegio come aveva prospettato quando fingeva di voler sposare la Parkinson. Almeno lì sarebbe stata al sicuro e lontana da tanta cattiveria e devianza.

Non riusciva a restare impassibile anche a questo e a fare finta di niente. Quando tutta la tristezza la colpì di nuovo, si portò una mano alla bocca e gli occhi le si riempirono di lacrime.

“Scusa…” biascicò cercando di alzarsi in piedi. Non voleva piangere davanti a John… sarebbe stato come mandare a monte tutti i suoi propositi. Ma fu lo stesso pastore a fermarle un braccio per evitare che fuggisse e a posarle l’altra mano sulla spalla.

Tra le lacrime intravide il suo sguardo rassicurante, non quello di un corteggiatore, ma di un amico… una persona fidata a cui aprirsi. Fu come se un enorme macigno si sollevasse per farla respirare.

E lo abbracciò. Si strinse forte a lui in cerca di sostegno e il calore che ricevette fu così inaspettato e intenso da permetterle di lasciarsi andare, finalmente.

“Mi dispiace…mi dispiace…” mormorò tra i singhiozzi, mentre John le accarezzava i capelli e la stringeva con rassicurazione. Non disse nulla, permettendole di sfogarsi per tutto il tempo che le serviva, ma continuando a mostrarle tutto il calore di cui aveva bisogno.

Non seppe dire quanto tempo era trascorso, ma sicuramente fu un lungo pianto liberatore. Aveva pianto già tante altre volte… ma mai in maniera così intensa come in quell’occasione.

Quando finalmente i singhiozzi diminuirono si scostò da lui, sciogliendo l’abbraccio.

“Ti ho macchiato tutto il maglione…” constatò osservando l’alone scuro del golf grigio scuro di John. Si asciugò le lacrime – o quello che riusciva – con il palmo di una mano.

Lui sorrise, osservandosi la macchia. “Non importa…” il tono così tranquillo e dolce con cui parlava la rasserenavano e soprattutto la spingevano a parlare, a spiegare quello che aveva taciuto e che da quando era accaduto non aveva mai espresso a voce.

“John il motivo per cui non ti posso sposare è perché amo un’altra persona. La amo a tal punto essere fuggita dal mio passato in cerca di un po’ di pace.”

Nella pausa che seguì, l’uomo la osservò attento, ma l’espressione non mutò; continuò ad essere confortante come prima.

“Mi ha ferito… ha tradito la mia fiducia e-e… e me ne sono andata. Ma continua a perseguitarmi, perché nonostante sia lontano da qui il pensiero vola sempre a lui… e alla figlia che amavo e che mi ha costretto ad abbandonare.”

A quel punto la domanda di John la spiazzò. “Lui?”

Ginny sollevò il capo che aveva appena chinato per un sospiro e per asciugare ancora le lacrime insistenti. Lo sguardo che gli lanciò fu di pura confusione.

“Voglio dire.. è stato lui a costringerti? Hai detto di essere stata tu ad andartene…”

“Noo! Non è stato lui… ma…” balbettò in risposta, scuotendo la testa. Non riusciva a capire dove la volesse portare. “L’ho capito io… non me l’ha detto chiaramente, ma l’ho sentito.”

John le rivolse un sorriso, ma decisamente lei si sentì come se la stesse compatendo. “Mia cara Ginny, in alcuni momenti difficili si possono esprimere alcune cose che non si desiderano. E’ nella natura degli uomini.”

Le lacrime della ragazza cessarono d’improvviso e Ginny fu colta alla sprovvista. “M-ma…. Nooooo… no…. Non è possibile. Credimi John, la situazione era evidente, non mi potevo sbagliare.”

John restò immobile, sorridendole. “Anche sbagliare è nella natura umana. Se mi dici che la situazione era particolare, ancora meglio.”

Era senza parole. Ma accettare quello che il pastore le diceva era troppo per lei. E comunque John non sapeva cosa ci fosse dietro, non sapeva di Gloria, non sapeva che tipo fosse Malfoy. E con certa gente non si poteva parlare di natura umana.

Continuò a fare cenni di diniego col capo, nervosamente. E poi si asciugò definitivamente le tracce di pianto dal viso. “Mi dispiace, John. Ma non sono d’accordo. Lui non mi ama come vorrei, anche se fosse.” Chiuse gli occhi, quasi volesse chiudere la faccenda e non vedere più nemmeno lui. E restò ferma così, quando l’uomo si alzò dalla sedia, battendo le mani sulle cosce.

