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Autore: Cat in a box    29/07/2012    2 recensioni
Dopo la caduta del Meteor su Midgar, la maggior parte della popolazione è stata infettata dalle cellule aliene di Jenova, manifestandosi sul corpo degli esseri umani con il Geostigma. [...] Un'ultima missione per l'Avalanche, ormai, sull'orlo di dividersi. Dimostrerà di esserne ancora all'altezza? [...] Al contempo, un eroe caduto si è ritirato dalla battaglia. Il suo animo è ancora diviso a metà, tra bene e male. Sarà un incontro inaspettato a fargli intraprendere una scelta.
Genere: Avventura, Drammatico, Fluff | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jenova, Kadaj, Nuovo personaggio, Sephiroth
Note: Otherverse | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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01.These hidden feelings


Le fiamme stavano divorando gli edifici della mia città natale. 
 
Un fumo nero si stava levando verso l’alto, oscurando il cielo e caricando l’aria dell’odore di legno e carne bruciata. Un odore sgradevole e soffocante. 
 
Udivo le urla straziate della gente, che gridava aiuto o imprecava; ma inconsciamente, sapevo che non erano reali ed erano il semplice frutto della mia contorta immaginazione.
 
Stavo sognando. Per la terza o la quarta volta, mi trovavo ancora nello stesso identico sogno e sapevo, fin troppo bene, che cosa sarebbe successo.
 
Indossavo la mia divisa da SOLDIER 3rd Class e con me avevo la spada Potens.
 
La stavo già impugnando.
 
Avanzai tra le fiamme, che sembrava avessero tutta l’intenzione di inghiottirmi dentro a quell’inferno in terra e come ogni volta, sentivo il calore del fuoco pervadermi in ogni angolo del corpo.
 
Non sopportavo quel calore e quell’aria velenosa. 
 
Avanzai con passo veloce, percorrendo quella che un tempo era stata la strada principale e raggiunsi una piccola piazza, dove trovai, ancora una volta, quella scura sagoma indefinita.
 
Brandivo la spada e mi avvicinavo lentamente verso quella figura, che si rivelò, presto, essere l’uomo che un tempo era stato conosciuto come l’eroe di Midgar.
 
Sephiroth.
 
Già da qualche tempo, aveva assunto il volto dei miei incubi e forse, anche delle mie paure. Ogni volta che lo sognavo, come in questo caso, desideravo più di ogni altra cosa affrontarlo. 
 
In parte per vendetta e dall’altra, per il semplice bisogno di dimostrare a me stesso di essere migliore di lui.  
 
Sconfiggendo il mostro avrei dimostrato di essere un eroe.
 
Tuttavia, come era successo anche le altre volte, rimasi immobile brandendo la spada tra le mani, incapace di prendere una decisione. 
 
I suoi occhi sornioni, di un vivido verde acqua, mi scrutarono per qualche istante.
 
Dietro a quello sguardo, spietato e crudele, che rifletteva l’arancione vivo delle fiamme, si nascondeva un barlume di afflizione e amarezza. Sembrava stanco di lottare e non aveva intenzione di attaccarmi, anche se, nella mano sinistra, brandiva la Masamune pronto a difendersi.
 
Poco dopo, distolse lo sguardo, disinteressato, e vidi le sue labbra pronunciare nuovamente quelle parole, in un bisbiglio.
 
“Io non sarò mai un ricordo.” 
 
Si voltò e venne inghiottito dalle fiamme. 
 
E come già era successo le altre volte, non lo fermai e non lo seguì. Rimasi immobile, solo, in contemplazione di quel paesaggio distrutto, pullulante di dolore e morte. 
 
Alzai gli occhi al cielo e gridai il suo nome con rabbia.
 
 
 
Cloud si stropicciò gli occhi.
 
Si ritrovò a contemplare il soffitto della sua camera, diviso a metà da uno squarcio di luce che filtrava dalle tende color blu notte alla finestra.
 
Si alzò a sedere e si accorse che la sua fronte era imperlata di sudore.
 
Aveva i capelli spettinati e indossava il suo pigiama estivo, costituito da un paio di boxer azzurro cielo e una maglietta nera a mezze maniche.
 
