Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: HarleyQ_91    29/07/2012    2 recensioni
Vivien si avvicinò al dipinto e sollevò la candela per illuminarlo meglio.
Avevano tutti un’espressione così seria i conti Turner, persino la piccola Alyssa, che avrà avuto circa cinque anni, non sembrava godere di quella gioia e spensieratezza tipica della sua età.
E poi c’era lui, quel giovanotto che non era riuscita ad osservare bene qualche ora prima. Ora, col mozzicone di candela a qualche centimetro dalla tela, fece luce sul suo volto, illuminandone anche i più piccoli particolari.
Il conte Aaron Turner.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Image and video hosting by TinyPic

******

CAPITOLO 15
- Da Che Parte Stare -

 
  Le luci dell'alba filtrarono attraverso la finestrella incastonata nella pietra e rigata da spesse inferriate di ferro.
  Vivien l'aveva osservata per tutta la notte, non riuscendo a chiudere occhio, e si era chiesta più volte se quelle stanze – prima di diventare dei servi – fossero state delle prigioni. Erano piccole, umide, poste nell'ala più a sud – e dunque più nascosta – della villa. Se qualcuno avesse voluto urlare, di certo nessuno l'avrebbe sentito.
  Un brivido di freddo percorse la schiena della ragazza e la indusse ad alzarsi dal letto.
  Si lavò in fretta con il bacile pieno d'acqua fredda che si trovava accanto alla porta, dopodiché si voltò verso la sedia accanto al letto, dove era appoggiato l'abito che la contessina le aveva fatto portare in camera la sera prima.
  Stoffa raffinata le scivolata tra le dita mentre lo toccava, di un azzurro intenso la gonna, mentre il bustino a fantasia floreale portava uno sfondo color panna.
  Non avrebbe voluto indossarlo, le ricordava i tempi in cui abiti di quel genere erano all'ordine del giorno per lei, e non voleva che la nostalgia si facesse spazio nel suo cuore, specialmente in un momento come quello. Ma lo indossò comunque, era il regalo della contessina per darle il bentornata e non le avrebbe mai arrecato un torto così grande come quello di rifiutare un suo dono.
  Uscita dalla stanza si diresse verso le cucine per aiutare a servire la colazione, incontrò Meg, che le andò incontro sorridendo e abbracciandola. Poi il maggiordomo Hans e gli altri servi nelle cucine.
  Una signora piuttosto in là con gli anni, ma con gli occhi ancora vispi e scrutatori le si avvicinò e le prese una mano.
  “Grazie per aver riportato il conte a casa”. Le disse, sorridendo.
  Vivien l'aveva vista spesso aggirarsi per le cucine, ma mai una volta servire a tavola, o lavare un pavimento. Probabilmente era ormai troppo vecchia per fare le faccende, così la tenevano nelle cucine a fare il minimo indispensabile.
  “Non sono stata io a riportarlo a casa”. Vivien si ritrovò stranamente in imbarazzo. Lo sguardo di quella donna le ricordava molto quello di Clelia quando tentava di comprendere se le stesse dicendo una menzogna.
  “Sì, invece. Lui ti ha cercata, ti ha trovata e ora tu lo hai riportato a casa. Così doveva andare”.
  Vivien notò uno strano luccichio nello sguardo dell'anziana donna e si ritrovò d'istinto a guardare in basso. Sostenere quegli occhi era diventato troppo pesante, come se le stessero leggendo l'anima, e la cosa la impaurì.
  “Forza, signora Adele”. Si fece avanti Hans, prendendo sottobraccio la vecchia. “Venite con me a fare una passeggiata nei giardini”.
  Appena i due si allontanarono, Meg andò accanto a Vivien e cominciò a ridacchiare.
  “Non dar peso a ciò che dice, è un po' pazza”.
  Vivien era ancora un po' scossa. “Ma chi è?”