“Non ti sto dicendo cosa devi fare, solo quello che penso. Ma potrei sbagliarmi anch’io. Perciò non continuerò oltre… spero solo che dopo questo sfogo tu stia meglio e decida cosa è meglio per te.”

Non attese risposta, quando si allontanò uscendo dalla sacrestia. La lasciò sola tra i suoi pensieri confusi sapendo quanto dovesse riflettere.

Ma lei da riflettere non aveva un bel niente. La decisione l’aveva già presa. Sarebbe rimasta.

Quello che pensava di Malfoy era la verità e non sarebbe stata certo qualche voce nella sua testa a farle cambiare idea.

*

Quel giorno era stato decisamente spossante. Piangere in quel modo la stancava, ma soprattutto era la mente ad affaticarsi tanto da logorarla.

Così quando era rientrata in casa, si era congedata da Miss Giuliet ed era corsa in camera, dove si era addormentata per un tempo indefinibile. Quando riaprì gli occhi infatti vide che tutto era buio e anche le luci dell’abitazione erano state spente.

Controllando l’orologio capì che era notte fonda, ma lei ormai aveva dormito abbastanza e quella stanza le sembrò quasi stretta quando si rese conto che la notte era fresca, ma serena e la voglia di una passeggiata notturna l’aveva attirata non appena aveva messo il naso fuori dalla finestra e aveva visto la luna piena illuminare i campi.

Cercando di non svegliare Miss Giuliet era scesa al piano di sotto ed era uscita nel cortile, dove aveva preso una bella boccata di aria fresca.

Adorava passeggiare, ma di notte in quel posto così tranquillo e sereno era veramente invitante. Così si incamminò lungo la via principale – quella che portava fino alla chiesetta e che percorreva ogni giorno -, aggirò l’edificio religioso e continuò verso la campagna sconfinata. Lì non c’erano campi arati, ma solo prati incolti e piccoli viottoli battuti. Nonostante ormai l’autunno si fosse inoltrato, la brughiera offriva ancora molta suggestione. E così per un po’ si perse in quel mare d’erba dove non esistevano problemi o pensieri.

Lì non aveva bisogno di indossare una maschera, lì era libera di essere stessa, libera di smettere di pensare, libera di essere Ginny Weasley. Lì era solo una creatura vivente, assieme alle altre che popolavano la natura.

“Attenta a non perderti.” La voce la fece in un primo momento trasalire, ma quando si rese conto di chi parlava si rilassò e lo sguardo che gli lanciò fu contornato da un sorriso.

“Parli della mia testa o del mio corpo?” replicò scherzosamente.

John le si avvicinò, ma questa volta non la sfiorò. Aveva l’aria stranamente seria.

Ginny si strinse ancora di più nello scialle che si era messa sulle spalle e distolse lo sguardo. Da quando conosceva John non lo aveva mai visto con quell’aria… sembrava quasi innaturale.

“Di entrambi…” fu comunque la risposta tranquilla.

“E…. come mai anche tu qui a quest’ora?” non le dava fastidio che fosse lì, ma credeva che a quell’ora nessuno se ne andasse a spasso… tranne lei.

“Non riuscivo a dormire… pensieri.” Tossicchiò cercando di cambiare discorso. “Ti vedo un po’ più serena di questo pomeriggio… immagino che sia perché hai preso una decisione?”

Lei annuì senza parlare. Era convinta, convintissima di quello che aveva deciso. Non poteva fare altrimenti....

Stava per aprir bocca a spiegarsi, quando l’uomo la interruppe. “Prima di sentire cosa hai deciso, vorrei dirti una cosa.” I suoi occhi azzurri che fino a quel momento si erano persi nell’infinità della brughiera, si fissarono su di lei, costringendola ad incrociarli. L’espressione seguitava ad essere seria e questo la imbarazzava.

“Ascolta Ginny. So che il tuo cuore è occupato, ma se vuoi davvero chiudere con il passato un modo ci sarebbe e potrebbe affrettare le cose. In fondo penso che un po’ di affetto nei miei confronti ci sia e io ti amo. Veramente. Mi sono innamorato di te, della tua vitalità, del tuo sorriso… e anche delle tue lacrime. Quello che ti chiedo è di sposarmi, di permettermi di aiutarti a dimenticare e a tornare ad essere felice. Il mio amore è sincero, Ginny, non ti sto mentendo.”