Si alzò dal letto e scostò le tende alla finestra, lasciando che la luce facesse irruzione nella sua stanza e che per qualche istante lo accecasse. Quando la vista si abituò, rimase in contemplazione del viottolo trafficato di gente, su cui si trovava affacciata la sua stanza.
 
Si sedette di nuovo sulla sponda del letto e si rese conto, in quel momento, che la spalla sinistra gli doleva ancora.
 
Sollevò lentamente la manica della maglietta e scoprì la piaga nera che si era estesa dal braccio fino alla spalla. Da qualche mese, aveva assunto l’aspetto di un’infezione e sentiva che ormai aveva raggiunto i tessuti in profondità.
 
Il dolore che gli provocava, era appena sopportabile, ma riusciva a nasconderlo bene. Tuttavia, era consapevole che col tempo il dolore si sarebbe intensificato, fino a diventare insostenibile. Ogni giorno, il Geostigma, penetrava nella sua carne e lui, diventava sempre più debole e fiacco.
 
Non era l’unico.
 
Dal giorno della caduta del Meteor su Midgar, quasi metà della popolazione venne infettata dalle cellule aliene di Jenova, causando la comparsa del Geostigma. Da quel momento, partirono le ricerche di una cura che fosse in grado di debellare il parassita alieno una volta per tutte.
 
La situazione, da allora, non è più cambiata. Molte delle persone affette dal parassita sono state addirittura allontanate dalla comunità o messe in quarantena, perché si era sparsa la credenza che si trattasse di un morbo contagioso.
 
L’Avalanche, tre anni fa, si era promessa di trovare una cura. Per questo motivo, spesso, Barrett passava molto tempo a viaggiare nelle altre città. Questa volta, si trovava a Edge insieme a Cid.
 
Abbassò la manica del pigiama e sforzò la sua mente a distogliersi da quell’orribile piaga. Ormai, era abituato a nascondere quel dolore e ogni sua preoccupazione, sulle visioni e i sogni che ultimamente gli stavano rubando anche il sonno (e che probabilmente erano causate dal Geostigma stesso).
 
Si voltò verso il comodino, per scorgere la sua sveglia digitale che segnava le dieci e mezza di mattina.
 
Aveva fatto tardi…
 
 
D’un tratto sentì bussare alla porta.
 
“Avanti!” disse distrattamente.
 
“Cloud?” lo chiamò una voce femminile.
 
Si voltò e vide Tifa.
 
Era ferma sulla soglia della sua camera, con le braccia conserte e un’espressione che avrebbe definito…seria.
 
Stava rinfrescando il suo locale e indossava un lungo grembiule viola macchiato di vernice, sopra ad un tuta nera; mentre la frangia era nascosta sotto ad una vivace bandana rosa.
 
“La spesa?” sospirò Cloud, supponendo il motivo della sua visita.
 
Per distogliersi dal crescente dolore che gli provocava la piaga, aveva iniziato a farsi appioppare ogni genere di lavoro da Tifa, nella (vana) speranza di distrarsi e magari, di tornare a casa talmente stanco da riuscire finalmente a chiudere occhio per una notte.
 
Tuttavia, gli incubi non erano le uniche cose che lo turbavano, anzi, forse erano addirittura la meno. Quando era solo, spesso e malvolentieri, lo sorprendevano visioni sul ritorno della sua nemesi. Confidava che si trattasse solo della sua paura, che ora, era determinato ad affrontare.
 
“Già…”
 
Rispose lei atona, appoggiandosi allo stipite della porta e continuando a guardare Cloud, con la stessa espressione indecifrabile di prima.
 
“Uhm…” mugugnò il biondo, sentendosi in un leggero imbarazzo.
 
“Cloud…” richiamò la sua attenzione “…può andarci Yuffie se non te la senti.”
 
A quelle parole, si sentì avvampare di rabbia. Lui, che aveva fermato la grande calamità dal distruggere la Terra, ora, si ritrovava a non riuscire nemmeno a gestire qualche semplice dovere casalingo.
 
“No, ci vado io.”
 
Rispose secco.
 
“Sei ancora in tempo…” disse lei “…ma dovrai correre un po’.”
 