  “Era la balia del conte Aaron e della contessina Alyssa, serve i Turner da più di trent'anni. Dirigeva lei la servitù finché non è impazzita”.
  “Come è successo?” Questa volta Vivien si voltò verso la biondina che le stava accanto.
  “Qualche anno fa fu beccata da un fulmine. Non morì, ma da allora vaneggia. È convinta di essere una specie di sensitiva... mah” Meg si strinse nelle spalle. “I Turner la tengono qui per riconoscenza, ma stanno bene attenti a non farla andare a zonzo per la villa”.
  Lui ti ha cercata, ti ha trovata...
  Vivien non poteva fare a meno di pensare a quelle parole, anche una volta portata la colazione alla contessina, anche mentre usciva dalla villa per andare a compiere delle commissioni.
  Era come se quella donna fosse a conoscenza di ciò che era accaduto in quei giorni, eppure nessuno sapeva che il conte era stato a casa sua, ferito, e che lei lo aveva curato.
  “Ma come andiamo di fretta”.
  Vivien si fermò nel bel mezzo del viale centrale e voltò lo sguardo dietro le sue spalle. I pensieri che le ingombravano la testa e la fretta di svolgere le proprie commissioni le avevano fatto perdere di vista tutto ciò che la circondava, compreso il conte Richard.
  La ragazza si inchinò immediatamente.
  “Perdonatemi, signore. Non vi avevo visto”.
  L'uomo le si avvicinò con passo cadenzato e le rivolse un sorriso che a Vivien non ispirava alcuna sicurezza.
  “Sei la serva che ieri è rientrata con mio figlio”. Esordì il conte. “Come ti chiami?”
  “Vivien, signore”. La ragazza a quel punto alzò gli occhi e andò ad incontrare quelli del suo padrone. Benché il taglio fosse lo stesso di Aaron, la freddezza che c'era in quello sguardo lo differiva totalmente dal conte suo figlio. Erano color ghiaccio, intimidatori, forse cattivi.
  Che cosa era accaduto a quell'uomo per renderlo così freddo?
  “È un bel nome, Vivien”. Continuò il conte. “Da quanto mia moglie ti ha presa a lavorare qui?”
  “Tre mesi il prossimo lunedì, signore”.
  L'uomo annuì e si toccò il leggero strato di barba nera che non si era rasato quella mattina.
  “Tre mesi, eh? Ammetto di essere molto colpito”.
  “A che proposito?”
  Il conte le si avvicinò ancora e questa volta le portò una mano sotto il mento.
  “È sbalorditivo come una serva sia riuscita in così poco tempo a conquistare i cuori di entrambi i miei figli. Devi avere una qualche dote nascosta”.
  Vivien, benché si sentisse minacciata, non perse il suo sangue freddo.
  “Per quanto riguarda la contessina, posso dirvi che le sono molto affezionata anch'io, ma riguardo a vostro figlio non so a cosa vi stiate riferendo”.
  “Non fare la modesta, adesso”. La canzonò il conte. “Ho visto come ti stringeva in groppa al cavallo, ieri. E ho visto anche come poi la sera sei entrata in camera sua”.
  Vivien sgranò gli occhi e si irrigidì. Credeva di essere stata abbastanza prudente e di non essere stata vista da nessuno. A quel punto non aveva la più pallida idea di cosa fare.
  “Ehi, che ti prende? Ti sei messa paura?” Rise il conte. “Non ne hai motivo, non sono qui per rimproverarti. Mio figlio è libero di divertirsi come vuole, non gli ho mai negato di farlo e non comincerò ora”. D'un tratto però l'espressione del conte si fece più seria e scurì la voce. “Tuttavia vedi di non fare scherzi. Conosco bene i trucchetti di voi serve per accaparrarvi la fortuna dei nobili, ma sappi che un Turner non si lascia soggiogare così facilmente”.
  Vivien aggrottò le sopracciglia. “Non ho intenzione di farmi ingravidare da vostro figlio, se è questo che pensate. Anzi, non ho intenzione nemmeno di fare tutto il resto!”