Quella fu la prima volta che non rispose subito. E che non roteò gli occhi. E che non si infervorò.

Restò incatenata a quello sguardo determinato, soppesando una proposta che aveva fino a quel momento respinto, ma che adesso le appariva come una soluzione accettabile.

Si prese alcuni momenti per rispondere, nei quali chinò il capo, socchiudendo appena gli occhi.

Avrebbe potuto sposarlo davvero… avrebbe avuto la possibilità di tornare ad essere felice, di farsi una famiglia e di continuare ad insegnare a quei bambini.

E stava per dargli una risposta, quando lo sentì di nuovo.

“Ginny! Ginny! Perdonami! Perdonami…”

E fu come se un fulmine le avesse attraversato il cervello. Strizzò gli occhi, esclamando di sorpresa e stringendosi su se stessa. Si inginocchiò trattenendo il respiro, mentre quella voce si ripeteva ancora una volta.

“Ginevra… perdonami!”

“Ginny, che hai?!” un’altra voce si sovrappose a quella di Draco. Lei scosse la testa, coprendosi le orecchie con le mani.

“Non posso farlo! Non posso! Perdonami!” esclamò sentendo di nuovo i singhiozzi assalirla.

Questa volta John non la abbracciò, le posò una mano sulla schiena, lasciando che si calmasse da sola, ma lei sentì un sospiro sfuggirgli dalle labbra.

“Non posso sposarti, John… devo…. Devo tornare da lui…” la voce tremante uscì da sola, mandando a quel paese ogni decisione. Era quello che aveva sempre voluto e adesso ne aveva avuto solo la prova.

Il solo fatto di pensare di vivere la sua vita con un’altra persona le faceva sentire la sua presenza, anche da quella parte di mondo e le ricordava che era impossibile.

John le accarezzò la testa con dolcezza. “Ho capito. Non importa…” rispose tranquillo, ma da quello che conosceva Ginny, sapeva che doveva essere distrutto. Questo la fece piangere ancora di più e le ci volle un bel po’ prima di riuscire a riprendersi.

Poi, visto che le ginocchia le dolevano in quella posizione, si mise a sedere e prese dei lunghi respiri per cercare di riaversi.

Aveva la testa tra le mani quando le riuscì di parlare senza singhiozzare. “Perdonami John. Sono una pessima donna. Abbandonerò quei bambini e te…”

La colpì il modo con cui ridacchiò, segno che in qualche maniera aveva incassato il colpo… o per lo meno ci stava provando.

“Mah, prima o poi sentivo che avresti preso un’altra strada… in fondo ho solo fatto un ultimo tentativo.”

Lei lo guardò stranita. “Eri convinto che ti avrei detto di no? Guarda che ero sul punto di accettare, prima che…”

“Prima che sentissi quale era la tua vera strada.” Concluse lui per lei, forse con un briciolo di rassegnazione. Smise di guardarla, perdendo nuovamente lo sguardo sull’orizzonte. “Non puoi andare contro la volontà di chi sta lassù.”

Ginny non rispose, lasciò vagare anche lei gli occhi sulla brughiera. Non credeva nel suo Dio, ma nel Destino sì. E forse non aveva tutti i torti.

Cacciò un lungo sospiro, mentre si passò una mano dietro la nuca e poi sulla spalla. “Credo partirò domani. Saluterò i miei ragazzi e poi farò le valigie…. Oddio, valigie… dimentico che sono arrivata qui senza niente.”

John le sorrise tornando a guardarla. Le posò un bacio sulla tempia, prima di scompigliarle i capelli – e ricevere un mugolio di protesta in risposta - “Non è vero… sei arrivata qui con il tuo cuore.”

*

Salutare i suoi ragazzi fu forse la cosa più difficile. Vedere le loro facce deluse quando la notizia della sua partenza imminente arrivò il giorno dopo fu quanto di più straziante conoscesse… senza contare il dolore che le aveva causato Malfoy, ovviamente.

Ma ormai aveva capito che non poteva continuare a fuggire. Avrebbe affrontato di petto quella storia e ne avrebbe dato una conclusione. Se positiva o meno era ancora un dubbio, però.

In cuor suo sperava in qualcosa… quella voce non poteva tradirla. Era il tono di una persona disperata e in cerca di aiuto. Ma poi, se fosse stata solo la sua coscienza a suggestionarla e a farle credere di dover tornare indietro?

In ogni caso però, avrebbe chiarito molti dei dubbi che aveva in testa – e quelli che gli aveva imposto John – e in più avrebbe avuto la possibilità di cercare Vivian, con o senza il consenso di Malfoy.