Tifa uscì dalla stanza e scomparve nel corridoio.
 
Cloud si cambiò in fretta i vestiti, si lavò i denti e la faccia, poi scese in cucina per fare una leggera colazione e vi trovò Vincent, intento a sorseggiare una tazza di caffè bollente.
 
Il biondo lo salutò e si sentì rispondere, poco dopo, con lo stesso saluto da una voce cavernosa e piatta.
 
Vincent doveva aver passato ancora la notte in bianco.
 
Non era difficile dedurlo, una volta notati i pestoni violacei sotto agli occhi e la pila di tazzine sporche di caffè nel lavandino. Doveva essere arrivato al suo tredicesimo caffè.
 
Il suo sguardo cremisi era perso in contemplazione della zuccheriera appoggiata al centro del tavolo.
 
Cloud lo guardò basito, mentre tirava fuori l'ultima tazza pulita dalla credenza.
 
Si versò un po’ di caffè dalla moka e aggiunse un goccio di latte freddo.
 
Aprì la zuccheriera e versò tre cucchiaini nella tazza, interrompendo così il contatto visivo Vincent-zuccheriera, poi, trangugiò il tutto in un sorso.
 
Prese la borsa della spesa e abbandonò la cucina, lasciando un’ultima occhiata a Vincent.
 
Quando passò all’ingresso, trovò Tifa che stava finendo di passare lo straccio sul pavimento e a giudicare dalla schiuma che sbordava fuori dal secchio, osservò Cloud, che doveva aver esagerato col sapone.
 
Tuttavia, pensò che non fosse dell’umore giusto per farglielo notare, quindi la salutò e uscì di casa, dirigendosi verso la piazza del mercato.
 
 
Dopo qualche istante, Tifa levò un sospiro e si sedette sul primo gradino delle scale che portavano al piano di sopra, mentre contemplava le piastrelle del pavimento color mattone.
 
Stava pensando a Cloud e al suo bizzarro comportamento.
 
Da quando lo conosceva, non si era mai lasciato prendere così tanto dalle faccende domestiche. Non che le dispiacesse poter contare su una mano in più, infatti, era stato grazie a lui se ora aveva trovato il tempo di rinfrescare il suo locale; però, dietro a quel suo atteggiamento doveva nascondersi qualcosa.
 
Non era mai stato molto estroverso e non raccontava mai, a nessuno, i problemi che aveva. Lui, pensava sempre che sarebbe riuscito a risolverli a modo suo e così, era sempre riuscito a fare.
 
Ma questa volta, c’era qualcosa che non stava andando bene veramente e non lo vedeva più lottare con quella determinazione, che una volta, avrebbe fatto brillare i suoi occhi color Mako.
 
Poteva trattarsi del Geostigma, che in effetti, sul corpo di Cloud si stava espandendo con maggiore rapidità rispetto a quello di Denzel.
 
Dovevano trovare una cura…e alla svelta.
 
Dal piano sovrastante sentì le voci di Marlene e Denzel, probabilmente, impegnati in qualche gioco. Yuffie doveva essere con loro.
 
La ragazza ninjia dell’Avalanche aveva deciso di fermarsi per qualche giorno, lasciando che Cid e Barrett partissero soli per Edge. Vedendo Tifa indaffarata per rimettere a nuovo il locale, si era fermata apposta per darle un aiuto, passando il tempo in compagnia dei bambini.
 
In quanto a Vincent, beh…lui era lì per caso. Si fermava di rado a Midgar e non si tratteneva mai più di due giorni. Fra tutti i membri dell’Avalanche, lui, era quello solitario, taciturno e riservato. Nulla di strano, in ciò, noto il suo lungo servizio come Turk nella ShinRa.
 
Probabilmente, gli era solo difficile abbandonare le sue vecchie abitudini, come quella di passare qualche notte in bianco.
 
Non era un caso ritrovarselo qualche mattina, appoggiato al bancone della cucina, affiancato dalla sua immancabile torre di tazzine sporche di caffè.
 
Sorrise.
 
D’un tratto, una voce grave la distolse da quei pensieri.
 