  L'uomo ridacchiò. “Vuoi davvero farmi credere che...”
  “Che sta succedendo?”
  Vivien si voltò di colpo e in un attimo fece un passo indietro per mantenere una certa distanza tra lei e il conte Richard.
  Aaron sembrava indignato, la guardò per qualche istante, poi posò lo sguardo su suo padre.
  “Stavamo solo scambiando due chiacchiere”. Disse sardonico Richard. Poi con fare galante prese la mano alla ragazza e se la portò a fior di labbra. “Felice di averti conosciuto, Vivien”.
  L'uomo si diresse verso l'interno della villa, lasciando alla ragazza un brivido freddo che le percorse la schiena e una sensazione amara tra la paura e il disgusto.
  “Ti ha fatto qualcosa?” Aaron fu subito accanto a lei e le sfiorò il viso con una mano. Vivien però si scansò.
  “Non toccatemi”.
  “Sono solo preoccupato per te!” Ribatté il conte, prendendola per un braccio e obbligandola a guardarlo. “Devi stare attenta, mio padre è un uomo pericoloso. Se si incapricciasse di te...”
  “Oh, non sarebbe molto diverso da ciò che subisco ogni giorno da voi”.
  “Il mio non è un capriccio, Vivien!” Aaron le prese entrambe la braccia e la sbatté contro il suo petto, gli occhi dentro ai suoi. “Non lo è più, ormai!”
  Vivien lo guardò intensamente, il suo sguardo mostrava sincerità e anche un po' di malinconia. Aveva le occhiaie marcate, segno che anche lui aveva passato la notte insonne.
  Poteva davvero credere che fosse così? Che fosse tutto vero?
  “Lasciatemi!” Lo intimò, dimenandosi. Aaron allentò la presa, ma non abbastanza da farla andar via. “Lasciatemi, ho detto! Si può sapere cosa volete da me?”
  “Ancora non l'hai capito?” L'uomo le prese il viso tra le mani e lo avvicinò al suo. Le labbra del conte erano calde, esigenti e Vivien ormai aveva imparato a conoscerle. Ogni volta che la sfioravano si sentiva come bruciare, un fuoco che nasceva dalla bocca e andava crescendo fino al basso ventre.
  Come era accaduto la sera prima, il conte l'aveva fatta avvampare, finché il fuoco era esploso in lei in un'emozione mai provata, colpendola totalmente alla sprovvista.
  Si era ripromessa che mai più si sarebbe lasciata sopraffare in quel modo dal conte, eppure eccola lì, attaccata al suo corpo, pronta a ripetere l'esperienza.
  “Perché non lo accetti come ho fatto io?” Le chiese lui, mentre dalle sue labbra passava a baciarle il collo.
  “Di cosa state parlando, signore?”
  “Basta con questo signore”. Il conte si fermò e la guardò negli occhi. “Per te sono solo Aaron”.
  Vivien inarcò le sopracciglia e lo guardò ancora un po' confusa. Che fine aveva fatto l'uomo che teneva al suo titolo più della sua stessa vita? L'uomo che pretendeva il rispetto e la devozione dai suoi sottoposti?
  “Ma... io sono una serva”. Gli ricordò Vivien, sfidandolo. Voleva essere certa che dicesse sul serio.
  “Non quando siamo da soli”. Aaron le accarezzò una guancia e provò a riavvicinarsi, Vivien però si scansò troppo in fretta perché riuscisse a raggiungerla.
  “Infatti non siamo soli, signore!”
  Il conte si voltò, senza lasciare la presa sul braccio della ragazza. Meg stava scendendo in giardino, probabilmente per annaffiare le piante, e non sembrava essersi accorta di loro, tuttavia era solo questione di tempo.
  “Io devo andare”. Disse Vivien, lanciando un'eloquente occhiata alla mano di lui che la tratteneva. “Ho delle commissioni da fare, di cui una vi riguarda particolarmente”.
  L'uomo sembrava come essersi destato da un sogno, sbatté più volte le palpebre, dopodiché la lasciò andare ed assunse una posizione composta.
  “D'accordo, vai”. Le acconsentì. “Ma quando tornerai dovremo parlare”.