Quando salì sul carro del signor Lawrence, che si era offerto di accompagnarla fino al paese vicino, dove partivano i pullman per la città più vicina, Miss Giuliet le venne dietro con le lacrime agli occhi.

“Bambina mia, aspetta! Hai dimenticato questi!” le sollevò una borsa contenente gli abiti che aveva usato in quei mesi. Miss Giuliet le sorrideva tra le lacrime quando l’aveva ringraziata di cuore. “Vanno meglio a te che ad una povera vecchia. E almeno così ti ricorderai di me, ogni volta!”

Ginny abbracciò commossa quella donna che le aveva fatto da madre in quei mesi e piangeva ancora quando si lasciò alle spalle il villaggio.

Non incontrò John, quel giorno. O più precisamente fu lui che non si fece vedere, ma lei non indagò oltre. Per quanto le dispiacesse non poterlo salutare sapeva quanto stesse soffrendo e rispettava la sua scelta. Così si congedò definitivamente da quel posto che tanto l’aveva aiutata quando tutto le era apparso tetro e insignificante.

“Spero che verrà a trovarci un giorno di questi… o si dimenticherà di noi?” domandò il vecchio e burbero signor Lawrence, mentre il carretto sobbalzava sulla strada dissestata.

Lei scosse la testa, abbracciando anche lui. “Ma certo che no! Ovvio che tornerò a trovarvi!”

E non mentiva. L’avrebbe fatto perché non poteva scordarsi di loro.

Quando raggiunsero il paese più vicino, Ginny insistette perché il signor Lawrence ripartisse senza aspettare che prendesse il pullman.

“E’ tardi e fa buio sempre più presto… non voglio che torni a casa di notte.” La rassicurazione era vera, ma in cuor suo Ginny aveva deciso che si sarebbe Smaterializzata fino al Malfoy Manor senza dover viaggiare per un giorno intero in qualche autobus scalcinato.

Il signor Lawrence accettò poco convinto, ma alla fine si decise a salutarla e a tornarsene al villaggio, borbottando.

Finalmente sola, Ginny evitò di farsi vedere in giro nel paese e si affrettò verso un boschetto limitrofo alla zona abitata. Lì, al sicuro da occhi indiscreti, prese un forte respiro e chiuse gli occhi, concentrandosi.

Ricordava ancora bene come si faceva e la sensazione sgradevole della Smaterializzazione non si fece tardare a sentire. Destinazione Malfoy Manor.

Finalmente avrebbe avuto la verità. Finalmente era pronta per affrontare il passato. Cosa le avrebbe indicato il futuro?

Quando riaprì gli occhi, sentendo di essere arrivata, la prima cosa che fece fu di restare senza fiato. E le pupille le si dilatarono orripilate.

Quello che vide davanti a sé non era il famoso e maestoso maniero della famiglia Malfoy che aveva conosciuto tanto bene.

Di quello non ne restavano che cumuli e macerie.

*

Allarmata si guardò intorno, ma non vide nulla che potesse aiutarla a capire. Era tutto distrutto, persino i giardini erano stati ridotti in cenere. Doveva esserci stato un incendio, quindi… ma il resto? Il maniero sembrava che fosse esploso.

Non vedeva edifici ridotti in quello stato da quando era in corso la guerra.

Si passò una mano tra i capelli frustrata. E Malfoy? E Vivian? Dov’erano finiti?

C’era solo una soluzione a quel punto. Arrivare fino ad Hay e chiedere informazioni. Anche questa volta si Smaterializzò per fare prima, incurante dei divieti. Fortunatamente ricomparve alle spalle di alcune casupole, così riuscì ad intrufolarsi nel villaggio senza dare nell’occhio. Questo, almeno per i primi dieci minuti. Quando la gente si accorse di chi si trattasse, iniziò a squadrarla con circospezione tanto da infastidirla e da costringerla a rintanarsi nel pub che era solita frequentare. Anche lì trovò alcuni sguardi obliqui, ma lei li ignorò dirigendosi direttamente al bancone. Conosceva molto poco il garzone, nonostante l’assidua frequentazione dei mesi precedenti, perciò sulle prime si sentì un po’ in imbarazzo.

“Mi scusi… vorrei chiederle alcune informazioni.”