“È bello vederti sorridere qualche volta…”
 
Subentrò Vincent Valentine.
 
Per poco, Tifa, non sobbalzò per lo spavento. Si ritrovò a fissare gli occhi color cremisi dell’ex-Turk, che aveva ricambiato la sua reazione con uno sguardo stupito.
 
Se ne stava con la schiena appoggiata allo stipite della porta della cucina, nella sua “tenuta comoda”, mentre con la mano artigliata reggeva la sua quattordicesima tazza di caffè.

Non aveva indosso il lungo mantello sfrangiato, che nonostante i buchi si ostinava ancora a portare. Tifa, in tutti quegli anni che lo conosceva, aveva iniziato a pensare che quella ostinazione fosse dovuta ad una specie di legame affettivo per quell’elemento del suo vestiario.

Poteva separarsi per qualche giorno dal suo mantello, ma mai dalla Cerberus. Notò la fondina, sostenuta dalla cintura del pantaloni, che sporgeva sul suo fianco.

Indossava un paio di jeans scuri e una maglietta nera a maniche lunghe, mentre la fronte era nascosta dalla solita fascia di stoffa rossa.

La mano artigliata era coperta da un guanto in pelle e dall’armatura dorata che terminava all’altezza del gomito.

“G-grazie.” Disse lei, quasi scioccata da quel inaspettato complimento. Sentì il viso andarle in fiamme e abbassò subito lo sguardo, per non far notare il fatto che fosse arrossita come un pomodoro.

Si tolse la bandana che indossava e lasciò che la lunga frangia asimmetrica le coprisse parte del viso. Si finse interessata alle macchie color giallo chocobo sul suo grembiule.

“Quando riaprirai il Seventh Heaven?”

Le domandò, d’un tratto, facendola distrarre da quel momento di imbarazzo.

“Questo fine settimana…” rispose in fretta “…se tutto andrà come previsto.”

Aveva calcolato che le sarebbero bastati altri due giorni per terminare i lavori, appena in tempo per riaprire il Seventh Heaven quel sabato. Avrebbe voluto chiedere a Vincent se sarebbe rimasto qualche giorno in più a Midgar, giusto per partecipare alla riapertura del suo locale, ma al momento le sembrò una domanda piuttosto sciocca.

Sapeva fin troppo bene che l’indomani sarebbe ripartito e non lo avrebbe rivisto prima di qualche settimana o mese.

Non aveva intenzione di obbligarlo a restare.

Non voleva darlo a vedere, ma le mancavano i tempi in cui erano una squadra affiatata e unita. Certo, erano ancora una squadra, ma era tutta un’altra storia da quando avevano finito di combattere le loro battaglie contro la ShinRa, contro Sephiroth e contro qualsiasi minaccia della Terra.

L’unico interesse che spingeva l’Avalanche a rimanere unita, era la ricerca di quella cura contro il Geostigma.

Vincent stava collaborando nelle ricerche e ovviamente era sempre in viaggio, da solo o qualche volta, accompagnato da Yuffie.

Tifa, indossò di nuovo la bandana e si alzò in piedi.

“Il dovere mi chiama…” disse, accennando ad un lieve sorriso per nascondere la malinconia che le avevano rievocato quei pensieri.

Salì le scale e lasciò Vincent al pian terreno a finire il suo caffè, che la guardò perplesso.
 
 
Quando raggiunse il piano superiore, si ritrovò Yuffie a fissarla con aria interrogativa e incuriosita dalla sua espressione.

“Mi spieghi perché hai quella faccia?” le domandò con voce acuta, mentre Denzel e Marlene erano dietro di lei a giocare con un pupazzo a forma di moguri.

“Quale faccia?”

“Su avanti! Non mi prendere per tonta…” sbottò lei, incrociando le braccia “…è da quando mi sono fermata qui che sei diventata di colpo tutta così strana. Che ti succede?”

Tifa le sorrise.

“Credo che sia…la stanchezza.”

Rispose, scegliendo con un po’ di accuratezza le parole. Di sicuro, non aveva intenzione di esprimere i suoi sentimenti a riguardo, in un modo o nell’altro, soprattutto ad una lingualunga di nome Yuffie Kisaragi.