  La ragazza non sapeva se prendere quell'ultima frase come un invito o una minaccia. Tuttavia si limitò ad annuire e si diresse verso le stalle per prendere Philip.
  Con una buona mezz'ora si ritrovò al centro della piazza del mercato, il Red Lion distava da lì sono un qualche centinaio di metri. Percorse quel breve tratto di strada molto lentamente rispetto all'andatura che aveva usato fino ad allora, forse perché doveva prepararsi psicologicamente a ciò che stava per accadere.
  Avrebbe visto un altro Mercenario in faccia e gli avrebbe consegnato la lettera che il conte le aveva assegnato. Ormai era ovvia la parte dalla quale si era schierata.
  Tuttavia quello di portare a termine egregiamente quella commissione non era l'unico pensiero che le balenava in testa mentre percorreva quella strada.
  Al Red Lion c'era la possibilità di rivedere Thomas, sebbene nei giorni passati fosse andata a cercarlo proprio lì, ma non ne trovò traccia.
  Vivien scese dalla groppa di Philip e lo legò ad una staccionata, poi prese un bel respiro ed entrò.
  La locanda era semi-vuota, come ogni mattina. Solo qualche ubriacone se ne stava seduto al tavolo con già un boccale di vino tra le mani. Le donne erano tutte a prepararsi ai piani superiori per i clienti della sera, mentre i camerieri ripulivano il solito macello creato la notte precedente.
  Un uomo in particolare però attirò l'attenzione della ragazza. Era seduto ad un tavolo in disparte rispetto agli altri, non aveva ordinato nulla e si guardava spesso intorno. Poteva essere lui quello che cercava.
  “Falco?” Chiese lei, avvicinandosi al suo tavolo.
  L'uomo sembrò irrigidirsi e le lanciò un'occhiata tutt'altro che amichevole.
  Vivien comprese di aver colto nel segno, così si sedette di fronte a lui.
  Quando gli disse chi la mandava, le folte sopracciglia marroni di Falco si rilassarono e i suoi occhi neri le si rivolsero con più garbo.
  “Credevo che avrebbe mandato James, come al solito”. Disse.
  Vivien lo guardò e si strinse nelle spalle, aveva avuto il sospetto che lo stalliere fosse a conoscenza del segreto del conte, ora ne aveva la conferma.
  “Probabilmente ha ritenuto opportuno mandare una donna, passa più inosservata”.
  Falco sorrise, stirando le labbra fine e un po' screpolate. “Quindi sai di cosa si tratta”.
  A quel punto la ragazza si irrigidì. Il conte era stato molto chiaro, nessuno doveva sapere che lei sapeva. Altrimenti sia le guardie reali che i Mercenari stessi avrebbero attentato alla sua vita. Il rischio era troppo alto per lasciare che persone non strettamente coinvolte venissero a conoscenza di certi segreti.
  “Io eseguo solo gli ordini”. Si difese lei. “L'unica cosa che so è ciò che il mio padrone mi ha detto, ossia che è una questione della massima importanza e riservatezza”. A quel punto tirò fuori la lettera.
  “E non ti è venuta nemmeno un po' di curiosità?” Insistette Falco, forse sperava in una reazione che la facesse tradire, ma Vivien non si scompose.
  “Anche se l'avessi, non oserei chiedere. Sono abbastanza intelligente da capire che, in certe situazioni, meno si sa, più si resta vivi”.
  Falco scoppiò in una risata roca e profonda che fece voltare quei pochi uomini presenti nella locanda.
  “Ben detto, ragazzina!” Disse. “Sei in gamba!” Poi aprì la lettera che gli era stata consegnata e la lesse in silenzio.
  Quando arrivò alla fine, fece un'espressione che Vivien non seppe decifrare, tra il sorpreso e l'eccitato. La guardò come un bambino guarda un bancone di dolci e sorrise.
  “Preparati, ragazza!” Disse con il luccichio negli occhi. “Le cose stanno per cambiare”.
 