“Forse posso aiutarla io, signorina.” Una vecchietta dall’aria familiare rispose prima che il garzone ne avesse il tempo. Si voltò osservandola sorpresa. Doveva averla vista più volte quando si era recata nel villaggio, perché se la ricordava molto più di certi abitanti.

Sorrise comunque cortese e le si avvicinò. “Se lo farà, le sarò debitrice.” Replicò.

La donnina la accompagnò ad uno dei tavoli, ma prima volle offrirle da bere. Al suo gentile rifiuto, decise di spiegare ogni cosa.

“Sono un’amica della povera Rachele… oh, povera donna, immagino il dolore!”

“Che è successo?!” domandò preoccupata Ginny. Fino ad allora non l’aveva mai abbandonata un leggero senso di inquietudine, ma nel sentire quella vecchietta l’ansia aumentava.

La donna si avvicinò di più alla ragazza come se volesse parlarle in privato. “Cose terribili! Non si sa come sia successo. Mesi fa è scoppiato un incendio improvviso al maniero e poi c’è stata una tremenda esplosione. L’abbiamo sentita noi fin qui.. eh sì, che io ho l’udito un po’ rovinato e dormivo anche… perché è successo di notte, gliel’ho detto?”

Ginny fece di no col capo. Ascoltava la signora trattenendo il fiato: non le riusciva proprio di respirare con quell’agitazione che la logorava.

“Sì! E’ successo di notte! C’era una tempesta tremenda e il maniero è andato distrutto! Fortunatamente la mia cara Rachele era fuggita via con la bambina! Ma il povero signor Malfoy…” la donna scosse il capo, socchiudendo gli occhi. E Ginny si sentì morire.

“E’ stato terribile. Rimase coinvolto nell’esplosione… e non si sa proprio come mai restò vivo.”

“Oh Merlino, grazie…” mormorò in tutta risposta la ragazza, senza nemmeno pensarci. Il solo pensiero che Draco fosse ancora vivo, la sollevava.

“Come ha detto?” domandò la vecchietta, portandosi una mano a coppetta vicino l’orecchio. Ginny agitò le mani, nervosamente.

“Niente, niente! Lasci stare! Piuttosto… come sta adesso Drac-ehm… il signor Malfoy?”

“Non molto bene, da quanto so. Pare abbia perso la vista… e anche una mano, mi hanno detto. E’ terribile, povero signor Malfoy…”

La cosa lanciò nuovamente Ginny nello sconforto. Adesso capiva che la voce che aveva percepito nella sua testa era la vera di Draco. Stava soffrendo.

Si accorse solo dopo che l’anziana la stava fissando di sottecchi. “Sa’… credevamo tutti che fosse morta. Si vociferava che fosse rimasta coinvolta nell’esplosione e che non ce l’avesse fatta.”

“Oh… no…” in qualche modo si impose di rispondere. Per quanto avesse una gran voglia di piangere, ora doveva andare avanti. “Mi aveva… mi aveva licenziata prima. Non ne sapevo niente dell’esplosione, né dell’incendio.”

Alla vecchietta questo bastò perché congiunse le mani davanti a sé e si agitò avanti e indietro. “Una cosa terribile, mi creda. Terribile!”

“E…. adesso per caso sa dove si trovano tutti?” chiese, celando il tono speranzoso che voleva uscir fuori.

“Oh, ma certo! Mi scrivo ancora con Rachele e la posta la mando sempre in Irlanda, i Malfoy hanno un’altra abitazione sul lago Ree. Lei è rimasta assieme alla cuoca ad accudire il signor Malfoy, mentre quella povera bambina… in collegio. Lui non la vuole più con sé ora che è così menomato.”

Deglutendo amaro per le parole della donna, si congedò in tutta fretta, senza lasciare molte repliche. Era inutile ormai restare lì, doveva raggiungerlo subito.

Quello che aveva sentito era terribile, Draco era in condizioni…. Ed era solo? E Gloria che fine avesse fatto? Possibile che quell’esplosione l’avesse causata uno dei due?

Tornò nel punto in cui si era Materializzata e recuperata la borsa di Miss Giuliet si concentrò per cercare di comparire in Irlanda. L’incantesimo era piuttosto difficile, considerato che non conosceva il posto, così finì per ricomparire a quello che – da quanto le avevano detto, dopo aver chiesto indicazioni – era un paese ad una cinquantina di miglia dal lago. Riprovò una seconda volta e finalmente la superficie blu notte dell’acqua le comparve davanti. E a pochi metri una grande abitazione. Ciò che la colpì del posto era che a differenza del resto del lago che era immenso – non ne vedeva la riva – ma che si dimostrava piuttosto accogliente e abitabile, la zona in cui si trovava la grande casa sembrava la più malsana e inospitale.