“Stanchezza, eh?” inarcò un ciglio, pronta a tirar fuori chissà quale stramba teoria per smascherarla.

-SLAAAAM!-

Improvvisamente, un forte tonfo rimbombò fino al piano superiore, facendo quasi vibrare i vetri delle finestre. I due bambini si spaventarono e Yuffie, per fortuna, dimenticò ciò che stava per dire.

“Cos’è stato?”

Esalò la ragazza ninjia colta dallo spavento.

“State qui, vado a vedere!”

Si affrettò Tifa, precipitandosi al piano di sotto. A giudicare dal rumore, sembrava che un carrarmato avesse appena sfondato la porta di casa!


Scese le scale e raggiunse l’ingresso, dove trovò Vincent prono sul pavimento.

Tifa lo guardò sbigottita, mentre fece un cenno con la mano per dire “ok”.

“Sto bene!” Disse, mentre si rialzava in piedi “...credo di essere scivolato sul pavimento.”

Lei arrossì di nuovo.
 
“Devo aver esagerato le dosi di sapone…”

Si avvicinò a lui e gli porse una mano, con la quale si aiutò ad alzarsi e per un momento, i loro sguardi si incrociarono. Seppure per un breve istante, Tifa sentì inspiegabilmente che il suo cuore aveva appena fatto una capriola.

“Limone.”

Disse lui d’un tratto.

“Cosa?”

“E’ al limone il sapone per i pavimenti.”

“Ehm sì…”

Vincent riuscì a sdrammatizzare la situazione e le strappò un altro sorriso.

“Tifa!?”

Si sentì riscuotere dalla voce stridula di Yuffie, che era rimasta al piano di sopra, insieme ai bambini.

“Va tutto bene!”

Ribatté, per non farla preoccupare.
 
 
Qualche breve istante dopo, qualcuno iniziò a bussare alla porta d’ingresso.

Tifa si avvicinò allo spioncino della porta, per guardare chi fosse a bussare. Escluse che si trattasse di Cloud già di ritorno con la spesa.

Al di là della porta, c’erano due uomini ben piazzati. Indossavano completi in giacca e cravatta scuri, mentre i capelli erano raccolti indietro e portavano, tutti e due, degli occhiali da sole.

Aprì la porta.

“Come posso aiutarvi?”

“Stiamo cercando delle persone…”

Disse uno dei due uomini.

“…cerchiamo mercenari per una missione.”
 
Tifa gli squadrò meglio. Nonostante il completo vagamente familiare alla divisa dei Turks, non sembravano lavorare per la ShinRa. Tra l’altro, a giudicare dalla corporatura robusta, potevano essere scambiati facilmente per militari.

“Chi siete?”
 
Si intromise Vincent.
 
“Siamo soci di un’organizzazione scientifica chiamata Millennium.”
 
“Per che genere di missione ci vorreste reclutare?”
 
Continuò Tifa.
 
“Si tratta di una missione di recupero.”
 
D’un tratto, Vincent scorse un luccichio provenire dal tetto della palazzina di fronte. Riconobbe la canna di un fucile che stava puntando proprio su di loro. Con un movimento rapido, afferrò Tifa per un braccio e la scansò.
 
“Stai giù!!” le disse, non lasciandole neanche il tempo di realizzare quello che stava facendo.
 
Sentirono degli spari e alcuni proiettili perforarono la porta in legno massiccio, lasciando dei buchi grandi quanti un pugno.
 
I due agenti entrarono in casa e si ripararono dietro al muro.
 
“Ci hanno seguiti!” disse uno dei due.
 
“Chi vi ha seguiti?” domandò Vincent, mentre estraeva la sua Cerberus dalla fondina, con Tifa di fianco che stava riparata dietro di lui.
 
“Intralciano i nostri piani da sempre…sono nemici di vecchia data.”
 
Vincent sparò il primo colpo e beccò in fronte il primo cecchino che si trovava nascosto sul tetto della palazzina di fronte a casa.
 
“Non siete sorpresi e a quanto pare…” disse indicando con lo sguardo il giubbino antiproiettile che nascondevano sotto la giacca “…cosa aspettate a tirar fuori le pistole?”
 