  Aaron si era coperto con un mantello e un cappuccio nero benché fosse quasi mezzogiorno. Uscì dalla parte posteriore della villa e si diresse a piedi verso la piazza di St. Michelle.
  Non sarebbe dovuto andare, i nobili non presiedevano alle esecuzioni capitali svolte in paese, ma Sam era un suo amico, e l'avrebbe accompagnato – anche se solo con lo sguardo – fino all'ultimo secondo della sua vita.
  Tuttavia doveva stare attento e confondersi tra la folla, così che le guardie non lo riconoscessero e non si insospettissero.
  Passando per le viuzze interne del paese, mise le mani in una pozza di fango e se le sporcò, così come anche la faccia, in modo da sembrare un più credibile mendicante.
  Arrivò alla piazza che già era piena, un piccolo palco in legno era stato costruito nell'estremità più a sud e il ceppo con il boia erano già pronti a ricevere il giustiziato.
  Una guardia gli passò accanto e lui gli diede le spalle, stringendosi meglio il mantello intono al corpo. Alzando lo sguardo poi, notò Vivien in una delle stradine accanto alla piazza che portavano verso il confine del paese, si precipitò da lei e la afferrò per un braccio.
  Inizialmente la vide spaventata, ma quando la trascinò in un vicolo isolato e si tolse il cappuccio, l'espressione spaurita della ragazza scomparve.
  “Cosa state facendo qui?” Chiese lei, a bassa voce.
  Aaron non ebbe bisogno di rispondere, perché un uomo al centro della piazza annunciò l'arrivo del marchese Sam Ronchester sul patibolo.
  Vivien si portò una mano davanti alla bocca e abbassò lo sguardo, era evidente che non sapeva cosa dire.
  “Hai consegnato la lettera?” Chiese lui, rinfilandosi il cappuccio.
  “Sì, ho anche la risposta di Falco”.
  “Bene, me la darai dopo, ora torna alla villa”.
  Così dicendo tornò in piazza e alzò lo sguardo sul patibolo. Sam sembrava invecchiato di dieci anni, i capelli lunghi e spettinati, la barba incolta, il corpo magro. Tuttavia gli occhi erano quelli di sempre e, per un attimo, ad Aaron parve che quello sguardo fosse rivolto a lui. Uno sguardo pieno di promesse, di speranze, che ora toccava a lui dover mantenere.
  Il boia preparò l'arma e fece inginocchiare Sam davanti al ceppo di legno. Aaron prese un bel respiro e strinse i pugni.
  Improvvisamente però un calore inaspettato avvolse la sua mano e girandosi il conte vide Vivien accanto a sé.
  “Ti avevo detto di andare”. Le disse, riportando lo sguardo verso il patibolo.
  “Tornerò alla villa più tardi”.
  Non dissero altro, rimasero entrambi con lo sguardo fisso in avanti e il respiro trattenuto.
  Solo quando il boia alzò l'ascia con la forza di entrambe le braccia e stette per sferrare il colpo di grazia, Aaron sciolse il pugno e strinse forte la mano di Vivien nella sua.

 

******

Rieccomi qui con il capitolo 15.^^
Spero sia stato di vostro gradimento e che mi facciate sapere cosa ne pensate.
Poi voglio augurare una buona estate a tutti (l'ho già fatto nello scorso capitolo, ma a volte ripetere non guasta xD)
Per il resto, vi dico che ci si rivede (o rilegge!?!) a Settembre, poiché il 2 parto per gli Stati Uniti e ci resto tutto Agosto.
Non mi separerò dal mio pc portatile, perciò vedrò di scrivere, ma non vi assicuro nulla!^^
Un bacione a tutti e un grazie a chi segue la mia storia.

*HQ*

  

  
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: HarleyQ_91