Alberi alti e scuri la circondavano e in alcuni punti l’acqua del lago tendeva a ristagnare, formando delle pozze verdastre e sicuramente maleodoranti. Decisamente era il posto meno indicato per viverci. Mentre si avvicinava a quella casa, poteva solo immaginare lo stato di abiezione in cui si trovava Draco.

Suonò alla porta un paio di volte prima che qualcuno venisse ad aprirle. Quando il viso di Rachele comparve dietro la porta, il battito del suo cuore accelerò. Anche lei le era mancata in tutto quel tempo e poi trovare Rachele, avrebbe significato trovare Malfoy. Era vicina a lui in maniera assurda, e la cosa la agitava forse anche troppo. Dopotutto non sapeva cosa o chi avrebbe trovato in quella casa.

Rachele Gobbins, quando riconobbe la nuova arrivata, scoppiò in lacrime e la abbracciò in barba a tutto il suo distacco inglese di cui tante volte Ginny si era lamentata. La strinse forte come una madre che rivede la figlia perduta e mescolò i singhiozzi a parole sconnesse.

“Credevo di non averti più rivisto… quella notte… credevo… il padrone…”

La ragazza la rassicurò commossa, cercando di consolarla e di spiegarle che era tornata e che prima di esserne sicura non se ne sarebbe andata.

“Oh, lei non se ne andrà, signorina Ginevra.” Replicò immediatamente la donna, ricomponendosi e tirando fuori da una manica un fazzoletto ricamato con cui si asciugò il viso. “Il Padrone ha bisogno di lei. Lo sento chiamarla ogni notte e ogni volta che si addormenta. Non può andare via!”

Le parole di Rachele fecero aumentare la tachicardia della rossa. Che John avesse avuto ragione?

“Ma… ma Rachele.. e Gloria? Lei era… quella notte era…”

“Era lì, lo so. L’ho vista anch’io, quando ha tentato di uccidere la piccola Vivian.” E qui Ginny sentì un moto di rabbia pervaderla in tutto il corpo. “Ma poi il padrone si è frapposto tra la bambina e quella donna, e la sua mano….” Rachele singhiozzò ancora. “E’ come se fosse morta. Non riesce più a muoverla e ha un colore così spettrale. Credo che rimarrà così per sempre.”

Ginny le accarezzò un braccio cercando di confortarla. Allora quello che diceva la vecchietta era tutto vero. “E… gli occhi?”

Mrs Gobbins sospirò affranta. “Ci ordinò di uscire e di scappare verso il villaggio e io presi Vivian e corsi via, nonostante mi riuscisse difficile… ancora non so come alla mia età sia riuscita a fare tanto. E Vivian scalciava e gridava, perché voleva tornare da suo padre… e chiamava lei, credendo fosse ancora al Maniero.”

“Ero fuggita quella sera stessa…” mormorò sentendosi terribilmente in colpa. Non credeva che fosse accaduto tutto in quella stessa notte. Ma Rachele scosse il capo.

“Non importa, signorina Ginny. Posso immaginare cosa deve aver provato quando ha visto.. quella donna.”

Le sorrise grata. Come aveva fatto a sopravvivere senza le buone risposte di Rachele?

“E… poi… cosa accadde?”

Mrs Gobbins tornò ad assumere l’aria malinconica di poco prima. “Eravamo a metà strada tra il villaggio e il maniero, quando è esploso tutto. Non dimenticherò mai quel rumore… è stato terribile. Per un attimo credetti di essere morta e di non essere riuscita a portare la piccola in salvo. Poi però mi ritrovai sotto la pioggia, con Vivian che piangeva e osservava quello che restava della nostra casa. Fu come se mi si spezzasse il cuore…” ancora alcuni lucciconi si addensarono negli occhi della donna, ma lei li asciugò velocemente con il fazzoletto.

“Furono momenti terribili, e ricordo tutto con confusione, fino a che il Padrone non fu ritrovato in fin di vita tra le macerie. Fortunatamente fu portato al St Mungo e non in uno di quegli ospedali babbani… ma nonostante tutto non sono riusciti a fare nulla, né per la mano, né per i suoi occhi.”

“I medici dicono che nell’esplosione deve aver battuto violentemente la testa. Non sanno se è una cosa definitiva, ma quando ho parlato con loro mi sono sembrati molto poco convinti di una ripresa… mi dispiace.”