“Pistole?” ripeté uno dei due, quasi come se si fosse sentito offendere da quelle parole.
 
“Noi non usiamo pistole.”
 
Aggiunse l’altro, estraendo dalla tasca una fionda.
 
Così come l’aveva estratta, il suo braccio iniziò a ricoprirsi di piccole fiammelle azzurre e le dita della mano iniziarono a prendere la forma di artigli. Nonostante le fiamme, il tessuto della giacca era rimasto integro e persino la fionda, iniziò a ricoprirsi di fiammelle.
 
L’uomo caricò la toppa della fionda con una palla di fuoco che aveva evocato dal palmo della sua mano. Tese l’elastico e dopo qualche istante, in cui prese la mira, lanciò quella sfera di fuoco contro la finestra di un edificio da cui sbucava la canna di un fucile.
 
“Sorprendente…” commentò Vincent “…e lui che cosa riesce a fare?”
 
L’altro teneva in mano un sacchetto pieno di sassi, all’apparenza senza nulla di speciale. Ne afferrò uno e la sua mano iniziò a produrre delle piccole scariche elettriche. Il sasso iniziò a diventare luminoso. Lo avvolse in mezzo ai due lacci della sua frombola e lo fece roteare sopra la sua testa, finché non lasciò un laccio e fece volare il sasso oltre la palazzina.
 
Piombò su un edificio in pezzi e lo fece esplodere sul tetto, che crollò sul piano sottostante.
 
“Davvero sorprendente.”
 
Commentò l’ex-Turk.
 
“Chi sono questi tizi?”
 
Domandò Yuffie, mentre Denzel e Marlene si nascondevano dietro di lei e guardavano con aria incuriosita i due uomini vestiti di nero.
 
“Scusate se non ci siamo ancora presentati…” disse quello che aveva appena fatto esplodere l’edificio in pezzi, mentre ripuliva dalla polvere la sua divisa “…il mio nome è Destructor.”
 
“E io sono Pyro.” Aggiunse l’altro, facendo un leggero inchino.
 
“Ripagheremo per i danni alla porta.” Disse Destructor.




---------------------------------->>> Note dell’autrice <<<----------------------------------

 
Salve a tutti! ^o^ Beh, confesso di aver scritto un capitolo un po’ luuungo! XD Ho avuto anche diverse difficoltà nella stesura. In tanto, ho fatto diventare Cloud una sottospecie di affiatata casalinga! XD Senza contare il fatto che ogni volta che cercavo di scrivere una battuta per Vincent, avevo paura di portare il personaggio OOC e ormai, ho perso il conto di quante volte avrò riscritto il dialogo tra lui e Tifa! E vi starete, giustamente, chiedendo come mai Vincent abbia le occhiaie e trangugi 14 caffè la mattina pur di star sveglio…beh, questa è una sorpresa che solo più avanti vi svelerò! ;-) In tanto, vi anticipo che ho già scritto i primi 9 capitoli di questa storia, quindi ho deciso di pubblicarne uno alla settimana. Chi sta solo aspettando l’ingresso di Sephiroth nella storia, anticipo che comparirà effettivamente solo dal capitolo 6 in avanti e nei precedenti, comparirà solo sporadicamente come visione onirica. Però sarà uno dei personaggi più importanti nella storia. Cosa ne pensate dei personaggi nuovi? Pyro e Destructor vi dicono nulla? Per il loro look mi sono ispirata a Man in Black! XD CI SENTIAMO NEL PROSSIMO CAPITOLO! ^o^
 
Un piccolo spoiler sul prossimo capitolo “02. The mission”…


“In quel biennio, feci una scoperta sorprendente…” proseguì Il Professore “…scoprì, per caso, un siero che era in grado di annientare le cellule aliene di Jenova, negli organismi in cui erano state trapiantate le sue cellule. Doveva essere utilizzato come antidoto, in quegli esperimenti falliti, in cui la degenerazione cellulare era cominciata. Sarebbero tornati normali. Tuttavia, quel folle di Hojo, perseguiva altri fini…e mi volle fuori dal progetto Jenova all’istante.”
   
 
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