Le scuse erano partite, perché Ginny stava piangendo e non se ne era nemmeno accorta. Le lacrime erano scese da sole, per il troppo dolore che le causava ascoltare il resoconto di tutta quella storia. Poi il pensiero volò verso l’ultimo tassello. “E lei?”

Lo sguardo di Rachele si indurì. “Lei è morta. E’ stato il Padrone ad ucciderla.”

Ancora una volta si coprì la bocca con una mano. L’aveva uccisa. Allora… allora forse si era sbagliata… forse lui…

“Signorina Ginny credevo non l’avrei mai più rivista, ma adesso sono finalmente felice. Potrà aiutare il Padrone e farlo uscire dallo stato in cui si trova. Ci ha costretto a trasferirci in questo luogo orribile e se ne sta sempre rintanato nella sua stanza al buio. E’ irascibile con tutti e ha mandato persino la mia Vivian via di qui! Solo lei può aiutarci!” la guardò con occhi imploranti. “Quando dorme, solo in quei momenti si lascia andare e invoca il suo nome. Ed è una pena vederlo in quello stato. Deve fare qualcosa, la prego!”

E solo allora, finalmente, si poté leggere determinazione negli occhi di Ginny. Posò una mano su quella di Mrs Gobbins e la rassicurò.

“Non si preoccupi, lasci fare a me.”

*

Bussò alla porta giusto per accertare la sua presenza, le buone maniere al momento erano l’ultima cosa a cui stesse pensando.

Era terribilmente agitata e in cuor suo provava anche una certa paura nel ritrovarlo in quelle condizioni. Non le faceva pena, ma dolore, perché poteva solo immaginare quanto avesse sofferto in quei mesi.

Quando entrò nella stanza la colpì immediatamente l’odore di chiuso. Represse una smorfia e cercò con calma la posizione della finestra. Spalancandola di certo non avrebbe fatto entrare molta luce, visto che ormai il sole era tramontato, ma per lo meno avrebbe dato aria a quel posto solitario.

Così si diresse direttamente e spalancò le ante. Inspirò l’aria fresca per farsi forza e fu felice di constatare che la luna ancora luminosa rischiarava la stanza quel tanto da poter intravedere le cose.

Per ora quel poco di luce le sarebbe bastato.

“Rachele, ti ho detto mille volte di non aprire quella finestra!” la voce del padrone di casa le giunse alle orecchie quando era ancora voltata di spalle. Nel girarsi verso il resto della stanza, trattenne ancora il fiato e con lo sguardo vagò in cerca di lui.

Lo trovò che camminava a piccoli passi, emergendo da un angolo buio, forse nei pressi del letto. Un raggio lunare colpì il suo viso che le apparve furioso e sofferente. Aveva gli occhi chiusi e alcune cicatrici sul viso, all’altezza di essi. La mano che era stata colpita era immobile contro il suo petto e le sembrò più scura dell’altra.

Con una morsa al cuore, scosse la testa e si decise a parlare.

“Non sono Rachele.” Fortunatamente la voce non le uscì tremante, come aveva temuto. Appariva stranamente tranquilla. O forse era semplicemente impazzita.

Osservò la sua reazione, che dapprima confusa, si avvicinò pian piano alla realtà. E infine capì che lui l’aveva riconosciuta.

“Ginevra…” un soffio incredulo, che per miracolo Ginny udì, gli sfuggì dalle labbra.

Draco indietreggiò di un passo e spostò il volto da un lato, come se non volesse vederla, nonostante l’impedimento.

“Cosa ci fai qui?”

La donna posò le mani sui fianchi in una chiara posizione polemica. “Beh, mi sembra che sia stato proprio tu a chiamarmi.”

“Sbagli. Io credo piuttosto che ti ho fatto pena e sei venuta a vedere come mi sono ridotto.” La replica fu dura e gelida, ma Ginny non si perse d’animo.

Aveva imparato che avere a che fare con Malfoy era un’impresa e per averla vinta non si poteva arrendersi alle prime difficoltà. Così ignorò le sue parole e scosse la testa.

“Non mi pare che tu sia diventato Legilimens, Malfoy. Non sapevo nemmeno cosa ti fosse accaduto, quando sono tornata al maniero… e l’ho trovato in quello stato.”

Draco cacciò uno sbuffo amaro, ma lei continuò imperterrita.

“Ho chiesto informazioni che mi hanno portato qui, ma ti posso assicurare che la mia decisione non ha niente a che vedere con il tuo stato.”

“E per cosa saresti venuta allora? Per prenderti gioco di me? Per vendicarti come avresti dovuto fare quella notte?”

“Per capire.” Fu la sua risposta. L’uomo si zittì, sollevando il capo verso di lei, gli occhi sempre chiusi ma le palpebre che fremevano. Immaginò che avrebbe dato qualsiasi cosa per poterla vedere in quel momento.

“Ieri notte stavo per accettare una proposta di matrimonio...” per un attimo credette che Malfoy si fosse irrigidito. “… stavo per farlo, ero convinta che solo in quel modo ti avrei dimenticato e avrei ricominciato a vivere tranquillamente. Ma quando stavo per rispondere mi sono resa conto che non avrei mai risolto nulla.” Parlava con tranquillità e purtroppo – se ne rendeva conto – con una certa freddezza. Era come se in qualche modo desiderasse che Malfoy la supplicasse di perdonarlo, come se volesse che lui soffrisse ancora un po’, prima di rivelargli quanto ancora lo amasse.

“Perché quella notte ho visto cose che non avrei mai creduto… e tu mi hai ferita e delusa profondamente.”

“Sarà stato più facile odiarmi.”

“Oh sì…” rispose lei, ridacchiando nervosamente. “Non puoi nemmeno immaginare quanto ti ho odiato.” Fece una pausa nella quale si avvicinò a lui, lo sguardo fisso sulle sue palpebre chiuse.

“Ma ti ho odiato al pari di quanto ti ho amato… e ti amo tuttora. Se sono qui è solo perché desideravo vedere se c’era ancora una possibilità, se mi sbagliavo sul tuo conto.”

“Non c’è bisogno che me lo chiedi, ho sbagliato e ti ho mentito.”

“Sì, ma hai pagato per questo. E questo mi basta.” Si accostò completamente a lui e sollevò una mano per una carezza sul suo viso. Lui rimase immobile. “E soprattutto hai dimostrato che quello che ti inseguiva era solo un fantasma del passato, e che sei riuscito a distruggere. Non credere che non lo abbia notato…” il suo tono si era addolcito, ma evidentemente questo era troppo per lui, che si ritrasse dal suo tocco scostando il viso e si allontanò di qualche passo.

“Non ti posso dare nulla in questa condizioni. Lasciami perdere.”

“Non serviranno due occhi e una mano per amarmi.” Ostinata, si avvicinò nuovamente a lui e gli prese il viso tra le mani. “Non ripetere lo stesso errore, permettimi di entrare nella tua vita, per favore…”

“Ti condannerò ad una vita infelice.” Provò ancora e questa volta la donna colse una nota di disperazione in quella voce.

Ma lei sorrise e poi gli sfiorò le labbra per un istante. “Lo sarebbe comunque senza di te.”

E fu come se anche le ultime barriere furono sciolte; Draco sollevò il braccio sano per abbracciarla e lei ricambiò stringendosi a lui. E finalmente Ginny si sciolse e poté piangere come aveva voluto fare fin da quando lo aveva visto dopo tutto quel tempo.

Rimase così contro di lui, assaporando quel momento e sentendo che da quel momento in poi avrebbe smesso di soffrire.

Dopo tanti ostacoli il loro amore si poteva realizzare.

FINE

Fine. Non mi sembra vero di aver potuto chiudere questa storia con un capitolo decente (che mi auguro sia veramente… la mia impressione potrebbe anche far cilecca u.u). Ovviamente prima che partano parolacce e lamentele, vorrei avvisarvi che ho anche scritto un piccolo epilogo.

Dato che la storia doveva concludersi così, ho voluto completare la trama con un capitoletto a distanza di alcuni anni.

Niente paura, non vi farò aspettare un altro anno per pubblicarlo =P E’ già scritto e lo posterò tra qualche giorno. Spero potrete pazientare un pochino ^^’’

Con questo ringrazio tutti coloro che hanno letto questa storia e un grazie in particolare a: Lydia, Florinda, lilyblack, Minako_chan, ruka88, dana, lella80, hermione, Slytherin_Princess, Marcycas – The Lady of Darkness, terry, Armonia, Maki91, Melisanna_, Ryne, Lizzy Malfoy, __sana91__, Ciupi II, Roberta 90, melly86, paola, Cl33 e Kristin.

Allora arrivederci all’epilogo! ^.-

Ryta Holmes

   
 
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